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Autore: erydia    28/01/2022    0 recensioni
“Avete mai vissuto una guerra dalla parte dei cattivi?
Avete mai bramato il potere così tanto da condannare voi stessi per l’eternità?
Noi lo abbiamo fatto”
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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I Malandrini si erano sempre chiesti, da quando avevano ideato la mappa del malandrino, cosa Silente facesse – ogni giorno – nel suo ufficio. Vedevano la sagoma del preside fare su e giù per la stanza. Ora fermo, ora camminava, poi di nuovo fermo. Non avrebbero mai capito che quello era semplicemente il modo (del più grande mago al Mondo) di tenere d’occhio la sua scuola. Era risaputo da tutti che Hogwarts nascondesse così tanti segreti che nessuno studente (malandrini compresi) sarebbe stato in grado di riuscire nell’impresa di scoprirli tutti. Uno di questi segreti era la stanza delle Necessità. La stanza delle Necessità era una stanza magica che poteva essere scoperta solo da chi ne aveva davvero bisogno. Una Stanza dove si poteva trovare tutto ciò di cui necessitava. Si trovava al settimo piano, di fronte all’arazzo di “Barnaba il babbeo bastonato dai Troll”. Per farla apparire bisognava passarci per tre volte davanti pensando alla “necessità” molto intensamente. Era protetta da molte magie tra cui quella che la rendeva impossibile da disegnare. Infatti non compariva sulla mappa. 
Nonostante tutti gli sforzi per cercare di rendere Hogwarts un luogo sicuro, Silente sapeva bene che il male era insidiato – anche – tra le mura di quella scuola. Sapeva bene che, nonostante provasse in tutti i modi di far passare un messaggio di pace e di tranquillità, molti dei suoi studenti erano inquieti. Fu per questo motivo che quando quattro dei suoi studenti attraversarono il portale dentro l’armadio svanitore, posto nella stanza delle necessità per uscire fuori dal castello, che lui organizzò d’urgenza una riunione dell’Ordine. E così – dopo neanche un’ora dall’invio del segnale – tutti i membri dell’Ordine della Fenice non in missione erano riuniti nello studio di Albus Silente.
C’era la professoressa McGrannitt, Dorea Potter, Arthur Weasley, Kingsley Shakelbolt, Alastor Moody e Emmeline Vance.
“Miei cari. Amici miei, mi rincresce comunicare che i nostri più cupi sospetti si sono infine rivelati veri…” Albus prese la parola, sentendosi lo sguardo dei suoi alleati puntato negli occhi. Conosceva bene il parere di ognuno di loro sugli studenti di Hogwarts “…conosco bene il pensiero di ognuno di voi sugli studenti di Hogwarts. So bene che avete tenuto d’occhio molti studenti della mia scuola, ma che il pensiero generale è quello di arruolarli dopo i MAGO ma…”
“Ma?” fu Dorea Potter a parlare. Tutti in quella stanza notarono quanto fosse cambiata la donna dopo il ricovero di suo marito al San Mungo. Era dimagrita, gli occhi scavati e l’aria di chi sapeva che il dolore – quello invalidante – sarebbe arrivato di lì a poco. Lei era la mamma di tutti. Cercava di difendere chiunque, indipendentemente dal sangue, lei era protettiva verso tutti gli essere umani.
“Albus … sono solo dei ragazzi, non possiamo chiedergli questo!” intervenne Minerva. Non aveva bisogno di sentire il discorso del preside perché conosceva benissimo le sue intenzioni.
“Con tutto il rispetto Albus, passerebbero più tempo a formarsi che a combattere.” Azzardò Alastor Moody. Lui, insieme ad Harold (Harry) Potter era uno degli Auror più temibili del mondo magico. Fiutava un Mangiamorte dalla cima di una montagna e – come tutti non perdevano tempo di puntualizzare – non aveva problemi ad utilizzare una maledizione senza perdono durante un interrogatorio.
“Questa sera, quattro studenti della casata Serpeverde hanno utilizzato il passaggio dentro l’armadio svanitore per uscire dai cancelli di Hogwarts!” sospirò Silente lasciandosi sedere e passandosi una mano sugli occhi.
“Hogwarts è impenetrabile. Nessuno entra ed esce dai cancelli di Hogwarts”
“Sai benissimo Dorea che non è vero. Tuo figlio James conosce così tanti passaggi segreti. Alcuni dei quali sconosciuti a molti di voi!”.
“Non vorrai arruolarli Albus, sono solo dei ragazzi!” urlò Dorea mentre le mani le prudevano di rabbia. Avrebbe volentieri preso a pugni qualcosa. Al diavolo della compostezza che doveva avere una donna della sua età. Non avrebbe mai permesso che dei ragazzi perdessero la vita. Mai!
“Con tutto il rispetto signora Potter, io ho solo due anni in più a suo figlio!” azzardò Emmeline Vance, cercando – in qualche modo – di placare la donna che aveva di fronte.
“Dorea, non potremmo tenerli a lungo lontano dalla battaglia. E qualche mano in più potrebbe farci comodo” s’intromise Malocchio.
“E allora Alastor, dovremmo dire loro per cosa realmente combattono!”
“In che senso Dorea?”
“Che significa Signora Potter?”
“Tu non sai quello che dici donna!”
Un boato di voci si innalzò nell’ufficio di Silente. Fanny scattò in piedi cercando di adattarsi a quel nuovo cambio d’umore dei suoi ospiti. Fu Silente a mettere fine a quella discussione, prendendo la parola. “SILENZIO” sentenziò alzandosi in piedi, e fissando Dorea che lo sfidava con lo sguardo. “Litigare tra di noi, non ci porterà da nessuna parte!”
“Neanche mentirci…” ringhiò la coniuge Potter. Era chiaro che il suo scopo non era altro che distogliere l’attenzione facendola passare dai ragazzi ad altro. Peccato che avesse scelto un argomento poco consono a quella riunione.
“Cosa significa per cosa realmente combattiamo?” Arthur Weasley era un giovane ragazzo, da poco maritato, che lavorava al Ministero della Magia. Come ogni Weasley prima di lui era stato un degno Grifondoro e un abile alleato. In quel momento – pensò Silente – con una moglie a casa che lo aspettava, era già con un piede fuori la porta. Se l’Ordine perdeva seguaci, la Resistenza avrebbe perso seguaci.
“Dorea hai fatto un gran boato!” sbuffò Alastor mentre si sistemava meglio sulla sedia. Il vecchio Auror cercava di rimediare agli errori della sua cara amica. Ma la verità era che non potevano più tenere nascosto tutta la verità.
“Dovremmo poterci fidare l’un l’altro in questo Ordine”
“Ha ragione Signorina Vance!” sentenziò Silente “Non possiamo più rimandare questo discorso. Vi chiederei però di non divulgarlo in giro. Non ancora. C’è un motivo per cui lo abbiamo tenuto segreto fino ad ora.” Ai presenti, Silente parve tutto d’un tratto invecchiato di dieci anni. Era come se quel segreto che custodivano così minuziosamente non dovesse essere rivelato. Era come se divulgandolo, li avrebbe condotti alla fine.
“Tutto iniziò con l’assenza e il desiderio…” sussurrò Minerva che fino a quel momento era stata in silenzio.
“Tutto iniziò con il sangue e la paura!” continuò Dorea.
“Quando la magia era immensa e infinita come la notte. Quando la magia primordiale non aveva bisogno di bacchette magiche o di pozioni. Quando le specie vivevano in pace gli uni con gli altri.”
E così, per la prima volta – in quella stanza – Silente parlò ai presenti dell’Ordine di Aurelius e della Resistenza. Parlò loro del diadema di Corvonero e delle gemme disperse in ogni angolo remoto del mondo. Parlò dei viaggi che i membri dell’Ordine – a conoscenza della Resistenza – dovevano affrontare per recuperare le gemme preziose.
“Per la barba di Merlino…” mormorò Arthur Weasley con la mascella tesa e fissata al pavimento.
“Quante gemme sono?” chiese Emmeline Vance.
“Sul diadema di Corvonero c’erano dodici gemme preziose. Siamo più che certi che l’Ordine ne abbia cinque in suo possesso e noi altre cinque.” Rispose Kingsley. “Ma ad entrambi, manca la gemma più preziosa tra tutte. Il Rubino!”
“Per fortuna l’unica a conoscerne l’ubicazione è Helena Corvonero, ma si rifiuta di collaborare fino a quando non troverà qualcuno degno di trovarlo.!” Concluse Silente.
“Cosa succederà quando tutte e dodici le gemme si riuniranno?” chiese Arthur.
“Il diadema di Corvonero aveva una tale forza da riuscire a contenerle separatamente, adesso che il Diadema è andato perduto, immagino che quelle gemme si uniranno in qualcosa di spaventoso!” mormorò Emmeline Vance.
“Ecco signorina Vance … “aggiunse Silente “Senza il Diadema, quelle gemme si uniranno in quello che erano un tempo. Ovvero una sfera.”
“La sfera dei quattro spiriti!” concluse Dorea per lui. “E grazie a questa sfera, il Maestro tornerà in vita!”
Nessuno osò proferire parola in quel momento. Fu Minerva a spezzare quel silenzio sceso improvvisamente nella stanza.
“Adesso cosa faremo, Albus? Se Voldemort ha marchiato alcuni studenti, avrà sicuramente chiesto loro di commettere qualche atrocità all’interno delle mura del castello. E noi non possiamo ospitare l’Ordine ad Hogwarts. Daremmo troppo nell’occhio!”
Minerva aveva ragione, ospitare membri dell’Ordine della Fenice – che erano anche Auror – avrebbe attirato troppo l’attenzione e avrebbero potuto utilizzare la loro permanenza come un’incapacità da parte di Silente di dirigere Hogwarts.
“Non preoccuparti Minerva, gli studenti di Hogwarts sono al sicuro. E terremo i Serpeverde sotto stretta sorveglianza. Se qualcuno è stato marchiato, non potrà obbedire agli ordini dell’Oscuro. Non qui. Non finché ci saremo noi.”
E Silente ci credeva, ci credeva davvero.
 
 
"Ehi fratello!" Sirius lo distolse dai suoi pensieri, pensieri che ultimamente lo portavano sempre e solo a pensare ad una rossa dagli occhi verdi. “Guarda un po' chi sta venendo nella nostra direzione!”
James guardò lì dove Felpato gli aveva indicato con un cenno del capo e trovò l’oggetto del suo desiderio. In quel momento James – che aveva bisogno di una distrazione – scattò in piedi insieme a Sirius con lo stesso ghigno fraterno che li accomunava.
“Non lo so James, c’è Lily” azzardò Remus senza alzare la testa dal libro di Pozioni con cui stava cercando di spiegare la lezione svolta del pomeriggio al povero Peter che non ci stava capendo niente.
James fece vagare lo sguardo in giro, trovandola poi vicino alla riva intenta a ridere con le sue amiche. A quella visione, a James si strinse il cuore. Lei non aveva mai riso così con lui, non era mai stata spensierata con lui. E dopo la cazzata del bacio nell’aula di pozioni, ne era certo, non avrebbe neanche potuto sperare di vederla ridere con lui. Solo con lui. Si risvegliò da quei pensieri mentre un moto di rabbia gli saliva nel petto. Mocciosus aveva potuto bearsi di quel sorriso per cinque lunghi anni e a lui niente. Questa cosa lo imbestialiva parecchio.
“Non ci riesco Lunastorta, quando lo vedo io … sento il bisogno di torturarlo!”.  E così con Sirius al seguito si incamminò in direzione del Serpeverde.
"Mocciosus!" disse veloce raggiungendolo.
Severus accelerò il passo, aveva ben altro a cui pensare che stare ad ascoltare quel pallone gonfiato di un James Potter. Arrivò agli scalini d’ingresso e nel momento in cui stava per mettere un piede sul primo scalino un incantesimo non verbale lo fece inciampare.
“Ehi Mocciosus, prima o poi dovrai imparare a salirle quelle scale!” esordì Sirius ridendo, mentre lì attorno si era già formato un gruppetto di curiosi. Dove c’era James Potter c’era il suo fanclub e dove c’erano i Malandrini e Severus Piton c’era sempre qualche rissa divertente a discapito del povero serpeverde.
Ogni volta che Piton cercava di rialzarsi, James – con un incantesimo non verbale – lo faceva traboccare e ricadere per terra. “Levicorpus!” sussurrò James spavaldo “Chi vuole vedere come tolto le mutande a Mocciosus?” esclamò fiero Sirius.
“Potter, te ne farò pentire!” ringhiò poi Piton, fulminandolo con i suoi occhi color pece.
Dall’altra parte del cortile, Lily che aveva visto tutto, cercò di raggiungere il punto dove c’erano quei due stupidi il prima possibile. Da prefetto non tollerava quelle buffonate di Potter. Un tempo avrebbe difeso Severus perché suo amico, ma con lui non si parlava più e quindi in quel momento era puramente un dovere da Prefetto. Anche se Piton – dopo quella frase – meritava davvero di essere smutandato in bella vista.
“Potter” gridò la rossa furiosa piazzandosi davanti a Severus. Fu un attimo – sospeso nel tempo – lei si piazzò davanti a James mentre lui gridava “Evanesco!”.
Silenzio!
Nessuno osava parlare. James Potter aveva appena fatto scomparire la gonna della divisa di Lily Evans. Fu un attimo – che parve infinito – Lily guardò quello che il moro aveva appena fatto e avrebbe voluto ammazzarlo, a mani nude. “Potter!! COSA HAI FATTO???!” Esclamò imbestialita, con gli occhi fiammeggianti e le gote rosse di rabbia. Si avvicinò pericolosamente al ragazzo mentre intorno a loro s’innalzò un boato di voci. C’era chi scommetteva venti galeoni su quale schiantesimo avrebbe usato la ragazza per eliminarlo. Con un gesto esperto puntò la bacchetta alla gola del moro cercando di pensare a quale incantesimo poteva utilizzare per liberarsi una volta e per tutte di quel pallone gonfiato. Andava bene tutto in quel momento, anche la galera!
“Evans non puoi farlo … è illegale!” bisbigliò Sirius mentre si nascondeva dietro la schiena di un Remus che – notando gli amici in difficoltà – si era avvicinato al gruppetto di persone. Sirius sapeva…oh lui lo sapeva che il prossimo sarebbe stato lui.
“Cosa sta succedendo qui? Potter, Evans vi aspetto oggi pomeriggio per una bella punizione!” intervenne la McGrannitt facendo ricomparire – fortunatamente – la gonna della rossa.
"Avanti Evans… non fare quella faccia!!" sbottò James
"E che faccia dovrei fare, Potter, sentiamo?" le chiese allora mentre si bloccava d’improvviso. "Per quale motivo mi odi fino a questo punto?" continuò poi passandosi una mano sul viso come a cancellare la stanchezza che quell'episodio le aveva procurato.
"Io non ti odio Evans" sbottò James sorridendo "e solo che…irritarti è così…divertente!" concluse poi dopo un attimo di imbarazzo.
Quella domanda gli aveva provocato un inspiegabile stretta allo stomaco che era difficile da interpretare, soprattutto se si parlava di James Potter.
"E’ divertente?" sussurrò piano Lily mentre sentiva la rabbia salirle e dipingerle il volto.
"E’ divertente…" ripeté poi come a convincersene mentre vedeva dinanzi a se il ragazzo inarcare il sopracciglio non riuscendo bene a capire ciò che le succedeva.
"Sai cos’altro è divertente, James?" le chiese sarcastica Lily "Il modo in cui ti schianterò la prossima volta che oserai anche solo avvicinarti a me!" esclamò prima di iniziare a correre verso i suoi dormitori, mentre una strana sensazione si faceva largo dentro di sé.
“Ehi Evans...belle gambe comunque!” sorrise il moro passandosi una mano tra i capelli. Improvvisamente quella giornata si stava rivelando più interessante del previsto.


 
In punizione! Non poteva crederci, in sei anni di scuola mai e poi mai le era capitato di finire in punizione. Certo non era una santa e su quello poteva dar ragione alla maggiore parte della popolazione di Hogwarts. Le sue litigate con quel pallone gonfiato di Potter erano a tratti assurde e a tratti spaventose, quindi forse ci sarebbe dovut finire molto tempo fa in punizione. Il problema era che, tutti – professori inclusi – sapevano quanto Potter potesse irritarla e quanto lei non riuscisse a tenere a freno la lingua e – spesso – la bacchetta. Volavano schiantesimi come niente fosse, ma in sua difesa metteva su un sorriso innocente e diceva le cose come stavano: era lui che iniziava quelle discussioni, era lui che la provocava e lei – da valorosa grifondoro – gli teneva testa. Quella volta però le cose erano andate diversamente da come, invece, erano filate lisce per sei lunghi anni.
Si stava avviando verso la Sala Grande dove ad aspettarla non c’era solo la sua punizione ma anche lui: James-facciomacellimasonsemprebello-Potter. Se poteva affrontare una punizione della McGrannitt, non poteva di certo affrontare un’altra serata con lui e magari ripetere la scena dei sotterranei. A quei pensieri il suo cuore perse un battito. Si portò le mani sugli occhi stropicciandoseli: era così stanca, ma di quella stanchezza che divorava le carni, gli organi e l’anima. Per svariati secondi delle sue giornate, molte volte, invocava la pace eterna…perché infondo avrebbe dato pace a tutti. Poi però si ricordava di Marlene e dell’unico vero sentimento che aleggiava nel suo cuore: l’amicizia. E poi si ricordava di Potter e da egoista quale stava diventando, non voleva togliersi la vita perché non voleva vivere un’eternità senza di lui. Alcune volte aveva avuto il forte desiderio di prendere James con sé, fare con lui tutto, ogni cosa per conto loro. Senza avere bisogno di niente o di nessuno. Molte volte si era chiesta tra sé e sé cosa James pensasse di tutta quella elettricità che c’era nell’aria ogni volta che si trovavano contemporaneamente nello stesso posto. Lui sarebbe mai rimasto con lei dimenticando il resto del mondo?
Erano questi i pensieri che la tormentavano e a cui non riusciva a dare una risposta. Non sapeva bene come dire, non sapeva bene come si sentisse. Per quanto il suo cuore le sussurrasse quelle due parole, per lei non erano neanche abbastanza da dire. Avrebbe solo voluto stendersi in un luogo nascosto da tutti e farlo stendere con lei, per dimenticare insieme il resto del mondo.
Alla fine si era sfogata con Marlene, perché la verità era che aveva bisogno della sua grazia per ricordarsi di trovare la propria.
Se mi stendessi qui
Se mi stendessi semplicemente qui
Ti stenderesti con me e ti dimenticheresti del mondo?
 
Tutto ciò che era, tutto ciò che sarebbe stata mai, tutte quelle erano cose che voleva vedere nei suoi occhi perfetti, perché i suoi occhi erano l’unica cosa che lei riuscisse a vedere. Lei e James sarebbero sempre stati lei e James, una sola cosa. Loro – era come – se condividessero lo stesso cuore. Non sapeva dove, era confusa anche sul come, sapeva solo che quelle cose non sarebbero mai cambiate.
Ultimamente cercava di restare da sola il meno possibile, perché quando restava da sola con i suoi pensieri sentiva un fuoco che iniziava a bruciare nel suo cuore – raggiungere un livello febbrile portandola fuori da ogni controllo. Erano quelli i momenti in cui poteva vedere i suoi sentimenti per lui in modo nitido. Il suo cuore continuava a tradire la sua mente e quest’ultima continuava a lasciare il suo cuore alla deriva, ormai era una lotta interna in cui – non sottovalutando comunque il suo cuore – la sua mente se ne andava vittoriosa con pezzi di quel cuore ormai in frantumi. In quel momento – da sola, lì con i suoi pensieri – sentiva quel fuoco bruciare dentro il suo cuore. Stava raggiungendo un livello febbrile e allo stesso tempo la stava portando fuori dal buio. Il suo cuore portava le cicatrici del loro amore, e ogni volta che pulsavano, si ricordava di loro. Le facevano pensare che avevano avuto quasi tutto. La lasciavano senza respiro e disperata perché non poteva salvare i loro sentimenti. Forse era vero, potevano avere tutto. Ruzzolando insieme fino in fondo, ma almeno avrebbe avuto il suo cuore e la sua anima. Ma si era giocata tutto, prendendo le decisioni sbagliate.
“Non hai una storia da raccontare, ma forse ne sentirai una su di lui, Lils!”
E quel pensiero le fece ardere la testa. Pensando a lui nel profondo della sua disperazione, pensò che avevano avuto quasi tutto, che potevano avere tutto ma alla fine non avevano nulla.
“Non è l’amore che fa soffrire, ma la sua assenza.”
I loro cuori, li avevano lacerati e incatenati invano, come se avessero saltato a lungo senza mai chiedersi il perché. Nei sotterranei, si erano baciati, era caduta sotto il suo incantesimo. Quello era un amore che nessuno poteva negare, che allo stesso tempo nessuno avrebbe mai visto. Lo voleva con sé e lo voleva lontano – ma la verità era che Lily lo avrebbe sempre voluto – non poteva più vivere una bugia, fuggendo dalla sua vita.
“Tu lo vorrai sempre!"
Sentì il suo cuore battere forte, non aveva mai colpito così forte per amore. Tutto quello che voleva in quel momento era distruggere i muri di quella sala grande e fuggire via, ma più fuggiva e più finiva per distruggere sé stessa.
“Si, ti sei distrutta!”
Da quel giorno nei sotterranei, la situazione per entrambi era cambiata. James l’aveva lasciata lì a bruciare da sola con sé stessa e in quel momento si ritrovata ad essere cenere sul terreno. Non aveva mai avuto realmente intenzione di iniziare quella guerra, la verità era che voleva solamente che lui la lasciasse uscire dalla sua vita – anche con la forza se necessario. Voleva distruggere quel sentimento, ma aveva finito per distruggere sé stessa.
 
 
"C’erano stati giorni, in cui si erano voltati indietro malinconici, stanchi di sentire il rumore delle loro stesse lacrime. Nervosi perché i loro anni migliori se ne stavano andando lasciandoli vuoti, terrorizzati senza potersi specchiare l’uno negli occhi dell’altra. E alla fine, cadevano a pezzi, indifesi e arrabbiati. Il loro cuori, si erano disintegrati senza che loro potessero fare niente."
 
“Basta Lily!"
Gridò la sua coscienza ad alta voce, ma lei non riusciva a sentire una parola di quello che le diceva. Stava parlando ad alta voce, senza dire granché.
“Nonostante tu sia criticata, tutti quei colpi rimbalzano su di te”
Ma l’avevano anche abbattuta.
“Si ma tu ti rialzi sempre, Lils!”
 
Che James Potter fosse in punizione, beh quella non era esattamente una novità; lui era più o meno un veterano della punizione, qualsiasi cosa facesse o dicesse tanto che aveva iniziato a credere che i professori provassero una perversa gioia nella sua presenza. Oh beh, che la McGranitt fosse divertita da lui era qualcosa che James sapeva con sicurezza e che non mancava mai di ricordare alla responsabile della sua Casata ma che anche gli altri professori adorassero passare i pomeriggi con lui... Beh quella era stata una per così dire piacevole, sorpresa dell’ultimo anno. Fatto sta che, per lo meno quel giorno, c'era una piacevole quanto insospettabile variazione nel tema: non era infatti con Sirius, veterano quasi quanto lui se non di più, della punizione che James avrebbe trascorso quel pomeriggio quanto con una persona con cui, a dirla tutta, avrebbe avuto infinitamente piacere di trascorrere molti più pomeriggi, impiegato però, in tutt'altre faccende.
Lillian -perché era colpa sua se si trovava lì e quindi non era la sua Lily- Evans.
Esatto, lunghi capelli rossi, occhi azzurri e il volto più dolce che James avesse mai visto. Oltre alla capacità innata di metterlo nei guai. O meglio, quello era il modo in cui la vedeva in quel giorno visto che nei guai, generalmente, era capacissimo di infilarcisi da solo. Per lo meno, comunque, il motivo per cui si trovavano lì aveva fatto ridere tutti.
 
 
"Belle gambe, la Evans" commentò svogliatamente Peter, una volta che la McGranitt ebbe lasciato andare entrambe, Lily correndo via dalle sue amiche, probabilmente, e James con il passo tranquillo e cadenzato verso i suoi amici. James scoppiò appena a ridere. "Stai parlando della mia futura moglie, Codaliscia."
"Ma lei almeno lo sa?" Remus, sempre troppo pragmatico, sempre troppo reale.
"Lo saprà." Rispose James, facendo un occhiolino rivolto al vuoto mentre Sirius gli tirava una pacca sulla spalla, raggiungendolo e fingendo di sussurrargli un segreto con un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire anche dagli altri due. "A qualcuno piace violento." James scoppiò a ridere eppure quella notte si trovò davvero a pensare come sarebbe stato, stringerla a sé, poterla chiamare Lily Potter.

 
 
Perlomeno c'era qualcuno che rideva ancora, mentre lui lasciava la sala comune e la sua poltrona di fronte al caminetto. Faceva troppo freddo per gli allentamenti e a metà aveva iniziato a piovere talmente tanto che era stato costretto, suo malgrado a sospenderli per la gioia di Sirius che lo aveva accompagnato come al solito. Ovviamente, alla McGranitt quello non era passato inosservato e non appena aveva posato i piedi sul fango gli aveva strillato dietro che visto che aveva terminato prima gli allenamenti -in realtà non gli avrebbe mai impedito di allenarsi vista l'imminente partita contro i Serpeverde, e James sapeva troppo bene che la professoressa di Trasfigurazione avrebbe riso nel sbattere in faccia al professor Lumacone il trofeo del Quidditch anche quell'anno - avrebbe dovuto raggiungere la Sala Grande dopo essersi cambiato. James l'aveva tirata un po' per le lunghe, aspettando almeno che i suoi capelli si asciugassero e quello era il motivo per cui, più spettinato del solito, si recava verso la Sala Grande con l'aria di chi avrebbe preferito spalare sterco di drago per tutta la giornata che non stare ancora chiuso in una stanza con Lily.
Fu quella l'espressione che aveva dipinta sul volto quando varcò la soglia salutando la Evans con un: “Vedo che hai ritrovato la gonna, e la dignità”. Arrabbiato perché non voleva essere lì eppure non per questo immune a quello strano magnetismo che lei esercitava sempre su di lui.
 
Lily sospirò stancamente passandosi una mano sul volto quando lo sentì entrare in modo molto rumoroso. Tirò un sospiro prendendosi un attimo prima di voltarsi, non era pronta a rivivere un’altra intensa serata con lui. Sentiva le scintille attorno a loro esplodere mentre cercava di mantenere il controllo del suo corpo. Poteva farcela, era a prova di colpi, non aveva nulla da perdere. Era come evitare il fuoco. Si, era come evitare il fuoco. La sua presenza la stava abbattendo ma lei non sarebbe mai caduta perché in quel momento si sentiva invincibile, si sentiva fatta di titanio.
In quell’istante sfidò James con lo sguardo. Stroncami pure! Pensava, ma era lui che aveva altro per cui cadere. In quel momento quel luogo sembrava una città fantasma tormentata da un grande amore. Quelle parole rompevano le sue ossa più di bastoni e pietre, avrebbe voluto alzare la voce ma onestamente non aveva granché da dire. “Sei tu quello che ha perso la dignità, Potter!” sbottò acidamente, deglutendo e sfidandolo con lo sguardo. Era a prova di colpi, perché non aveva nulla da perdere. Stava evitando James come evitava il fuoco vivo. I suoi occhi freddi potevano abbattere il suo cuore ma il suo corpo non sarebbe caduto, quello era fatto di titanio. Lei era fatta di Titanio.
“E tranquillo, Potter. L’odio è reciproco!”
Lui la stava abbattendo ma lei non sarebbe caduta, anche se per non farlo avrebbe messo a tacere per sempre il suo cuore.
 
James sorrise appena, guardandola, con un sorriso che sulle sue labbra sarebbe apparso tutto fuorché sincero. Era arrabbiato, la considerava responsabile della sua presenza in quella stanza ma, soprattutto, non poteva tollerare che lo avesse fatto per Mocciosus, non sopportava il fatto che loro non riuscissero ad avere il rapporto che lei aveva con Piton, quel rapporto che la portava a perdonarlo, a difenderlo nonostante tutto quello che lui potesse dire. Non si sarebbe mai permesso, James, di chiamarla a quel modo, non avrebbe mai neppure immaginato di poterle rivolgere quell'insulto ma, indipendentemente da questo, lei gli scappava, come l'acqua che scivolava tra le dita senza che lui potesse afferrarla. Era frustrante e lui era arrabbiato.
Dubitava davvero che quel giorno avrebbe potuto dirle qualcosa di gentile, dubitava che sarebbe riuscito ad essere gentile con lei per quel decennio ma odiarla?! Non poteva neppure pensare che lui la odiasse.
Poteva davvero farle quella promessa, poteva davvero dirle, come avrebbe voluto, la verità? Lei lo avrebbe accettato? No, quella era la verità e quello era il motivo per cui cercava di odiarla, quello era il motivo per cui sperava che, prima o poi, guardarla non avrebbe causato nella sua mente tutto quel turbamento che cercava di nascondere perché lui era James Potter e lui non perdeva la testa per le ragazze! Perché lui era James Potter ed era peggio di come Lily Evans lo dipingesse, perché lui era arrogante, egoista e pieno di sé e quello era il James Potter che, quel giorno, voleva essere. Ma non ci riusciva.
Quando la vide, però, non riuscì a pensare ad altro che non fosse a tutto quello che era accaduto nei sotterranei. Il suo corpo contro quello di Lily, il battere del suo cuore contro la sua pelle e il modo in cui le loro labbra si erano incastrate, alla perfezione, il modo in cui si erano baciati e quel fuoco puro che scorreva sotto la sua pelle. La morbidezza dei suoi capelli tra le sue dita. La amava, se quello era Amore, la amava e ne voleva sempre di più! Scosse la testa. No, era peggio di così! Lui era la persona che gli altri si aspettavano che lui fosse e non poteva smetterla di esserlo in quel momento. Non quel giorno.
James la guardò, scuotendo appena la testa non appena quella frase raggiunse le sue orecchie. Credeva davvero che quello fosse odio? Lui odiava Moccioisus perché cercava di allontanarli ma come poteva odiare LEI?! Lei che tra tutte era l'unica in grado di lasciarlo ancora sorpreso come un bambino come in quel momento, l'esatto istante in cui lei così candidamente ed odiosamente lo accusava di un gesto tanto terribile? “Non ci arrivi proprio Evans, eh?” Le chiese. “E pensare che ero convinto che tu e Remus foste amici.” Si strinse appena tra le spalle scoppiando appena in una risata che gli fece chinare la testa all'indietro senza ritegno.
 
Da un po' di tempo a quella parte, aveva sempre l’impressione di restare al punto di partenza. Nonostante lei chiudesse la porta per lasciare i suoi sentimenti per James fuori dal suo cuore ma ogni cosa – tutto – inevitabilmente la riconduceva a lui. Alla fine aveva capito che lui era, in realtà, la ragione per cui Lily viveva.
“E questo è o non è amore?”
Aveva provato a cercare un suo equilibrio. Sapeva che se non lo avesse fatto, l’enormità di quei sentimenti l’avrebbero travolta. Ma la verità era che quell’equilibrio svaniva ogni volta che lei si trovava di fronte a lui. Annuiva. Ascoltava. Rispondeva e si fingeva felice di una vita che non era per niente come la voleva. E così facendo si ritrovava – sempre – con l’anima a fettucce, lasciando che la nostalgia la inondasse per poi placarsi da sola.
In quel momento, con lui di fronte, sperava che il domani arrivasse in fretta – per farla allontanare da lui e per far svanire ogni pensiero che nella sua testa stava prendendo forma, come se stesse avendo un senso. Stare lontani era la loro sola ed unica possibilità di redenzione, perché dovevano solo lasciare che lo scorrere del tempo rendesse tutto un po' più chiaro, perché la loro storia – infondo – non era nient’altro che un eterno attimo tra loro due. Ma tutti gli attimi, seppur eterni, avevano una fine. Eppure la provvidenza, il fato, il destino, il buon vecchio Merlino, non gli davano tregue facendoli incontrare sempre – costantemente – in situazioni assurde. Situazioni che sarebbero sfociate in altre situazioni che non avrebbero fatto altro che alimentare quell’esplosione che sarebbe stata la loro storia. Un BOOM e poi il nulla.
Non lo avrebbe ammesso mai, neanche sotto tortura – neanche a sé stessa – ma il tempo che passava con James Potter, andava a cambiare una piccola parte di sé stessa per sempre. Vedeva i suoi occhi privi di quella scintilla che lo caratterizzavano. Quegli occhi ormai – forse per una sua strana impressione o forse perché in quegli anni aveva imparato a conoscerlo – le sembravano spenti, stanchi di tutto e lei avrebbe voluto dire qualcosa ma in realtà non sapeva neanche cosa dire. Si guardavano e riuscivano a trovare solo motivi per litigare. Erano troppo distanti, distanti tra loro, eppure sentiva sue le paure che il suo corpo emanava. Avrebbe voluto
Stringerlo forte e dirgli che avrebbero superato tutto ma, infondo, le sue erano solo inutili parole.
Alla sua risposta fu un attimo, neanche il tempo di sospenderlo nel tempo, Lily lo prese per il colletto della camicia e con tutta la forza che si ritrovava in corpo (aiutata anche da quella scarica di adrenalina che le pervase il corpo) lo sbattette contro il muro. I suoi capelli danzavano davanti agli occhi e potevano apparire lunghi serpenti fiammeggianti, di quella stessa fiamma che ardeva nei suoi occhi. Quegli stessi occhi che si specchiavano in quelli di James.
“Illuminami allora.”
Ringhiò vicina, troppo vicina al corpo del ragazzo. Poteva sentire il calore che emanava e le sue gote arrossarsi di colpo, ma non avrebbe neanche mosso un passo. L’orgoglio e la determinazione, su di lei, avevano la vittoria in pugno. Voleva capire, voleva selle risposte e le voleva in quel momento. Potter non le sarebbe scappato.


Successe tutto rapidamente ma anche se fosse accaduto in un modo diverso James dubitava che sarebbe riuscito ad opporsi, in un modo o nell'altro, a quella furia rossa che, in realtà, in quel corpicino non sapeva neppure da dove uscisse. La guardò, guardò come reagì alle sue parole e la fissò mentre lei, forse infastidita dalla sua risata, muoveva i suoi rossi capelli fiammeggianti verso di lui prendendolo per il colletto della camicia che appena spuntava al di sotto della veste da mago e lo spingeva contro il muro. “Non riesci proprio a non sbattermi contro qualche parere, eh Evans?” La prese in giro perché la vicinanza era troppa e il desiderio di allungare le mani e prendersi l'unica persona che avesse mai voluto era talmente forte che James non conosceva che quelle battute leggermente sarcastiche per tenerla lontana. O avrebbe fatto un casino, il peggiore dei casini che potesse fare nella sua vita perché lui era James Potter e le persone sapevano che lui era un idiota montato, un Narciso moderno e non poteva essere altrimenti.
Non tanto per le persone perché odiava essere all'aspettativa delle persone, odiava essere quello che loro si aspettavano perché era diverso quanto per lei; per fare in modo che l'odio che lei provava per lui continuasse a bruciare e allo stesso tempo si spegnesse perché se quel fuoco si sarebbe calmato, se fosse arrivato ad ardere dolcemente sarebbero rimaste solo le domande e James non voleva rispondere a nessuna di quelle. Cosa sarebbero stati James Potter e Lily Evans, insieme? Non lo sapeva e la cosa che lo sorprese in quel momento era che non voleva saperlo perché era una stupida illusione, perché dovevano continuare a credere che fosse tale. Perché lui non sarebbe mai riuscito ad averla, Lily e lei avrebbe continuato a correre lontano da lui.
Sostenne lo sguardo di lei, quindi, un istante dopo, lasciò correre i suoi occhi lontani da quelli dell'altra Grifondoro. “Non odio te. Odio il cretino che ti ostini a definire amico.” Svicolò. C'entrava poco, Lunastorta in quella risposta ma era meglio della verità, ogni cosa, quel giorno, era meglio della verità.
 
Lily lo guardò e nei suoi occhi passò un lampo d’ira. Come si permetteva di dirle quelle cose, come osava credere di conoscerla? Lui non la conosceva bene, nessuno in quel luogo la conosceva bene, nemmeno lei si conosceva bene. Eppure, non aveva la presunzione di credere di sapere tutto della sua persona. Quello che sapeva le bastava, le faceva capire e andava bene così. Era sempre attenta a tutto ciò che la circondava. Attenta a non calpestare i fiori, a non schiacciare le chiocciole, a non pestare i piedi a nessuno, a chiedere sempre permesso, a dire sempre grazie. Era attenta a sorridere, a non crollare di fronte a chi non tollerava il dolore, a non dimenticare nessuno, alle parole che usava. Era attenta e le si disintegrava il cuore quando gli altri, distratti, non si accorgevano se cadeva, se arrancava, se moriva – dentro.
“Non quando tu mi offri queste risposte su un piatto d’argento, Potter!”
Sbottò irritata sfidandolo con gli occhi. Poi il silenzio rimpiombò su di loro e fu doloroso. Doloroso perché il silenzio dopo la musica faceva sempre venire voglia di piangere, o di riempire gli spazi vuoti con discorsi inutili. James era la sua musica. Perché semplicemente non si decideva di lasciarlo andare?
Lei non poteva lasciarlo andare, anche se sapeva che quelle reazioni non erano dovute alla mancanza d’amore, ma all’incapacità di amare. E allora perché era ancora lì?
Lei non era adatta alle storie semplici, la verità era quella: lei voleva distruggersi, voleva essere distrutta per poter dimostrare a tutti come era brava a ricomporsi, voleva essere pazza, voleva amare come una pazza, voleva urlare, essere il sogno più dolce e l’incubo più cupo di qualcuno, voleva stravolgere i suoi piani e di essere felice non le interessava per niente: James Potter la faceva sentire viva.
Severus
Severus
Severus
Un tuffo al cuore la destabilizzò facendola allontanare da lui. Prese un respiro profondo prima di ritornare ad essere la Lily Evans piena di quel coraggio che caratterizzava la sua natura da grifondoro. “Non siamo amici, Potter!” disse in modo freddo non distogliendo lo sguardo “Ma non per questo ti permetterò di prenderlo in giro o torturarlo. Intesi?”
Non poteva cancellare dalla sua mente l’immagine di lei vulnerabile, sciatta, stanca, arrabbiata. Non poteva chiedergli di restituirle il piacere che le faceva provare e non poteva attaccarsi al suo ricordo solo perché lo amava tanto. Però poteva provare a lasciarlo indietro. A sentirsi bella anche senza camminargli accanto. Per quanto avesse creduto di potergli bastare, che potesse andargli bene anche così, a metà, con la testa molto spesso altrove, con le mani chissà dove, con gli occhi spenti e per quanto si sentisse vulnerabile in quel momento, percepiva all’altezza del cuore qualcosa che la spingeva da lui. Come una forza che la spingeva a ballare anche senza musica, qualcosa che la spingeva a correre anche se non aveva un luogo da raggiungere, qualcosa che la faceva sentire autorizzata a giocare, a scherzare, a mettere un rossetto acceso, ad attirare un po' l’attenzione. Non era amore quello che vedeva nei suoi occhi, non sempre d’amore si trattava. Quello che sentiva si chiamava forza, ed era dentro entrambi. Non poteva cancellare niente, ma poteva modificare quel quadro e trasformare una natura morta in una ragazza che sorrideva guardando i fiori sul suo comodino prima di uscire dalla stanza. Non poteva togliere niente, ma poteva aggiungere qualcosa. Uno scopo. Una finestra per guardare chi passasse, perché i suoi due occhi erano ancora capaci di interessarsi ad altro e non solo a lui, non solo a lui che in fondo non l’aveva mai capita, che in fondo neanche sapeva le piccole sfumature che assumeva la sua voce quando cantava e in che posizione era solita dormire. Cosa ne sapeva lui della sua lista delle cose da vedere, dei suoi diari nascosti, delle calze autoreggenti che aveva nell’ultimo cassetto perché chissà magari, ne avrebbe avuto bisogno.  Cosa ne sapeva lui del casino che c’era nella sua borsa e dell’odore che il suo corpo aveva appena usciva dalla doccia. Cosa ne sapeva lui di lei? E si era permesso di farla piangere senza chiederle scusa. Cosa ne sapeva di quanto tempo le sarebbe servito per stare meglio? Probabilmente lui avrà già dimenticato il suo nome quando ancora lei si sarebbe voltata a vedere se ci fosse ogni volta che avrebbe sentito pronunciare il suo. Ma lei avrebbe ballato ancora, poteva starne certo.
“Cosa ti infastidisce allora, Potter. Per una volta sii coerente e chiaro!
Infondo lei si era innamorata della sporadica allegria che faceva capolinea sul suo volto solo in certi giorni bui. Si era innamorata perché era convinta di poter risolvere le sue tristezze: ci si innamora sempre di qualcuno che pensiamo di poter guarire e poi, regolarmente, ci ammaliamo.
 
Non tutte le persone che meritavano d’essere amate venivano amate, e viceversa. Altrimenti James, credimi, io non avrei mai amato così tanto te. E qualcuno, in questo momento, mi starebbe dedicando una stella.
 
Lo guardava e l’unica cosa che riusciva a pensare erano tutte le volte che lo ignorava, camminando e fingendo spesso di avere una meta, un obiettivo. Si muoveva velocemente, come se avesse qualcuno ad aspettarla, da qualche parte. Cercare qualcosa nella borsa, spostarsi i capelli, guardarsi intorno e fare tutto nervosamente, come se fosse in ritardo, ma la verità era che – a giornata finita – non sapeva mai dove realmente andare. Chi chiamare. Chi raggiungere. Cosa fare. Camminando a volte pensava se anche solo la metà della gente che incontrava per strada fingesse come lei, allora chissà quante solitudini, quanti vuoti, quante illusioni divenute delusioni, quanti arresi, quanta stanchezza e paura di mostrarsi fragili, soli e per questo infelici, quanta paura di non essere – per l’ennesima volta – compresi. E mentre pensava a tutto questo, con James davanti, la sua mente si affrettava ad aumentare il passo allontanandosi da lui e portando con sé anche il cuore della rossa.
La verità era che James la conosceva. Per quanto lei fingesse che questo non fosse vero, per quanto neppure lui lo avrebbe ammesso perché non ne era consapevole, James la conosceva, la conosceva ancora meglio di quanto non conoscesse sé stesso, la conosceva ancora meglio di quanto lei non si conoscesse. E la conosceva perché ogni singolo respiro che Lily faceva, anche quando era incazzata con lui, anche quando lo costringeva tra quel piccolo corpicino che lui tanto desiderava e un muto troppo grande e freddo alle sue spalle, era un respiro che accarezzava la sua pelle.
Ma questo non lo avrebbe mai ammesso: avrebbe continuato a guardare tutte le ragazze, ad uscire con loro come ripicca nei confronti del fatto che lei non voleva uscire con lui ma non lo avrebbe mai ammesso, non avrebbe mai ammesso che Lei era speciale, che lei era l'unica nel modo in cui lo era e che ogni singolo istante passato con lei valeva tutto il resto. Quella era la verità: perché si Amavano e si Appartenevano e poco importava, del resto. Eppure, Assurdi e Incasinati, l'unica cosa che riuscivano a fare era guardarsi male nei corridoi, insultarsi e spingersi contro le pareti perché, ancora troppo giovani, forse, sapevano che quello che provavano avrebbe portato a conclusioni che avrebbero lasciato entrambe senza fiato.
 
 
“Come ti vedi tra dieci anni?” gli aveva chiesto una volta una ragazza, una Corvonero dai lunghi capelli chiari. James aveva riso e aveva scosso la testa.
“Come ora, solo dieci anni più grande.” Aveva risposto. Evidentemente la risposta non le era piaciuta; era stato quello il momento in cui Lily era passata, uscendo a sua volta dall'aula di Trasfigurazione. James l'aveva seguita con gli occhi, la Corvonero se ne era accorta.
“Intendevo questo.” Aveva risposto.
“La amo.”
“Sai almeno che cos'è, l'amore?”

 
 
Era stata la prima volta che lo aveva ammesso ad alta voce, davanti a qualcuno che non fossero i suoi amici, prima di inseguirla per il corridoio dopo essersene reso conto per fare in modo che lei non dicesse nulla. Evidentemente non lo aveva fatto ma quel momento per lui era stato come quello in cui si rendeva conto della quadratura del cerchio, in cui ogni cosa ritorna, in cui cose che non ci saremmo mai immaginati, venivano svelate. Era in seguito a quella conversazione che aveva iniziato a scoprirsi notare le piccole cose, tutti i piccoli tic di Lily, il modo in cui tagliava gli ingredienti per una Pozione o come prendeva gli appunti con quella scrittura un po' piegata da un lato perché dritta sulla sedia proprio non ci riusciva a stare. Era stato da quel momento che i suoi amici avevano iniziato a chiamarlo Romeo, da quel momento si era reso conto di aver perso completamente la testa per Lily Evans, e si era reso conto che, nonostante tutto, non avrebbe mai potuto dirlo a lei. Scosse la testa, una sola volta, guardandola intensamente, cercando di carpire in quegli occhi chiari tutti i suoi segreti per svelarli e lasciarla nuda non per scoprire tutto di lei ma per condividere tutto, con lei. Si strinse tra le spalle, cercando di allontanare quei pensieri e quindi lasciò correre la punta delle dita sulla sua guancia, con ironica delicatezza, quasi devozione. “Perché?” chiese, con semplicità quasi infantile, lasciando ricadere la mano e aspettando di vedere il rossore pallido farsi largo sullo zigomo di lei. “Perché, se non siete amici?” Chiese, nuovamente. Mille risposte si fecero largo nella sua mente ma quando alzò i suoi occhi, nuovamente, sul volto di lei, le sue labbra si aprirono, riuscendo a pronunciare solo una sillaba. “Tu.” Non era quello che voleva dire, non era quello che voleva intendere, ad infastidirlo erano tutte le persone che si definivano sue amiche, che cercavano di vantare qualche forma di possesso su di lei ma, senza una valida ragione, l'unica risposta di senso compiuto era quella che aveva dato. Si allontanò da lei, scivolando lontano dal muro e dal suo corpo e dandole le spalle, attendendo una reazione qualsiasi che, sapeva, non avrebbe tardato ad arrivare.
James le chiedeva cose a cui non sapeva rispondere. Le formulava domande che ancora aleggiavano nella sua testa, senza via d’uscita, senza darsi la possibilità di pensare ad una risposta decente da dargli. E così ripartiva quel meccanismo che si era creata, da quando aveva scoperto di essere innamorata di lui: Studiare, piangere, studiare, cercare di non piangere. All’inizio se ne vergognava parecchio, ma poi aveva imparato che le lacrime aiutavano a crescere. Che i ricordi – i loro, quei pochi che condivideva con lui – non si sarebbero mai dissolti. Che le parole – quelle pesanti che si urlavano per i corridoi – la ferivano tanto. Ma era l’unico modo per avere un contatto con lui. Seppur inutile e deludente, era pur sempre un contatto. Aveva imparato anche che più si donava e meno riceveva, quella lezione l’aveva imparate a sue spese con Severus. I vuoti che ti lasciano le amicizie finite, gli amori turbolenti, non sempre venivano colmati. Eppure, lui c’era riuscito – a colmarla, tutta – con piccoli e grandi gesti, James Potter le aveva ricucito e colmato quel cuore ormai vuoto-. Ma loro erano come due parallele che continuavano a correre vicine, senza mai avere la possibilità di toccarsi. E si sapeva, due parallele si sarebbe incontrate all’infinito, quando ormai non gliene fregava più niente. Aveva sempre cercato di essere forte, di nascondersi dietro la sua lingua tagliente. Ma ogni parola – come ogni silenzio – avevano conseguenze e non aveva mai realmente capito quanto fosse forte, finché essere forte era l’unica scelta che le restava. Non sapeva perché, ma le venne in mente un periodo. Un periodo in cui lei e James avevano provato a mettere il rancore da parte per diventare amici. Tante promesse, tanti buoni propositi. E ci stava riuscendo, ci stavano riuscendo davvero. Finché…
 
 
Dopo il bacio che James diede a quella ragazza - davanti a Lily - , lei cadde in uno dei suoi patetici periodi di chiusura. Spesso con gli esseri umani, buoni e cattivi, i suoi sensi semplicemente si staccavano, si stancavano: lasciava perdere. Era educata. Annuiva. Fingeva di capire, perché non voleva ferire nessuno. Questa era la debolezza che le aveva procurato più guai. Cercando di essere gentile con gli altri spesso si ritrovava con l'anima a fettucce, ridotta ad una specie di piatto di tagliatelle spirituali. Non importava, il suo cervello si chiudeva. Ascoltava. Rispondeva. Ma erano troppo ottusi per rendersi conto che lei non c'era.
 
 
Forse potevano essere qualcosa. Qualsiasi cosa – tutto – sarebbe stato meglio dei nemici che erano. Avrebbe preferito tutto di lui che non fosse quell’odio che si portavano appresso. Ma James non capì nulla e baciò quella ragazza. E nonostante tutte le promesse che Lily si era fatta, i sorrisi sinceri che gli rivolgeva, nonostante il suo “per sempre”, il sui “non ti abbandono, io resto”, nonostante tutto finì. E finì per davvero. Dopo quel giorno non furono più niente. Avete presente due estranei che si conoscono meglio di chiunque altro? Eccoli li. Loro. E finì per davvero, qualsiasi cosa fosse, finì. E loro ritornarono ad essere i soliti James e Lily. Quelle due parallele che non riuscivano ad incontrarsi. Mai.
Alla domanda di James lei semplicemente sospirò. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Come avrebbe potuto interpretare i suoi pensieri? Lei credeva che nessuno passasse per caso nelle loro vite. Tutti – nel bene o nel male – donavano qualcosa, anche Severus. Ed era per questo che non riusciva a non difenderlo. Chiunque si incontrava nel proprio cammino, nel bene o nel male, avrebbe lasciato un segno nel cuore. Perché era grazie a chi entrava ed usciva dalle loro vite, che si diventava ciò che poi erano destinati ad essere.
“Tu non capiresti, Potter!”
Sbottò passandosi una mano tra i capelli. Lo aveva imparato da lui. Un tic che aveva appreso – involontariamente – per tutte le volte che la sua mente vagava a pensarlo. Quando lo pensava, le piaceva credere che anche lui pensasse a lei. Le piaceva credere di mancargli e che se non era lì con lei era solo perché non poteva. Che gli apparteneva lo stesso desiderio, che il tempo – beffardo – che li divideva a volte si trasformasse in tormento e a volte in nostalgia. Le piaceva credere che magari – di notti – la sognasse, che se non erano insieme era davvero perché le circostanze non li volevano insieme. Ma – più di tutti – le piaceva credere che un giorno, guardandolo negli occhi, avrebbe trovato sé stessa.
TU!
TU!
TU!
“Basta James…” mormorò il suo nome – senza neanche rendersene conto – in modo frustrato. “Questa – la vostra – è una guerra che non mi appartiene. Ma non per questo non difenderò chi è più debole”! lo guardò negli occhi per poi abbassare lo sguardo “Arriva un momento, però, in cui ti stanchi. Ti stanchi di tutto. Di correre dietro alle persone che non ti cercano, di cercare spiegazioni, approvazioni. Di cercare la verità. Ti stanchi di dover credere per forza a qualcuno, di stare male e di doverti giustificare. Ti stanchi di rincorrere quello a cui non arriverai mai” prese un lungo respiro, in preda al fiume di parole che uscì dalla sua bocca senza che avesse l’opportunità di fermarle. “Arriva un giorno in cui ti stanchi e decidi che aspetterai senza cercare più niente. E Potter, davvero, io sono stanca di litigare con te. Sempre. Costantemente … non siamo fatti per andare d’accordo, lo capisco e lo accetto, ma non ce la faccio più!”
 
 
"Lils, vieni qui!"
"Si papà."
"Devo dirti una cosa molto importante. Stammi bene a sentire. Non basta innamorarsi. SE decidi di stare con qualcuno non è così semplice, devi anche prendertene cura. Devi anche renderlo felice. Devi anche imparare a venirgli incontro quando è necessario, quando ne ha bisogno. L'amore non basta, non basta. Ci si deve anche sopportare, spesso e volentieri. Ci si deve tenere stretti. Soprattutto tenere stretti."
"Caro ma cosa le stai raccontando? Ha solo otto anni!".
"Prima impara, prima potrà difendersi dai ragazzi. Dove eravamo rimasti? Ah si. Devi innamorarti, ma non di chiunque, precisiamo. Devi innamorarti di chi ti fa sentire bellissima, in qualsiasi momento. Di chi ti fa sentire bellissima anche appena sveglia, anche quando i tuoi capelli non hanno un senso. Devi innamorarti di chi ha il coraggio di guardarti negli occhi senza mai stancarsi. Di chi non dice una parola quando ti batte forte il cuore. Innamorati di chi ti ama col cuore, e credimi principessa, sarà il per sempre che si sogna ad occhi aperti."
"Ma papà, io amo solo te!"

 
 
Non lo sapeva cosa provava in quel momento, davvero. Non ci capiva niente. Era che lei sentiva di amarlo, di amarlo forte, di aver bisogno di vivere tra le sue braccia per un tempo che oscillava tra il per sempre e l’eternità. E poi, invece, c’erano altri momenti in cui lo odiava, perché aveva così bisogno di lui e lui non c’era, non poteva esserci, e dato che nessuno le sapeva spiegare il perché, allora odiava lui perché amarlo era così facile, e odiava sé stessa, perché doveva imparare a dimenticarlo. Se Marlene le avesse chiesto di dirle cosa provava per lui, beh avrebbe sicuramente preso un foglio di pergamena per scriverci sopra sono innamorata persa, per poi dargli fuoco, per poi – ancora – cercare di spegnere le fiamme, lascarle perdere e pentirsene. Capisci coscienza? Lei no. Lei non sapeva più cosa pensare, perché c’erano dei momenti in cui pregava di poterlo dimenticare all’istante, altri in cui voleva poterlo ricordare per sempre. A volte le capitava di sognarlo e di svegliarsi con le guance umide di lacrime, e l’unica cosa che le veniva da pensare era che non fosse giusto. Non era giusto, perché con lui voleva volare, piangere dal ridere, fare l’amore sulla spiaggia, giocare, scherzare, litigare persino, fare pace, fare pace ancora, amare, essere amata e invece no. Perché lei lo amava e lui non c’era. Non poteva esserci.
“Adesso me ne vado. Domani chiederò alla McGrannitt di poter svolgere la mia punizione da sola. Buonanotte, Potter!”
Di innamorarsi erano capaci tutti, di amare no. Amare era un'altra cosa. Era alzarsi le maniche, lottare e farcela. Era prendersi cura di lui o lei, mettere la sua felicità prima della nostra. Magari era anche avere il coraggio di lasciarli andare perché sapevi che con te era come un uccello in gabbia. E allora aveva deciso di aprirla quella gabbia. Amare era chiedere scusa. Mettere l'orgoglio da parte quando magari non era nemmeno colpa nostra, ma tu chiedi scusa lo stesso perché non vuoi perderlo. Innamorarsi era una capacità che avevano tutti, amare invece no. Quello bisognava impararlo, e lei - e loro - non sapeva se l’avevano già imparato.
 
James scosse la testa, guardandola, desiderando solo, per una volta nella sua vita, essere migliore di quello che era; perché era migliore di quello che tutti lo credevano ma non era perfetto, era un'accozzaglia di casini e di distrazioni, era un casino vivente che camminava per i corridoi di un castello di cui si sentiva padrone ma in cui in realtà non possedeva l'unica cosa che avrebbe desiderato. Era un re senza una regina e non ci se ne fa nulla, di un regno, se non si ha nessuno con cui condividere il potere. Passò una mano tra i capelli, guardandola, pensando ad ogni singola volta in cui l'aveva spiata, cercando di guardare quello che preferiva, cercando di comprendere quale fosse il suo gusto preferito di gelato da Florian Fortebraccio e cercando di capire che cosa le piacesse mangiare la mattina, che cosa amasse invece bere o quale fosse la sua bevanda preferita. Cercava di comprendere ogni cosa di lei, cercava di essere quella persona che Lily voleva ma, in quel momento, l'unica cosa che riusciva ad essere, era quello che lei non voleva. Quegli occhi, dai quali avrebbe voluto avere solo amore, lo fulminavano, lo guardavano di traverso lasciandogli capire che la loro era una guerra che non poteva essere vinta, che nessuno dei due sarebbe uscito vincitore e che, nonostante, tutto, non avrebbero potuto continuarla perché combattevano dalla stessa parte, perché si battevano per la stessa causa e tuttavia continuavano a farsi la guerra l'un l'altro come se non ci fosse altra opportunità se non quella di autodistruggersi vicendevolmente.
La guardò e scosse la testa, trattenendo appena l'istinto di stringerla a sé, di baciarla, di sparire per sempre da quella dannatissima scuola e di portarla via da quella Sala Grande e da quella stupida punizione che non aveva ragione d'essere. Guardò Lily tra le palpebre semichiuse e poi rispose al suo commento, acido, di colpo freddo perché non vi era assolutamente nulla da dire. “Già, io non capirei. Perché io sono James Potter lo stronzo.” disse, incrociando le braccia sotto al petto e mantenendo lo sguardo fisso in quello della ragazza che per lunghissimo tempo aveva amato e che avrebbe continuato ad amare, sempre e comunque.
Così, di spalle rispetto a lei, scosse la testa una sola volta. Non replicò: non c'era nulla da replicare perché c'era una parte di lui che sapeva benissimo che lei aveva ragione, che tutto quello li avrebbe distrutti, logorati, lasciando di loro solo delle briciole, dei deboli e febbrili specchi di ciò che loro erano ma non poteva di certo pensare di lasciare che tutto quello se ne andasse, così, rapidamente, quello che lui voleva costruire, quello che lei rappresentava per lui, il suo Tutto e, allo stesso tempo, il suo Niente. “Sono stufo di combattere per entrambi. È come un gioco, Evans, tu corri e io ti inseguo ma tu sei più veloce e non riesco a raggiungerti.” disse, senza guardarla, lasciando semplicemente che le parole scorressero rapidamente fuori dalle sue labbra così come le stava pensando, come se non vi fosse un vero filo conduttore, completamente privo di un filtro tra il cervello e la sua bocca. Diceva semplicemente quello che gli passava per la mente. “Non è vero che non siamo fatti per andare d'accordo. Semplicemente stiamo combattendo una guerra senza vinti né vincitori. Ti amo, Lily e per questo devo smetterla di pensare a te.” Sbottò e, a quel punto, si voltò, uscendo dalla Sala Grande, lasciandosi Lily alle spalle, senza sentire neppure le sue ultime parole.
 
Lily e James si conoscevano. Lui conosceva lei e sé stesso, perché in verità non s’era mai conosciuto. E lei conosceva lui e sé stessa, perché pur essendosi sempre saputa, mai s’era potuta riconoscere così. Loro due stavano rischiando con quei sentimenti. Era come salpare nella tempesta con le onde che si precipitavano a prenderli. Con quei sentimenti, era come dichiarare guerra agli Dei. Ma James era per lei il faro di salvezza, era per lei la luce delle stelle. Era luce, era notte. Era sia il dolore che la cura. Era l’unica cosa che voleva toccare e non immaginava che avrebbe significato così tanto. A James non importava chi fosse, o quanto sola lei fosse. Lui offriva sé stesso alla sua immaginazione, in modo aspro ed eccitante. Annunciando ancora e ancora, il suo posto nella famiglia delle meraviglie che era il suo cuore. Eppure non riusciva proprio a cedere! Alcune volte – quando i suoi sentimenti per lui erano più forti della sua forza – sentiva il bisogno di andare in qualche regione distante dal mondo, per ricordarsi chi era veramente o chi sarebbe diventata. Spogliata del suo solito ambiente, dei suoi amici, delle abitudini quotidiane, costretta a un’esperienza diretta che, inevitabilmente, l’avrebbe resa consapevole di tante cose. Perché alla fine non tutti quelli che vagavano alla ricerca dell’ignoto, erano persi. Di proposito, prese un respiro profondo, seguito da un altro e un altro ancora, lasciando che il profumo di James, invadesse le sue narici … strappandola via come un lampo. Stava per raggiungerlo quando qualcuno – che molto probabilmente aveva assistito a tutta quella scena – le si parò davanti. Impedendole di fare forse l’unico gesto avventato migliore della sua vita. Dichiararsi a James.
“Signorina Evans, permette una parola?"
"Certo professor Silente"
“Ho assistito alla sua lite con il Signor Potter.."
"Oh io...beh ecco...mi dispiace Professore"
"Non lasciare che il tuo fuoco si spenga. Che si perdano quelle preziose scintille nelle paludi senza speranza dell’indecisione, del dubbio e dell’incertezza. Non permettere che l’eroe che è nella sua anima perisca solitario e frustrato, privo della vita che meritate, ma che non sei mai riusciti a conquistare”
“Oh ehm…grazie Professore”
“Sono rammaricato nel doverle chiedere questo favore, Signorina Evans!”
“Di che favore si tratta, Professore?”
“Io tempo … anzi sono più che sicuro che il Signor Piton abbia fatto la sua scelta!”
“Non … “
“Si è unito all’Oscuro Signore!”
E in quel momento, Lily capì che per l’ennesima volta il bene degli altri sarebbe stato anteposto al suo.
“Cosa vuole che faccia, Professore.!”
 
TO BE CONTINUED___


 
 
SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:
Mentre correva verso l'aula di Pozioni, cercava di capire quando avesse smesso di comportarsi come il vecchio Severus iniziando a comportarsi come un Mangiamorte. Certo, l’aveva chiamata Schifosa Mezzosangue, ma non si poteva dare del Mangiamorte a qualcuno solo perché era un'idiota. Eppure, pensò, Severus era sempre stato così vulnerabile e lei lo avevo lasciato solo in balia di quelle serpi. Allora, pensò ancora, chi era il mostro tra loro due?  Arrivò con il fiatone davanti l'aula di Pozioni e quando spalancò la porta lo vide. Era lì che smanettava con le sue solite provette e scriveva sul suo inseparabile libro. Lo scrutò per una frazione di secondo per cercare di scorgere qualcosa che ancora appartenesse al suo ex migliore amico. Rimase delusa nel vedere che in realtà, quella persona, non esisteva più. Perché non esisteva più una Lily Evans bisognosa di Severus Piton ma bensì una Lily Evans bisognosa di James Potter. Non importava, si disse, avrebbe fatto di tutto - ogni cosa in suo potere - per fargli cambiare la strada che si era scelto.
"SEVERUS!"
urlò mentre i suoi capelli rosso fuoco danzavano sul zuo volto. Era arrivata la resa dei conti!.
 
ANGOLO AUTRICE:
Eccoci qui finalmente. Dopo una settimana di STOP. Avevo bisogno di riprendermi dal capitolo precedente. Come potete notare questo capitolo è diviso in due parti perché troppo lungo da lasciarlo su un unico capitolo. Nel capitolo precedente abbiamo fatto la conoscenza dei Mangiamorte, in questo dell’Ordine della Fenice. Sappiamo dunque che il Diadema di Corvonero spezzandosi ha fatto proprio un gran casino. Cosa potrà essere questa sfera dei quattro spiriti? Come potrà far resuscitare il Maestro?.
Ma arriviamo al dunque. La mia eterna indecisa Lily stava per dichiararsi a James e BOOM compare Silente. Cosa le chiederà Silente? Cosa potrà mai fare Lily per fermare Severus dal diventare mangiamorte? Si aprono le toto-scommesse.
 
 
 
 


 
  
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