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Autore: giuliacaesar    01/02/2022    0 recensioni
LA STORIA E' UNO SPOILER ENORME DI ASSASSIN'S CREED: ROGUE. LEGGETE A VOSTRO RISCHIO E PERICOLO.
Le vie di Parigi sono strette per Claudette Dubois. Quasi soffocanti.
La città è troppo indaffarata per prestarle la giusta attenzione e la sua Confraternita ancora bigotta per poter sfruttare appieno il suo potenziale.
La voglia di dimostrare il suo valore e il suo coraggio superano le iniziali paure e l'amore per la sua terra, in cambio di un viaggio nelle fredde terre di un'America in crescita e in via di sviluppo.
Nelle sue peripezie incontra Shay Patric Cormac, più marinaio che Assassino, che ama attirare l'attenzione su di sé con i suoi modi di fare particolari. Entrambi sono mandati alla ricerca di un manufatto e di una scatola, senza l'una o l'altra entrambi gli oggetti risultano incomprensibili, che ora sono nelle mani dei Templari.
Riusciranno nella loro impresa? O si incaglieranno in un iceberg ancor prima di vedere la terra ferma?
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti, Shay Patrick Cormac
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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31 dicembre 1751 

Monsieur Davenport, 

Le sto mandando una delle mie più capaci Assassine, la mia allieva più cara. Non fatevi ingannare dalle apparenze, potrà sembrare una bambolina delicata, ma è la più dedita al Credo tra i miei seguaci. Purtroppo Parigi è troppo caotica, troppo indaffarata per farla splendere come dovrebbe e io non riesco a farla emergere come merita, quindi la affido a Lei, Achille. La metta alla prova, frère, le dia la possibilità di sfruttare a pieno il suo potenziale. Per troppo tempo ha preso la polvere qui a Parigi, le farà bene l’aria fresca delle Colonie. 

Non ti dirò di prenderti cura di lei, perché non ne bisogno. 

Cordiali saluti, 

Mireille Gaultier. 

P.S. perdona mio cugino per questa sua iniziativa. Non voleva mancarti di rispetto, ma allo stesso tempo sa che qui la mia Claudette sia sprecata. 

 

*** 

 

L'aria era frizzante quella mattina, le solleticava il naso giocosamente, mentre sulla prua della nave si godeva le ultime ore di quel lungo viaggio. Il sole stava ancora finendo di sorgere, tingendo di rosa e azzurro pastello il cielo, prima scuro, facendolo pian piano confondere col mare immenso che aveva di fronte. Non avendo mai lasciato la Francia, non aveva mai sentito l’odore del mare, se non tramite le conchiglie che tenevano in biblioteca, e non si sarebbe stancata affatto di quel profumo delicato. Il sapore salato sulla lingua, la freschezza che le invadeva il corpo, l’aria gelida che le si infilava tra i capelli e i vestiti, provocandole brividi ovunque. Da quella distanza, dopo settimane di puro e immacolato azzurro, quasi senza vedere la differenza tra cielo e mare, si riusciva finalmente a vedere una striscia di terra, che man mano si avvicinava. 

 

«Vede quella terra lì, mademoiselle? Quella è Rockport, dove Achille ha costruito la sua tenuta, dovremo arrivare entro questo pomeriggio.» aveva detto il capitano Martin, Assassino della Confraternita belga, che era diretto a Boston e che si era prestato per fare una deviazione per accompagnarla. A bordo della Reine du soleil, erano salpati il primo gennaio 1752 viaggiando per l’Atlantico per quasi tre mesi su un brigantino piccolo e rapido, così da raggiungere la tenuta Davenport in poco tempo. Quella mattina avevano ricevuto una piacevole sorpresa: una sottile striscia di terra cresceva ogni momento di più, avvicinando il loro arrivo. Aveva sentito dire che si era destinati a vedere per la prima volta l’America, che non era un momento casuale. Ti era impresso negli occhi quell’istante. Giurava di aver sentito veramente di essere destinata a quello*. Non aveva neanche messo piede sul suolo americano e già sapeva di amare quella terra come se fosse la sua Parigi, con le chiese impennate verso l’alto e i viottoli invasi dagli artisti. 

I marinai quel giorno erano di buon umore, non avevano smesso di cantare da quando si era svegliata. Di solito c’era sempre lo stesso schema in quasi tutte le canzoni: uno o due facevano la voce principale e gli altri li seguivano a ruota, chi più o meno peggio. Quella mattina avevano scelto una canzone piena di note alte e movimentate, come a volersi esortare a vicenda. In due intonavano il verso con voce potente, poi il resto dell’equipaggio incorporava con versi di incitamento e gioia. 

We are outward bound for Kingston town 
With a heave-o, haul! 
And we'll heave the old wheel round and round 
Good morning ladies all! 

Essere svegliati con una canzone simile dava tutt’altro sapore alla giornata, rendendo più sopportabile il sole cocente del mezzogiorno o le onde mostruose che sapevano coglierli di sera. Avevano incontrato molte tempeste nei loro viaggi, eppure i marinai non avevano mai smesso di cantare neanche di fronte alla pioggia scrosciante o ai fulmini accecanti. 

And when we get to Kingston town 
With a heave-o, haul! 
Oh, 'tis there we'll drink and sorrow drown 
Good morning ladies all! 

Alzò lo sguardo verso il cielo, chiudendo leggermente gli occhi per non accecarsi. Sebbene ci fosse un sole splendente e il cielo fosse cosparso solo da poche pigre nuvole, un piccolo filo di freddo riusciva ad insinuarsi tra i suoi vestiti scuotendola di brividi dalla testa ai piedi, ma non riusciva a scollarsi dalla prua per ritornare in sottocoperta. Era così bello starsene appollaiata sulla punta del bompresso a godersi il sole dopo giorni di nuvoloni grigi. Voleva stare all’aria frizzantina di quella mattina di marzo, quando la primavera iniziava a risvegliarsi lentamente stiracchiandosi in modo pigro e assonnato. I suoi occhi erano incollati sull’orizzonte, dove la piccola striscia di terra diventava sempre più dettagliata e precisa. 

Svettavano le montagne in lontananza, che quasi sembravano russare nel loro letargo e con le loro punte candide. Scendendo lungo i pendii, man mano il bianco sfumava in un timido verde scuro, che si sgomitava per farsi spazio in tutta quella neve, poi all’improvviso dava il via libera all’azzurro sotto suoi piedi a penzoloni, il protagonista indiscusso in quel paesaggio. Il mare e il cielo erano un tutt’uno, rendendoli difficili da dividere, l’uno la continuazione dell’altro. Per una volta avrebbe voluto aver seguito con costanza le lezioni di arte che suo padre la costringeva a seguire, era un tale peccato che quel paradiso fosse così effimero. Quel paesaggio era in costante mutamento, in una continua crescita, era un tale spreco non poterla imprimere su carta, come si faceva con i libri. 

«Mademoiselle?». 

Claudette si girò quando una voce timida e con un marcato accento britannico la chiamò alle spalle. C'era un marinaio, con la camicia bianca sudata e un paio di pantaloni consunti, che si stava stropicciando per il nervoso tra le mani callose un cappellino. Dopo essersi umettato le labbra, tentò ancora di parlarle. 

«Le petit déjeuner, eeeeh... è pronto? The... nell’ufficio del ... capitaine?». 

La ragazza si lasciò sfuggire un sorriso caloroso. Sapeva che i marinai non erano al settimo cielo di averla a bordo, per tutte quelle stupide credenze che una donna in viaggio su una nave portasse solo sventure, ma nonostante ciò avevano cercato di essere cordiali con lei intrecciandosi la lingua pur di spiaccicare qualche parola in francese. 

«Merci!». 

Si tirò in piedi sul bompresso attraversandolo elegante come una ballerina e atterrando senza il minimo rumore sulla prua. Sorrise al marinaio, che di rimando arrossì fino alla punta delle orecchie e balbettò qualche parola inglese per poi ritornare a legare una cima per far passare l’imbarazzo. Raggiunse con piedi veloci la cabina del capitano, tentata di fermarsi vicino al timone per chiedere al quartier mastro di provare a tenerlo in mano, anche giusto per vedere cosa si poteva osservare da quella prospettiva, ma ci ripensò visto che le era stato negato con un’occhiataccia l’ultima volta. 

Il capitano l’aspettava sulla sua scrivania sommersa di carte nautiche e mappe geografiche. Nelle lunghe ore di viaggio si era fatta spiegare per filo e per segno ogni cosa dal come orientarsi sia di giorno sia di notte, alle rotte commerciali che attraversavano quelle acque per finire con lezioni di nodi marinareschi. Aveva approfittato di quelle infinite giornate di mare per affinare il suo inglese, per perfezionare il suo accento e le sue conoscenze. Sorrise a Daniel Martin, nella sua tenuta grigio-azzurra, che le parlò muovendo i suoi folti e comici baffi biondi. 

«Vi siete goduta l’aria mattutina, mademoiselle?». 

«Oh, oui! È davvero una bellissima giornata, non vedo l’ora di arrivare a Rockport.». 

«Vi capisco benissimo, Claudette. La prima volta che si va in America fa sempre questo effetto. È una terra magica e selvaggia, molto diversa dall’Europa. Non mi stupisco che francesi e inglesi se la stiano litigando.». 

Claudette, dopo essersi seduta, afferrò la tazza di tè fumante portandosela alle labbra. Sul ponte della nave sferzava un velo gelido, che gonfiava le vele facendoli andare più veloci, ma si congelava di freddo, sebbene l’inverno fosse quasi finito. Il vapore caldo del tè le riscaldò il viso facendola tornare per un momento nella biblioteca della Confraternita di fronte al camino a leggere. Il sapore leggermente agrumato e amarognolo del tè, mischiato a una goccia di miele, era decisamente il modo migliore per affrontare quelle terre ghiacciate e scintillanti. 

«Tra quanto dovremmo arrivare, capitaine?». 

Daniel lanciò un’occhiata alle cartine nautiche lisciandosi i baffi senza accorgersene prima di rispondere. 

«Se il vento continua ancora a soffiare così, potremmo arrivare addirittura dopo pranzo, ma è meglio non fare previsioni, mademoiselle. L'oceano ha orecchi e gli piace fare gli scherzi!». 

Sorrise guardandolo da oltre il bordo della tazza, che teneva ancora in mano per scaldarsi. Il capitano Martin era stata un’ottima compagnia in quei mesi di viaggio, un po’ le sarebbe dispiaciuto andarsene e anche il resto dell’equipaggio, nonostante le credenze superstiziose, avevano sempre avuto un occhio di riguardo per lei. 

Finirono di fare colazione, bevendo il tè caldo e mangiucchiando qualche biscotto appena uscito dalle cucine. Claudette riempì di domande il capitano osservando le mappe sulla scrivania, indicando luoghi a lei sconosciuti con il dito e con gli occhi scintillanti di una bambina curiosa. Daniel fu ben contento di rispondere, mettendo in mostra tutti i suoi anni da marinaio che aveva viaggiato in lungo e in largo. Le aveva raccontato dei Caraibi, delle miriadi di isole che circondano le Giamaica, terra divisa tra spagnoli, inglesi e pirati. Le parlò di quando era ancora un mozzo quasi trent’anni prima, quando appena arrivato a L’Avana si era imbarcato su un brigantino pirata chiamato Jackdaw. Il famoso Edward Kenway, era stato il suo capitano finché non si era ritirato a Londra. 

Le aveva descritto un mare totalmente diverso da quello che stavano attraversando: dalle sfumature calde, con isole dorate che lo decoravano, il sole cocente e splendente sulla testa, l’aria calda e umida, carica di avventure. Quasi riusciva a sentire l’odore fumante dei cannoni che sparano durante gli scontri navali, il rumore scricchiolante e terrificante del legno che viene scheggiato, le urla dei pirati che si gridano ordini a vicenda. Aveva sentito così tante storie sul capitano Kenway, il pirata dal cuore pieno di polvere da sparo che mette al servizio degli Assassini la sua nave e sé stesso dopo anni di scorribande per i mari scintillanti della Giamaica e di Cuba. Anche del suo primo quartiermastro, Adéwalé, si parlava molto: era considerato l’incarnazione degli ideali della Confraternita dopo essersi alleato con i Maroon e aver liberato centinaia di schiavi dalle grinfie degli europei. 

Dopo la piacevole chiacchierata con il capitano, si congedò con una meta ben precisa. Si avvicinò all’albero maestro, su cui era posizionato un meccanismo di carrucole per poter facilitare la salita verso le vele. Lo azionò con un calcio e la sorpresa di tutti, arrivando sul secondo pennone in poco tempo, ma lei puntava un’altra vetta. Si arrampicò aggrappandosi con le mani e i piedi alle corde e ai legni sporgenti, fino ad arrivare vicino alla punta dell’albero, dove la vista era mozzafiato. 

Il sole luccicava sul mare splendente, che rifletteva i raggi inondando di luce tutto lo spettacolo di fronte a sé. Da quell’altezza le montagne sembravano ancora più vicine, erano come una vecchia tartaruga che con passi lenti si avvicina a loro. Avanzò più in alto di qualche metro per appollaiarsi in una posizione decisamente scomoda e pericolosa sulla punta dell’albero maestro, facendo di sicuro preoccupare i marinai e il quartiermastro, mentre il capitano Martin si faceva qualche grossa risata. 

Era arrivata. 

*** 

Il ramo su cui stava camminando Shay, con passi felpati e accovacciato, scricchiolò sotto i suoi piedi. Immediatamente si fermò indietreggiando, quando notò il suo bersaglio alzare di scatto la testa e guardare nella sua direzione. Non lo vide, grazie alle fronde degli alberi che lo coprivano da qualsiasi vista. L'altro si spostò comunque un po’ più avanti, lasciandosi fresche impronte dietro sulla neve, così Shay lo seguì stando attento a dove mettesse i piedi. Se si faceva beccare, sarebbero stati guai grossi. Quando sentì il ramo iniziare a cedere sotto di sé si spinse in avanti contro il tronco dell’albero successivo, afferrandolo di striscio e tirandosi sopra. Per fortuna il suo obiettivo era a qualche metro da lui, non era ancora stato visto. 

Per una manciata di minuti rimase immobile, abbarbicato tra i rami principali che si diradavano dal tronco, pensando a cosa fare. Poteva salire ancora più in alto, ma avrebbe perso tempo e l’altro se ne sarebbe andato via. Oppure poteva procedere verso l’albero successivo, ma il ramo non sembrava tanto stabile. Il bersaglio si mosse ancora di qualche passo attirato da un altro rumore della foresta, quindi si mosse d’istinto in avanti scoprendo che, sì, il ramo teneva, però dovette aggrapparsi al tronco come uno scoiattolo per il movimento altalenante del legno oppure sarebbe caduto di sotto in un cumulo di neve. L'altro non si era ancora accorto di nulla, per cui si mosse più vicino spostandosi ancora. 

L'aria era immobile. I fiocchi di neve cadevano volteggiando di fronte ai suoi occhi, impigliandosi nei suoi capelli, il vento gelato e leggero gli soffiava in faccia tingendogli sempre di più il naso di rosso, che avvertiva sempre più forte l’odore penetrante degli agi di pino e quello dolciastro della linfa degli alberi. La foresta tratteneva il respiro mentre lui puntava gli occhi sul suo bersaglio, pensando a mente lucida e fredda. Non aveva un fucile con sé, avrebbe fatto troppo rumore, attirato troppa attenzione, gli bastavano le lame celate nelle maniche e tutto sarebbe filato liscio come l’acqua sul ponte di una nave. 

Fu una questione di pochissimi secondi: nel silenzio in cui erano immersi lui e la sua preda ci fu il fruscio delle sue lame celate che si attivavano, questa si voltò di scatto verso di lui che fu l’ultima cosa che vide quando calò sul suo bersaglio. Un balzo, un gesto fulmineo del braccio e la grossa cerva adulta che stava ormai inseguendo da quasi un’ora cadde morta ai suoi piedi con spruzzi di sangue rosso accecante sulla neve fresca e immacolata. Shay aveva il fiatone per l’adrenalina che ancora gli correva per il corpo, rendendolo euforico di essere finalmente riuscito ad abbattere la sua preda. 

Aveva la cena per quella sera! 

Si era appena chinato per caricarsi l’animale in spalla, quando un tonfo e dei passi felpati traditi dallo scricchiolio della neve lo avvertirono della presenza di uno dei suoi maestri. Kesegowaase sembrava molto soddisfatto della lezione. 

«Bravo, Shay! Vedo che sei migliorato molto migliorato col passo leggero. Adesso vediamo di portare la cerva alla tenuta.». 

Poi aiutò Shay a caricare la carcassa sulle spalle, quasi facendolo stendere a terra. Sentì l’aria venirgli spremuta via a forza dai polmoni lasciandolo senza fiato per qualche infinito secondo, dove l’unica cosa che riusciva a fare era osservare la neve fredda che gli sfiorava il naso già rosso per il vento gelido. Allargò le gambe, afferrò con una presa più salda la cerva che gli gravava sulle spalle e con un unico colpo di reni si tirò su in piedi, quasi cadendo all’indietro se non ci fosse stato Kesegowaase ad afferrarlo. L'Achigo rise alla vista della goffaggine dell’allievo, che vedeva tremare per lo sforzo sotto l’animale. 

«E non ridere, voglio vedere te con questo affare sulla schiena!». 

L'altro gli rispose con una piccola palla di neve sul naso. 

«Non è un “affare”, è un animale, una creatura della natura per cui devi portare rispetto se oggi hai ancora un pasto caldo sotto il naso. Faremo a turni. Forza, inizia a camminare.». 

La tenuta distava solo venti minuti, anche se ci avevano impiegato quasi un’ora ad arrivarci fermandosi a ogni passo. Con la neve e una cerva sulle spalle, Shay aveva come l’impressione che ci avrebbe messo decisamente di più. Alzò lo sguardo verso la casa che svettava in cima alla collina. Era anche in salita, merda. Una nuvoletta di vapore gli sfuggì dalle labbra, prima di fare il primo passo con la sensazione di essere Atlante che sorregge il cielo stesso. Quando riuscì a trovare il ritmo giusto, fu colto da un’onda di entusiasmo che lo fece andare avanti senza fermarsi. 

I polmoni gli bruciavano, respiravano aria congelata e rilasciavano nuvolette di vapore di fronte a sé, mentre i suoi piedi scricchiolavano a ogni passo nella neve. Era un peccato rovinare con le sue impronte quel bianco immacolato. Alternava lo sguardo tra la foresta di fronte a sé e le sue gambe stando attento a non inciampare. Era pomeriggio, forse le 16, e la luce del sole risplendeva tra i fiocchi di neve che calavano lievi, danzando nell’aria. Piccoli sprazzi di cielo azzurro facevano capolino tra una nuvola e l’altra, forse avrebbe smesso di nevicare e sarebbe finalmente arrivato il sole primaverile che da mesi ricercavano. Non che l’inverno a Rockport non fosse magico, anzi sembrava di essere in una delle fiabe che sua zia gli raccontava da piccolo prima di andare a dormire. La primavera però aveva un sapore di diverso, di rinascita. Sapeva di novità. 

Arrivarono alla tenuta prima del previsto, Shay e Kesegowaase si erano fatti scambio a metà strada. La schiena del ragazzo newyorkese aveva schioccato dal sollievo di essersi tolta quel peso morto. Aveva continuato a camminare nella neve con passo ritmico senza mai fermarsi finché con le gambe tremanti e infreddolite non era arrivato di fronte alla facciata rossa della tenuta del suo Mentore. A differenza di quando era partito per la battuta di caccia con Kesegowaase, c’era molta agitazione in giro. Di solito, Rockport era un posto tranquillo, immerso nelle foreste innevate del Massachussetts, a poche miglia da Boston, quindi di solito vigeva la calma e la tranquillità in quel luogo bagnato dal freddo Oceano Atlantico. 

«È successo qualcosa?» chiese Shay quando vide primo che gli passò di fronte con una cassa all’apparenza molto pesante in mano. Il poveretto cercò di guardarlo in faccia, ma tra la neve scivolosa per tutti i passi affrettati che vi erano passati sopra e il baule, quasi cadde a terra. Shay fu pronto ad afferrarlo per un braccio e stabilizzarlo sui suoi piedi, poi lo incalzò a rispondere. 

«È arrivata una nave.». 

«Una nave? È già arrivato Adéwalé?». 

«No, Adéwalé dovrebbe arrivare tra qualche giorno. Ouch! Senti, Shay perché non chiedi a Liam? Non ci sto capendo nulla, Achille continua a litigare con Chevalier per questa stramaledettissima nave!». 

Detto ciò, girò i tacchi scivolando e si diresse verso il magazzino con passo incerto. Shay corrugò le sopracciglia e lanciò uno sguardo a Kesegowaase che, stoico, era stato ad ascoltare la conversazione senza battere ciglio, la schiena perfettamente dritta nonostante la cerva che sorreggeva. Il nativo d’America sembrava accigliato e molto confuso, tanto quanto Shay che ricercava nel suo sguardo una qualche risposta. 

«Oltre alla Experto Crede, non stavamo aspettando altre navi, ragazzo. Non ho idea di chi sia, magari è successo qualcosa in Europa o dalle altre Confraternite.». 

«E perché mai Chevalier e Achille dovrebbero litigare al riguardo?». 

Kesegowaase per quanto incredibilmente possibile alzò le spalle, facendo sobbalzare in modo inquietante la cerva che li stava fissando con occhio spento e macabro. Osservando la povera bestia, non aveva un granché voglia di cenare quella sera, forse giusto un brodino caldo per non congelarsi anche l’anima. Reprimendo un verso di disgusto, riprese a parlare. 

«Allora, io direi che tu sistemi questa... creatura, io vado a vedere cosa succede! Ci vediamo a cena, Kesegowaase.». 

Finì la frase che stava ancora correndo all’indietro, mentre l’altro contrariato cercava di raggiungerlo invano. L'Achigo poteva pure essere una vera e propria forza della natura, ma contro un cervo morto sulle spalle e il ghiaccio ai piedi neanche lui poteva molto, quindi si arrese e si diresse verso le cucine. Shay ridacchiò per averla scampata un’altra volta e si mise a correre verso il porto, d’altra parte della tenuta. Appena superata la casa coloniale il mare gli si aprì davanti ruggendogli tra i capelli. Finalmente aveva anche smesso di nevicare, quindi il sole splendeva in tutta la sua gloria riflettendosi sulla neve appena scesa. Attraccate al porto c’erano quattro navi, la sua Morrigan, L’Aquila del suo Mentore, la Gerfault, il vascello di Chevalier, e un brigantino belga su cui svettava la scritta Reine du soleil. C'era un via vai continuo tra la banchina e la casa, tutti erano indaffarati a portare casse contenenti chissà cosa. Su una vide che c’era scritto “Vin et liqueurs”. La lingua dell’alcool era universale, quindi persino un ignorante come lui capì che si trattava di qualcosa di molto gradito dai suoi fratelli Assassini. Ciò che però non capiva era perché Achille non ci stesse mettendo il suo stesso entusiasmo nel ricevere tutto quel ben di Dio e che anzi stesse litigando con Chevalier, in mezzo Hope e Liam che li guardavano sconvolti. 

Chevalier era normale che litigasse con chiunque, persino con gli alberi a momenti. Con Shay volavano più insulti che saluti la mattina presto. Le uniche persone in tutta la Confraternita coloniale che sembravano non essere oggetti della sua ira, erano Achille e Hope, il primo perché letteralmente il suo capo e la seconda non si sapeva di preciso. L'Assassina incuteva un po’ a tutti un certo timore reverenziale, persino all’orso brontolone canadese. 

Da quella distanza non riusciva a comprendere una sola parola, sentiva solo le urla tuonanti di Achille, arrabbiato come non lo aveva mai visto, e le risposte piccate e scocciate di Chevalier, che, mentre il Mentore si sbracciava come un naufrago e camminava in tondo, se ne stava impalato nella neve inamovibile e con le braccia incrociate sul petto. Poco dietro di lui una figura incappucciata cercava di intervenire, ma Chevalier la zittiva repentinamente, ma senza cattiveria nella voce. 

Che spettacolino! Sarebbe un peccato perderselo. 

Come una vecchia pettegola, Shay si diresse a grandi passi presso il gruppetto, raggiungendo Liam e Hope da dietro, muti spettatori del siparietto tra Achille e Chevalier. Ebbe anche modo di poter finalmente vedere la figura alle spalle dell’esploratore che si torceva le mani in preda all’ansia e muoveva i piedi per riscaldarsi. Quelle scarpe non erano affatto adatte alla neve, infatti l’estraneo continuava a spostare il peso da una gamba all’altra con l’eleganza di una funambola che cammina su un filo sottile. Si fermò alla destra di Liam, che con le braccia incrociate spostava gli occhi da una parte all’altra in silenzio, mentre Hope alla sinistra di Shay cercava di inserirsi nel discorso per calmare gli animi, ma le risposte dei due erano così fulminee e avvelenate da non poter intervenire, lasciandosi sfuggire commentini a mezza voce su quanto fossero primedonne gli uomini. 

«Dovevi avvisarmi! Joseph, riconosco che stai facendo un grande servizio alla Confraternita, ma questo non ti da il diritto di fare ciò che ti pare!». 

«Achille! Andiamo, non fare storie! Non ho fatto nulla di male, abbiamo una recluta in più.». 

«Non è quello il punto! Non devi fare le cose alle mie spalle! Che figura ci faccio con gli altri Mentori al di là dell’Oceano? Di uno che non sa tenere a bada i suoi Assassini!». 

«Tu non devi tenere a bada nessuno, tantomeno me! E poi, Mireille è mia cugina e le ho detto che eri d’accordo, quindi non ci hai fatto una brutta figura, ami». 

Tutti trattennero il fiato, perché quando Chevalier iniziava a usare diminutivi allora bisognava scappare se si voleva sfuggire alla tempesta di insulti in arrivo. Achille però era una montagna inamovibile e caricò la dose. 

«Ah! Hai addirittura mentito! A un membro del Consiglio francese per giunta! A MIREILLE, che, ti devo ricordare, ha mandato lei stessa John qui a fondare la nuova Confraternita! Ma io dico, ti si è gettato in mare il cervello? Hai mentito al capo di una delle nostre più importanti Confraternite! E per giunta, le hai tolto anche un membro con l’inganno!». 

«Con l’inganno! Ma ti senti quando parli? Ma quale inganno, tu stesso hai detto che volevi più reclute ed eccotene una! Non abbiamo nemmeno bisogno di addestrarla, è da ben sei anni un’Assassina a tutti gli effetti e anche più competente di tutti gli idioti che abbiamo ora. Ti ho fatto un favore, Mentor! E poi non ho mentito a mia cugina, d’altronde tu sei d’accordo nell’accoglierla, no? Ho solo velocizzato i tempi. Su, Achille, ami, non farne un dramma!». 

L'attenzione di tutti ricadde sulla figura incappucciata che scattò sull’attenti quando venne interpellata. Si trattava di una ragazza, guardando i lunghi capelli caramellati che uscivano dal cappuccio. Fece un passo avanti, leggera come i fiocchi di neve che prima volteggiavano sul naso di Shay, poi si abbassò il berretto che le copriva il volto. Sul volto pallido della ragazza vi si leggeva un grande disagio e imbarazzo, nonostante gli occhi brillassero di calda determinazione. Aveva le labbra di un rosso intenso preoccupante, quasi tenente al viola, e il naso e le guance bordeaux per il freddo. Tremava, i vestiti inadatti a quelle basse temperature, ma restò ferma dov’era, sicura di sé e delle sue parole, velate da un accento francese. 

«Monsieur Davenport, mi spiace crearvi un tale disturbo. Se lo ritenete necessario, ritornerò in Francia senza fare storie.». 

Chevalier stava per rispondere, ma fu zittito da un’occhiataccia che non ammetteva repliche dalla ragazza, sorprendendo tutti persino Achille che non rispose subito, quasi si fosse dimenticato la presenza della nuova arrivata. Hope colse l’occasione per intromettersi. 

«La nostra ospite sta congelando, che ne dite di parlare di fronte al camino invece che qui fuori?». 

Tutti annuirono silenziosamente. Achille fu il primo a dirigersi a grandi passi verso la sua tenuta, forse per grattarsi il cervello per trovare una soluzione a tutto quel pasticcio. Fu seguito a ruota da Hope, Liam e Shay, lasciando da soli Chevalier e la nuova ragazza, che parlottavano tra loro in francese. L'Assassina sembrava piuttosto seccata mentre sommergeva di parole l’altro, senza dargli tempo di rispondere, lasciandolo interdetto e facendogli abbassare la testa. 

Già mi piace questa. Deve avere un bel caratterino per poter mettere in riga quel musone di Chevalier. 

«Non ci pensare nemmeno.». 

La voce di Liam sembrò provvidenziale in quel momento. Si voltò verso il suo più vecchio amico con un sorrisetto sulle labbra. 

«Pensare a cosa?». 

«Non fare il finto tonto con me, Shay. Non è il caso, anche perché se ne andrà presto.». 

«E come fai a saperlo, Principe Reggente degli Assassini?» lo canzonò divertito, rischiando di finire con la faccia nella neve quando Liam tentò di acciuffarlo. Finì per sbattere contro Hope che lo rispinse indietro infastidita. 

«A volte sei proprio un bambino, Shay! E Liam, non fare previsioni affrettate. Chevalier aveva ragione, Achille stava cercando altre reclute e lei è già addestrata e con un’esperienza alle spalle. Ci risparmierebbe risorse e fatica.». 

Per il resto del tragitto restarono in silenzio, gli unici rumori erano il fruscio del mare e la neve che scricchiolava ai loro piedi. Una volta raggiunta la tenuta si diressero tutti nel salotto, dove svettava il camino. Achille era già lì davanti ad attizzare le fiamme per riscaldare l’ambiente, lo sguardo cupo e concentrato sul fuoco, pensieroso. 

«Perché siamo qui? Non dovrebbe essere una conversazione tra Chevalier, Achille e la francesina?». 

Si beccò un’occhiataccia da Liam che sollevò un sopracciglio con aria di sufficienza mentre si posizionava di fianco al camino. 

«Ma stai zitto, che sei un pettegolo. Sei peggio delle vecchiette che si mettono di fronte alla Chiesa dopo il sermone del pastore. Ti manca solo lo scialle sulla testa e sei una perfetta nonna di New York.». 

Shay ridacchiò in risposta, spalmandosi su una poltroncina. Sentiva i muscoli rilassarsi uno dopo l’altro e le ossa sgranchirsi dopo ore passate in mezzo alla neve a congelare. La voce gracchiante di Chevalier però quel giorno non voleva dargli pace. 

«Shay! Ma dove sono finite le tue maniere, razza di animale! Lascia il posto alla signorina Dubois.». 

Shay non si voltò nemmeno, indicando l’altra poltrona proprio vicino alla sua. 

«Ma se ci sono due poltrone!». 

«E io dove mi siedo? Per aria? Sugli scaffali?». 

Non aveva voglia di rogne in quel momento, già più tardi avrebbe dovuto affrontare un imbronciato Kesegowaase, non poteva inimicarsi tutti gli Assassini in un giorno solo! Quindi balzò in piedi con le sue rotule che protestavano, voltandosi verso la ragazza invitandola con un gesto esageratamente elegante a sedersi sulla poltrona. Lei lo guardò per la prima volta in faccia, con un paio di gentili occhi castano chiaro coperti dai capelli biondi. Con un cenno del capo e un “merci” sussurrato dalle labbra fredde si sedette al suo posto, stringendosi nei suoi vestiti. Osservandola più da vicino era la più minuta di tutti quanti, persino di Hope, ma riconosceva il passo leggero e sicuro di un Assassino con grande esperienza e le mani che teneva intrecciate di fronte a sé erano segnate da molte cicatrici sbiadite, soprattutto sui palmi. Si muoveva con una grazia fuori dal comune, come se fosse una ballerina sempre in scena. 

Achille per la prima volta si rivolse alla ragazza. 

«Ho chiesto di preparare del tè, signorina. Dovrebbe arrivare tra poco.». 

L'altra annuì senza fiatare, allungando le mani verso il fuoco per riscaldarsi. Anche le nocche e le punta delle dita erano arrossate, però non tremavano nonostante il freddo, segno di una mano ferma e precisa. Dopo qualche secondo di silenzio, prese parola. Rovistando nelle tasche, tirò fuori una lettera con un sigillo. 

«Monsieur Davenport, questa lettera è da parte della mia Mentor. Ha detto di leggerla prima ancora di parlare con me. Non ho idea di cosa le passasse per la testa.» disse scuotendo la testa sconsolata. Achille prese la lettera e rimase in silenzio giusto il tempo di leggerla, poi sospirò. Si rivolse alla nuova arrivata e fece una domanda. 

«Come vi chiamate?». 

«Claudette Dubois.». 

«Da quanto tempo siete nella Confraternita?». 

«Da quando ho 17 anni, monsieur. Sono sei anni che seguo il Credo.». 

Shay fece un piccolo calcolo e gli si accese una candela in testa quando si accorse di una cosa. 

È più grande di me! Ha 23 anni questa? No dai, non ci credo, ne avrà sedici su! 

Si tenne per sé le sue osservazioni, anche perché Liam gli aveva lanciato una delle sue occhiatacce da “Stai zitto o ti zittisco io”. Achille invece si passò distrattamente una mano sugli occhi, stanco di tutte quelle urla. Quando Chevalier aprì bocca, il Mentore alzò di scatto la mano per ammutolirlo. 

«Sto parlando con Claudette, non con te, Joseph. Quante missioni vi hanno affidato e avete portato a termine?». 

Claudette fece un’espressione confusa, le sottili sopracciglia si incresparono leggermente e arricciò il naso come un riccio infastidito. 

«Non vi fidate della mia Mentor? La stessa che ha mandato John de la Tour a fondare questa Confraternita? Perché mi state facendo questo interrogatorio? Sarò diretta, monsieur, comprendo che vi siate infastidito all’iniziativa di Chevalier, ma mettere in dubbio le parole della mia Mentor non mi sembra un comportamento adeguato. Invece di stare a fare domande inutili, mettetemi alla prova, vedete con i suoi occhi se sono capace di rientrare tra le sue fila.». 

La stanza calò nel silenzio, con solo il suono dei tizzoni scoppiettanti in sottofondo. La voce di Claudette non aveva tremato, a testa alta aveva guardato Achille negli occhi con autorevolezza. Sebbene fosse la più bassa tra tutti, all’improvviso sembrava un gigante. Shay spezzò la tensione con una risata e si avvicinò alla ragazza per piantarle una manata sulle spalle. Non si mosse neanche di un centimetro. 

«Hai le palle! Andiamo, Achille, è qui da qualche ora e già ti ha zittito. Mettiamola alla prova, vediamo come se la cava qui in mezzo alla neve. Forza, dalle la possibilità di dimostrarci di cosa è capace.». 

Claudette sollevò lo sguardo su di lui. Quel ragazzo era decisamente strano, dalla punta della scarpa sporca di terra e neve al suo ridicolo pizzetto ghiacciato. Sentiva un fuoco di fastidio crescere in lei a quella confidenza non richiesta e dovette sforzarsi di non schiaffeggiargli la mano per rimetterlo a al suo posto. Ci pensò Chevalier a intervenire. 

«Lei non ha bisogno di dimostrare un bel niente! Garantisco io che è una delle più capaci Assassine di Europa e di certo è molto più capace di te, Shay! E metti giù quelle mani, disgraziato, prima che ti rompa una per una quelle dita sudicie!». 

Shay sollevò subito le mani in segno di scusa, lanciando un sorrisetto divertito a Claudette. Aspetta un attimo, era un occhiolino quello? Prima che la ragazza avesse il tempo per indignarsi, Achille riportò la calma. 

«D’accordo, ho capito! Claudette, non oserei mai dire nulla in contrario su Mireille, era una carissima amica di John e ne ha sempre parlato molto bene, quindi mi fido della sua parola. Voglio comunque vedere con i miei occhi di cosa siete capace. Per cui, vi do ufficialmente il benvenuto alla Confraternita delle Colonie Britanniche in Nord America, Claudette.». 

Gli occhi della ragazza brillarono alla luce del fuoco di felicità alle parole del Mentore. Sembravano risplendere di una luce tutta loro, mentre con parole emozionate rispose. 

«Oui, monsieur Davenport! Anche io sono molto felice di essere arrivata qui.». 

Achille sorrise, poi lanciò un’occhiata gelida a Chevalier che già si stava alzando in cerca di una bottiglia di vino sta stappare per l’occasione. 

«Che sia però l’ultima volta di una sbandata tua, Joseph. La prossima volta voglio che ti consulti con me PRIMA di mandare la lettera a chissà quale altro tuo parente.». 

Chevalier agitò la mano per nulla a disagio a quella elegante minaccia, trovando finalmente la bottiglia e stappandola, versando il vino nei bicchieri. 

«Oui, oui, non brontolare adesso, Achille! Alla fine ti ho solo fatto un favore!». 

Achille alzò gli occhi al cielo mentre Chevalier gli ficcava in mano a forza un bicchiere. Quando tutti ebbero la loro porzione, sollevarono i calici per brindare. Shay era particolarmente allegro, quindi si sporse verso Claudette mentre questa si portava il bicchiere alle labbra. Le sussurrò all’orecchio freddo con il fiato caldo, alleggerito da un lontano e piacevole sentore di alcool. 

«Benvenuta a bordo, Claudette.». 

 

*questa è una citazione al libro “Novecento” di Baricco. Non potevo non inserire questo pezzo! 

  
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