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Autore: vitt0ria_505    05/02/2022    0 recensioni
Alhena è stanca degli incubi.
Ogni notte Occhi Rossi la viene a trovare nel mondo onirico, ogni volta che Morfeo l'accoglie fra le sue braccia, ricordandole cosa è successo due anni prima. Due anni ed eppure ne annusa la morte ogni giorno. Si divide fra la scuola e le sue indagini rudimentali, mentre qualcuno le lascia un bigliettino criptico nel suo armadietto, invitandola ad un incontro notturno.
Non sa però che non è l'unica ad essere perseguitata da Occhi Rossi.
Dal testo: "Quasi ogni notte rivede quegli occhi rossi, ed era come avere Freddie Kruger ogni notte tra i piedi. Probabilmente aver lui tra i piedi sarebbe stato anche meno brutto, d'altronde, a differenza di quello, lui era solo un'invenzione cinematografica. Voleva avere solo le capacità per spegnere il cervello la notte. Voleva smettere di scappare dai suoi incubi, e dimenticare tutto. Non voleva più sentire sentire il vuoto nello stomaco, e le budella che si contorcevano."
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Threesome, Triangolo
Capitoli:
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Aritmetica in prima ora, è legale come cosa?

Eppure per sua grande sfortuna, il foglio davanti i suoi occhi parlava chiaro, così tra uno sbuffo e un sospiro, e tra le occhiate curiose e insistenti che le rivolgevano gli altri studenti, si diresse verso il gabbiotto del giorno prima. Aveva ancora qualche minuto libero.
Bussò qualche volta, la porta era chiusa e vide che l'interno era oscurato mentre si avvicinava con una mani sulla fronte, evitando la luce.

"Solitamente funziona l'inefficienza, in questa scuola"

Una voce maschile la raggiunse, e
Sentì qualcuno arrivare al suo fianco, ma non si voltò e continuò a cercare forme di vita, facendo guizzare lo sguardo da una parte all'altra.

"Si, insomma, me ne ero dimenticata. Pensavo fosse migliorata, la situazione intendo" si lasciò scappare, quando capì che non c'era davvero niente da fare e nessuno, si girò verso la persona accanto a lei. Era un ragazzo, e di questo se ne era accorta quando aveva aperto bocca. Si passò una mano tra i capelli corti e castani, mentre con l'altra teneva sottobraccio uno skateboard imbrattato.

"Ti serviva qualcosa?" Le chiese gentilmente.

"Con tutta onestà di qualcuno, la signora dai capelli rossi, di cui ho dimenticato il nome, a sua volta ha dimenticato di darmi delle informazioni"

"Scusa, posso?" Di rimando le chiese il ragazzo, mentre indicava il foglio che teneva in mano.
La ragazza annuì, e lo vide poggiare la tavola a quattro ruote a terra, alzata contro il muro, e prendere il foglio ed esaminarlo.

"Hai due opzioni: aspettare qui o provare a chiamare il numero della segreteria. Guarda, è proprio qua sotto. E personalmente, ti consiglio la seconda opzione." Proferì qualche secondo dopo aver letto il foglio.

"Il numero...me ne ero completamente dimenticata, ti ringrazio" disse sinceramente, aggiustandosi la lunga tracolla in spalla.

"Dovere. Sei nuova, giusto?" Le chiese riprendendo il suo skateboard.

"In teoria, in pratica no. Ero già iscritta qui, anni fa, ma sono stata bocciata e ho abbandonato"

"È stata una domanda idiota, in realtà, credo sia impossibile non conoscerti. Qua le voci girano velocemente, e qui sono ancora tutti in fermento" disse, guardando un ragazzino che mentre camminava teneva gli occhi fissi su di lei.

"Si, e questa cosa inizia a darmi parecchio sui nervi. Fanno sempre così?"  infilò entrambe le mani nella felpa nera, e si scostò dal muro bianco.

"Beh... Insomma, è perché in questo posto tu puoi tranquillamente essere considerata una leggenda. Immagino sia per questo."

Alzò un sopracciglio, confusa dal nome che il ragazzo le aveva appena affibbiato.

"Leggenda?"

"Si, scusa per l'appellativo, ma era per spiegare" disse e si voltò dall'altra parte, imbarazzato. "Comunque," continuò, prolungando la o nella parola "in che classe ti hanno messa?"

"5 H"

"Fantastico, ci conviene andare. Abbiamo aritmetica in prima ora, è legale?"
: Era un ragazzo, e di questo se ne era accorta quando aveva aperto bocca. Si passò una mano tra i capelli corti e castani, mentre con l'altra teneva sottobraccio uno skateboard imbrattato.

"Ti serviva qualcosa?" Le chiese gentilmente.

"Con tutta onestà, di qualcuno più che altro. Laa signora dai capelli rossi, di cui ho dimenticato il nome, a sua volta ha dimenticato di darmi delle informazioni"

"Scusa, posso?" Di rimando le chiese il ragazzo, mentre indicava il foglio che teneva in mano.
La ragazza annuì, e lo vide poggiare la tavola a quattro ruote a terra, alzata contro il muro, e prendere il foglio ed esaminarlo.

"Hai due opzioni: aspettare qui o provare a chiamare il numero della segreteria. Guarda, è proprio qua sotto. E personalmente, ti consiglio la seconda opzione." Proferì qualche secondo dopo aver letto il foglio.

"Il numero...me ne ero completamente dimenticata, ti ringrazio" disse sinceramente, aggiustandosi la lunga tracolla in spalla.

"Dovere. Sei nuova, giusto?" Le chiese riprendendo il suo skateboard.

"In teoria, in pratica no. Ero già iscritta qui, anni fa, ma sono stata bocciata e ho abbandonato"

"È stata una domanda idiota, in realtà, credo sia impossibile non conoscerti. Qua le voci girano velocemente, e qui sono ancora tutti in fermento" disse, guardando un ragazzino che mentre camminava teneva gli occhi fissi su di lei.

"Si, e questa cosa inizia a darmi parecchio sui nervi. Fanno sempre così?" infilò entrambe le mani nella felpa nera, e si scostò dal muro bianco.

"Beh... Insomma, è perché in questo posto tu puoi tranquillamente essere considerata una leggenda. Immagino sia per questo."

Alzò un sopracciglio, confusa dal nome che il ragazzo le aveva appena affibbiato.

"Leggenda?"

"Si, scusa per l'appellativo, ma era per spiegare" disse e si voltò dall'altra parte, imbarazzato. "Comunque," continuò, prolungando la o nella parola "in che classe ti hanno messa?"

"5 H"

"Fantastico, ci conviene andare. Abbiamo aritmetica in prima ora, è legale?
" E rise all stessa cosa che aveva pensato lei.

Il giorno dopo era riuscita ad ottenere finalmente una combinazione e un armadietto chiamando la direzione scolastica. Quasi si meraviglió del fatto che funzionasse davvero, come le aveva proposto il ragazzo che aveva conosciuto il giorno stesso. Per di più, un suo compagno di classe.

Era lo stesso armadietto che occupava negli scorsi anni, o così le avevano detto. Lei aveva rimosso completamente quel ricordo.

Due giorni dopo, invece, la situazione non era cambiata: quando passava gli occhi erano fissi su di lei, ma almeno adesso, per quanto fosse impossibile, ogni tanto se ne dimenticava. Ancora sue giorni Dopo, nessuno di azzardava a parlarle, eccezion fatta per il ragazzo che aveva incontrato davanti il gabbiotto, piuttosto la guardavano come fosse un alieno. Adesso riusciva a ricordarsi il tragitto per le sue aule e quello per il suo armadietto. Ubicato in uno dei corridoi più isolati, l'ultimo della sua fila, tra un estintore e un'altro armadietto. Mentre era di fronte ad un murales ancora incompleto, in cui veniva rappresentato e riproposto un disegno rupestre che probabilmente risaliva al periodo storico del paleolitico.

Così con un bicchiere di caffè si diresse verso di esso, pronta a svegliarsi del tutto con una grande dose di caffeina.

4...8...2...9...3

Girò velocemente la piccola manopola, seppur con attenzione, dato che provava a ricordarselo.
Lo scatto e l'armadietto verde che scattò e di aprì la fece esultare internamente.

Lo aprì e poggiò dentro di esso i libri che teneva nella sua grande tracolla nera r mentre stava per richiuderlo si bloccò.

Era per lo più vuoto, non aveva ancora provveduto ad occupare lo spazio, ma non si era accorta dalla busta nera stropicciata e bloccata tra i due spazi liberi all'interno dell'armadietto. Si guardò intorno, pensando a chi potesse avercelo messo lì dentro.

Le cadde per terra, ai suoi piedi, e prima di calarsi e raccoglierla, la guardò dall'alto, chiedendosi cosa fare ma soprattutto chi gliela avesse mandata.

Il suo sesto senso le urlava ai guai, la sua curiosità, invece, come una pettegola, le sussurrava  di aprirla.
Maledetta curiosità, arma di autodistruzione per l'uomo e per lei, che ne era la prova vivente.
Poi si wistemò e lasciò la tracolla a terra e la raccolse, abbassandosi fino a prenderla tra le mani.

I suoi polpastrelli erano sopra la carta liscia e poco spessa. Poi, lentamente, l'aprì, sigillata da un pezzo di nastro adesivo trasparente, ormai fattasi curiosa, ed estrasse il foglio bianco dentro. Si continuò a guardare ogni tanto intorno o dietro di sé, non sapendo nemmeno per cosa, quasi come fosse una paranoia, una cosa che nessuno avesse mai dovuto scoprire.
Ripose la busta nella tasca della felpa, mentre restò a guardare il foglio.

Era completamente bianco e vuoto, eccezion fatta per due frasi poste in alto alla sinistra del foglio.

"11.00/ bosco sul retro della scuola"
Sbatté qualche volta gli occhi, non capendo il perché di quel presunto messaggio. Eppure era chiaro cosa avesse dovuto fare o dove andare.

Velocemente ripose tutto dentro il suo armadietto, abbandonando la lettera là dentro e sperando di dimenticarsene.
Internamente malediceva la sua curiosità, e dopo essere rimasta qualche secondo davanti il suo armadietto, ingoiò il groppo alla gola, e mosse finalmente i primi passi indietro, andando nella direzione opposta, lasciandosi alle spalle il corridoio lungo e vuoto.

Entrò in classe, attirando su di sè tutti gli sguardi dei presenti, e solo in quel momento si rese conto di essere in ritardo. Balbettò velocemente delle scuse al rimprovero dell'insegnante di storia presente, prima di correre e sedersi in uno dei posti liberi alla fine della classe. 

Riuscì a capire l'argomento della giorno, e trafficò dentro la borsa, prendendo un foglio e una penna e iniziando a prendere appunti. Quest'anno era decisa a prendere il diploma e sparire dalla faccia di Phoneix. Un piccolo brusio le arrivò alle orecchie, e di scatto, si girò verso la fonte del rumore girandosi. Si ritrovò dietro di lei l'unica persona che da quando era arrivata in quella scuola, le avesse rivolto la parola. 

"Hey, scusa, avresti una penna in più? Mi è improvvisamente morta" le sussurrò, avvicinandosi a lei per quanto potesse, dato il banco e la che li separava. 

"Si, certo...prova questa" gli rispose gentilmente e porgendogli l'oggetto. Era stato gentile con lei dal primo giorno, e per quanto fosse diffidente, si sentì quasi in dovere di restituire il favore.

La ringraziò, facendo un cenno con la testa e sorridendole, poi abbassò gli occhi verso il foglio e continuando a scrivere, mentre lei si voltò verso la cattedra. Restò qualche secondo ferma, con le mani tra le gambe a riscardarle, poi di scatto si voltò verso di lui. 

"Comunque...io sono Aelhena" continuò, guardando fisso il pavimento, in imbarazzo. 

"Si, credo di saperlo" rispose ridacchiando, "piacere mio, io sono Peter, comunque" poi le tese la mano e la lasciò dritta di fronte a lui, aspettando che la ragazza l'afferrasse. Seppur fosse in quella scuola solo per recuperare gli anni persi, avere qualcuno con la quale scambiare ogni tanto una parola o due, non le dispiaceva. Ritornare in quella scuola era stato un declino, oltretutto era un ritorno alla società, dopo quasi due anni in una sottospecie di reclusione, nella quale non faceva nulla se non dormire di giorno e lavorare la sera. In cui Maya era l'unica persona con la quale, nonostante tutto, continuava a parlare.

Gli prese la mano, stringendola, e ricambiando il sorriso.

"Voi due là sotto, silenzio!" la loro discussione, ormai conclusa, venne interrotta dal professore, che con una mano sosteneva il libro e con l'altra teneva un gessetto bianco con la quale ogni tanto, scriveva e faceva stridere la lavagna nera.

Si guardarono un'ultima volta ridendo, poi, entrambi tornarono con la testa china ognuno sul proprio banco. Ognuno ascoltando la lezione, apparentemente. Nella testa di Aelhena compariva la frase scritta sulla busta che era stata lasciata nel suo armadietto, non sapendo cosa fare.

 Ormai, come da prassi e come ogni giorno, percorreva il vialetto di casa di ritorno da scuola. Sempre se poteva considerarla casa. Con God Am che le risuonava alle orecchie, calpestando i ciottoli e calciandoli ad ogni suo singolo passo. Mise la mano dentro la tasca posteriore della tracolla, prendendo il mazzo di chiavi e cercando quella con il segno giusto. Poi si tolse l'auricolare destro e inserì la chiave nella serratura, rigirandola tre volte in senso orario. Quando la porta fu aperta la prima cosa che vide fu Francis armeggiare e destreggiarsi davanti la cucina, e quando il cigolio fu ben udibile, la donna si girò verso di lei.

"Buongiorno Al!" la salutò sorridendo. La ragazza ricambiò il suo saluto e si avvicinò all'appendiabiti, poggiando in terra la borsa e togliendosi le sneakers.

"Vuoi una mano con il pranzo, Francis?" le chiese avvicinandosi a lei e poggiando le mani in avanti sul tavolo. 

"No, tranquilla tesoro. Tuo zio sta per arrivare, ed è già pronto, tanto. Puoi farmi solo il favore di chiamare Monroe? E' nella mansarda" le chiese mentre girava il cucchiaio nel grande pentolone sui fornelli. Annuì iniziando a salire le scale a lato della stanza, ma la voce del ragazzo che era stato appena nominato le interruppe, apparendo dalle scale, in tuta da ginnastica nera e bianca.

"Mi fischiavano le orecchie, così son venuto a controllare di persona che nessuno stesse parlando male di me..."

Le due si guardarono in faccia ridacchiando, mentre il ragazzo dai capelli ricci e folti le passava accanto toccandole e prendendo una ciocca dei suoi capelli neri, attorcigliandosela fra le dita. Prima che potesse continuare gli colpì leggermente la mano con uno schiaffetto. Lui ritrasse la mano, tenendola come se l'avesse gravemente ferito, con l'orgoglio ferito scritto sulla faccia. Lo ignorò e si andò a sedere nel piccolo divano rosso. A guardarla quella casa era una cozzaglia di cose e stili diversi, a partire dal frigorifero anni 70' blu e lucido. Ma era anche una cozzaglia di persone, in cui una non c'entrava nulla con l'altra, non si ci capiva nulla, ma la convivenza con loro non la disprezzava.

Se non fosse per loro sarebbe chiusa ancora nella sua stanza, nella sua casa, sempre sola e fuori dal mondo. Conviveva con loro, ma ogni tanto aveva bisogno di ritornare, in quella che lei chiamava e considerava la sua tana.

Francis e suo zio, Alex, che considerava più un amico per l'età, l'avevano quasi costretta a passare qualche giorno a settimana con loro, a loro dire per semplice piacere di averla tra i piedi, ma non riusciva a non immaginare altre intenzioni dovute all'effetto e alla compassione quasi, nei suoi confronti.
Coppietta giovane e innamorata, a volte vomitevolmente sdolcinata. Francis con i suoi modi gentili di fare e il suo temperamento, le era stata fin da subito simpatica. Pur non avendo con lei un legame familiare, si comportava da sorella maggiore, come Alex d'altronde, con la differenza di qualche anno di età.

Monroe invece era un'incognita. Lui c'era, ma non si sapeva il perché. C'era da sempre, letteralmente parlando. Spuntava ogni tanto quando sentiva l'odore del cibo appena cucinato e poi ritornava a farsi i fattacci suoi, tra CD e tutorial di iniziazione allo yoga con annesse posizioni.
Monroe invece era un'incognita. Lui c'era, ma non si sapeva il perché. C'era da sempre, letteralmente parlando. Spuntava ogni tanto quando sentiva l'odore del cibo appena cucinato e poi ritornava a farsi i fattacci suoi, tra CD e tutorial di iniziazione allo yoga con annesse posizioni.

Guardava da lontana quella scena, come se non ci fosse lei davanti.
Inserí la mano in cerca del telefono, non trovandolo ma sentendo solo la superficie liscia del foglio di quella mattina.
Sospirò, che aveva da perdere? Finalmente riuscí a ritrovare il suo cellulare e una volta accesso si ritrovò un paio di messaggi. Mittente? La sua amica, Maia.

Tutti messaggi in cui le chiedeva se fosse viva e in cui le raccontava come andavano i primi giorni a Londra. Si era diplomata un anno prima, mentre lei dopo l'incidente si faceva bocciare a ripetizione.
Aveva avuto l'occasione di mollare tutto e andare via da quella città pietosa.

Proprio in quell'istante, la vibrazione del cellulare la scosse, avvertendola di una nuova notifica.

"Sei un caso perso. Da cestinare. Visto? Se fossi lì e non ti avessi lasciata adesso mi sentirei in colpa. Sono sicura che non mi rispondi perché sei arrabbiata con me"

Lesse quel messaggio ridacchiando e poi si affrettò a digitare.

"Fidati, se non saresti andata via da questa città di merda di tua spontanea volontà ti ci avrei mandato a calci in culo. E non sono arrabbiata, è solo che Monroe sta spiando quello che scrivo e crede che io non me ne accorga"

Sentì sul suo collo il respiro del coinquilino e si girò verso di lui, fissandolo. Non se ne accorse subito, e un volta letto il messaggio che aveva mandato si ritrasse, guardandola e facendo finta di nulla, mentre si metteva una mano nella nuca e guardandola con la coda dell'occhio.

"Sono davvero arrabbiata. Come hanno potuto archiviare il caso senza aver prima investigato a sufficienza?" Francis uscì dalla cucina e nel frattempo si accendeva una sigaretta, noncurante di trovarsi in un salone senza posacenere. Il gelo Calò nella stanza, ma lei non lo dava a vedere.
Si sedette a gambe incrociate a terra, sopra il tappeto a forma di vinile. Se aveva imparato a conoscere Francis a sufficienza, sapeva perfettamente che amava stare seduta in terra.
"Caspita, il posacenere" sussurrò, e Alhena per non farla alzare le passò un bicchiere che riempì con la poca acqua che le era rimasta nella bottiglia, passandoglielo.

Francis non sapeva che la ragazza stava cercando delle prove da almeno un anno. Nessuno sapeva che quella notte lei aveva visto tutto.

"Si, farlo passare per incidente stradale è davvero una grande pagliacciata" le diede corda Monroe. E aveva ragione. Come potevano far passare per incidente automobilistico un panorama in cui la macchina era ferma, in centro di strada, e senza alcun graffio?

La tensione venne spezzata dal campanello che risuonò per la stanza.
"Non mi aspettate dopo cena, esco stasera e tornerò tardi" disse semplicemente, con lo sguardo perso nel vuoto, mentre nella sua testa vagavano i possibili immaginari e scene di quello che sarebbe accaduto quella sera, non sapendo cosa aspettarsi.

"Allora la birra è mia!"

   
 
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