Nonostante si sentisse spossato,
tanto nel fisico quanto nell’animo, tutti
i sensi di Heero erano all’erta: aveva freddo, il corpo era
percorso da
brividi, ma il giovane pilota di Gundam sapeva di essere in un luogo a
lui non
famigliare.
Strinse i denti, e faticosamente
fece perno sul gomito per mettersi a
sedere; era a letto – un letto a lui del tutto sconosciuto,
un letto morbido e
profumato, non di certo la branda militare a cui era abituato fin
dall’infanzia.
La luce filtrava da tendine di pizzo, e Heero sospirò,
mentre, piano, piano, i
ricordi tornavano, prepotenti, ad invadere la sua mente.
“Coricati,”
Relena gli intimò; Heero alzò lo sguardo, e la
vide, in piedi,
sulla porta. Aveva ancora indosso i vestiti del giorno prima, il
colorito era
spento, e gli occhi erano cerchiati: con una morsa al cuore si rese
conto che
doveva averlo vegliato tutta la notte.
Heero emise un suono gutturale che
pareva una risata strozzata – era quasi
ironico, visto e considerato che lui si era ripromesso di difenderla da
tutto e
da tutti.
Heero strinse gli occhi, quando
venne accecato dalla luce del sole, non
appena Relena ebbe spalancato le tende. Lei, resasi conto del fastidio
arrecato
al giovane, le richiuse con la stessa velocità con cui le
aveva aperte, e poi si
sedette accanto a Heero sul letto, e gli posò il palmo della
mano sulla fronte.
“Sto bene,” Il
pilota grugnì, voltando il capo altrove. Relena ritrasse la
mano, ma fu incapace di nascondere un sorriso al rossore che
all’improvviso era
apparso sulle gote dell’amico, chiedendosi se fosse una
reazione causata dalla
febbre oppure il trovarsi in quella situazione – lui, il
salvatore che veniva (ancora,
di nuovo) aiutato
da lei, accudito da
lei, loro che da tanto, troppo tempo erano più che amici, ma
meno di
innamorati, che erano due pianeti che si orbitavano intorno senza mai
tuttavia
scontrarsi…
“Hai la febbre alta,
quindi no, Heero, non stai bene.” Relena sbuffò,
gettandogli malamente la borsa del ghiaccio sul capo, un po’
piccata – capiva che
Heero fosse molto peculiare nelle
questioni di cuore – poco importava che si trattasse di
amicizia o qualcos’altro
– ma perché non si voleva fidare di lei, per una
volta? Perché non le
permetteva di aiutarlo?
Credi
di valere così poco? Si domandò, tuttavia
conoscendo fin troppo
bene la risposta a quella domanda.
Heero
era sto cresciuto per essere
un’arma, un soldato – sacrificabile. Lei, almeno ai
suoi occhi, era tutt’altra
storia, e per quello il giorno prima Heero, per salvarla, si era
gettato,
incurante, nelle gelide acque del lago in cui si rifletteva la tenuta
dei
Peacecraft. Il risultato? Heero aveva insistito che no, non aveva
bisogno di
cambiarsi, di asciugarsi, stava benissimo. Ed infatti, nemmeno due ore
dopo lei
lo aveva trovato privo di sensi nei corridoi del palazzo, e lo aveva
trascinato
fino alla sua stanza – l’unica che fosse pronta
– dove lo aveva vegliato per
tutta la notte, attendendo che la febbre scendesse.
E adesso, lui la ripagava
così: comportandosi come al solito da duro che
non aveva bisogno di niente e nessuno.
“Non
c’è bisogno di ringraziare.” Lei lo
prese un po’ in giro, alzando un
sopracciglio. Incerta su come comportarsi in quella situazione
così intima,
Relena non sapeva bene come comportarsi.
“Se tu avessi fatto
più attenzione e non fossi uscita da sola, non avrei
dovuto gettarmi in acqua per salvarti la vita.” Heero le
rammentò, quasi a
voler indicare che la vera responsabile fosse lei; si alzò
dal letto, ingoiò le
pasticche che erano sul comodino e con gesti meccanici, a scatti,
ancora
intorpidito, indossò la camicia bianca ed i pantaloni neri,
dal taglio
sartoriale, che Relena gli aveva lasciato chissà quando
accanto al letto
(probabilmente appartenuti al suo defunto fratello), e le
lanciò uno sguardo
carico di rimprovero.
Lei si sentì piccola ed
indifesa, ma poi una scintilla di orgoglio le si
accese nel petto, forte, bruciante quasi con la forza di
un’esplosione, e guardò
Heero stringendo i pugni, le labbra serrate in una linea dura: lei lo
aveva
aiutato, e questo era il ringraziamento? Stava per dirgliene quattro,
quando lo
vide ricadere sul letto, mollemente, e si rese improvvisamente conto
che Heero
non sembrava lo stesso, che c’era qualcosa di diverso in
lui… sembrava stanco,
e addirittura più maturo, più vecchio, e la colpa
non poteva certo essere solo
di una febbre passeggiera.
Spalancò gli occhi,
quasi avesse avuto un’improvvisa epifania: Heero era
lì. Da quando si erano conosciuti, quindicenni, Heero era
sempre stato al suo
compleanno che non era mai mancato, ma diversamente, era sempre rimasto
nell’ombra,
oppure altrove, chissà dove, se sulla Terra o nelle Colonie.
Ma adesso…. Era lì.
Aveva saputo
dell’attentato alla sua vita? O era stato un caso?
Lo raggiunse sul letto; Heero
stringeva nei pugni la stoffa del pantalone,
e lei coprì la mano destra di lui con la sua –
solo appoggiata, senza forza,
nessuna pressione, quasi avesse semplicemente voluto fargli capire che
lei era
lì, per lui. Che se avesse voluto, avrebbe potuto fare
affidamento su di lei,
sempre.
“Dobbiamo
parlare,” si limitò a dirle.
Ed in cuor suo Relena sapeva che
qualsiasi cosa lui le avesse detto, nulla
sarebbe mai stato più come prima.