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Autore: moganoix    04/02/2022    1 recensioni
Felix, Changbin, Chan:
Un minuto semidio, un alchimista perso nelle nuvole, un soldato senza macchia e senza paura (forse).
A causa di un'arcana profezia, al secondo tocca uccidere il primo sotto la supervisione del terzo, ma non tutto andrà per il verso giusto...
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["Affinché nostra Madre Terra fiorisca
Felicità, ogni cent'anni, appassisca."]
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!!Chanlix/Changlix!!
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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Changbin non era troppo abituato a fare attività fisica, se da essa si escludevano specialità tipiche dei Filosofi come ‘passare la notte chinato sui libri senza lamentarsi del mal di schiena’ o ‘trattenere gli sbadigli durante le lezioni di formazione’. Poteva affermare di essere un mago in entrambi, e, a dispetto di quello che ogni comune individuo dotato di buon senso avrebbe potuto pensare, il novizio era fermamente convinto che il primo dei due fosse la sfida meno dura da affrontare. Quando i suoi confratelli gli domandavano come facesse ad essere tanto bravo in entrambe le arti, Changbin era solito rispondere: “Anni di arduo allenamento hanno finalmente dato i loro frutti”. E, in più, gli toccava portare ogni giorno Miss Binnie a spasso, ostica impresa soprattutto durante le prime settimane di convivenza forzata. Mettersi a fianco della Tarantola e portarla a fare un giro sulle montagne lì accanto poteva essere considerato il massimo dello sforzo possibile per il novizio, tante volte, quando l’animale si arrampicava per diletto su alcune pareti rocciose, si limitava a tenerlo d’occhio la lontano, senza prendere in considerazione nemmeno per un secondo l’idea di seguirlo nella sua scalata. Per questo motivo, quando intorno a mezzogiorno Miss Binnie tentò, in modo apparentemente del tutto casuale, di scrollarselo di dosso e di deviare brutalmente il percorso verso un dissestato sentiero laterale, Changbin fece veramente fatica a non perdere l’equilibrio e a restare aggrappato alla corazza dell’animale, che, evidentemente infastidito e stizzito, cominciava letteralmente a ribollire. Changbin sentiva il magma nel cuore di Miss Binnie gorgogliare e borbottare allo stesso ritmo del battito del proprio, il sangue gli pulsava nelle vene, le mani e le braccia bruciavano a causa del contatto con la pietra bollente del guscio e tremavano sotto l’istinto di staccarsi e lasciarsi cadere tra la fitta boscaglia, in uno spinoso labirinto di rovi, cespugli e serpenti. Il novizio strinse i denti, intimò all’animale di fermarsi in un sordo grido di puro terrore, e solo quando la Tarantola emise un acuto stridio di diniego in risposta, si accorse della grassa bestia che li stava inseguendo. Un’enorme massa scura si muoveva agile e scattante nell’intricata trama di nodose radici e pungente fogliame, completamente a suo agio nel percorso ad ostacoli a misura di lupo su cui invece Miss Binnie goffamente inciampava e ruzzolava tirandosi dietro Changbin che, ormai a corto di energie, le spesse maniche della tunica da novizio orribilmente consumate e gli occhi che lacrimavano per il calore emanato dal corpo della Tarantola, era sul punto di cedere. Tutto quel saltare in alto e in basso lo nauseava, massacrava i suoi fini muscoli da uomo di scienza, il fumo che inevitabilmente inalava gli dava alla testa e confondeva i suoi sensi già corrotti e sballottati dalla rocambolesca corsa in cui Miss Binnie – a questo punto, intuì Changbin, spaventata dall’enorme lupo che li inseguiva – si era inavvertitamente lanciata. Se fossero rimasti con Felix il problema non si sarebbe posto, il piccolo dio aveva chiaramente stabilito che poteva imporre la sua volontà sugli animali che lo circondavano e avrebbe fatto in modo di cacciare la belva impazzita senza conseguenze ulteriori. Si chiese, nel panico, se per caso avessero invaso il suo territorio, la spiegazione più plausibile di quell’attacco era comunque quella che il lupo si fosse spaventato a causa dell’imponenza estranea di Miss Binnie. Sentì all’improvviso un urlo provenire alle sue spalle, Chan a cavallo incespicava dietro al lupo, probabilmente nell’intento di aiutarlo. Changbin, sull’orlo di svenire per la paura, riuscì a trovare la forza di voltare il capo verso il compagno e, nella foga, notò che teneva le briglie strette in una mano, mentre l’altra, sollevata in aria, prendeva la mira e si accingeva a trafiggere il lupo con un affilato coltello da lancio.
Non servì, in una frazione di secondo il lupo collassò a terra mugolando. Lamentò dolore per un paio di secondi, per poi accartocciarsi, in un ultimo, agonico, inquietante spasmo, su se stesso. Miss Binnie, avvertendo di non essere più in pericolo, riuscì a calmarsi e, dopo alcuni attimi di titubanza, si decise a fermarsi, lasciando che Changbin rotolasse giù dal suo guscio roccioso e si lasciasse cadere sul fitto tappeto erboso. Il novizio, esausto e completamente scombussolato, si trattenne dal vomitare quel poco che aveva mangiato a colazione, restò sdraiato a terra qualche secondo, scombinato dalla botta che il tonfo gli aveva causato e dal capogiro della corsa. In pochi secondi sentì il trotto di un cavallo raggiungerlo e Chan accanto a lui che, prendendolo per le spalle, gli chiedeva se stava bene. Changbin chiuse gli occhi, si prese il viso tra le mani e, sollevando le braccia che ancora bruciavano per le ustioni ricevute, domandò un minuto per riprendersi. Chan si sedette accanto a lui e, con calma, gli tolse di dosso la spessa tunica di novizio per esaminare la condizione delle mani e delle braccia del compagno di viaggio. Per tutto il tempo, Changbin aveva avuto l’accortezza di non appoggiare le mani direttamente sulla corazza della Tarantola, ma di utilizzare le maniche della tunica per ripararsi minimamente dal calore diretto, quindi Chan, con un sospiro di sollievo, dopo qualche istante, annunciò: “Lo spessore della giacca ti ha salvato la pelle, letteralmente dico. Le ustioni sono solo superficiali, anche se credo che siano parecchio estese. Riesci a camminare?”
Changbin annuì semplicemente in risposta e, con l’aiuto del biondo, si mise in piedi barcollando. Si voltò indietro verso Miss Binnie che, fattasi piccola piccola, gli domandava scusa con gli occhi. Sospirò e, benché fosse infastidito dal suo comportamento, alla fine le sorrise e le sia avvicinò per accarezzarle il muso: “Non preoccuparti, ti sei spaventata…”
Mentre tranquillizzava l’animale, però, scorse un rapido scatto con la coda dell’occhio. Una figurina sottile vestita di caldo smeraldo era graziosamente planata accanto alle spoglie del grosso lupo che li aveva rincorsi. Changbin ne seguì i dolci movimenti con lo sguardo, la vide inchinarsi con umile rispetto di fronte alla maestosa bestia e poi inginocchiarsi proprio accanto al cadavere, incassando la testa tra le spalle e congiungendo le mani come per chiudersi in una fitta, disperata, preghiera. Solo dopo qualche istante il novizio riuscì a mettere a fuoco l’arco e la faretra che sporgevano dalla linea soffice della schiena dello sconosciuto, e nello stesso momento si accorse della lunga asta lignea che sporgeva crudelmente dalla carne senza vita dell’animale. Voltò il capo verso Chan in una muta richiesta, il soldato annuì e, aiutandolo a mettere in fila i primi passi tra le basse sterpaglie, si fece avanti con lui verso l’eterea silhouette. Da lontano non si poteva distinguere bene, ma avvicinandosi Changbin si stupì dell’innaturale colore bluastro che i folti capelli del piccolo uomo riflettevano. Era un blu pieno, gli venne da pensare, dello stesso tono dei nontiscordardime. Si fermarono a pochi passi di distanza, il tipetto era ancora impegnato nella sua preghiera, sofferentemente chinato fin quasi a baciare la carcassa dell’animale morto. Il novizio lo sentì emettere un lievissimo singhiozzo quando, in ultimo, afferrò la freccia conficcata nel corpo e la sfilò dalle carni già turgide. Si sforzò di concentrarsi sul suo viso, ne seguì lentamente i tratti affilati e l’espressione invece incredibilmente tenera, che nella sua delicatezza faceva a pugni con l’asprezza dei lineamenti da volpe che terminavano in bellezza sull’acuta, raffinata, punta delle orecchie. Ecco spiegata l’eleganza nei suoi modi, Chan e Changbin erano di fronte ad un elfo.
Quando l’elfo si alzò in piedi Chan si affrettò a piegarsi in un breve inchino, fermandolo mentre già stava per scappare via: “Grazie per averci salvato!”
L’elfo sollevò lo sguardo verso di loro, mettendo in mostra per la prima volta le splendide iridi del colore del ghiaccio, senza vergognarsi delle guance scavate dall’amarezza delle lacrime piante per la morte dell’animale: “Ho ucciso un alfa. Aveva una compagna, anche dei cuccioli probabilmente, ma ho dovuto ucciderlo perché non riuscivo a mettermi in contatto con lui. Noi elfi possiamo comprendere le emozioni degli animali che vivono con noi, lui aveva così paura di voi…”
Il piccolo elfo si rabbuiò, stringendosi nella leggera mantella verdognola che gli copriva le spalle, per poi continuare: “E non capisco perché… Non siete i primi a cui succede, lui non è il primo lupo che sono costretto ad uccidere, ma voi… Voi pellegrini viaggiate insieme al mio dio, Felix, la Fonte della Felicità. Non avrebbe dovuto attaccarvi. Tutti gli animali hanno rispetto del dio Felice.”
Changbin rabbrividì, avvertiva nel tono dell’elfo un’indicibile pena, angoscia e tremenda afflizione per quell’animale che, lo sapeva, lo aveva appreso durante una delle tante lezioni di biologia e zoologia alla Casa, l’altro molto probabilmente considerava alla stregua di un fratello. Si schiarì la voce e, tentando di non mostrarsi troppo dolorante per le leggere ferite riportate, annunciò in tono di cordoglio: “Ci dispiace per quello che è successo, probabilmente abbiamo invaso la tana del suo branco senza nemmeno accorgercene. Libereremo il sentiero il più in fretta possibile in modo da non disturbarvi oltre.”
“Viaggiamo con una Tarantola magmatica dell’Est, probabilmente la sua presenza lo ha allarmato a tal punto da indurlo ad attaccarci” intervenne Chan, seguendo la scia di pietose giustificazioni messe in fila dal novizio.
L’elfo, in risposta, scosse il capo, mormorando con tono frustrato: “Non capite, l’alfa non era in sé…”
Si avvicinò poi di punto in bianco a Changbin, scavalcando leggiadro la carcassa, per osservare più da vicino tutto il tratto di pelle che era rimasto ustionato: “Sarei un pessimo elfo se, dopo aver ucciso un lupo tanto splendido, ti lasciassi andare via con queste ferite. Non sono gravi, potresti curarle da solo, ma scommetto che viaggiando le faresti infettare nel giro di un paio di giorni.”
L’elfo accennò ad un sorriso mentre, con dolce sicurezza, proponeva: “Fermatevi un paio di giorni al mio villaggio, non è lontano. Oggi ero di vedetta, ecco perché vi stavo tenendo d’occhio. Avrei potuto intervenire prima, se non avessi voluto aspettare non saresti ridotto in questo stato.”
Chan provò a rifiutare la proposta del piccoletto, avevano appena ristabilito una nuova tabella di marcia e non potevano permettersi di accumulare altro ritardo, ma le misere condizioni di Changbin lo obbligarono a desistere. Assieme all’elfo, che nel mentre si era presentato come Yang Jeongin, raggiunsero Felix e proseguirono verso il villaggio del primo, e nessuno di loro, in fondo, una volta giunti a destinazione circa venti minuti dopo, se ne pentì, nemmeno Chan.
“Spero che nessuno di voi soffra di vertigini…” ridacchiò Jeongin con voce melodiosa e decisamente più tranquilla appena prima di voltare il capo verso le altissime fronde degli alberi e gridare nella sua soave lingua un qualche segnale che solamente Felix parve comprendere. Changbin vide il piccolo dio sorridere all’improvviso, come avesse finalmente riconosciuto il luogo in cui l’elfo li stava trascinando. Non ebbe comunque il tempo di domandargli spiegazioni che un fascio di luce lo colpì in pieno volto. Per un momento coprì gli occhi con il dorso di una mano, ma appena comprese che cosa stava succedendo non poté fare a meno di spalancarli di nuovo per godersi lo spettacolo. Un gorgogliante rumore metallico accompagnava la danza dei raggi di luce riflessa che parevano provenire dal fitto, fresco, fogliame; ingranaggi, rotelle, impalcature di ferro e legno vibravano e scricchiolavano immersi nei rassicuranti suoni della natura mentre, come in una magia, ampie pareti di fogliame si aprivano per rivelare, al di sopra di esse, un’intricata rete di corde e liane intrecciate che saltavano da un tronco ad un altro, collegando ogni albero presente lì intorno.
“Specchi…” sussurrò Changbin incredulo, mentre Felix, al suo fianco, si apriva in un sorriso gigantesco. Chan fu l’ultimo ad accorgersi dell’inganno, l’ultimo a riconoscere, come meravigliose, luccicanti gemme incastonate nella roccia più dura, tutte le casupole arroccate l’una accanto all’altra sopra i solidi intrecci formati dai rami degli alberi secolari che dominavano quel tratto di bosco. Gli specchi riflettevano il verde delle foglie, dei cespugli, dell’erba fine e celavano alla perfezione le brulicanti attività della città sopra di essi.
Jeongin sorrise nel vederli tutti e tre tanto stupefatti, e pronunciò allora nella sua lingua il nome del villaggio: “Tillvah. Nella lingua degli elfi significa letteralmente ‘Colei che sale, colei che cresce, colei che prospera’.”
L’elfo chiese che mandassero giù una carrucola per poterli, pochi per volta, sollevare e far giungere al villaggio e, mentre uno per uno attendevano il loro turno, Felix non riuscì a trattenersi dall’esclamare: “Non credevo che sarei mai riuscito a visitare questo posto! Tanti animali me ne parlavano, ma… ma…”
Scosse il capo, incapace di pronunciare, gli occhi sgranati e giganteschi, in profonda adorazione, una sola parola in più.
Jeongin non mancò di dimostrare il suo stupore per l’inaspettato interessamento del suo dio e gli promise di condurlo, ovviamente dopo pranzo e dopo aver portato Changbin a farsi curare le ferite, in uno speciale tour appositamente per lui. Se ciò che attirava Felix, e un po’ anche il povero Chan, che fino a quel momento aveva sempre vissuto in piccole capanne ben assestate al terreno, era la capacità degli abitanti di muoversi in modo tanto fluido e naturale in mezzo ad un ambiente così ostico, Changbin, al contrario, non riusciva a staccare gli occhi dalla vera e propria meccanica su cui l’intera struttura, racchiusa in modo sensazionale all’interno della natura tutta intorno, incredibilmente in spettacolare armonia ed equilibrio con essa, era basata. Gli specchi, che nel mentre, dopo che anche Miss Binnie fu invitata a montare sulla carrucola, si erano richiusi, erano assicurati ai rami più bassi degli alberi mediante funi metalliche, e parevano della stessa maglia di quelle che, bianche, lucenti sotto il sole di fine agosto, adornavano come possenti ragnatele i tetti e le fondamenta di ogni piccola dimora. Più tardi comprese che servivano appunto come sicura, in modo da legare ognuno di questi ultimi in maniera più salda alla corteccia dell’albero che li ospitava. Avvertiva un chiarissimo tic toc di ingranaggi, ma erano talmente ben nascosti che non riusciva a distinguerli nelle fitte forme del fogliame. Ciò che poteva però scorgere erano invece vari tubuli che si immettevano, scattanti, di forma spezzata, in ognuna delle casette, collegandole l’una alle altre in una fitta rete meccanica. Il novizio non seppe dire a che cosa servissero, considerava la Casa di cui faceva parte una delle più avanzate in fatto di studi scientifici, e invece eccolo lì a guardare quel piccolo sperduto villaggio di elfi con gli occhi del neofita, del bambino che, per la prima volta, vede l’acqua iniziare a fare le bolle non appena raggiunge in temperatura il centesimo grado. Era talmente incantato da quel paradiso di scienza che Chan dovette letteralmente trascinarlo di peso fino all’infermeria brontolando: “Vedi cosa mi tocca fare a viaggiare con un filosofetto del genere…”
Jeongin li accompagnò fino ad una delle tante capanne che recavano sul tetto l’intricato simbolo della medicina e, dopo aver chiacchierato serenamente con una delle infermiere presenti – anch’ella sfoggiava minute orecchie a punta – sbirciò al di là della tenda che divideva la sala d’aspetto dall’ambulatorio. Mutando però tutto d’un tratto tono di voce, esplose in uno disordinato: “Jinnie?! Che ci fai tu qui oggi? Non ti avevo detto di restare a casa a riposarti?”
Dall’interno una voce altrettanto carezzevole replicò in un moto di evidente stizza: “Sì, mamma, non ti preoccupare, l’ho fatto il riposino pomeridiano.”
Jeongin sparì dietro la tenda che nascondeva il cosiddetto ‘Jinnie’: “Hyunjin, dico sul serio! Sono giorni che non dormi per finire quel tuo maledettissimo coso! Il turno in infermeria te lo potevi davvero risparmiare, ecco.”
I tre ascoltavano perplessi la conversazione; Felix, innocentemente, o forse tentando di sfoggiare l’umorismo da nonno che un po’ lo contraddistingueva, domandò agli altri due come facesse Jeongin ad essere madre di un ragazzo evidentemente più grande di lui – o, almeno, così dalla voce gli sembrava – se era maschio. Come risultato ottenne un’occhiataccia strabiliata ed un paio di espressioni del tutto sbigottite. Il piccolo dio, chiudendosi in un piccolo broncio, volle convincersi del fatto che non risposero al suo finemente ironico quesito perché Jeongin saltò di nuovo fuori dalla tenda all’improvviso per invitarli ad entrare nell’ambulatorio.
“Felix, Chan, Changbin” sospirò l’elfo facendo accomodare quest’ultimo su una branda al centro dello stanzino “vi presento Hwang Hyunjin, mio fratello.”
Avvolto da un camice di un bianco asettico, Hyunjin attendeva con calma irreale l’arrivo dei tre pazienti. Changbin, seduto proprio di fronte a lui, si persuase immediatamente che fosse di una bellezza ultraterrena, rasente il divino, se poteva anche solamente osare pensare una cosa del genere proprio a pochi passi da Felix. Se gli avessero mai chiesto chi, tra Felix e Hyunjin, a prima vista poteva assomigliare maggiormente all’idea comune di Fonte della Felicità, avrebbe sicuramente scelto il secondo. Morbidi e folti capelli del colore del sole al mattino ricadevano mollemente sulle spalle larghe e toniche, rilucevano dei riflessi rosati del legno ed incorniciavano un visetto dai tratti affilati, come quelli di Jeongin, ma meno rudi. Gli angoloidi dei suoi lineamenti si adagiavano e vibravano a seconda delle sue espressioni in maniera del tutto estranea a quella della selvaticità degli elfi, ma la volitività negli occhi dal crudo taglio rispecchiava quella di un’aquila cacciatrice. Le orecchie, appuntite come quelle del fratellino, sembravano però non lasciare dubbi, come anche la chiarezza eterea delle lucenti iridi. Quando la nobile creatura gli domandò di spogliarsi della tunica, il novizio si sentì parecchio a disagio.
“Il vostro cognome è diverso…” fece notare, in modo che Jeongin tornasse a parlare con il suo tono, minuto dopo minuto, progressivamente più allegro.
“Beh, non siamo davvero fratelli di sangue” Jeongin abboccò all’amo “Io sono un elfo puro, Hyunjin invece è elfo solo da parte di padre intanto. Il villaggio in cui è nato lo ha ripudiato come ibrido quando era un neonato, sua madre, umana, lo ha dovuto abbandonare nel bosco per non venire cacciata anche lei e, dopo un po’, i miei genitori lo hanno trovato e hanno deciso di adottarlo. Un po’ meno di un anno dopo sono nato io. Hyunjin c’è sempre stato, ecco perché lo considero mio fratello.”
Hyunjin, intento a tastare con mano delicatissima le ustioni di Changbin, ridacchiò: “Grazie per aver riassunto in modo così puntuale e preciso la mia tragica infanzia, Innie.”
“Nessun problema!” l’elfo scattò sull’attenti e, con tono solenne, lo prese in giro “È sempre un piacere, caro fratello. Sono sempre disponibile”
“Oh, fidati, non avevo dubbi a riguardo” ridacchiò Hyunjin con la stessa ironia, per poi rivolgersi ai tre ospiti “Perdonate mio fratello, è un piccolo elfo impertinente e tante volte parla a sproposito.”
Si voltò verso il banco sterile su cui teneva i piccoli strumenti di pronto soccorso ed i farmaci, prese un piccolo barattolo di forma cilindrica e ne intinse la mano all’interno, estraendo una buona quantità di una pomata biancastra dall’odore vagamente floreale con l’intenzione di cospargere con essa il corpo del paziente: “Allora, che cosa vi porta ad esplorare questi boschi? Siete mercanti?”
“Ya, piantala, Jinnie! Sono puliti, ho già controllato io per benino!” sbottò di nuovo Jeongin, sbattendo un piede a terra “Ti sembro così idiota da portare qui da noi le persone che voglio derubare?!”
“Di sicuro sei idiota ad ammettere in modo così spudorato che cosa fa la nostra gente per vivere” il biondo roteò gli occhi e si rivolse allora con un sorriso nervoso agli altri tre “Come ho detto prima, tante volte parla a sproposito…”
Troppo tardi, il secco riflesso della lama scoperta dello spadone di Chan aveva chiaramente raffreddato l’atmosfera gioviale che i due fratelli avevano creato con i loro teatrali battibecchi: “Siete un villaggio di banditi quindi” insinuò.
“Banditi, ladri, contraffattori, spacciatori…” Hyunjin continuava tranquillo a spalmare la pomata sulle ferite di Changbin. Il novizio, dopo la confessione del medico, avrebbe tanto voluto spostarsi, ma gli era difficile rinunciare alla frescura che il rimedio applicato sulle ustioni gli provocava.
“… la nostra gente, umani, elfi, folletti, fate, riesce a sopravvivere solo in minima parte razziando i mercanti che attraversano la foresta.” l’elfo terminò la frase del fratello maggiore con una vena di orgoglio nella voce, e così il biondo riprese a ruota “I viveri non ci mancano, viviamo di quello che la foresta ci offre e poco più, e quel minimo che serve per rafforzarci, grano, farina, pane, lo barattiamo con qualche villaggio vicino al posto dei nostri marchingegni.”
“Rubate materie prime, giusto?” azzeccò Felix con un sorriso disteso “Metallo, vetro, cristalli, meglio se già grezzamente lavorati. Si vede dal vetro soprattutto, sapete? Riflette gli stessi colori del palazzo di Almia, la Capitale del Sud. Lì hanno un ottimo metodo di soffiatura.”
“Ho avuto la fortuna di assistervi, mi ritengo un meccanico provetto, ma la tecnica artigiana che tramandano ad Almia è davvero spettacolare. Essere presi a bottega da uno degli artisti del Sud è il sogno di ogni meccanico del mio paese.”
“Quindi, ricapitolando…” si intromise Chan, di nuovo, con un’espressione perplessa “Rubate ai mercanti per avere gratis tutta la materia prima che necessitate per mandare avanti la vostra città meccanica sugli alberi?”
“Abitate in un laboratorio vivente!” Changbin parve riscuotersi tutto d’un tratto, aiutato dal sollievo portato dalla miracolosa pomata di Hyunjin “Fantastico! È semplicemente fantastico! Gli unici luoghi in cui la Capitale permette legalmente la ricerca sono le Case; voi invece lo fate qui, nascosti dal resto del mondo, con quel poco che riuscite a racimolare dalle carovane di commercianti, e siete addirittura molto più avanzati di noi!”
“Beh, se voi Filosofi ammetteste elfi, fate e folletti nei vostri ranghi scommetto che la vostra ricerca progredirebbe molto più speditamente, sapete?” lo provocò Jeongin, forse punto sul vivo, con un sorrisetto.
“La nostra tecnica non consta differenze sostanziali da quella utilizzata da voi Filosofi, è il modo di approcciarci al mondo che ci circonda che è differente.” spiegò allora Hyunjin “Noi cerchiamo di inserirci all’interno del nostro ambiente, di comprenderlo e di creare in esso, e con esso, senza prevaricare, delle zone di comfort in cui poter vivere al meglio. La nostra tecnologia copia la natura, ne fa omaggio e la ringrazia per averci accolti, e gli elfi e le altre specie ci aiutano a studiarla al meglio data la profonda connessione che condividono con essa. La ragnatela che permette alla capanna di restare attaccata al tronco, per esempio? Finissimo ferro niveo dal Nord. Io stesso ho contribuito ad idearne la maglia.”
“Jinnie è un meccanico strabiliante, Changbin!” l’elfo aveva notato il modo in cui il novizio pendeva dalle labbra del fratello maggiore, gli occhi ardenti dal desiderio di saperne di più “In questo periodo fa alcuni turni qui in infermeria per sostituire un altro medico, ma se oggi pomeriggio ha tempo, sempre che voi abbiate intenzione di fermarvi per la notte, potrebbe mostrarti qualcuna delle nostre invenzioni migliori.”
Changbin era sul punto di accettare, ma un’occhiataccia da parte di Chan lo trattenne dal palesare tutto il suo entusiasmo per l’idea: “Beh… A dire il vero…”
Voleva proporre di rimandare la visita a quando lui e Chan sarebbero stati già sulla via del ritorno per la Capitale, ma Felix intervenne per primo: “Avanti, Chan, un giorno di ritardo in più o in meno non ci cambia la vita, siamo ancora decisamente in anticipo! E poi così oggi Changbin si può riposare, non hai visto quanto era pallido prima?”
Changbin sorrise istintivamente al piccolo dio, ringraziandolo con lo sguardo per essersi abbassato a fare gli occhi dolci al soldato dato che, alla fine, senza nemmeno troppo sforzo, cedette ed acconsentì a trascorrere il resto della giornata alla città sugli alberi.
Hyunjin terminò in fretta di medicare il novizio, acconsentendo quindi a mostrargli i magazzini subito dopo pranzo, a turno terminato. Jeongin avrebbe preparato qualcosa di buono da mangiare per tutti e, in seguito, avrebbe invece accompagnato Felix nel tour del villaggio. All’elfo sarebbe piaciuto che Chan lo seguisse a sua volta – rimanere da solo con la Fonte della Felicità, allo stesso momento, lo eccitava e lo mandava in paranoia – ma il soldato, ancora vagamente infastidito dai continui cambi di rotta, decretò invece che si sarebbe fatto calare nuovamente a terra per allenarsi con la spada.
Jeongin, senza farsi vedere, gli fece la linguaccia.

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Dal prossimo capitolo la storia entrerà finalmente nel vivo :)
Se per adesso vi piace, non esitate a lasciare una recensione con i vostri pareri, mi farebbe davvero molto piacere!

 
-moganoix
   
 
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