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Autore: crazyfred    30/01/2022    3 recensioni
Ritroviamo Alex e Maya dove li avevamo lasciati, all'inizio della loro avventura come coppia, impegnati a rispettare il loro piano di scoprirsi e lavorare giorno dopo giorno a far funzionare la loro storia. Ma una storia d'amore deve fare spesso i conti con la realtà e con le persone che ci ruotano attorno.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 5


 
Appena l’uomo le aveva rivelato il suo nome, nonostante fisicamente fossero agli antipodi – Alex doveva aver preso tutta la sua bellezza dalla madre – Maya riconobbe istantaneamente gli occhi verdi in cui le riusciva così tanto facile perdersi.
“Ero passato dalla signora Rossi per una piccola riparazione e allora mi sono detto: perché non conoscere la mia inquilina?!”
Era impacciato, ma gioviale; l’accento forte, come di chi è abituato a parlare in romanesco e deve ricordarsi a forza di parlare in italiano per non sfigurare.
“Non mi fa entrare?”
“Assolutamente … prego!”
Maya non sapeva cosa fare, come comportarsi. Entrambi sapevano perché era lì – alla riparazione a casa della Betti non ci aveva creduto neanche per un attimo – entrambi sapevano chi Maya fosse per Alex, ma l’aveva presa talmente in contropiede che non riusciva a pensare ad un modo per affrontare il celeberrimo elefante nella stanza.
A rompere il ghiaccio, però, ci pensò Cesare.
“Maya … un nome che non si sente tutti i giorni …”
“Dicono che a Roma Nord non ci sia una famiglia senza almeno una ragazza con un nome preso dall’antica Roma”
Maya provò a fare dell’ironia, ma in realtà non ci stava andando molto lontano: oltre a sua sorella Lavinia, aveva perso il conto di quante Olimpia, Flavia, Flaminia o Lucrezia aveva conosciuto. Non era sicura però di aver avuto tanto successo, tanto che l'uomo la guardava perplesso.
"O forse semplicemente mia madre era un’appassionata di mitologia e Maia era un’antica dea della primavera”
“Molto bello … le sta bene” disse Cesare, gentile.
Al di là di quello che lasciava trasparire esternamente, lo pensava davvero. Era ancora presto per giudicare, ma quella ragazza che aveva di fronte, gli restituiva un’immagine fresca, pulita, proprio come la primavera a cui il suo nome rimandava.
“E comunque anche il mio nome viene dall’antica Roma” precisò “eppure io sono di Roma Sud”
Maya sorrise, sinceramente, perché aveva lo stesso mondo di rispondere caustico quasi a bruciapelo di Alex. Lui diceva che tra loro era lei la più mordace, ma la verità era che si trattava di una lotta all’ultima ribattuta tra di loro, e si divertivano un mondo.
A pensarci bene, però, si sentì mortificata; con quel sottolineare che anche a Roma Sud usavano i nomi romani forse non aveva gradito il suo riferimento a Roma Nord, quasi a voler dire: non siete mica più romani di noi. Forse una volta lo avrebbe pensato, di sicuro c'erano persone tra le sue vecchie conoscenze che ne erano convinte, ma lei non più.
Il cellulare di Maya squillò. “Chiedo scusa” si congedò educatamente, appartandosi un attimo in corridoio. Alex le diceva che Edoardo era appena uscito con gli amici e stava solo aspettando che Claudia tornasse a casa per portarle la bambina e poi sarebbe andato da lei.
 
So che hai la bambina,
ma TUO PADRE si è presentato qui.
Muovi il culo appena puoi.
 
Alle prese con sua figlia, Alex lesse quel messaggio solo mentre era in ascensore nella casa di Prati, dove aveva appena riaccompagnato Giulia da Claudia. Dovette fermarsi sul pianerottolo del piano terra, per rileggerlo ed essere sicuro di aver capito bene. Che cazzo ci faceva suo padre a Testaccio? Lui era quello che aveva sempre detto: teniamo la casa ma ci pensate voi che io c’ho da fa! E ora, dopo due settimane dalla scenata di Anna, si era presentato da Maya.
Certo, la casa non c’entrava nulla, era palese, ma anche solo il pensiero che suo padre, Cesare Bonelli, l’uomo più imperscrutabile sulla faccia della Terra, avesse preso l’iniziativa e si fosse presentato alla porta di Maya gli mandava in pappa il cervello. Corse verso l’auto parcheggiata lungo il viale e sperò che il traffico fosse clemente. 

Quando Maya tornò nella zona giorno, trovò Cesare che si muoveva lungo la stanza, guardandosi intorno leggermente spaesato, le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Era da tanto che non entravo qui” si giustificò “avevano appena abbattuto la parete del tinello. Arrivava qui, più o meno …”
Con la mano toccò lo schienale del divano per indicarle la fine della stanza originale e continuò spedito a rimodellare nell’aria, idealmente, pareti che non esistevano più, mobili buttati via e ricordi di una vita passata.
Lo sguardo era lo stesso di Alex, ogni secondo che passava diventava sempre più evidente, e nei suoi occhi, mentre le raccontava della casa, la stessa luce vagamente disincantata e la stessa vivacità nascosta da un atteggiamento serafico . Anche per lui, evidentemente, evocava un bel periodo.
“E quel mobile?” domandò Maya, indicando la credenza in legno della cucina che l’aveva fatta innamorare della casa “è originale?”
“Era della nonna di mia moglie, è qui da quando ci siamo sposati. Si può dire che sa tutto della nostra famiglia”
Dietro quelle parole, più di quanto nessuno dei due osasse dire. Maya annuì, comprendendo l’allusione dell’uomo.
“E così lei lavora per mio figlio?”
“Da cinque anni ormai”
“E di cosa si occupa esattamente?”
“Di un po’ di tutto, della sua agenda, della sua corrispondenza e anche un po’ di contabilità. Si può dire che in redazione nessuno arriva ad Alex senza prima passare da me”
“Una specie di braccio destro...”
“Già …”
“…o di angelo custode”
Maya non poteva saperlo, ma Cesare era proprio così che la vedeva: un angelo custode arrivato dal cielo per salvare suo figlio dalle grinfie di quell’arpia della sua ex nuora. Era invece proprio così che avrebbe voluto che fosse la sua nuora ideale: bella era bella, c’era poco da fare, gambe chilometriche e seno prosperoso che non riusciva a nascondere neanche con gli abiti comodi da casa che indossava, un viso di una bellezza insolita ma che riusciva ad emanare dolcezza e grinta tutt’insieme, impertinente ma non permalosa; qualcuna che riuscisse a voler bene a suo figlio senza tarpargli le ali, dandogli lo zucchero ma anche il pepe, quello sì il vero sale dell’amore.
Maya lo invitò a togliere la giacca e a mettersi comodo, che gli avrebbe preparato un caffè. 
“Grazie, ma oggi ne ho già presi un paio … non posso esagerare”
“Un gingerino allora?”
“A quello non dico di no, grazie … siamo quasi ad ora aperitivo, no?”
“Eh, tale padre tale figlio allora” esclamò Maya, ironica.
“Prego?!”
Maya si trovò a raccontargli, senza entrare nei dettagli, di quella volta che per puro caso si era trovata ad avere dei gingerini in frigo e ad offrirne uno ad Alex.
“E da allora cerco di non farli mancare mai nel mio frigo … ormai è diventata una inner joke … ehm, una specie di battuta tra noi”
Senza accorgersene, avevano superato l’ostacolo senza doverlo nemmeno affrontare. Lui era soddisfatto dalla persona che aveva davanti, quasi folgorato sulla via di Damasco da quell’incontro più o meno improvviso; lei più rilassata nel vederlo a suo agio.
E fu così che, entrando con le sue chiavi, Alex li trovò: seduti sul divano, a parlare di una delle tante alessandrate che, durante l’adolescenza del figlio, avevano fatto venire a Cesare i capelli bianchi, a suo dire, uno alla volta.
“Papà!” esclamò Alex, per attirare la loro attenzione “che ci fai qua?”
“Mah … niente. Lo dicevo alla signorina Maya prima. Mi ha chiamato la signora Rossi qualche giorno fa per controllare una cosetta alla caldaia. Porella … vedova, senza figli, un nipote lontano … e così ne ho approfittato a venire oggi che è domenica ed è più tranquillo.”
“E che mamma è andata a trovare zia Mirella, si capisce …” aggiunse il figlio, riservandogli un’occhiataccia di biasimo per quell’arrampicata sugli specchi.
Non era andato a pranzo dai genitori con i figli proprio per quel motivo e suo padre aveva trovato il modo di districarsi da moglie e cognata per fare quella mezza bravata.
“A tal proposito è meglio che vada”
“Eh … e certo…” rincarò la dose Alex, ancora basito.
“È stato un piacere conoscerla, signorina Maya” disse l’uomo, tendendole la mano per salutarla, fermo sull’uscio di casa.
Maya la strinse calorosamente e senza pensarci due volte. Alex rimase alle sue spalle, di guardia, ma mantenendosi a debita distanza. Era assurdo, ma suo padre era riuscito a farlo sentire come un ragazzino beccato con la fidanzatina a pomiciare in camera da letto o sotto il balcone della vicina spiona.
“La prego, mi dia del tu”
“E allora fallo anche tu e chiamami Cesare … sai, Maya” riprese, guardando suo figlio con uno sguardo ed un sorriso da marpione “Alessandro è nato con la camicia. Lo sai cosa significa?” Maya annuì. “Beh … lo sapevo che prima o poi questa diceria si sarebbe avverata anche in amore. Passate una buona serata!”
Cesare chiuse la porta alle sue spalle. I due, rimasti soli, si guardarono senza dire una parola, seri e confusi per un istante che sembrava non passare mai, congelato nel tempo. Alla fine, entrambi scoppiarono a ridere, tirando un sospiro di sollievo, la tensione che finalmente stava scendendo. Maya ancora imbarazzata da quella assurda situazione nascose il viso tra le mani e Alex corse ad abbracciarla, baciandole le tempie, bollenti come avesse la febbre.
 
 
“Che significa che non ci sei a Pasqua?”
“Mamma, parliamo la stessa lingua, cosa significa in Italiano: non mi contate per il pranzo di Pasqua che vado fuori con degli amici?”
“Ma abbiamo sempre pranzato assieme a Pasqua! Quest’anno riesce a tornare anche Lollo!”
Maya sospirò, esausta, ovviamente l’apprensione di sua madre era tutta rivolta al figliol prodigo, Lorenzo, che tornava da Londra: della sua assenza interessava fino ad un certo punto.
“Ma sti cazzi di Lollo, mamma, manco fosse il principe William, seriamente …”
“Perché tu e tua sorella trattate sempre così male vostro fratello?”
“Noi non lo trattiamo male … ma ti risulta che a lui freghi tanto di noi?! Siamo sempre noi a doverlo chiamare!”
“Va beh ma lui ha il suo lavoro e poi c’è il fuso orario”
Il fuso orario … un ora indietro. Maya alzò gli occhi al cielo; voleva bene a sua madre ma quando si trattava di Lorenzo non conosceva imparzialità: forse perché era praticamente la copia del padre e lei cercava di compensare con lui la sua assenza e coccolarlo come poteva. E forse era anche quello il motivo per cui Lorenzo si teneva a distanza il più possibile.
Maya chiuse la telefonata poggiando il telefono sul tavolino e sbirciando l’orario sulla schermata di blocco, come faceva sempre quando aspettava Alex. L’uomo era partito per Milano per alcuni impegni ma non c’era stato bisogno della sua presenza così, per un paio di giorni aveva lavorato da remoto, in tranquillità. Quel venerdì pomeriggio, seduta ai tavolini di un bar in piazzetta a rione Monti, aspettava che Alex arrivasse a Termini con il treno. Avrebbero passato la serata assieme e, nel frattempo, prendeva un caffè con Olivia.
“Dicevamo…”
“Che ti vedo bene, molto più tranquilla, rilassata…” dichiarò l’amica, scrollando la cenere in eccesso dalla sigaretta che stava fumando.
“Uh … si vede” ironizzò Maya, poggiando la tazzina sul piattino e tirando la testa all’indietro, prendendo un grosso respiro.
La primavera era finalmente arrivata a Roma e il gelsomino si arrampicava sulle pareti dell’edificio dov’era il bar e sul parapetto del pergolato che affacciava sulla piazzetta. I turisti e i giovani del quartiere tornavano finalmente a sedere sugli scalini della fontana, abbandonando le giacche e sfoggiando le prime maniche corte là dove il sole si affacciava, caldo e generoso, tra un palazzo e l’altro.
“Ad esclusione della deliziosa e delirante conversazione con la principessa Torlonia, si intende” chiarì Olivia ed entrambe risero “tipo...da quando siamo arrivate non hai ancora acceso la sigaretta”
“Perché non fumo più”
“Non fumi più?! E da quando? La Maya Alberici che conosco io non berrebbe un sorso di caffè senza accendere una sigaretta! Questa è una notizia sconvolgente!”
Maya fece un piccolo schiocco con la bocca, sorridendo sorniona e facendo l'occhiolino in segno di compiacimento. Era orgogliosa di essere riuscita ad abbandonare quella brutta abitudine: aveva cominciato al liceo perché lo facevano tutti e non essere da meno, poi era diventata una questione di stile – in posa con quella sigaretta in mano si sentiva più raffinata e più vissuta, aiutando quel tono di superiorità che teneva con le persone attorno a lei. Alla fine, si era accorta che da un po’ non le dava più soddisfazione.
“E come fai?”
“Mi sono data ai dolci...nel senso che li mangio e li cucino, anche”
Tutto merito della Betti, sua nonna d’adozione nel palazzo, dai e dai l’aveva convinta ad andarla a trovare nei ritagli di tempo e a imparare qualche piccola ricetta – specialmente da quando aveva scoperto che stava con Sandrino suo - e ora aveva in repertorio ciambelle di ogni tipo, muffin e cheesecake.
“Pure! E che altro c'è? In questo mese e mezzo che non ci siamo viste ti hanno clonato e sostituita con una gemella perfetta o cosa?” domandò Olivia meravigliata ma divertita, ma Maya fu costretta a troncare la conversazione di nuovo per rispondere al telefono. Ad Olivia non passò inosservato che gli occhi dell’amica si illuminarono e quasi letteralmente scattò dalla sedia nel momento in cui il telefono iniziò a squillare.
“Pronto? … Ah sei già arrivato?! … guarda sono in piazzetta de’ Monti con Olivia, ma vieni pure qui. Sì...sì sono sicura. A tra poco”
“E quindi vai fuori a Pasqua … ed io che volevo proporti una gita fuori porta con me e Max e un altro paio di amici suoi a Pasquetta”
“Volevate appiopparmi un altro single in cerca?!” indagò perplessa e contrariata Maya, aggrottando le sopracciglia. Olivia era troppo intelligente, pensò Maya, per perseverare dopo la loro ultima conversazione a casa sua.
“Certo che no, abbiamo capito l’antifona. E credo l’abbia capita pure Eugenio”
L’aveva capita decisamente: dopo un paio di tentativi andati a vuoto su Facebook non si era fatto più sentire.
“E comunque vado un paio di giorni al mare, non so dove però, non ho prenotato io”
“Con questa nuova fantomatica comitiva di amici …”
“Perché fantomatica?”
“Perché sei uscita dai radar, Maya … ma completamente!!!” decretò Olivia, annoiata dai voli pindarici dell’amica “Non ti fai sentire, sui social non posti nulla se non qualche canzone indie romantica di dubbio gusto, il che è tutto dire, e se chiedo a tua sorella fa la vaga”
“Ma perché devi sempre mettere in mezzo mia sorella? Vuoi sapere qualcosa? Chiedi a me!”
“Benissimo: questa comitiva, di grazia?”
“Benissimo” iniziò Maya, ma la voce divenne immediatamente incerta “... appunto …”
Aveva deciso che non avrebbero fatto annunci ufficiali, niente manifesti aveva detto Alex, ma era Olivia, si conoscevano da quando erano bambine, non doveva avere paura come se stesse rubando la loro intimità.
“… non è proprio una comitiva” continuò “si tratta di un amico solo”
“Lo immaginavo”
“E comunque non è proprio un amico”
Non sapeva come definirlo: ragazzo, faceva liceale, fidanzato era troppo ufficiale, partner era più da azienda, compagno dava l’idea di una relazione già duratura. Forse la definizione migliore, fino a quel momento, per loro che non ne volevano una, l’aveva trovata la Betti: era il suo innamorato. Maya lo trovava assolutamente perfetto, c’era tutto: il batticuore del vedersi, il languore della distanza, le aspettative e le insicurezze dei primi passi insieme.
“Immaginavo pure quello …"
“Tu dovevi fare l’investigatrice privata o la poliziotta” la prese in giro Maya “sei sprecata come broker” 
"E scommetto che al telefono era il signor Comitiva di amici, vero?” domandò Alice, ridacchiando ammiccante.
Maya annuì, un sorriso furbo a fior di labbra, finalmente disinvolta, nonostante tutto. Era bello avere una persona a cui non c’era bisogno di spiegare tutto per filo e per segno.
“E sentiamo” continuò Olivia “l'amico in questione è alto, morettone, due spalle grosse così, le mani grandi, gli occhi verdi come un lago di montagna. In poche parole quel frescone assoluto del tuo capo?”
“Sì, sono io”
Alex stava in piedi di fianco al tavolino con il suo immancabile completo scuro senza cravatta, il fazzoletto nel taschino e un Omega vintage al polso. Era appena sceso dal treno e sembrava uscito da un salone di sartoria.
“Ma che si fa così? Spuntare alle spalle della gente e farle fare figure di merda!"
Olivia, sguaiata, si lamentò teatralmente, come al suo solito. Ma Maya ed Alex non stettero a sentirla: avevano due giorni senza vedersi da recuperare e, da quando lui le aveva detto di essere salito sul Frecciarossa, per entrambi era stata una lunga e snervante attesa.
Maya si alzò dal tavolino “Ciao” sussurrò, gli occhi brillanti, cogliendosi, imbarazzata, a leccarsi le labbra impercettibilmente; alzandosi, le cadde un foulard di cotone che, accaldata, aveva sciolto e poggiato frettolosamente sulle gambe. Alex si chinò a raccoglierlo e lo passò attorno al collo della ragazza, tirandola a sé.
“Ciao” rispose lui, la voce roca.
La giovane poggiò le mani sul suo torace e lui, cingendole le spalle la strinse a sé per concludere le 48 ore di lontananza in quel bacio di velluto, caldo e morbido, tanto agognato.
“Mio Dio, siete belli e sexy da fare schifo pure quando vi dite ciao. Io sono indignata. Non si può. Siete illegali!”
Terminarono quel bacio solo perché la battuta di Olivia li aveva fatti ridere e non era giusto lasciarla lì a fare da reggi moccolo. Salutandolo, Olivia suggerì ad Alex di prendere una sedia da un tavolino vuoto a fianco per unirsi a loro.
“Sono venuto in taxi, sta aspettando con le valigie dietro l’angolo”
“Allora andiamo … dammi solo un minuto per salutare Olivia” disse Maya, radunando in fretta le sue cose.
“Ma no, stai tranquilla. Voi ragazze non vi vedete da un po’ … io intanto vado a casa a poggiare le valigie e a farmi una doccia, mi raggiungi lì. Volevo solo salutarti … mi sei mancata” le sorrise teneramente, accarezzandole la guancia con un tocco leggero e fugace ma che era bastato ad imporporarle il viso.

“Confermo” proclamò Olivia, seriamente, quando Alex se n’era andato.
“Cosa?”
“La Maya che conoscevo io è stata sostituita … tu chi sei? Che ne hai fatto della mia amica?!”
“Dai Olli!!!”
“Ma guardati!!! Sei diventata una sottona …”
Maya si lasciò andare ad un sospiro timido e rapito, tornando a sedere.
“Lo ami?”
“Stiamo insieme da poco più di un mese, non ho avuto neanche il tempo di ragionarci su … sto con lui e sto bene, come non sono mai stata con nessuno, non c’è da sapere altro”
Era quello che più contava: tra di loro erano attenti e premurosi, ma senza ostentazione e senza farselo pesare, rimanendo liberi di fare come meglio credevano. Erano in una relazione esclusiva, lui c’era per lei – solo per lei – e lei per lui, eppure nessuno dei due si era mai sentito così libero: liberi dalle paure, dalle insicurezze, dalle gabbie costruite o dentro cui ci si ritrova imbrigliati con una relazione sbagliata o che si trascina a forza. E forse era davvero amore, ma non avevano bisogno di dirselo: se lo dimostravano ogni giorno.
 

Eccomi eccomi!!! Ce l'ho fatta, seppur con un paio di giorni di ritardo....
E così Maya ha fatto l'imbarazzante conoscenza del suocero e Alex di Olivia, ma alla fine tutto bene quel che finisce bene e i due sembrano andare a gonfie vele, dimostrandosi sempre più naturali e tranquilli anche con "l'esterno". Ma è tutto troppo tranquillo, non vi pare? Ma qui mi taccio.
Alla prossima,
Fred ^_^
   
 
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