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Autore: ClodiaSpirit_    28/01/2022    2 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando la luce si posò sulla superficie della finestra, quella entrò a poco a poco, piazzandosi in mezzo alla stanza, battendo i suoi raggi caldi sul bruno del legno.
La mattina entrò di colpo, colorando per parte i corpi di Simone e Manuel abbracciati di un ocra appena accennato e intensificandosi man mano che si levava alto il sole. In realtà, più uno che l’altro, sembrava dipendere dal contatto.
Come se avesse trovato un pezzo in più e così mancante di sé senza volerlo lasciare più andare. Facendosi ancora più piccola se possibile, la figura di Manuel avvolgeva parte della schiena e la vita di Simone davanti a sè.
Stretto e avvolto com’era, dentro quell’unica coperta a scacchi che copriva entrambi, il mento gli arrivava a poco più della nuca di Simone, fermo lì, sulla pelle bianca, liscia. Due corpi, una sola unità.
Il tempo freddo e piovoso, aveva lasciato spazio al giorno, impresso però ancora delle sensazioni dense e degli umori della notte trascorsa insieme.
In lontananza si avvertiva soltanto qualche fruscio, un sussurro del vento che soffiava come se fosse una melodia sana, non invadente, si posava piano fuori dalla piccola costruzione. Piano, la stanza cominciò a prendere forma, la luce si posò sui piccoli oggetti, sugli attrezzi al muro, la porta si modificò proiettando un grande ovale allungato decentrato mentre i contorni restavano ancora in ombra, i capelli di Manuel si fecero diversi, si irradiarono alle punte, mostrando le schiariture dei ricci.
Quando sentì quel vento sfiorargli la pelle, inspirò piano, la presa si fece più salda su Simone e i capelli andarono a solleticargli l’inizio della schiena scoperta. Aprì gli occhi, abituandoli lentamente, visualizzando prima l’intera stanza, poi si spostò leggermente per guardare l’altro completamente risucchiato tra le braccia di Morfeo.
Sorrise appena, mentre con la punta delle labbra depositava un bacio lì, sulla pelle nuda, beandosi della totale tranquillità che provava. Ripercorse ciò che era successo la sera scorsa: cominciò a sorridere ancora di più.
Avrebbe scambiato volentieri tutte le sue serate più buie, per rivivere lo stesso momento, messo la firma per più giorni di pioggia da passare con Simone, che da solo. Cominciava a tenere il conto, quasi, di tutte le volte che aveva potuto veramente sentirsi così bene: si contavano sulle dita di una mano.
Avevano fatto l’amore, Manuel non mentì a se stesso. Era stato quel pensiero a svegliarlo, adesso. Non si era mai ricordato quando era stata la sua vera prima volta con un’altra persona, forse era ubriaco a una festa o forse rispondeva al secondo anno di liceo. Forse lo aveva fatto per i motivi più sbagliati, anche per presunzione, per primeggiare rispetto agli altri, per la malsana moda di pronunciare le parole “non sono più uno sfigato qualunque, ora sono un uomo”.
In realtà, l’importanza di momenti come quelli valeva eccome. E soprattutto con chi ti trovavi a viverli. Simone era una di quelle persone, una di quelle che prendeva a cuore tutto ciò che faceva e come lo faceva. Era questo che lo rendeva diverso. Manuel respirò piano, mentre la testa gli ricordava i freni inibitori che si ribellavano, venivano fuori e si portavano via l’immagine vecchia di se stesso, il viso del suo ragazzo che gli crollava dolcemente addosso. Non ricordava di essersi mai addormentato con nessuno, da piccolo amava stringersi al suo dinosauro giocattolo, ma ovviamente crescendo aveva capito fosse inanimato o una mera consolazione. Simone era una persona vera, che gli respirava accanto, lo aveva preso tra un viso imporporato e una determinazione ferrea in azione.
Mentre Manuel era lì, che rimuginava sulla notte passata, Simone si muoveva appena, davanti a lui, come un cucciolo alle prese col risveglio: la massa nera di capelli si spostava, la faccia disegnava un ritratto impastato dal sonno, la luce gli si posava addosso e lo portava a coprirsi infastidito. Una mano però saliva fino a coprire a coppa il viso di Manuel, mentre si lasciava scappare un mormorio strozzato.

« Giorno …uhm, che ore sono? » bofonchiò però mangiandosi metà delle parole.

Manuel gli passò una mano arruffandogli i capelli, gli baciò l’angolo della bocca.

« Buongiorno, è ancora presto, Simò, » la mano del più alto gli disegnò piano il contorno delle guance, riaprendo gli occhi grandi « dai, ritorna a dormire »

Simone annuì piano, accoccolandosi di nuovo sul materasso caldo, mentre l’altro gli riportava le mani alla vita e quello si girava questa volta, verso di lui.
Come se ne venisse fuori un’immagine dipinta e ignota, Simone risultava come uno di quei giovani ragazzi caravaggeschi barocchi, solo che al posto della frutta, si innestava con l’idea di un Cupido addormentato, sulla brandina di un letto troppo malandato per la sua preziosa figura. Forse, ora capiva perché l’arte prendeva a modello le persone reali, come aveva spiegato la professoressa a lezione di storia dell’arte: i modelli aiutano a catturare l’essenza di una persona, ma anche ad esaltarne la realisticità. La naturalezza delle pose, la stasi, il movimento. Se non si sbaglia, ciò che esce fuori è talmente vicino a ciò che conosciamo, da confondere ciò che è dipinto, da ciò che è fisico. Fonde le due idee che diventano una sola, nasconde laddove inizia la mano del pittore e finisce quella della persona reale.
Manuel sospirò piano.

Non ne avrò mai abbastanza, pensò.

Ne esplorò i tratti, senza darsi un limite o contegno, senza darsi fretta.
Le dita gli scivolarono piano dal naso, tracciarono il contorno delle labbra, la linea del collo, arrivando al petto. Segnarono la piccola linea fino all’ombelico e i fianchi ai lati. Come se fosse una specie di cartina dell’atlante, alla ricerca di una nuova terra da scoprire appena apparsa sulla mappa, le dita di Manuel segnarono le spalle di Simone, la linea delle sue scapole che scendeva giù, per poi incontrare la schiena. Simone farfugliò qualcosa nel sonno, il che portò Manuel a sorridere furbo e a fermarsi giusto un attimo.

« Oh, Simone, t’ho svegliato? »

Simone afferrò piano la mano di Manuel poggiata sulla sua natica sinistra, e la coprì con la sua. La bocca si mosse, mezza nascosta, contro il cuscino piatto e lungo che sosteneva la testa di entrambi.

« Come faccio a dormire, se mi torturi così? » sospirò, con la voce ancora impastata dal sonno. Differentemente dal suo tono di voce però, le iridi marroni si aprirono e fecero capolino. Simone risultava rilassato, anche in mezzo a quella smorfia che proclamava il suo diritto di dormire di più.

« Scusa » vibrò Manuel, gli depositò un bacio sulle labbra veloce « è che sembri un angioletto Simò, e non so che ho fatto per meritarti »

Simone lo guardò serio, allungò le braccia fino a toccargli la schiena, andargli in contro ed essergli più vicino. La luce gli toccava ora quei ciuffi di capelli che andavano da ogni parte, quasi a formagli attorno un’aureola moderna.

« Sa a quante persone lo hai detto prima » si sistemò meglio sul lungo materasso sotto di sé, muovendo il corpo « per il resto potrei farti la stessa identica domanda »

« Che tu ci creda o no, a nessuna » abbozzò solo sincerità nel tono « l’unica santa che me sopporta e conosce a parte te, è mia madre, se me lo chiedi »

Simone corrugò la fronte, evitandosi di ridere all’istante, strinse gli occhi. Sbadigliò.

« Comunque in ogni caso, gli angeli non esistono » Simone scrollò le spalle, e finì chiarendo con un broncio leggero.

Manuel allora scelse una via più praticabile, forse più comprensibile alle sue corde, una mezza scorciatoia – se vogliamo usare il termine giusto – per spiegargli il punto. Non era bravo a dire le cose, ma forse se prendeva in prestito quelle di qualcun altro, ci sarebbe riuscito sicuramente. Sospirò piano e come un flusso d’acqua, le prime parole fluirono liquide dalla sua bocca, come sciolte dopo un blocco del canale.

« E disgustato dai vizi che la natura diede in così gran numero all’indole femminile, visse a lungo, celibe senza moglie, senza compagna di letto… »

« Abbiamo la vena poetica di prima mattina? » mormorò Simone prendendolo in giro, ma l’altro non si fermò, anzi, fu spronato solo di più a continuare, testardo e risoluto dando ad ogni parola un significato preciso.

« Nel frattempo scolpì con arte mirabile, il candido avorio, e gli diede una forma con cui non può nascere nessuna donna e s’innamorò della sua opera » cominciò piano Manuel, adeguando sempre più il tono e soprattutto enfatizzando qua e la il testo senza perdere la cadenza « La guarda e si consuma d’amore per il corpo finto.
Spesso avvicina le mani per tastare se sia carne o avorio, e neanche allora si persuade che è avorio…
»

Simone ora si era fatto serio e gli prestava tutta la sua attenzione, preso dalla passione con cui aveva cominciato a parlare. Le sue mani si spostavano al viso del più piccolo, raccogliendolo e guardandolo tutto concentrato ma anche calmo com’era nel citare i famosi versi dell’Illusione di Ovidio. Gli stava davvero decantando i versi del libro che gli aveva prestato? Sapeva che Manuel amava la poesia, in particolare i versi latini, ma non che li avesse addirittura studiati a memoria.

« La bacia » Simone scorse il lampo negli occhi di Manuel, quello gli fissò le labbra e le pozze grandi, accoglienti che aveva al posto di semplici occhi « e crede di essere a sua volta baciato » gli sfiorò la nuca col pollice « le parla, la tocca e crede che le sue dita » Manuel intrecciò le loro mani con un gesto netto e deciso « s’imprimano sulle membra, teme che restino lividi… » il dito si fermò sul tatuaggio sulla spalla con l’altra libera. Si sporse per baciarne la piccola porzione di pelle che lo conteneva.
Manuel socchiuse gli occhi e Simone incurvò leggermente le labbra, gli occhi vivi posati completamente dentro quelle piccole fessure nocciola. Aveva davvero usato quei versi velati per dirgli quello che lui pensava?
« Temendo l’inganno, l’innamorato tocca e ritocca l’oggetto del suo desiderio » concluse, sfumando in uno sguardo evidente.

Simone restò per un po’ in silenzio, non sapendo cosa dire. Se c’era una cosa che era in grado di fare era sorprenderlo, anche quando magari pensava che fosse già un soggetto degno di interesse, Manuel si trasformava, continuamente.

Mannaggia a me e a quanto ti amo.

Il ragazzo alto poi si sganciò in un sorriso ampio, il viso che prendeva l’ingenuità e le sembianze di un bambino felice.

« Ti è piaciuto quindi, uhm, il libro?»

« Molto »

Simone lo studiò per bene, con quella barbetta incolta, con alcuni buchi qui e la, l’orecchino sdraiato sull’orecchio, il nocciola delle iridi.

« Io non sono di pietra come Galatea, però… » mormorò, mentre il tocco dell’altro si ripeteva lungo la sua schiena, lento e studiato.

« No, » Manuel fece strofinare i loro nasi « io ho la fortuna di averti qui, in carne ed ossa, Simone »

Non accettò più di riaddormentarsi, perché le loro labbra premute furono subito l’urgenza di Simone. Non importava se in giornata avrebbe dovuto prendere qualche caffè di troppo, Manuel era lì, tra le sue braccia e contava solo il modo in cui la sua pelle aderiva alla sua, se quella si sfiorava, si incastrava con l’altro come un pezzo mancante e finale per completare un’opera d’arte.
Il petto gli risuonava nei timpani, sordo com’era, mentre si curava di baciarlo, di riempirlo di tutto il suo lato inesperto, autentico, vero. Se lui era l’angelo in tutta quella situazione, Manuel era la sua più esplicita ossessione, la forza magnetica sfacciata che gli faceva venire voglia di lanciarsi nel vuoto.
Senza bisogno di nasconderlo, era la persona che lo completava, l’anello di unione tra il volersi continuamente mettere a disposizione, in aiuto e il volersi lasciare andare completamente, condividere ogni fibra di se stesso.
Prendergli il braccio, vivere col suo respiro addosso, sentirgli dire il suo nome ripetutamente, farlo stare bene e di conseguenza sentirsi appagato anche lui.
Simone si ritrovò incatenato al corpo di Manuel in un solo attimo, la sua immagine mandava in sovrimpressione quella della scorsa notte, a ripetizione come una cassetta la cui pellicola si riavvolgeva di continuo.
Il teppistello lo tirava per il collo, artigliando in mezzo alle sue scapole, baciandogli l’orecchio, mordicchiandogli il labbro inferiore. Di colpo i respiri si fecero affannosi, vogliosi, nell’atto di portarsi le mani un po’ ovunque: il disastro perfetto che erano, inspiegabile a parole.
Nella confusione totale del momento che aveva un senso logico solo per loro. Nel casino della loro età, di ciò che era passato ed era stato, ritrovarsi a guardarsi così non era da tutti. Era quel click che capita soltanto poche volte nella vita, di quelli che speri ti capitino e di essere vissuti senza freni. E Simone lo sapeva.
Negli occhi di Manuel, leggeva tutto ciò che voleva – che aveva sperato invano da un anno e mezzo – e adesso, lui gli dedicava versi poetici, lo chiamava angelo. Come cambiavano le cose in pochi mesi, assurdo.
Quell’aria afosa e umida venne interrotta da un rumore fastidioso proveniente nella stanza. Simone alzò gli occhi al cielo, mentre la sua mano si trovava ancorata alle cosce di Manuel.

« Lascialo squillare, ora sicuro smette »

Manuel annuì, avvinghiandosi ancora di più al ragazzo, le gambe facevano fatica a stare ferme e a non intrecciarsi. Mentre Simone giocava con la catenina che portava al collo con una delle dita e le altre gli scombinavano i ricci, la bocca gli si posava sul pomo d’adamo in evidenza. Accuratamente – come su istruzioni ben precise - scendeva sul petto marchiato d’inchiostro, lasciando tracce umide. Manuel privato di quelle stesse labbra, gli baciava di sfuggita la fronte, respirava a fatica, si spostava con le dita oltre la schiena, disegnava cerchi invisibili su quella pelle riscontrandone la leggera peluria, avvertendo già la frizione che lo frenava appena. Si sentì completamente perso, vedendo come Simone ignorava ancora il rumore di fondo, perché Manuel riconobbe la melodia fin troppo bene. Avrebbe voluto metterla in silenzio e mutarla a distanza, tramite il pensiero.

« Simò- »

Quando il cellulare riprese a squillare, Simone si girò di scatto, la figura capeggiante sopra Manuel risultò chiara, portando il corpo ad irrigidirsi. Il teppistello osservò quel capolavoro imponente, rettificando la sua posizione: sembrava più un Ercole adesso, non più un tenero putto da incorniciare. Sospirò, deglutendo appena.
« Non devo rispondere per forza, richiamerò più tardi » scrollò le spalle ritornando a Manuel, le sue labbra si scontrarono malamente con l’altro il quale mugugnò qualcosa di incartato. Simone si staccò poco dopo, confuso.

« Simò stavolta è il mio »

La suoneria era cambiata, era vero. Suonava un pezzo dei U2 emessa dallo stesso punto di prima. Simone sospirò amareggiato, annuì mordendosi il palato e lasciandogli lo spazio per alzarsi dal letto. Manuel camminò velocemente, avvertendo il primo freddo mattutino invadergli il corpo nudo. Non tutto senza uno sguardo ben assestato di Simone, che si concentrò soprattutto sulla forma del suo sedere, mentre camminava. Si tinse leggermente in viso, ma non distolse gli occhi. Manuel raggiunse la giacca rame e ne estrasse l’aggeggio elettronico. Scrollò la home e girandosi verso Simone si grattò la testa. Quello lo guardò interrogativo.

« Me sa che abbiamo appena fatto vacanza de un giorno a scuola, Simò » si avvicinò all’interessato, mostrandogli l’orologio sullo schermo. Segnava le 9:40.
E le chiamate perse mostravano il nome di Anita, almeno cinque volte.
Tutte a orari diversi. Sicuramente erano davvero esausti dalla notte prima, per sentirlo squillare circa tre ore prima.

« Cazzo, mio padre mi farà il terzo grado. Non credo di essere pronto. » si portò una mano in fronte.

« Sicuramente chiuderà un occhio, è tu padre, ha un approccio diverso, ma mi madre… valla ad ascoltare quella santa donna, signore mio »

Si guardarono nello stesso momento. Scoppiarono a ridere entrambi, come se quella fosse una delle barzellette più divertenti del secolo. Simone si coprì il viso, le mani glielo nascondevano fino a che le braccia che si sollevavano sulla testa disegnando un trapezio rovesciato.

« Cioè ti rendi conto che sono a pochi metri di casa, non l’ho chiamato, non sa dove sto…penserà che mi sono cacciato in qualche guaio o non so che altro e la cosa più divertente a cui penso è che non me ne frega proprio niente!» allargò le braccia, sorridendo come un bambino alla vista del suo gioco preferito.

« Simone Balestra da santo appeso al muro a ragazzaccio- sulle orme der “lupo cattivo” – tratto da una storia vera, prossimamente nei cinema »

Simone gli diede una gomitata, sentendo subito la presa in giro disegnare addosso a quello il tipico tono giocoso che conosceva fin troppo bene.

« Guarda che non sono il solo in questo casino » lo riprese.

« Se vogliamo esse sinceri, mi madre mi farà una capoccia più grande del tuo e il suo indiscusso amore pe’ la filosofia »

« La vedo dura, Manu… mio padre avrà già chiamato la tua, per chiedergli tutti i dettagli »

« Mia madre sa che sono uscito, ma non sa che sono uscito con te. Cioè, le ho detto che non era una ragazza quella dell’appuntamento » si inumidì le labbra.

Simone annuì, illuminandosi un poco. Manuel aveva accennato alla sua identità sessuale con Anita, anche se non in modo diretto? Era comunque un passo in avanti, anche se piccolo.
Poi ci ripensò un attimo: un ragazzo. Poteva essere chiunque, ma in ogni caso suo padre lo sarebbe venuto a sapere per l’apprensione esagerata di entrambi i loro genitori. Simone azzardò un sorriso a denti stretti, inspirò dal naso, scoppiò a ridere. Anita forse ci sarebbe arrivata più tardi, ma suo padre aveva una mezza idea sugli ultimi aggiornamenti della vita di suo figlio: pur non parlandogliene, Dante aveva capito i sentimenti che provava per Manuel – guarda caso unico ragazzo con cui veniva alle mani, che declamava come stronzo imperterrito, che citava il più delle volte a casa per domande curiose del padre. L’unico problema, era che non solo Simone gli aveva nascosto la loro relazione, ma aveva deciso di ingigantirla restando anche una notte fuori di casa – nella misteriosa casa di legno abbandonata - senza fargliene minimamente parola.

« E pensi che non faranno due più due appena si saranno parlati? »

« Forse… ma è la bellezza del brivido, mio caro Simone, » Manuel gli pizzicò la guancia « e poi non c’avevamo scelta ieri sera, con la tempesta fuori…s’era bloccata pure la porta »

Oh, sì, quella.

Simone fissò l’elemento d’arredo adesso, leggermente terrorizzato, come se potesse in qualche modo enunciare una sentenza negativa. Se la porta si fosse aperta, sarebbe dovuto uscire da quel letto, rivestirsi, ritornare alla vita reale. Simone si rifiutava di farlo, di affrontare subito Dante e di abbandonare il suo ragazzo – che stava stringendo fino a pochi minuti prima. Manuel lo seguì con lo sguardo e capendo ciò che intendeva, gli lesse lo stesso pensiero. O almeno così sembrava. Manuel mise da parte il telefono, posandolo a terra, di lato.
Le mani erano basse, giunte, schioccarono in un sonoro “clap”, mentre Simone si accarezzava vago il braccio destro.
Il teppistello lo guardava in un modo troppo eloquente, l’altro sembrava un cane bastonato. « Ma sì, è ancora bloccata, manco ce provo » esordì concludendo, mentre Simone annuiva scelto e con un movimento solo, si trascinava Manuel addosso.

« Restiamo qui » Simone sussurrò, gli occhi grandi d’angelo che ritornavano « non ho ancora voglia di andarmene » supplicò, le braccia attorno al collo di Manuel.

« Simò, ormai er danno è fatto, » Manuel gli schiacciò il naso mentre gli afferrava il viso con tutte e due le mani « minuto più, minuto meno non cambia niente… e poi non me pento di nulla, fosse per me resterei qua con te anche per tutto il giorno, dovessi scegliere »

« Adesso chi è il sentimentale tra i due? » gli disse Simone, prima di baciarlo.




- - -




Quando Simone ritornò a casa, chiuse piano la porta e attraversando in punta di piedi l'ingresso, il suo volto ispezionò attentamente l'area a destra e sinistra non vedendo nessuno al suo passaggio. Posò le chiavi sul mobiletto, dentro una piccola ciotolina verdastra portatutto. Aveva ricevuto ben dodici, dodici chiamate da suo padre tra la soglia delle 2 di notte e le 8 del mattino. Stava rincasando alle undici, colpa dell'altro che lo aveva trattenuto più a lungo.
Se suo padre non era nei paraggi sicuramente non avrebbe più a avuto modo di spiegargli com'erano andate le cose.
E una versione concisa, senza occlusione di colpa. Simone scosse la testa, prima o o poi quello sarebbe saltato fuori, com'era suo solito. Si levò il giubbotto e lo attaccò sull'attaccapanni.

« Oh il figliol prodigo si è degnato di tornare finalmente a casa! » tuonò il prof di filosofia.

La voce di Dante alta e impostata, fece saltare leggermente di sorpresa Simone, portandolo a girarsi, con due occhi più spalancati del normale.

« Pensavo fossi ancora a scuola a quest'ora »

« Non ho lezione il sabato mattina, Simone, » incrociò le braccia Dante, mentre una vestaglia blu scuro gli arrivava lungo le gambe e le ciabatte nere ai piedi facevano la loro entrata trionfale « dovresti saperlo. Adesso per favore ti siedi, e mi dici dove sei stato, per cortesia. »

Simone si mosse verso la cucina, oltrepassando l'ingresso, grattandosi la testa. Sudava leggermente freddo, le mani si mossero sole, cercando di scaricare la prima tensione che avvertiva in corpo.

« Innanzitutto vorrei che ti calmassi, » mise le mani avanti, mentre muoveva una sedia del tavolo, per sedersi « te l'ho detto che uscivo ieri sera »

Dante si massaggiò le tempie, sospirando per cercare la pazienza dentro di sé fuggita da qualche altra parte o corsa nel corpo di qualche altro individuo.

« Sì che uscivi me lo ricordo, il problema è che hai avuto il telefono staccato tutta la sera, » Dante si sedette di fronte al figlio, quel tavolo era l'unico oggetto che separava suo padre dal fare stupidaggini di cui si sarebbe sonoramente pentito « non sei stato rintracciabile nemmeno la mattina, ora io capisco che siete giovani - con chiunque tu sei uscito - visto che, è la tua vita, ho imparato a non impicciarmene dopo degli increscenti episodi dell'anno scorso. Però quanto meno avere la decenza di rispondere, dire anche solo "Ehi papà, faccio tardi, tutto bene, sono vivo!" avrebbe fatto la differenza »

Simone guardò suo padre visibilmente preoccupato, la mascella si contrasse e esalò aria fuori un respiro pesante. Portò le mani davanti a sé, torturandosi i pollici. Più guardava a quella situazione, più si sentiva ridicolo. Aveva imparato a non aver più paura di suo padre, o quanto meno a ripristinare il sentimento di fiducia spentosi molto tempo prima, per la sua mancanza nella sua infanzia. Adesso Dante c'era e gli stava dando l'opportunità di parlare. Chi era lui, se non quello che doveva mettere in chiaro come stavano le cose, senza più evitare di dirle? O nasconderle.

« Hai ragione, su tutta la linea papà » mormorò guardandolo dritto negli occhi « Avrei potuto rispondere, ma non potevo. Non c'era campo nel posto dov'ero... dove eravamo » deglutì appena. Dante cambiò subito espressione, corrugando la fronte. Simone si mangiò le labbra e riempì per bene i polmoni « Se ti sei sentito con Anita forse sai già tutto, no? »

Dante disegnò una smorfia col viso, la bocca andò all'ingiù, le rughe si formarono sulla fronte e invecchiò di almeno cinque anni.

« Sì, ma non c'era bisogno di lei per sapere che Manuel non era venuto a scuola, per quello ci sono gli altri insegnanti e Lombardi che aggiornano il registro elettronico. Ma che c'entra questo? »

Ah.

Simone pensava che gli avesse detto di più. Invece così non era - o forse sapeva qualcosa e non lo diceva. Il ragazzo buttò fuori l'aria e cercò le parole giuste per intavolare il discorso che stava per costruire.

« Papà promettimi che non ti incazzi » mormorò Simone.

Dante cominciò a pensare che l'intrusione di Manuel non avesse già portato o fatto abbastanza danni. Anzi, aggiungeva al tavolo tutte le possibilità che il caso offriva. Contò mentalmente fino a dieci prima di rispondere e mettere da parte quel sentimento di terrore.

« Più di così credo mi sia impossibile Simone, » sospirò, aggiustandosi contro lo schienale della sedia, aderendovi completamente « comunque sì, lo prometto »

« Bene, allora preparo del caffè, » si alzò di scatto e si diresse verso la moka posizionata dentro lo scaffale sinistro « sarà una cosa lunga »







Il rumore della moka uscì gorgogliante, diffondendo l'aroma della caffeina per tutta la cucina. Appena fu pronto, Simone lo versò in due tazzine bianche con qualche disegnino sopra, prese il barattolo del caffè e infilò dentro ognuna di quelle, un cucchiaino. Una volta portate fumanti a tavola, si sedette di nuovo soppesando lo sguardo di suo padre. Simone deglutì appena, mandò giù un sorso della bevanda scura e appena la sentì scoppiettargli lungo la gola, iniziò dal principio. O Almeno ci provò.

« Manuel c'entra in tutta la storia. Ieri sera, eravamo insieme » Simone non usò giri di parole « non so cosa vi siate detti tu e sua madre ma sono uscito con lui. E questo perché, » si morse il labbro inferiore e vide suo padre che lo scrutava dall'altra parte, « questo perché è il motivo per cui ho rotto con Cristian. E perché non l'ho più sentito. Perché dal momento in cui Manuel mi ha detto che gli piaccio e non solo come amico, non ho capito più niente. » Simone bevve l'ultimo sorso di caffè, lo mandò giù e riprese da dove aveva interrotto « Non so perché non te l'ho detto prima, non so forse perché immaginavo mi avresti messo in guardia, ma poi mi sono detto "lo ha sempre difeso, non ha senso lo faccia adesso", però è anche la persona che mi ha fatto più male, » Simone lesse negli occhi di Dante un velo di tensione che cedeva a poco a poco « e tu lo hai capito, da solo, senza che te ne parlassi, quando me ne sono volto andare a Glasgow questa estate sei stato tu a convincermi. Anche quando mi sono innamorato di lui, lo sapevi ma non hai interferito. Se non per cercare di farmi abbracciare chi ero, provandoci in ogni modo. E per questo te ne sono grato papà. Ti ho odiato, è vero, ma ora non più. »

Dante annuì lentamente, allungò la sua mano e afferrò di colpo quella di suo figlio, che la accettò subito guardandolo. La mano di suo padre era grande, levigata, ma non pensava affatto sopra la sua.

« Uhm, sì dov'ero... volevo bene a Christian, era sincero l'affetto che provavo. Gliene voglio ancora, ma non sono riuscito ad andare oltre l'ombra di Manuel. Quando si è quasi rotto il naso, quel giorno a scuola, non ha litigato con nessuno: Christian si è presentato fuori e gli ha tirato un pugno. Non lo sento da allora, certe volte non mi chiedevo altro, sul perché si fosse spinto a tanto. Poi però ho capito perchè non poteva essere un caso...quando Manuel mi ha detto cosa provava, non ci volevo credere. Ho pensato di averlo immaginato, ma era vero. Ho pensato al tuo discorso, al fatto che meritassi anch'io quella cosa, che avevo già tutte le carte in regola per avere anch'io una cosa come l'amore. Che il mondo era pieno di persone che lo cercano, ed io – senza nemmeno starci a girare troppo attorno - ero tra quelle.
Incredibilmente, mi sono ritrovato con quel qualcosa tra le mani, papà. C'ho messo un po' per carburare e farci l’abitudine, perché pensavo di non meritarlo, ma ormai so chi sono. So chi sono e ogni volta che mi ritrovo con lui, tutto torna. Tutt'ora, molte volte mi sembra impossibile... voglio dire quante possibilità c’erano?
Quindi sì, eravamo insieme ieri sera. Non solo da ieri, in realtà. Stiamo insieme da un po' in effetti... non so perché sto dicendo tutto adesso, spero che possa avere una qualche logica per te...» Simone prese fiato e si morse le labbra « come ho detto non c'era campo, anche per via del mal tempo, siamo rimasti bloccati...fino a stamattina » si sbrigò a dire senza ulteriori dettagli.

Dante fece un lungo respiro, mentre i suoi occhi buoni puntavano placidamente quelli del figlio, accennò un sorriso breve, mentre annuiva comprendendo e analizzando tutte quelle informazioni. La barba era rasata, anche se aveva lasciato della peluria sotto il naso, il professore sembrava portare due baffi curati da sceriffo.

« Simone, » mormorò premuroso Dante « qualsiasi scelta tu faccia, devi esserle tu a prendere non io. È la tua vita. Se sei felice, » strinse la presa del figlio « io ti appoggio. »

Simone sorrise subito in risposta, gli occhi che si annacquavano il giusto, sentendosi di essersi finamente tolto un peso dal petto.

« Ti voglio bene papà »

« Mai quanto te ne voglio io, » disse in tono più basso « però la prossima volta, manda magari un messaggio, anche prima di andare in posti senza linea o campo, non so, non voglio sapere il perché tu e Manuel ci siate andati, anche se posso immaginare » restò sul vago, ma suo padre gli fece l'occhiolino.

Simone arricciò il naso, evidentemente imbarazzato, abbassò subito lo sguardo evitando di scontrarsi con Dante.

« Papà, non è come... come pensi »

« Oh beh, e che importa quel che penso, » tornò con la presa sul suo caffè e lo trangugiò tutto d'un fiato « l'importante è che quel che pensi tu di ciò che è successo »

« Questa psicologia inversa con me non attacca, papà » lo ammonì Simone, vergognandosi come un verme adesso.

« Almeno siete stati attenti? » gli scappò fuori e alzò le mani in segno di difesa. Simone si alzò di colpo dalla sedia, rimettendola apposta. « Chiedo venia, perdono, mi ammonisco da solo, okay non proferirò più parola » imitò il gesto di un lucchetto sopra la sua bocca con l'indice e il pollice, mentre metteva le due tazzine nel lavandino per poter essere lavate. Si contraddisse subito però aggiungendo un simpatico punto di vista. « Chi sono io poi per farti la predica, a quell’età gli ormoni ballano e scalpitano-» Simone si morse il palato, guardando seriamente suo padre che ripeteva il gesto di prima e ritornava al suo lavoro « Quello che voglio dire, è che non c’è nulla di male, certe cose sono naturali »

Il ragazzo annuì, rilassandosi subito, mentre Danta gli mostrava un sorriso comprensivo e accondiscendente.

« Papà? »

Dante ritornò a guardare suo figlio, la testa si girò, il busto ruotò leggermente, la spugna col detersivo in mano, ferma a mezz'aria.

« Grazie per...non essertela presa. Soprattutto, se devi dare a qualcuno la colpa, dalla a me. Non a Manuel. »

« Questo ti rende nobile Simone, » arricciò le labbra, mentre strofinava l'interno della prima tazzina « hai un cuore stupendo, ma ciò non vuol dire che non debba parlare anche con lui quando lo rivedrò »

Simone restò impalato, dondolandosi in avanti, guardandosi i piedi per un secondo.

« Te l'ho detto, non c'è bisogno davvero, è tutto chiaro. Almeno, per me » si indicò, il tono ridotto a un'eco serena.

« Sì, appunto. Ma tu non sei un genitore, Simone. Io ho bisogno comunque di...di potergli parlare, dirgli qualcosa almeno, ai limiti del possibile. Non voglio fargli domande scomode o nulla, solo, vorrei potermi fidare totalmente. Non puoi vietarmelo questo. Per quanto tu me lo impedisca, ti proteggerò sempre. Sei mio figlio, » abbassò di più la voce, che gli si incrinò un po' verso la fine « l'unico che ho. »

Simone pensò al fantasma di suo fratello Jacopo che fluttuava di tanto in tanto, inevitabile e presente ancora tra le mura di quella casa, annuì e avvicinandosi di poco a suo padre gli posizionò un bacio sulla testa, mentre Dante si scioglieva un po'.

« D' accordo » sussurrò. Simone gli strinse la spalla e quando sentì lo sguardo di suo padre ritornare saldo, capì di aver centrato il punto. Una conversazione sana, senza urla, ne rimpianti, ne rimorsi, come un normale padre e un figlio. Fino a poco tempo fa, non si sarebbe minimamente sognato di avere un certo tipo di dialogo con lui, mentre adesso le cose erano totalemente cambiate. Dante gli posò un bacio sulla mano che gli reggeva la presa, lasciava ad asciugare le due tazzine e due cucchiaini a lato. Con un solo cenno del capo si limitò a dirgli un'ultima cosa.

« E comunque Anita non credo sospetti niente, » sospirò « l'altro cretino - perché questo siete due cretini - si è presentato a casa poco fa, canticchiando dalla porta, aveva una bottiglia di spumante in mano, manco avesse vinto alla lotteria! »
Simone scoppiò a ridere immaginandosi la scena, mentre Dante lo vedeva salire di corsa le scale.




- - -




« Manuel ma ti sei ammattito, cos’è questa roba?»

Anita guardò la bottiglia di spumante uscita da un sacchetto dal figlio evidentemente un po’ troppo su di giri. In realtà, sapeva che c’entrava l’appuntamento della sera precedente, ma aveva evitato di rispondere alla sua prima domanda, quando lui le aveva sorriso e le aveva stampato un enorme bacio sulla guancia. Manuel oscillava come a passo di una danza sconnessa, barcollante, con la busta ancora penzolante in mano.

« Mà, la vita è bella, bisogna festeggiare! » esclamò, dimenticandosi quella per terra, cercando un apri-tappi in qualche cassetto in cucina, aprì il primo e ci rovistò dentro. Anita portava una mano a reggersi la testa e l’altra era posata su un fianco. Neanche un bambino di due anni, si comporta così.

« Mi vuoi dire, invece di fare tanto il fichetto con la bottiglia in mano, dove stavi ieri e stamattina? Ormai sono abituata a te che rientri tardi, però non manco a fa così Manu, uno se preoccupa »

Manuel riuscì finalmente a trovare ciò che cercava e facendo pressione sul tappo di sughero, si aiutò poggiandosi sul banco incassato, facendo forza con le dita avvitando la puntina dell’oggetto. Girò piano piano, fino a quando non si sentì un sonoro pop, uscire fragoroso, accompagnato da un leggero vapore che fuoriusciva dal beccuccio della bottiglia.

« Mà viè qua, balliamo un po’ » afferrò sua madre per qualche secondo e la fece girare per la stanza. Mise insieme qualche passo maldestro di danza, oscillando appena, portandola come se fosse un valzer, anche se ne venne fuori solo una scenetta comica.

« Manuel sei impazzito proprio! » Anita non riuscì a non lasciarsi scappare una risata, riuscendo però a ricomporsi poco dopo « davvero, rispondi, mi dici dove sei stato? »

Il teppistello fece fare un altro giro a sua madre, il suo ultimo gesto lo vide in un baciamano, prima di allontanarsi e ritornare al suo secondo interesse e bene alcolico di qualità.

« Dove so stato mà… sono stato fuori, a cena, poi dentro una mezza casetta persa nel bosco e poi, una cosa tira l’altra, » afferrò due bicchieri, di cui uno con la bocca in bilico, ne riempì uno poggiandolo sul mobiletto affianco « hai capito, no? »

Anita sembrava persa in un’altra dimensione, pensando seriamente di chiamare qualcuno che potesse tradurre le parole di suo figlio, perché al momento, nemmeno lei che lo faceva di professione, ci riusciva. Manuel gli porse il bicchiere pieno, lo prese e lo guardò seriamente.

« Non ce riesci proprio a fare il serio tu, eh? »

« Dimmi che vuoi sapere e vedo dove ti posso accontentà »

Manuel poggiò le mani sul banco, coi palmi aperti e l’aria tranquilla, svagata. Anita stringeva il bicchiere con entrambe le mani, coperte fino metà da un maglione porpora.

« Voglio sapere perché non hai chiamato, sai che mi faccio i film mentali se non mi fai sapere dove stai » prese un sorso di spumante e gli frizzò subito lungo la gola per via delle bollicine.

« Oh mà, te l’ho detto, ero in un pezzo de legno diroccato, c’è stata ‘na mezza tempesta ieri notte, che non ci hai fatto caso? » mormorò, riempiendosi il bicchiere « Stava venendo giù il cielo, non prendeva er cellulare, nessuna bugia, è vero, siamo rimasti bloccati e quindi abbiamo passato la notte lì » Manuel fece scontrare il suo bicchiere con quello di sua madre e lo alzò in alto « Salute! » accennò uno sguardo tronfio.

Anita sospirò, abbozzando un mezzo sorriso poco convinto.

« Hai dormito fuori, in mezzo a un bosco, fino alle dieci di mattina? »

« Vabbè, “bosco” se fa per dire, non è che fosse ‘na bettola, ma manco un resort a cinque stelle… però ero al sicuro. Guardami, sono vivo, respiro » si girò su se stesso, indicandosi « manco un buco de proiettile, vedi? »

« Che cretino che sei… almeno ne è valsa la pena, tutta quest’ansia che mi hai fatto venire, sì? »

Suo figlio dichiarò uno sguardo a metà tra il sornione e il vittorioso. Mandò giù la bevanda tutta d’un colpo.

« Me dispiace se ti ho fatto preoccupare, ma il tempo si è come fermato e non c’ho pensato in quel momento. Stavo bene e me so dimenticato tutte le cose brutte » scrollò le spalle « Sono quelle cose che accadono e non le puoi controllare, ho toccato la felicità, mà »

Sua madre posò il bicchiere davanti a sé, le braccia si incrociarono al petto e l’età sembrò svanire in un attimo. Manuel sapeva che sua madre fosse una bella donna, solo che molto spesso lei era la prima a dimenticarsene. Portava gli occhiali da lettura, i capelli come due onde voluminose sul maglione comodo. Un sorriso le colorò il volto e ci lesse dentro anche uno sguardo malizioso.

« La felicità » ripeté facendogli il verso Anita annuendo. Si avvicinò a suo figlio e prendendo la bottiglia gliela allontanò da davanti. Manuel ruotò il busto per riprendersela, ma Anita non vacillò neanche quando il figlio cominciò a solleticarle la pancia « Se la rivuoi prima mi devi dare almeno un indizio, » arricciò il naso, scuotendo ripetutamente la testa « lo conosco? »

« Mà, ora me chiedi troppo »

« E dai Manu, qualcosa piccola piccola puoi dirmela » lo supplicò, mentre suo figlio si portava una mano a grattarsi il mento. Quello sospirò.

« Non è una persona lontana, se ce pensi bene la conosci e non la conosci, è un tipo apposto » si mordicchiò le labbra « in realtà forse manco te lo aspetti che me possa essere innamorato di uno così »

« E perché, scusa? Che c’hai scritto in testa stronzo che cammina ? Manuel, » Anita posò la bottiglia di nuovo sul bancone, sospirando. Affettuosa cinse il viso di suo figlio con le mani « a volte mi fai diventare pazza, neanche io ti capisco, ma non vuol dire che tu non sia meritevole di amore. Anzi, proprio perché ti senti così, devi riceverne. Tuo padre questo non lo hai mai capito, né con me, né con te. Ma noi siamo diversi, possiamo sembrare duri ma siamo persone di cuore »

« Boh, non c’ho mai capito niente di queste cose, so solo che ci sono tutti i segnali mà, sono innamorato, non me sbaglio proprio »

Anita gli scoccò un bacio sulla fronte, lo abbracciò leggero, mentre Manuel quatto quatto si riempiva l’altro bicchiere con un altro giro di spumante.

« E quando te sposi che porti a casa, l’intera distilleria della Moretti? » lo prese in giro, scombinando i suoi ricci sulla fronte.

« Madò già stai a parlà de matrimonio, che ansia mà, no » un segno di corna con le mani accompagnò la risata di Manuel, mentre assaporava la bevanda sul palato, ricordandosi poco dopo di aver dimenticato lo zaino in motorino. « Uhm, tornò subito, c’ho le cose mie di sotto » finì il contenuto del bicchiere e scese di corsa sotto.


Anita lo guardò divertita mentre usciva dalla porta. Si accorse del suo cellulare vibrare sul divano. Lo prese, aggrottò la fronte e visualizzò lo schermo. Manuel lo aveva dimenticato buttato lì sopra. Anita disegnò una smorfia con la bocca, ma ormai aveva già visualizzato l’anteprima dei messaggi.

Simone
10:40
Sto tornando a casa, augurami buona fortuna, spero di uscirne vivo.
In ogni caso, se non dovessi farcela, posso sempre andarmene col pensiero di stanotte. O stamattina, anche se non riesco a decidere tra i due.


Ma non sarà? Anita non ebbe il tempo di bloccare il display col tasto, che ne arrivò un altro subito dopo:

Simone
10:40
Già mi manchi, avvisami quando rientri
e non fare cazzate, per favore.


Simone.
Ma certo, era ovvio.
Anita sentì il rumore dei passi lungo le scale e con un gesto veloce spostò il telefono del figlio sul bancone, facendo finta di niente.
Pensò alla breve chiamata – ma delirante da morire - con Dante quella stessa mattina.
Una mano finì per coprirsi la bocca, poi aprendola in una risata nervosa.
Manco te lo aspetti che me possa essere innamorato di uno così.
Adesso tornava tutto: la chiacchierata che avevano avuto prima dell’incidente tempo addietro, Manuel che aveva dormito in ospedale e che si era rifiutato categoricamente di ritornare a casa, il periodo estivo in cui la aveva aiutata coi lavoretti e non stava affatto bene, le giornate passate in camera sua senza toccare cibo, le cene mancate, Manuel che ritornava da scuola sporco di sangue, Simone che lo aiutava coi compiti nelle ultime settimane.

Simone mi stà a fa diventà matto. Simone sta in Scozia. Mà lascia stare Simò, quello c’ha cose più importanti che pensà a me. Simone mi sta aiutando con latino, non torno per cena. Mà se non c’era Simone, finivo male.

Non ripeti o parli così spesso di una persona, senza un motivo, un significato.
Anita sorrise di colpo, ricostruendo pezzo per pezzo le vicende di quei mesi dove suo figlio si era più volte fermata ad abbracciarla, a starle accanto. Anita serrò gli occhi, ripensando alla solitudine del figlio in quel periodo.
Il motivo scatenante era stato il suo amico. Che adesso era un ex-amico ed era diventata la persona più importante per Manuel. Non si voleva confondersi ancora di più le idee e allora optò soltanto per il buon sentimento che si sentiva dentro, da madre, capendo che suo figlio non aveva potuto scegliere persona migliore.
Una volta che vide Manuel aprire la porta, con lo zaino che gli penzolava sulla spalla, non riuscì a trattenere un sorrisetto nervoso che però mascherò girando il volto.

« Vedi che hai lasciato il telefono qua, te l’ho messo lì » si limitò a dire, senza però smettere di pensare a ciò che aveva appena scoperto, ma forse in fondo, sempre sperato. Manuel annuì veloce, prendendolo al volo e scrollando col dito. A sua madre non sfuggì il sorriso illuminato che fece quando cominciò a digitare per rispondere.

« So’ contento abbiamo parlato, mà » disse, poi, riprendendo lo zaino e andando in camera.

« Sì, anche io! » urlò quando la porta si chiuse, ridacchiando leggera.




- - -





« Sei già ubriaco o provo a richiamare più tardi? »

Simone si affacciò al cellulare, mentre era seduto sulla scrivania, masticando il tappo di una penna. Manuel ridacchiò, alzando il braccio, che teneva soltanto un libro in mano: quello di latino.

« Negativo, me so scolato solo tre bicchieri, il resto può anche finirlo mia madre…ma comunque c'avevo voglia »


« A proposito, come l’ha presa?»

« Come l'ha presa Simò... è contenta, cioè non contenta che manco me so fatto sentire, è contenta per me »

Simone lo vide trattenere un sorriso, mentre si allungava a prendere la felpa buttata sul letto. Manuel se la mise addosso, il cellulare veniva posato momentaneamente sulla colonnetta del capezzale, le braccia entravano dalle maniche da sopra la testa cosicchè l'indumento veniva tirato sul suo busto, senza neanche tirare o aprire la zip.

« Il filosofo invece, com’è, non t'ha linciato, vero? » si toccò i capelli, ravvivandoli dietro.

« No, è stato... comprensivo, » Manuel percepì quasi un velo di orgoglio nella voce di Simone « non solo volati né piatti, né urla…gli ho detto tutto. Di Cristian, di te, di come mi sento. Sono più leggero, è una bella sensazione » abbassò lo sguardo, cambiando strumento, optando per un evidenziatore azzurro: il capitolo di letteratura non si sarebbe studiato da solo.
Ci fu un leggero silenzio e quando Simone alzò di nuovo gli occhi, notò che Manuel sventolava un paio di chiavi sotto il suo naso.

« Quando le hai prese quelle? »

« Quando eri troppo impegnato a piegarti e a cercare i vestiti prima di uscire stamattina » suonò malizioso Manuel. Simone roteò gli occhi, cercando di nascondere l'imbarazzo « Non che non mi piacesse la vista, anzi » enfatizzò « già me manca, ma non potevo farmi sfuggire l'opportunità di un posto tutto nostro »

Simone sentì subito crollargli l'evidenziatore dalla mano, avvertì subito un un rumore sordo come se gli fossero appena fischiate le orecchie. "Nostro". Sarebbe stato così dunque tra loro da quel momento in poi?

« Effettivamente ora che mio padre sa di noi due, non è molto furbo continuare a farti dormire sempre qua da me » ci ragionò su.

« Eh ma è per comodità, no? » gli fece il verso il più piccolo, l'altro gli fece un gesto eloquente « e poi che vor dì, ce posso sempre venire a casa tua, mica me sono trasformato in un “ninfomane depravato” »

« Ah sì? » lo sfidò il moro.

« Sì, perché che succede, basta che stamo attenti...»

Manuel usò quell'espressione tranquillona, come se la cosa o l'idea di essere scoperti da Dante non lo toccasse minimamente. Anzi, forse avrebbe pure usato la carta tagliente dell'ironia in quella situazione, conoscendone l'indole sarcastica e d'astuzia. Simone sospirò rincarando la dose.

« Bene allora da oggi si cambiano le regole, » Simone disegnò subito un cerchio in aria con le dita, poggiando lo strumento di studio per qualche secondo « questa è casa mia, » poi con l'indice raffigurò un omino dritto, fuori dalla figura geometrica « e questo sei tu »

Sul teppistello si disegnò subito un velo d'ingegno, come fulminato da un'idea brillante, geniale.

« E io me incateno sotto uno degli alberi che ti ritrovi in giardino, finché non mi fai entrare! » Manuel allargò le braccia, le incrociò al petto, imitando un martire.

Simone scosse la testa, ridendo appena. Ricadde leggera, mentre oscillava in basso. L'immagine del più piccolo che gli si formò era di lui vestito di tunica lunga, una corda attorno alla vita e le mani giunte mentre, in modo canonico, rivolgeva il capo di ricci al cielo. Era il ritratto di un santino a soli diciassette anni.

« Sì e poi ti metti a parlare agli animali come San Francesco »

« E ti pare, potrei pure farlo, per via della follia e della disperazione che me fai provare Simò » rispose prontamente.

« Lo strano caso del liceale che sussurrava agli uccelli…»

Elaborò subito quello che aveva appena detto, aspettandosi un contraccambio di battuta. Si morse d'istinto le labbra, capendo di aver spinto troppo sull'immaginazione. Era andata, Simone sapeva di essere diventato un caso perso oramai, neanche più utile per essere studiato da esperti del settore. Manuel si limitò a guardarlo enigmatico, mentre l'altro ragazzo tossicchiò fintamente per spezzare il commento.

« Non me fa diventà volgare, che già siamo messi male, » Manuel si mordicchiò un unghia portandosi un dito alla bocca « ad esempio, possiamo parlare benissimo di com’era bello quel panorama mentre ti rivestivi »

« Sei impossibile » sospirò stanco « se resti a dormire qua, dovremo solo dormire » sollevò le sopracciglia che disegnerano un arco e gli occhi risultavano decisi « o sforzarci di studiare comunque. Non mi sento a mio agio con mio padre che gira per casa... » si massaggiò le tempie.

« Vabbè allora vieni tu da me e usiamo la casetta quando non può nessuno dei due, » Manuel scrollò le spalle, baciando le chiavi di ferro « l'idea era questa »

« Magari la prossima volta ci portiamo qualche altra cosa dietro, qualche cuscino in più, una coperta... » si lamentò, stiracchiando la schiena contro la schienale della sedia girevole « ho dei leggeri dolori, non so se perché ho preso freddo o per quanto era scomodo quel letto »

« Sì mo' ora è colpa del letto se hai dolori, non me fa ridere » abbassò lo sguardo, studiandolo serio. Simone rispose con una smorfia, innocente.

« Guardalo come si atteggia, ci abbiamo dormito entrambi la sopra, mica ero da solo su quella brandina. Va bene è deciso tu a casa mia non ci dormi più » sentenziò facendo il finto offeso.

« Simò sveglio tutta Roma che manco er gallo de campagna alle cinque del mattino oltre a incatenarmi all'albero, non te conviene »

« Forse devo ricordarti che il "Simò non ti muovere che c’ho freddo, restiamo ancora che te frega” si è trasformato in un loop di un'altra ora, perché dicevi che avevo un buon odore? Uh? »

Manuel si morse il labbro inferiore, osservando il modo in cui Simone si portava lentamente le mani sotto il mento, e ci poggiava tutto il peso del viso. I suoi occhi risultavano sproporzionati rispetto agli altri elementi del volto. Sembrava un cerbiatto che guardava il cacciatore.

« E non solo quello, Simò »

Simone si imporporò leggermente, sperò non si notasse molto tramite lo schermo del telefono, anche perché si sentiva davvero stupido.
Il suo corpo rispondeva di conseguenza al suo cervello, se quello elaborava subito l'informazione, non riusciva a smistarla in modo superficiale, anzi, la canalizzava in modo che arrivasse dritta al petto, come un messaggio in bottiglia lungo le onde del mare o un oggetto che sprofondava in un andamento di ascensione. Proprio come un pacco lasciato dentro un ascensore, questo, scendeva o saliva, senza avere il tempo che qualcuno ne fermasse il movimento.

« Mi manchi anche tu » mormorò, guardandolo senza filtri. « Sai a che pensavo oggi appena sono ritornato? »

« A cosa? »

« A quando mi hai citato tutti i versi del Pigmalione » incurvò le labbra « sei davvero bravo Manuel, perché non mi fai leggere qualcosa qualche volta? » azzardò.

Manuel strizzò gli occhi, restando impalato, grattandosi la nuca con una mano, il braccio che formava un angolo acuto in alto.

« Non t'ho mai detto che scrivo » risuonò stranito, come se si fosse dimenticato un particolare.

« Non ce n'era bisogno, » Simone lo fermò col tono quotidiano, intriso di cura « so che ti piace la poesia, quindi ho collegato questo al fatto che ti piace leggere i classici. Ho solo fatto due più due »

Manuel annuì, il libro era ancora buttato aperto sul letto alla pagina della seconda guerra mondiale. Girò lo sguardo, giocando a fare un orecchione alla carta, proprio a fine pagina.

« Non lo so Simone, non sono granché eh »

« Lascialo decidere a me questo »

« Ma le leggeresti davvero? » suonò quasi incredulo, mentre la sua attenzione andava tutta verso quelle labbra carnose in video.

« Sì »

« Di solito le leggo solo, per conto mio, » sospirò, prendendo forza « sono pensieri scostanti a volte, manco dei veri versi. C'è un po' de casino esistenziale in mezzo » gesticolò con le mani.

« Se ti fa sentire più a tuo agio, puoi solo prestarmi, uhm, l'agenda dove le tieni, ma mi piacerebbe leggerle »

Simone non sapeva perché il discorso era passato dalla casetta, ai santi, per poi arrivare proprio lì. Ma l'idea di poter conoscere di più Manuel attraverso i suoi pensieri fisici su carta, lo intrigava. Forse c'erano punti che gli erano sfuggiti o gli sfuggivano ancora sulla sua figura. Forse voleva soltanto immaginarsi di leggerli con la sua voce nella testa a declamarli. Forse erano entrambe le cose, ma ci teneva a informarsi a quell'altro suo pezzo della sua anima.

« Va bene » Manuel annuì, facendosi leggermente silente « ma ti avviso che alcune sò criptiche, alcune risalgono ai primi giorni di scuola, altre ai mesi estivi...ce sta un po' de tutto »

« Sono pronto a leggere tutto »

« Forse però la prossima volta ti porto il taccuino con tutto il plico, uhm, non c'è bisogno che le leggi tutte da solo, » Manuel si sforzò di non suonare troppo impanicato « non me piace vantarmene, però qualcuna caruccia c'è »

« Va bene, come vuoi » concluse sorridendo.

Quello ritornò al suo libro, sottolineando qualcosa. Il silenzio calò subito, mentre Manuel sbirciava la sua concentrazione, la mascella che si serrava, il volto tutto indurito, i ciuffi che spuntavano costruiti sulla testa, la felpa che spuntava fuori ricadeva sul petto, e si stringeva sulle spalle. Fino a poche ore fa era riuscito a sfilargliela e stavano sotto un cielo di legno, ma che non gli era sembrato mai tanto bello. Avrebbe tanto voluto dirglielo, ma pensò fosse troppo presto. Che tempistiche esatte c'erano per dire determinate cose? Eppure era lì, che lo aveva chiamato per assicurarsi che andasse tutto bene. Era ovvio stesse bene.
Era lì che gli aveva chiesto se poteva frugare tra i suoi pensieri. E lui aveva risposto di sì. Lo sapeva, sapeva nella sua testa di dover fare quel passo, però vedendo Simone così preso da ciò che stava facendo, ci ripensò e tornò indietro. Gli piaceva conservare la sua immagine così, senza sconvolgerla, serena, al sicuro, senza troppi grattacapi o grilli per la testa.

Un giorno te lo dirò, te lo dirò Simone.





Clo'sCapitolo artistico, in tutto e per tutto.
Ho voluto fondere un po' il mio amore tra le varie cose.
Anche molto genitori\figli centrico (necessario), ma anche una bella visione poetica per il teppistello bi che è ovvio nella mia testa tenga un raccoglitore o zibaldone di pensieri (ce lo vedo molto).
L'idea della casetta era troppo bella per lasciarla alla deriva, sarà il loro personale nido d'amore ( inserire oh sospiranti - qui -)
Grazie ancora per i numeri che state regalando a questa serie di os,  non vi lascio perchè vi voglio bene, ok?
   
 
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