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Autore: BlueBell9    31/01/2022    2 recensioni
Quando l'angoscia ti scorre nelle vene insieme al sangue a causa della guerra che ti sei scelto.
Due Rosier. Quasi quarant'anni di distanza.
«A volte penso che amarmi sia la cosa peggiore che potesse capitarti» constata a bassa voce, scuotendo il capo con rammarico. «Hai rinunciato ad ogni cosa per me» afferma tornando a guardarla con due occhi verdi ardenti.
[...]
«La cosa peggiore sarebbe vederti sparire dalla mia vita» confida Emmeline, amabile, guardandolo con due occhi scuri scintillanti dalla dolcezza. «Non ti lascerò andare mai più» promette in un soffio, facendogli appoggiare la testa contro il suo ventre e abbracciandolo.

[Evan/Emme]
«Che cosa hai sognato?» indaga Dominique, tesa, la voce incrinata dalla preoccupazione.
«Non me lo ricordo» risponde Lance, roco, gli occhi azzurri guardinghi e ostili mentre torna a guardarla.
Lei inarca le sopracciglia, prima di piegare le labbra in una smorfia di fastidio.
«Sei un bugiardo migliore di così» considera a bassa voce, appena risentita.

[Lance/Dominique]
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dominique Weasley, Emmeline Vance, Evan Rosier, Famiglia Rosier, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
- Questa storia fa parte della serie 'Familie kommt zuerst'
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Qualcuno che rimanga




Questa storia partecipa alla Challenge To Be Writing Challenge 2022 indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna.
Sfida di gennaio: song-fic.





Qualcuno che rimanga





You were alone, left out in the cold/Eri solo, lasciato fuori al freddo



«Famiglia di Mangiamorte» sussurra qualcuno alle sue spalle, la voce grondante spregio.
Quello che vede, quando si volta, sono volti di uomini tesi in un'espressione ostile, gli occhi feroci puntanti contro vati.
Lui sgrana i suoi, baluginanti di tutta la confusione che una bambino può avere.



Clinging to the ruin of your broken home/Aggrappato alla rovina della tua casa distrutta



«Che cos'è un Mangiamorte?»
Zia Joanne alza lo sguardo dal libro che stava leggendo, puntandogli addosso due iridi chiare e fredde.
«Prego?» chiede con gelida cortesia, aggrottando appena la fronte, così da far intuire all'interlocutore che sarebbe meglio troncare immediatamente la conversazione.
Peccato che su di lui quell'invito silenzio non faccia il minimo effetto.
Anzi, lo sprona ancor di più a pretendere delle risposte.
«Mangiamorte» ripete Lance, vagamente spazientito, corrucciando il viso in una smorfia. «Ho sentito questa parola mentre ero a Diagon Alley» spiega spiccio, davanti all'evidente confusione della donna. «Lo hanno sussurrato alle nostre spalle e vati si è innervosito» continua, analizzando attentamente quanto successo il giorno prima con una concentrazione davvero spaventosa per un bambino di soli sette anni. «Quindi che cos'è?» esige di sapere, imperioso, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni e guardandola dritto in faccia.
Lei, seduta composta sul divano del salotto principale di Burke House, rimane per un momento immobile, prima di chiudere il libro con un sospiro pesante e appoggiarlo accanto al suo fianco.
«Sai che ci sono state due guerre magiche» esordisce asciutta. «Le quali hanno provocato diverse vittime. Per farla breve... c'erano due fazioni: Voldemort contro l'Ordine della Fenice. Sai chi era Voldemort, vero?» domanda, soppesandolo con un'occhiata attenta.
Lui annuisce, più volte.
«Il più grande mago oscuro di tutti i tempi» risponde all'istante, sicuro, ricordando quelle poche informazioni che il precettore privato ha biascicato quando gli ha posto quell'interrogativo.
«Precisamente» conferma zia Joanne, stringata, appoggiando la schiena all'imbottitura rigida del divano e serrando le labbra in una linea di disappunto. «I Rosier lo sostenevano» svela incolore, come se fosse qualcosa di poco conto.
Lance corruga la fronte e sbatte un paio di volte le ciglia.
«Perché?» indaga sbalordito.
Lei scrolla appena il capo.
«Il solito motivo: il potere» dichiara lei, leggera, lisciandosi una piega dalla sua veste scura di strega. «Ce n'erano altri, sia chiaro, ma molti lo facevano per quello. I Mangiamorte erano i fedeli seguaci del Signore Oscuro» rivela piatta.
Lui abbassa un momento gli occhi, ponderando su quello che ha appena scoperto, prima di tornare a guardarla con due iridi chiare offuscate dal dubbio.
«Quindi eravamo i cattivi?» deduce esitante.
Zia Joanne inarca le sopracciglia, impassibile.
«Qualcosa del genere» conviene fiacca.
«Ma vati è nato dopo il conflitto» afferma Lance, rapido, scuotendo il capo con genuina confusione. Continua a rivedere davanti agli occhi l'espressione di disgusto che storce il viso di quelle persone a Diagon Alley. Fino a quel momento, complice anche il fatto che raramente si è allontanato da Rosier Castle se non per recarsi in qualche altra tenuta della famiglia o di qualche amico di lunga data, non si è mai soffermato più di tanto a riflettere sull'astio che il suo cognome suscita. Ci ha fatto caso solo quando, ieri, dopo aver sentito quell'unica frase pronunciata con tale veleno da sembrare un insulto, ha percepito immediatamente una cupa tensione piombargli addosso. Ha osservato con due occhi sbigottiti suo padre irrigidire la postura, voltare il capo all'indietro per rintracciare il colpevole con il viso minaccioso. Al contempo, forse l'adulto nemmeno se n'è accorto di aver serrato la mano intorno alla sua con più forza, tremante di furia e di desiderio di protezione. «Non ha fatto nulla» riprende sensato.
Zia Joanne fa un breve cenno con il capo.
«Già» ammette a bassa voce, fioca. «Ma alla gente non importa. Hai un'eredità scomoda da portare sulle spalle» dichiara fissandolo quasi con dispiacere. «Tienilo sempre a mente: anche se ormai la guerra è finita da un decennio, molti non hanno dimenticato e vedono negli eredi dei Mangiamorte i colpevoli per quanto è successo».
«È ridicolo» sentenzia lui, aspro.
«È umano» lo corregge lei, pratica, giocherellando con la fede che porta al dito. «La storia ci insegna che si è sempre cercato di individuare un capro espiatorio, un nemico da additare e schiacciare quando le cose vanno male» spiega noncurante. «E tu, tuo padre e i tuoi fratelli siete gli unici Rosier rimasti» precisa laconica. «Gli altri se li è portati via la guerra» osserva lugubre.
Lance la fissa, abbassando un momento gli occhi al pavimento per riflettere su quanto ha appena scoperto.
«È per via di Evan?» ipotizza all'improvviso.
Zia Joanne alza di scatto il capo, corrugando le sopracciglia con genuina sorpresa.
«Dove hai udito quel nome?» indaga perentoria, la voce di nuovo gelida.
«Anche lui era cattivo?» replica il bambino, incurante dei rischi e determinato a saperne di più.
«No» dichiara lei, infine, sbrigativa. «Non lo era affatto» afferma quasi dolente, quasi in un sussurro.
Lance sbatte più volte le palpebre.
«Ma se non lo era, allora perch-»
«Adesso basta» sbotta l'anziana, brusca, inchiodandolo con due iridi roventi di irritazione. «È già tardi, dovresti essere sotto le coperte da un bel pezzo. Evita quell'espressione ribelle» lo avvisa dura, alzandosi con un movimento fluido dal divano nonostante la sua età. «Rischi solo di prenderti un'altra punizione e lo sai».
Lo prende per mano e lo conduce nella sua camera da letto, al secondo piano della casa. Dopo averlo aiutato a svestirsi e prepararsi per la notte, gli rimbocca le coperte e gli scocca un rapido bacio sulla pronte.
Lui, appena sollevate così da sbirciare, la osserva tirare fuori la bacchetta dalla tasca della veste e spegnere le fiaccole alle pareti, risparmiando solo il fuoco che arde nel camino e qualche candela sparsa sui mobili della stanza.
«Sei fortunato, Lance, sei nato in tempi di pace» la sente sussurrare, amara, quando ormai è sulla soglia. «Evan non ha avuto lo stesso privilegio» considera tra sé, desolata.



I know how it feels being by yourself in the rain/So come ci si sente a stare sotto la pioggia da soli
We all need someone to hold
/Abbiamo tutti bisogno di qualcuno che rimanga


«Evan».
Lui volta il capo a sinistra, incrociando lo sguardo di Emmeline che, sull'uscio del bagno, lo sta osservando con due occhi scuri baluginanti di preoccupazione.
Fa appena in tempo a drizzare la schiena, precedentemente piegata sul lavandino, che lei si è avvicinata per controllare meglio il taglio sanguinante sopra il sopracciglio sinistro. «Non è niente, liebchen» la rassicura morbido, anticipando la sua domanda.
Emmeline gli prende il volto tra le mani, così da poter scrutare meglio quella ferita.
«Questa volta» puntualizza amareggiata, scoccando un'occhiata di puro biasimo alla maschera da Mangiamorte che giace abbandonata sul mobiletto lì accanto. Recupera la bacchetta dalla tasca della vestaglia e borbotta un incantesimo di guarigione.
Evan percepisce un lieve bruciore sulla fronte mentre la magia sta guarendo e poi rimarginando il taglio. Con la coda dell'occhio, nota dallo specchio che il sangue che gli macchia la pelle è l'unica testimonianza rimasta di quell'unico attacco dell'avversario che è andato a buon segno.
«Puoi dire quello che provi» esordisce, stremato dallo scontro terminato contro i nemici dell'Oscuro Signore, lasciandosi cadere sul bordo della vasca da bagno.
«E che cosa provo?» replica Emmeline, appena sarcastica, riponendo la bacchetta al suo posto.
«Disgusto per quello che faccio» risponde lui, con sicurezza, alzando il viso per guardarla in faccia.
Lei sostiene il suo sguardo, prima di inumidirsi le labbra e abbassare per un momento gli occhi al pavimento.
«Non condivido quello che fai ma questo non cambia nulla» afferma dopo aver fatto un paio di passi così da essergli proprio di fronte. Abbozza le labbra in un sorriso amorevole mentre allunga una mano per sfiorargli la guancia. «Non ti abbandono» promette schietta.
Evan si lascia sfuggire una smorfia affatto contenta.
«A volte penso che amarmi sia la cosa peggiore che potesse capitarti» constata a bassa voce, scuotendo il capo con rammarico. «Hai rinunciato ad ogni cosa per me» afferma tornando a guardarla con due occhi verdi ardenti.
Devi scegliere, Emme, ha detto Sirius, l'ultima volta che si è presentato a casa dei Vance e lo ha visto. Noi o lui, ha sibilato a denti stretti e con il volto distorto per la furia.
Emmeline non ha esitato un momento prima di mettersi in mezzo, così evitare uno duello nel suo ingresso. Evan ha osservato la sua schiena, dritta e rigida, mentre lei fronteggiava Sirius, intimandogli di andarsene immediatamente.
Sa che l'altra si è resa conto all'istante di cosa significasse quella scelta: tagliare i ponti con l'Ordine e con tutti gli amici che ne fanno parte, sopprimere con forza la tentazione di combattere contro un male che considera degno di essere sradicato è stato il prezzo da pagare per aver deciso di rimanere al suo fianco. Eppure lo ha fatto senza incertezza, mettendo lui al primo posto.
Come sempre.
«La cosa peggiore sarebbe vederti sparire dalla mia vita» confida Emmeline, amabile, guardandolo con due occhi scuri scintillanti dalla dolcezza. «Non ti lascerò andare mai più» promette in un soffio, facendogli appoggiare la testa contro il suo ventre e abbracciandolo.



At the end of the day you were helpless/Alla fine della giornata eri impotente
Can you keep me close? Can you love me most?/Puoi tenermi vicino? Puoi amarmi di più?



«Lo stai ancora leggendo?»
Lance distoglie a fatica gli occhi dalla pagina del diario. Se li stropiccia con una mano, cercando di scacciar via il sonno e la stanchezza che hanno cominciato a diventare sempre più pressanti e volta il viso verso il fratello, sdraiato sotto il piumone al suo fianco.
«Ti sta proprio piacendo» continua il più piccolo, la voce impastata e flebile.
Lui annuisce, chiudendo quel quaderno vergato dalla mano del suo antenato e appoggiandolo con cura sopra il comodino.
«Evan è interessante» confida ammirato, ben conscio che l'altro è l'unico insieme a Jude a sapere che ha cominciato a leggere i diari, conservati insieme ad altri cimeli dei Rosier, in soffitta. È rimasto elettrizzato quando ha scoperto che la sua camera un tempo era quella di Evan. È quella dei primogeniti, ha detto suo padre, monocorde, troncando il discorso e facendogli ben capire di non fare altre domande. «Non è affatto il mostro che credevo» continua in un sussurro, accucciandosi sul fianco e tirandosi la coperta fino al mento.
L'altro inarca le sopracciglia, palesemente scettico.
«Per via Emme?»
«Anche» ammette Lance, placido. «Soprattutto per il modo in cui ha fatto certe cose» cerca di spiegare, ripensando a ciò che ha letto. È stato grandioso, si è detto più volte, rileggendo con vorace interesse le imprese che il suo avo ha compiuto durante la guerra. Lui sì che sapeva come instillare il terrore e dubito che qualcuno abbia avuto il fegato di sfidarlo come hanno fatto con vati. «Che c'è?» domanda quando intercetta concentrato lo sguardo dell'altro.
Suo fratello scrolla le spalle, sereno.
«Stavo pensando che un po' gli assomigli» afferma con naturalezza, sbalordendolo.
«E quindi?»
«Sono per te quello che Emme era per Evan?»
Lance sbatte le palpebre prima di sciogliersi in un sorriso divertito.
«Mi stai chiedendo se sarei capace di essere spietato?» chiede svagato, elettrizzato all'idea di aver tutto quel potere tra le dita. Corruga le sopracciglia, valutando attentamente quell'ipotesi. «Per voi credo di sì, mause» riconosce più a se stesso che all'altro.
«Familie kommt zuerst» pronuncia il più piccolo, recitando a memoria il motto di famiglia dei Rosier.
Lui annuisce, concorde.
«Quello sempre» dichiara convinto.



We all need someone to hold/Abbiamo tutti bisogno di qualcuno che rimanga



«Ehi!»
Lance apre gli occhi di scatto, il respiro affannoso. Ci mette qualche istante nei quali sbatte più volte le palpebre per rendersi conto di essere sdraiato nel suo letto nella Stanza delle Necessità.
Una mano gli scosta con gentilezza un ciuffo di capelli scuri che gli si è incollato sulla fronte, attirando immediatamente la sua attenzione. Volta il viso per incontrare, nella semioscurità spezzata dalle sporadiche fiamme delle candele e dalla luce offerta dal camino, le iridi chiare e incupite dalla paura di Dominique.
«È stato solo un incubo» mormora lei, stranamente dolce, facendo scivolare le dita in basso, così da accarezzargli la guancia.
Lui annuisce, incapace di dire qualunque cosa.
Rimane immobile, la schiena appoggiata al materasso e gli occhi che fissano febbrilmente il soffitto del letto a baldacchino nella speranza di scacciare il tremore che ancora gli scuote le membra.
Fa dei respiri profondi, così da incanalare ossigeno e rallentare il battito cardiaco.
«Che cosa hai sognato?» indaga Dominique, tesa, la voce incrinata dalla preoccupazione.
«Non me lo ricordo» risponde Lance, roco, gli occhi azzurri guardinghi e ostili mentre torna a guardarla.
Lei inarca le sopracciglia, prima di piegare le labbra in una smorfia di fastidio.
«Sei un bugiardo migliore di così» considera a bassa voce, appena risentita. «Non importa» decreta svelta, anticipando la brusca replica.
Si fa ancora più vicina, sollevando quanto basta il busto per portare la testa oltre la sua, sopra il cuscino, e allungare un braccio così da stringerlo a sé. Gli sfiora la fronte con un bacio leggero mentre le dita della mano sinistra hanno cominciato ad accarezzargli il braccio con movimenti lenti e lievi.
Lui aggrotta la fronte, perplesso, prima di alzare appena il capo con genuina confusione.
«Che fai?» domanda frastornato.
«Louis mi coccola sempre dopo un incubo» spiega lei, con naturalezza e senza imbarazzo. «Mi piace aver qualcuno accanto quando sono spaventata» confida in un sussurro debole.
Lance non ribatte, preferendo concentrarsi sulla respirazione. Di riflesso pensa, mentre la ragione riprende il sopravvento e il cervello cerca disperatamente di confinare in un angolo nella sua mente quel ricordo che gli è apparso in sogno, che, sì, effettivamente il tiepido calore di un altro corpo premuto contro il suo, è una medicina efficace contro la paura.
Anche se teoricamente sarebbe quello di un nemico.
Nemmeno si accorge di abbassare le palpebre e di abbandonarsi in quell'abbraccio confortante.



Hear the fallen and lonely, cry out/Senti i caduti e solitari, piangere
Will you fix me up? Will you show me hope?
/Mi sistemerai? Mi mostrerai la speranza?

At the end of the day we′re helpless/Alla fine della giornata siamo impotenti









Lo ammetto: questa storia non doveva esistere. Tuttavia era da parecchio tempo che fantasticavo di scrivere qualcosa su Evan e Lance, ma sono sempre stata trattenuta perché ho sempre paura di lasciarmi sfuggire degli spoiler.
Grazie alla sfida di Bellaluna, ho colto la palla al balzo. La canzone che ho utilizzato è Someone to stay dei Vancouver Sleep Clinic.
Piccola precisazione per chi non conoscesse i miei personaggi. Nel mio headcanon, i Rosier hanno origine tedesca e quindi conoscono bene quella lingua. Evan l'ho collocato nella generazione di Sirius mentre Lance nella Nuova Generazione.
In qualsiasi periodo storico, purtroppo, i miei Rosier sono perseguitati dalla sfortuna. C'è chi si è trovato nel bel mezzo di una guerra e chi deve vedersela con qualcuna che è simpatica come il mal di denti.
Se desiderate saperne di più, vi dico che:
- Evan ed Emmeline compaiono nella minilong
Condannati;
-
Lance e Dominique nella serie Someone you loved;
- Familie kommt zuerst
è una raccolta sui Rosier. Ogni capitolo è dedicato a un membro della famiglia.
Come al solito, vi ringrazio per aver letto anche questa storia.
Un abbraccio e alla prossima,
Blue



Vati: papà.
Mause: topo.


   
 
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