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Autore: alichino    04/09/2009    0 recensioni
David è tormentato da un conflitto interiore e Colby dai suoi incubi...attraverso le loro debolezze, una sorta di compromesso.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Colby Granger, David Sinclair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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David lo accompagnò fin sulla porta, gliela tenne aperta mentre entrava a fatica in casa –neanche fosse ubriaco! –e stava anche per richiuderla e augurargli la buona notte, quando Colby –e gli costò uno sforzo immane di anima e cuore –gli chiese di rimanere. Suonò più come un ordine in realtà, ma il suo tono era debole e quasi dolce nell’oscurità. David lo guardò ed entrò in casa, senza proferire parola; Colby insistette affinché dormissero nella stessa stanza e così sistemarono in salotto dove c’erano due divani abbastanza comodi, anche se David ebbe da ridire sul proprio. Normalmente i due uomini avrebbero scherzato e addirittura trovato ridicola una situazione del genere, ma in quel caso per entrambi ogni cosa sembrava irreale, una specie di sogno. E nessuno dei due riusciva a dormire. David sentì Colby rigirarsi su quel suo divano almeno un centinaio di volte, sembrava una trottola impazzita, e Colby sentì il respiro di David irregolare, nervoso. Improvvisamente quest’ultimo si alzò dal suo divano; nell’oscurità, Colby si rigirò l’ennesima volta e alzò lo sguardo sull’altro uomo, che sembrava un grande mucchio nero nell’oscurità, un mucchio vivente di ossa carne e sangue. Disteso sul divano e con gli occhi sul suo partner, sentì di dover parlare a quel grande Dio nero che si ergeva sopra di lui, di fianco a lui a sovrastarlo, ma non riusciva a trovare qualcosa da dire; così si girò ancora, supino, nervoso, a fissare il buio dove pensava ci fossero gli occhi dell’altro. Aveva la bocca secca e lo sguardo inerme, si sentiva la lingua grossa e immobile. David si chinò su di lui, sulla sua faccia e Colby sentì il suo cuore fin nelle orecchie e nella gola. Pareva scoppiargli, e si maledì per questo, per sentirsi una stupida ragazzina e –David –disse chiaramente.
-Spostati –ringhiò il suo Dio Fammi spazio, e Colby obbedì perché non c’era motivo, non lo trovò, di negargli il suo posto. Non capiva più un cazzo, comunque, e gli sembrava tutto un sogno, una strana dimensione onirica, dove David adesso si girava di lato e gli metteva le braccia intorno alla vita per poi appoggiare la testa nell’incavo del suo collo. Colby sentì i baffettini di lui solleticargli la pelle, e il suo respiro caldo, le sue mani intorno la pancia, sulla schiena, e il braccio premuto tra la schiena e il divano. Com’era scomoda quella posizione! Ma David non si mosse, se non la gamba, che pose tra quelle di Colby, per non rotolare miseramente a terra. Dopo alcuni moniti di assoluto silenzio –si sentivano appena  i loro respiri –Colby inghiottì a vuoto (David lo sentì) e –David –disse, che stai facendo? Egli non si mosse, né fiatò per alcuni minuti, poi alla fine mormorò contro la carotide dell’altro Dormo. Si addormentò poco tempo dopo, lasciando così a Colby il tempo per decidere di non preoccuparsi troppo, per accarezzare la testa dell’altro (quando mai gli sarebbe capitato ancora?), per cadere nel sonno a sua volta. David era caldo e aveva un buon odore, Colby  avrebbe inghiottirlo. Perso in questi pensieri si addormentò e alla mattina, quando aprì gli occhi, si ritrovò solo ma con la sensazione di un peso mancante sullo stomaco e sulla gola. Non c’era alcun messaggio di David e la sua auto non era sul vialetto, dove l’aveva parcheggiata la sera prima. Ma Colby si ricordava il respiro pesante del suo partner. E sorrise fra sé e sé.
David invece quel giorno si sentiva iroso, e odioso verso il mondo e tutti i suoi colleghi, persino verso Don e il suo sorriso gentile con gli occhi stretti. Lo salutò con un grugno animalesco, infatti, e nella sua testa c’era solo Colby, il respiro di Colby, la pelle di Colby, l’odore di Colby Basta! Che espressione avrebbe dovuto fare? Che gli era saltato in mente? Si malediceva, ma gli era piaciuto quel po’ di Colby, e ne voleva di più, ma si malediceva e si benediceva per il coraggio nell’avvicinarsi a lui, e si malediceva ancora. Adesso ne era sicuro, Colby gli piaceva, e tanto, come ad un uomo può piacere una donna, ma non era una donna, e David ne aveva paura, ma lo voleva anche, quel sentimento forte. Doveva parlare a Colby, doveva togliersi quell’irritazione di dosso, doveva vederlo, toccarlo, amarlo. Si fermò su questo pensiero e trovò che avesse una sua logicità brillante, una sua conclusione perfetta, e niente di dissonante. Si incrociarono nel corridoio, lui e Colby, e David lo afferrò per un braccio, con una certa ferocia che dispiacque all’altro –sebbene non fosse d’umore così pessimo –e lo trascinò nella stanza più vicina, chiuse la porta a chiave dietro e disse Parliamo. Di cosa? Lo rimbeccò subito l’altro, incattivito dal brutto fare di David. Si cominciava a sentire crudele, Colby, voleva ferire l’uomo davanti a sé e fargli davvero male e, pensò, avrebbe gradito anche dargli un bel cazzotto sul mento e farlo sanguinare, il sangue di lui sulle labbra e sulle sue mani. L’avrebbe voluto baciare, e tanto, e a lungo, e perché non farlo? Dovevano parlare. Di cosa? Di questa notte, disse David con fatica, abbassando lo sguardo al pavimento bianco della stanza in penombra. E che cosa vuoi dirmi, David? Enfatizzò il suo nome, ormai incollerito per quella loro incapacità di dirsi le cose com’erano nella realtà e nelle loro menti. Che cosa ti è preso? Continuò subito e non gli lasciò il tempo di parlare; adesso si stava irritando, nervoso, incollerito dalla presenza dell’altro e dalla sua stessa. Non capiva. Perché. Non capiva. Nulla. Non. Capiva. Non lo so Disse David esaltato, ma in malo modo, Cosa volevi che facessi? E che ne so io? Nessuno capiva più nulla. Chi parlava con chi? Che accusava chi? Cosa volevi che facessi? Ripeteva poi rabbioso David, Volevi che ti scopassi? Gli uscì così, non pensò quando parlò, né prima. L’aria tra loro restò immobile per alcuni, infiniti secondi, durante i quali si fissarono, occhi negli occhi, senza parlare, né respirare. Poi Colby abbassò lo sguardo, aprendo la bocca come per dire qualcosa, ma nessun suono riuscì a farsi strada fra le sue corde vocali congelate dalla ferocia del suo desiderio buttatagli lì davanti, e se ne rendeva conto così vividamente adesso! E David in quel momento capì. Capì che cosa dovesse fare. Mettere Colby davanti all’evidenza del fatto compiuto, l’evidenza del suo sentire! Ma egli tentò di scappare, senza dire niente, e David si oppose afferrandogli il polso; Colby alzò lo sguardo e sferrò il suo poderoso pugno destro contro la mandibola del suo partner. Lo sapeva, poteva anche rompergliela, ma all’ultimo scartò un poco, cosicché lo colpì meno violentemente dell’intenzione iniziale. Il colpo fu comunque forte, e David lo sentì. E lo sentì –se ne rese conto –soprattutto nell’immediato, quando il sangue cominciò a scorrere dal suo naso lungo le labbra e gocciolò giù per il mento. Colby lo guardò affascinato, David ristette, poi sollevò il braccio destro e spinse l’altro con una certa violenza, gli mise l’avambraccio sulla gola e gli tenne sollevate in quella posizione anche le mani. Lo spinse contro il muro, e sentì il tonfo della schiena dell’uomo sulla superficie dura. A Colby mancò un respiro. Che cazzo fai? Ringhiò sulla faccia del suo compagno. David non rispose. Lo fissava soltanto, il sangue si era rappreso sul labbro superiore e lungo il mento, l’espressione feroce.
-David –mormorò Colby, conciliante, ma rabbioso, determinato. C’era il bisogno nella sua voce; sentiva i loro respiri insieme nell’aria calda e umida fra loro. David lo guardava immobile; si avvicinò, con quella che a Colby parve tutta la lentezza del mondo, e come non sicuro, gli sfiorò le labbra con le sue. Si tirò indietro di poco, pur lasciando che il suo naso sfiorasse la guancia dell’altro; si respiravano in faccia. David si riavvicinò e mise le labbra sulla bocca do Colby. Questi ristette, gli occhi socchiusi, la bocca semiaperta, l’aprì di più e rispose a David, piegò la testa, aprì la bocca e la richiuse, baciò le labbra dell’uomo, chiuse gli occhi ed insieme respirarono forte –sentivano loro stessi. David inclinò la testa sulla faccia di Colby, sentì il suo naso premere sulla guancia dell’altro e il naso dell’altro sulla sua, aprì anche la sua bocca, toccò la sua lingua e poi ancora Colby spinse la sua più a fondo a cercare –ancora –quella di David.  Quest’ultimo allentò la presa e Colby gli mise le mani sulla faccia, attirandolo a sé, e sentiva le mani di David –forti –scivolargli lungo il petto, la cassa toracica, per fermarsi sui suoi fianchi. Si spinse su di lui, ma l’altro fu più deciso e lo addossò al muro, si appoggiò su di lui con tutto il suo corpo. Colby gli gemette in bocca e David gli morse il labbro inferiore e quando Colby reclinò la testa, sporgendo la gola, David lo morse anche là e si lasciò sfuggire un rantolo ma di piacere. Ansimavano. Colby, diceva David, Colby, lo ripeteva come una nenia, commosso dal bisogno di lui, aggrappandosi alle sue spalle, poiché non riusciva a reggersi in piedi. Era Colby a sostenerlo, appoggiandosi a sua volta –e mantenendosi così stabile –sul muro. Ma sentiva le sue ginocchia piegarsi per lo sforzo, mentre cercavano boccate d’aria, senza gran successo, come ubriachi l’uno dell’altro. David sentì la sua razionalità sfuggirgli via per l’emozione e si distaccò di colpo, guardando il volto di Colby, arrossato e ansimante, lo guardò sentendosi osservato a sua volta, sentendosi frugato da quegli occhi chiari. Lentamente portò una mano al viso dell’uomo e tentò di dirgli qualcosa, boccheggiando come prima aveva fatto Colby, ed esattamente allo stesso modo non ci riuscì. L’altro allora si avvicinò di nuovo a lui e al suo volto, e lo baciò dolcemente e con affetto, a lungo, pensando a quanto fosse sexy David in quel momento e a come fosse totalmente, interamente suo. C’era qualcosa di disperato in quel gesto di Colby e David riuscì a sentirlo, e lo rassicurò a suo modo –ora che non riusciva a parlare –baciandolo come se fosse l’ultima volta che potesse farlo. Colby si fece scivolare dolcemente lungo il muro trascinando David con sé, abbracciandolo, e finì per sedersi a terra. Il cellulare suonò e Colby maledì Don –perché di sicuro era lui, chi avrebbe potuto essere? –e anche il suo lavoro. David lo guardava con un’espressione indecifrabile e non parlava, in ginocchio tra le sua gambe. Si decise a rispondere –Granger –disse atono. Don era irritato, ma non ancora incollerito.  –Dove diavolo sei? Non aspettò risposta. C’è David con te? Sì, rispose Colby, mantenendo la voce neutra. Venite qui subito. E riattaccò. Don vuole che andiamo da lui, disse David. Sì –disse Colby e si sporse a baciarlo velocemente. Aveva ancora il sapore del sangue. Colby si separò da lui, Scusami, disse. Per cosa? Per il pugno. David si toccò il naso e il sangue ormai rappreso. Fa niente, disse e abbozzò un mezzo sorriso; le labbra gli bruciarono un po’.
La notte era avanti nel buio cristallino di stelle e lampioni, quando finalmente Colby uscì dall’edificio dell’FBI e si sedette su di una panchina lì vicino ad aspettare David. Si trovò davanti invece Don che gli chiese se volesse un passaggio. No grazie, rispose lui, fissando il suo capo nell’oscurità aranciata di quella strada –Sto aspettando David. L’altro gli lanciò un’occhiata strana, indecifrabile. Colby osservò gli arabeschi che giocava la luce sul suo volto, la tenebra dei suoi occhi. Aveva una bella faccia, Don. E Colby capì che aveva intuito qualcosa. Magari ne avrebbe parlato con Charlie la sera stessa, magari Charlie gli avrebbe proposto una qualche astrusa teoria per testare se lui e David potessero avere quel tipo d’intesa. Poteva esistere, pensò Colby divertito, poteva esistere una cosa del genere? Si potevano ridurre i loro sentimenti a matematica? Non ne era sicuro, così come non sapeva se Don avrebbe esposto i suoi dubbi a Charlie. Non gli importava. Voleva David in quel momento. Egli arrivò poco dopo che Don se ne fu andato e si sedette accanto a lui sulla panchina, senza dire niente. Nel gelo di quella notte, guardavano gli aloni di vapore uscire dalle loro bocche e librarsi leggeri nell’aria nera. Improvvisamente, Colby gli afferrò un po’ goffamente la mano e appoggiò la testa sulla sua spalla. A David bruciavano gli occhi per il troppo freddo, e anche per l’intensità del sentimento che aveva in corpo.
-David –disse Colby debolmente. Sì, disse l’altro. –Devo dirti una cosa stupida. Entrambi sentivano il calore dei loro corpi e si riscaldavano a vicenda. –Dimmi –David baciò il capo del suo compagno, i suoi capelli corti.
-Mi sono innamorato di te –disse Colby stringendogli la mano, gli occhi chiusi, con tranquillità, la cosa più naturale del mondo. A David gli occhi bruciarono ancora di più. Non sapeva se lo amava, non con quella intensità ma, confusamente, era conscio di non poter fare a meno di lui. Gli baciò ancora la testa, teneramente. Lo so –gli disse piano, il demone aguzzo della consapevolezza scese in lui; era legato a Colby con un filo doppio e un nodo non fermo, non stabile, ma scorsoio, che se avesse voluto scappare e abbandonare quel suo sentire –se solo avesse provato –si sarebbe stretto e lui, David, ci sarebbe morto. Se anche avesse per odiarlo, se avesse odiato Colby, egli sarebbe comunque rimasto, indelebile legame e primo fra tutte le persone. Sentì una certa amarezza e ritornò con i suoi pensieri ad un tempo in cui tutto aveva un senso, e niente ce l’aveva.
-Lo so, ripeté poi quasi senza voce, l’anima rotta che cadeva in pezzi a terra, scorrendo dalle dita, piano, piano.
   
 
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