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Autore: robyzn7d    06/02/2022    3 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXV
Guarire 

 
 
 
 
 
  
L’uomo della Marina aveva sferrato un altro attacco di maggiore portata, dal momento che la situazione era uscita di mano, sia a lui, che ai suoi incompetenti sottoposti, sconfitti da una sola ragazzina con una sola spada. 
Rin era proprio lì, davanti a lui, a guardarlo con supponenza. Con un fendente della sua wado ichimoji aveva protetto il padre, che, esausto, era finito con le spalle a terra e stava per ricevere “la giustizia di Akainu”, sferrando una tecnica che nemmeno lo stesso Zoro ancora conosceva, e che aveva funzionato con successo nel farlo indietreggiare abbastanza da allontanarlo da lui. Ma poi incespicò, e piegò un ginocchio a terra, impossibilità a reggere quel confronto a lungo. Aveva sbilanciato all’indietro, il tanto da proteggere
abbastanza il verde dal magma che avanzava, allo stesso tempo pronta per tentare di sferrare il colpo di grazia. Akainu era già abbastanza provato per gli innumerevoli attacchi di Rufy, oltre che alcuni di Zoro ben assestati, e se fosse riuscita a rimettersi in piedi e alzarsi al volo, avrebbe anche potuto essere davvero lei quella che lo avrebbe messo al tappeto, prendendolo per stanchezza. 
Ma la fortuna le aveva voltato le spalle subito. Avrebbe voluto essere più agile e  calare la spada dritta sulla gola scoperta dell’uomo, ma lui invece era più furbo oltre che più veloce, e al suo colpo violento non resse la sua spada bianca, finendo scaraventata a terra insieme ad essa in un volo di qualche metro.

Non aveva sentito nessun grido di dolore da parte della sua compagna, il che preoccupava estremamente uno Zoro ancora steso a terra, che stringeva i denti per le fitte al torace e imprecava arrabbiato contro l’uomo per avergli colpito la figlia, trovando però la forza immane per mettersi seduto quando il rumore sulla strada dei passi di Nami gli arrivò fino alle orecchie. Un rumore che non avrebbe voluto sentire. 
“Lascia in pace la mia famiglia!” 
Quella voce si era insinuata in lui come il dolore inflittogli dalla ferita al torace da cui, come al solito, sgorgava sangue, tanto sangue. Si sentiva così privo di forze, tanto da non riuscire ad impugnare nemmeno la Shusui. 

“Dark Cloud Tempo” 
 
No. No. Non farlo. 

 
Il rumore dei fulmini lo inquietò, lo sapeva, lo sapeva cosa stava succedendo, anzi, cosa stava per succedere. 
Nami non aveva rallentato la sua corsa, nemmeno per un attimo aveva avuto tentennamenti, o forse gli aveva solo ignorati imponendosi che quello non era il momento per essere codarda, prendendo il posto di Rin, tra Akainu e Zoro. Non poteva restare a guardare, mentre veniva ridotto in fin di vita, ancora una volta.

 
Lui é forte. Lui é più forte di tutti noi. 
 
No, stavolta non poteva lasciarsi andare a questa rassicurazione che si ripeteva spesso per preoccuparsi meno delle sue condizioni. No, doveva agire, doveva dimostrargli che poteva proteggerlo. O dimostrarlo a se stessa, per lo meno. 
Accorgendosi dello stato critico della situazione, Zoro pensava di stare urlando come un forsennato, di chiamare il nome della rossa con tutte le energie rimastigli, ma, nel momento di lucidità, si era reso conto che non solo dalla sua gola non veniva fuori nemmeno un sibilo, ma non era nemmeno riuscito a mettersi seduto come aveva immaginato di fare. 
Poteva essere così malridotto? Così tanto da non riuscire ad intervenire? 

Zoro sapeva che, seppur Rin fosse solo una bambina, era forte e capace di una discreta resistenza, aveva avuto modo di appurarlo in diverse occasioni, ma, soprattutto, teneva a bada le emozioni, senza perdere subito le staffe, non lasciandosi governare dagli impulsi. Ecco, su questo Rin era più come lui. Ma Nami, la sua spina nel fianco, avrebbe fatto tutto il contrario di quello che loro affrontavano negli addestramenti. Nami avrebbe seguito l’impulso, i sentimenti, senza ponderare niente, né la portata del suo attacco, né bilanciarlo alla forza dell’avversario. 
 
Scappa, stupida! Scappa! 
 

“Thunder Lance Tempo”
Nami non rallentò la sua corsa e, anzi, ne approfittò per mettere maggior distanza fra loro e quel mostro inumano di un Marine - almeno così pensava. Nessuno avrebbe potuto negare che per qualche motivo, il suo attacco aveva sorto qualche effetto, almeno, lo aveva fatto contro il magma, riuscendo a placarlo e liberando il compagno da quella materia che stava nuovamente arrivando da lui, dal momento che si prendeva sempre più spazio sul terreno. 

Un sospiro di sollievo l’aveva colta, quando si era voltata ad osservare il corpo esanime di Zoro, perché almeno, così,  l’aveva protetto dal magma. Almeno da quello. Solo da quello. 
Ma quell’attimo di distrazione l’aveva condannata.
Silenzioso, con il suo pugno magmatico grande quanto la testa a forma di leone della Sunny, Akainu, che aveva appena dimostrato che il colpo della rossa, che si, aveva spento il suo magma a causa del suo essere ormai provato dallo scontro, ma no, non aveva scalfito lui in nessun punto vitale, stava puntando dritto sulla pancia di Nami.

Attimi di ambiguo terrore negli occhi della rossa, che aveva distolto l’attenzione da Zoro rendendosi conto solo in quel momento del guaio in cui si era andata a cacciare. Un colpo. Sarebbe bastato un colpo e Akainu avrebbe potuto squarciarla in due…un solo colpo…uno.
Il ragazzo dai capelli verdi si era mosso, pervaso da un senso di nausea e dalla sensazione delle braccia tremanti, ma che in realtà erano immobili, finalmente riuscito a rimettersi in piedi a stento, senza sapere nemmeno come riuscisse a camminare, con l’occhio sbarrato e la gola secca, per guardare in faccia l’uomo che stava per sferrare un attacco che sarebbe stato senz’altro mortale, vedendo quella mano muoversi e conficcarsi in quell’addome della compagna, sentendola sibilare terrorizzata. 

Il tonfo però che si era udito per primo, erano state le sue spade cadere sul terreno umido. 
 
“Se la risparmi, puoi prendere la mia vita, e il tuo onore non ne subirà nessun affronto.” 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
24 ore dopo lo scontro. 
Camera delle donne.
Ore 22:00 
 
 
Un occhio sbarrato all’improvviso, nel tepore della sera, all’interno di una stanza calorosa e stranamente silenziosa. Respiro affannoso. La pelle bollente come se stesse friggendo in una sauna; e sudato, come se ci fosse dentro da ore. Si era svegliato e messo seduto nello stesso momento con una velocità che poteva solo che essere controproducente, poiché il suo corpo non era pronto ad una simile ripresa. Infatti, il proprietario di quel corpo iniziò a grugnire dal dolore, inveendo contro qualunque epiteto gli venisse alla mente per cercare di dare un nome a quel patimento che partiva da una fitta e si trasformava in uno squarcio che immaginava avere la forma di una montagna all’interno del suo torace, che lo lacerava ad ogni movimento. Non riusciva a formulare una parola completa, tanto il dolore di quella lacerazione, e non sapeva come altro difendersi se non che aumentare il respiro e il battito cardiaco. E aspettando di trovare anche solo un minimo di sollievo si guardò intorno irrequieto, in cerca di aiuto: era sulla Sunny, questo lo aveva capito inconsciamente dagli odori e l’ondeggiare sul mare, ed era in camera delle ragazze, sul letto, e anche questo lo aveva capito per tempo, per via del profumo familiare sulle lenzuola che l’avvolgevano. 
“Hai fatto di nuovo quel sogno…” 
Sentì una voce accanto a lui e nello stesso momento avvertì un gesto dietro alla sua schiena, di un braccio che si tirava con fatica e andava a premere su qualcosa che aveva creato uno scatto, come un pulsante, che, infatti, appena azionato aveva emesso un rumore secco ma quasi impercettibile. 
Si voltò ancora, provando un’interminabile fitta lacerante, per cercare di capire che cosa stesse succedendo, seguendo quegli strani movimenti. 
“Stai giù…sdraiati, papà!” 
Aveva obbedito; seppur confuso, febbricitante e dolorante, poteva tranquillamente fidarsi di quella creatura che aveva l’aria di sapere cosa stesse facendo, sdraiandosi nuovamente sul letto con la schiena e appoggiando il capo al cuscino soffice. 
Era sul letto di Nami. Lo sapeva, c’era il suo odore lì, e lui ci aveva già dormito. Coccolandocisi un attimo, iniziò a provare immediato sollievo, la gola si stava liberando, la fitta stava andando via, i dolori quasi scomparendo. Era davvero possibile? Solo per aver poggiato la schiena sul letto? O quell’odore lo stava cullando così tanto da avere poteri miracolosi? 
Ma nel momento stesso in cui ebbe avuto quel pensiero così stupido, si rese conto che sopra alla sua testa c’era una boccia in vetro trasparente, appesa tramite uno strano carrello alto, costruito di recente, collegata al suo braccio tramite un filo piuttosto spesso, stesso trasparente, in cui vedeva passare del liquido incolore. 
“Umh?” ancora doveva ben schiarirsi la gola, gli sembrava di non parlare da giorni. 
“È solo antidolorifico…ti arriva in vena così fa più fretta!” 
Rin, sdraiata accanto a lui, sul letto di Robin, era ora voltata su un fianco, verso lui e lo  guardava con estrema attenzione. Eccome se lo guardava, senza perderne nemmeno un movimento. 
“Scricciolo…tu stai bene?” 
Fu la pronta risposta del verde, che più l’antidolorifico faceva effetto e più si sentiva nuovamente se stesso. 
Rin si teneva al caldo sotto una coperta ingombrante, una bianca fascia medica attorno al capo e una duplice espressione sul viso che voleva incutere pace ma che non poteva farlo del tutto. Annuì però con sincerità, rispondendo alla domanda, ma continuando a fissarlo dritto negli occhi.
Lo vide allungare il braccio verso il suo volto e posarvi la mano sopra, accarezzandole la guancia che stava esposta al freddo. 
“É la verità?” 
Sorrise a quella carezza, chiudendo gli occhi per un attimo e godendosela tutta. Così era sempre più simile al suo papà, quello che l’aveva cresciuta e che si prendeva cura di lei fin da quando era nata senza perderla mai di vista un momento, e che di tanto in tanto, quando nessuno guardava, la coccolava con affetto. 
“É la verità…” 
Una volta riaperti gli occhi scoprì che quella mano era ancora lì, immobile, sulla sua pelle. La sentiva tutta la sua apprensione. 
“Dai chiedimelo!” 
“Che cosa devo chiederti?”
La bambina fece un sospiro lungo, arresa a quell’orgoglio intramontabile. 
“Sta bene…” chiuse gli occhi e gli riaprì in un attimo, ritrovando immediato collegamento con quelli immobili e inflessibili di Zoro. “Lei sta bene!” 
Si guardarono ancora per un po’, senza distogliere lo sguardo uno dall’altra: per Zoro era così surreale ritrovare gli occhi di Nami in qualcun’altra, motivo per cui amare quella miniatura era sempre più tremendamente facile; e per Rin era tutto ciò che la riportava a casa, quello sguardo che conosceva così bene e la faceva sentire al sicuro.
Quando poi lui accennò una strana smorfia intraducibile e le scompigliò i capelli arancioni, togliendo poi la mano e riprendendo a guardare il soffitto, lei gonfiò le guance offesa.
“Hei, non sono più una bambina!” 
E mentre si risistemava la capigliatura disfatta, era sicura di averlo sentito ridere. 
 
 
 
Ore 00:30 
 
“Non puoi alzarti per nessuno motivo al mondo! Chopper l’ha severamente proibito!” 
Rin lo stringeva per il braccio e lo tirava verso il letto, mentre lui pian piano si era messo nuovamente seduto e già tirava i piedi fuori dalle coperte. 
“Con l’antidolorifico non sento niente…” 
“Ti sbagli! Le ferite si apriranno e poi, a detta di Chopper, non ci sarà antidolorifico che tenga per non farti gridare come un bambino!’ “lo imitò nella voce, enfatizzando l’uso di quell’ultima parola. 
“Che cosa?” 
Si offese immediatamente, voltandosi verso di lei con i denti stretti. 
“Proprio così! Hai urlato come un bambino quando sei stato ricucito!” 
“Ero febbricitante!” 
“Come un Bambino!”
“Non puoi parlarmi così! Sono tuo padre!”
“Un padre bambino!”
“Sei proprio come Nami adesso…”
“É per lei che ti stai alzando? Sei impaziente di vederla?” 
“Accidenti a te! Certo che no!” 
 
 
 
 
Ore 02:10
 
 
“Mi hai detto davvero la verità prima? Se stai bene perché sei qua a farmi da balia? Non dovrebbe esserci qualcuno di “più adulto”? 
Convinto con le cattive e peggiori minacce a stare a letto, Zoro, non riusciva però a dormire, guardando il soffitto e ponendosi più di un qualche interrogativo. 
Perché non era ancora entrato nessuno? Conoscendo il medico e compagni apprensivi, non era certo una cosa così normale su quella nave, non venire disturbati nemmeno in momenti del genere. C’era troppo silenzio. Troppa calma. Senza contare che continuava a ripercorrere gli eventi della battaglia senza ricordarsi della fine. 
“Ti dico che sto bene!” 
Rin, che aveva chiuso gli occhi da poco per cercare di riposare, ma senza assopirsi profondamente per la paura che quel testardo del padre potesse alzarsi o commettere qualche imprudenza, aveva alzato solo un sopracciglio. 
“Dal momento che non ho più un briciolo di energia mi sono offerta io di rimanere qua e tenerti a bada…” sospirò teatralmente. 
Questo l’ha preso da Nami. 
“Anche le mie ferite devono guarire…é meglio che rimango a letto…per non farla preoccupare…ed é meglio che non lo faccia anche tu!”
Un pelo più sincera, almeno. 
In quel momento aprì leggermente la palpebra per guardarne la reazione, era come aver appena innescato una bomba, si era freddato d’improvviso. 
 
 
 
Ore 3:45 
 
 
Aprì l’occhio, poiché i suoi sensi erano appena stati disturbati da qualcosa, vedendo davanti a lei la vaga forma di un corpo che si muoveva e cercava di mettersi seduto. Preoccupata, riacquistò nitidezza, capendo che quel pazzo febbricitante cercava ancora di rimettersi in piedi. E sembrava pure piuttosto sofferente, poiché nel tentativo di alzarsi, mordeva il cuscino tra i denti. 
“Santo cielo!”
Esclamò, liberandosi svelta dalla trappola della coperta e allungando nuovamente il braccio verso quel tastino che faceva scorrere l’antidolorifico fino al braccio. “Quando senti forte il dolore ripresentarsi devi solo premere qua e startene buono e tranquillo, non devi certo scendere dal letto…”
Aspettarono un paio di minuti nell’attesa di sentirne i benefici, e quando lo vide non più in prenda alle convulsioni, ma tornato calmo a sdraiarsi sul letto, Rin poté sospirare, togliendogli il cuscino da dosso. “Sei la solita testa dura!” 
Voltandosi verso la bambina, con ancora però il respiro pesante, e il sudore scendere copioso dalla fronte, Zoro, vide che quel corpo, sinora rimasto avvolto dalla coperta, non era proprio rimasto incolume, scoprendolo ricoperto di bende, a loro volta mezzo nascoste da un vestitino. 
Strinse forte i denti, e poi i pugni, senza nascondere il suo fastidio, mentre scrutava ogni bendaggio medico di troppo. 
Rin non impiegò molto per capirlo, riportandosi la coperta addosso ma rimanendo seduta. “Sto bene!” Precisò, anticipandolo, e lasciando andare un paio di sospiri. “Sono superficiali!” 
“Perché…” gli uscì immediatamente dalla bocca serrata, sentendosi sopraffatto dalla rabbia e dalla confusione “perché diavolo quella pazza non é qui ad occuparsi di te…”
La bambina si portò teatralmente la mano sulla fronte, dandosi un colpetto sopra. 
“Ma allora lo vedi che ho ragione? Tu vuoi solo che venga qua da te!” 
“Rin! Maledizione! Sono serio!” 
Iniziò a ridacchiare lei, coprendosi la bocca con la mano come a nasconderne l’azione, augurandosi di passare inosservata. 
“Ci vedo e ci sento, sono malridotto ma non sono mica un vecchio rimbambito!” 
“Ma dai…” si avvicinò a lui, invadendo il suo letto trascinandosi la coperta dietro. 
“Guarda che è rimasta al tuo capezzale per tanto tempo…”
“Io ti sto chiedendo perché non si occupa di te! Cosa diavolo ha di più importante da fare che essere qua?” 
Rin riprese a ridere, sonoramente stavolta, felice come una pasqua. “Sei proprio uno spasso…usarmi come scusa! Altro che tonto, tu sei un vero furbetto, papà!” 
“Sei in punizione! Mi hai sentito? Punizione!” 
“Ma non puoi punirmi! Sono ferita!”, gli disse guardandolo spalancando gli occhi grandi, e facendo le fusa accanto a lui. 
Lo sentì rabbrividire all’instante, mentre la guardava sconcertato e furibondo, imprecando una qualche maledizione silenziosa. 
Non fare come lei. 
Non farai come lei. 

“Non mi piace affatto questa cosa qui!” Sentenziò, “appena mi rimetto in piedi di corsa ad allenarti! Hai passato troppo tempo con Nami!” 
 
 
Ore 08:45
 
 
Venne risvegliato da un respiro molto vicino, che sentiva farsi pesante quando saliva col petto per ispirare, e più leggero quando scendeva ed espirava. 
Iniziò a schiarire la vista e tornare nel mondo reale, anche da febbricitante i suoi sensi erano acuti, o quasi.
Quando aprì l’occhio, se la trovò difronte, la faccia di Rin addormentata pesantemente sul suo petto, sempre avvolta nella coperta e con le mani a stringergli il collo. 
Tale madre, tale figlia.  
Riuscì ad accendere il tastino dell’antidolorifico per un’altra mandata, dal momento che sentiva la fitta lacerante stare per tornare a squarciargli il petto. 
Poteva accettare di stare ancora a letto, ma non accettava di non avere notizie. Tra l’altro sarebbe dovuto andare anche al bagno, come avrebbe fatto secondo loro, a resistere per tutto quel tempo? 
Distese le braccia verso la bambina, riprendendo ad abbracciarla sulla schiena. Non aveva fatto caso al suo profumo, almeno non intenzionalmente, e adesso che lo sentiva arrivargli dritto alle narici, aveva come riflettuto per la prima volta che quella testolina era il frutto suo e di Nami. L’avevano fatta loro, o almeno, l’avrebbero fatta loro, tra degli anni, probabilmente. Il suo profumo era simile a quello della compagna, ma si differenziava su tanti aspetti. Ed era un conforto, poiché questo gli dava una sensazione di casa, di serenità, di certezza; quello di Nami gli obnubilava la mente. 
Ricordava dello scontro, del delirio causato da Akainu al porto, i marines sconfitti, i salvataggi, gli attacchi, la furia di Rufy, il dolore lancinante provato dal suo corpo, sua figlia a terra e Nami…la sua irruenza, stupidità, testardaggine…e la paura e disperazione per lei…come un costante e irrefrenabile supplizio. 
Ma perché non ricordava la fine? Come era arrivato sulla Sunny? Cosa era successo dopo? 
E di nuovo lo sentì, quel senso di nausea invaderlo, quasi a dover vomitare. E lo vide, il pugno di Akainu sulla pancia di Nami, pronto a squarciarla come fosse stata il nulla. Un momento talmente delicato che tra resa e disperazione c’era una linea talmente sottile da mischiare le due cose in una sola possibile reazione. 
“Se la risparmi, puoi prendere la mia vita e il tuo onore non ne subirà nessun affronto.” 
Ancora la sua voce che parlava senza riflettere. Era successo davvero? O era solo un patetico sogno che voleva torturarlo? 
La voce leggera e impiastrata dal sonno di Rin lo risvegliò da quello stato confusionario. 
“Hai fatto ancora il sogno?” La sentì tirare sul col naso. “Mi dispiace…” 
Zoro sgranò l’occhio e si concentrò nuovamente su di lei, guardandola stropicciarsi gli occhi a metà tra essere incredulo e confuso, accertandosi che fosse davvero sveglia e che non stesse parlando nel sonno.
“Umh?”
“Continui a sognare lo scontro…” 
“E perché ti scusi per questo?” 
Quella frase lo aveva un po’ scombussolato. 
Quindi era tutto reale? 
Gli occhi della bambina erano diventati improvvisamente tristi e colpevoli. Non voleva sentirsi così, e, sapeva, che tanto meno lo voleva Zoro che lei si sentisse così, ma Rin sapeva che in parte era colpa sua, lo sapeva, e si sentiva ancora peggio quando vedeva il padre febbricitante urlare il nome di sua madre nel sonno, pensando di vederla morire davanti ai suoi occhi. Ecco perché ad un certo punto lo aveva stretto, per calmarlo, destarlo da quell’incubo, sperando di averne il potere. 
Decise di spiegargli tutto, non potendo sopportare il senso di colpa.
“Sono stata debole…non sono stata all’altezza della situazione. A causa mia, Nami ha rischiato di morire, e tu di seguirla a ruota.” 
Lo vide guardarla in silenzio, serio e come sempre indecifrabile. Rin sgranò gli occhi, quando sentì ancora quella mano calda carezzarle la fronte aggrottata. 
“Lo so cosa significa avere il peso di se stessi sulle spalle…” 
Il colorito pallido più del solito, e gli occhi grandi ancora sconfitti dal sonno, Rin aveva bisogno di conforto più che mai in quel momento faticoso. Ma come avrebbe fatto a spiegargli la verità? Come avrebbe fatto a dirgli che se si sentiva sempre in colpa era anche per via di Zoro stesso?
“Mi dispiace…” mormorò con fare mortificato, a lui che ancora la guardava con aria ambigua tanto da farle abbassare lo sguardo. “Sto creando dei problemi a tutti da quando sono arrivata.“ 
“Pensi che senza di te noi saremmo liberi dai problemi?” Sorrise, Zoro, cercando di trasmetterle una verità evidente, “non ti sei mai arresa, hai dato il massimo di te stessa con le tue sole forze…solo questo conta, hai capito?” 
Sentiva i lacrimoni formarsi negli occhi, ma tirò su col naso e si trattenne. Doveva resistere. Doveva avere autocontrollo. 
Non voleva essere più la causa del loro dolore, mai più.
Si mise seduta al fianco di Zoro, lasciando scivolare la coperta di dosso. 
“Ne andrò fiera…porterò queste ferite con orgoglio!” 
 
 
 
Ore 11:00
 
 
“Guarda che potevo camminare benissimo da solo!” 
Il cyborg già per la seconda volta si faceva carico di Zoro e lo portava al bagno di peso sulla sua spalla, trattandolo un po’ come uno straccio vecchio.
“É umiliante! Dannazione!” 
Riposto nuovamente sul letto, con la cura un po’ rozza e rude di Franky, lo spadaccino imprecò altri nuovi insulti che aveva appena inventato durante il tragitto, maledicendo tutta quella stupida situazione senza risparmiarsi niente. 
“Non fare come i marmocchi, dov’é finita la tua resistenza da superuomo?” 
Zoro stringeva la mascella con la faccia scura e la voglia di prendere le spade e tagliare qualche parte del corpo metallico dell’amico. “L’avrò persa nella strada per il bagno!” 
Nella stanza scoprì immediatamente l’assenza di Rin, sostituita da Chopper, indaffarato a riempire la boccia di vetro di nuovo antidolorifico, con modi distratti rispetto al solito in cui invece regalava estrema apprensione. 
“Oh Zoro! Sei qua! Come va il dolore?” 
“Mi dite che sta succedendo?” 
Si dimenò, rimanendo però seduto sul letto. 
“Che vuoi dire?”
“Mi state nascondendo qualcosa! Che sta succedendo la fuori? Come stanno gli altri veramente?” 
Mentre Chopper s’irrigidiva, incapace di nascondere la verità, soprattutto ad uno come Zoro, Franky prese una sedia con un gesto indelicato e ci si sedette sopra. 
“E’ solo una sciocchezza, ma se proprio ci tieni a saperlo… “ sospirò, come per prendere aria, prima di rivelare qualcosa d’importante. 
“Parla!” 
Il cyborg sembrava sforzassi di acquisire immediata sicurezza, senza far trapelare la sua ansia, la stessa che Zoro aveva invece già captato. 
“Allora?” 
“Rufy non si é ancora svegliato…” confessò. Una frase secca, uscita di getto, quasi interminabile da dire e sentire. 
“E questa sarebbe una sciocchezza?”, deluso e arrabbiato che nessuno gli avesse parlato delle condizioni dell’amico, Zoro scese immediatamente dal letto senza pensarci per più di due secondi. 
“Ecco, lo sapevo che avresti fatto così!” 
Chopper, rapido, trasformato improvvisamente in adulto, bloccò lo spadaccino prima che potesse alzarsi del tutto e staccare via dal braccio il filo che lo collegava all’ampolla medica, che aveva appena ripristinato. 
“É per questo che non ti é stato detto niente! Perché avresti messo la tua vita in secondo piano, ancora una volta! Tanto non puoi fare niente per lui, hai capito? Dobbiamo solo aspettare che si risvegli! É chiaro?” 
Per il suo orgoglio questa era una cosa inaccettabile. Ma allo stesso tempo era abbastanza lucido da capire che se si fosse trattato di qualcun altro della ciurma al suo posto, avrebbe usato le stesse identiche parole. 
 
“Nami é con lui?” 
 
Franky annuì. 
 
 
 
Ore 18:30
 
 
Rin aveva avvertito il cuore del verde stringersi in una morsa: davvero non poteva fare nulla, per evitare che lui si sentisse così impotente solo per il fatto di dover stare a letto? E, d’altronde, anche a parti invertite sarebbe stata la medesima cosa: che al suo posto ci fosse stata Nami, o lei, o lui ancora in coma al posto di Rufy, la sensazione di panico generale sarebbe stata la stessa. Eppure lui era rimasto comunque serio come sempre, non aveva detto una parola su niente. Non era riuscito a mangiare, aveva sonnecchiato un po’ e, per di più, guardava il soffitto in silenzio.
“Rin!” 
Lo sentì chiamarla, seppur segnali di essere attento non ne avesse dato molti. “Smettila di star lì a fissarmi…!”
La bambina, cambiata d’abito, e cambiata di bende, era seduta accanto a lui a gambe incrociate, facendo finta di leggere un libro dalla strana copertina. Sentendolo così severo corrucciò la fronte facendo una smorfia che nascose prontamente dalla pagina del suddetto libro. 
 
“Te l’ha dato Robin quello?” 
“Tsk! Non proprio…diciamo, l’ho preso in prestito…” 
“Significa che l’hai rubato?”
“All’incirca…” 
“Rin!” 
Scosse la testa arreso, era troppo distratto per una ramanzina, girandosi su un fianco per darle le spalle. La bambina iniziava a metterlo in soggezione, perché continuava a fissare ogni sua reazione, movimento, addirittura anche quando incurvava le labbra. Stava cercando di capire i suoi sentimenti per tirarli fuori da lui, e questo lo stava facendo letteralmente impazzire. Quasi che iniziò a capire quanto anche lui in effetti potesse essere eccessivo come lei, a volte. Un altro comportamento che avevano in comunione. 
“Per stavolta non dirò niente del libro…” 
“Non è di questo che mi preoccupo” 
Fece un po’ la adulta, la mini rossa al suo fianco. Ma lui non aveva più ribattuto, consapevole della sua sincera apprensione per lui, ma senza volerla approfondire più di così. 
 
“L’hai fatta preoccupare a morte, lo sai?” 
Si fidava di lui e sapeva che avrebbe potuto confidarsi. Preso alla sprovvista, Zoro mosse le braccia in un gesto perentorio che esprimeva tutta la sua contrarietà al riguardo, ma stando in silenzio mordendosi le parole in bocca.
“…” 
Con la stessa velocità si era alzato dal letto, messo seduto e rivoltato verso Rin. E al diavolo tutti i dolori dei suoi muscoli! “Con quale pretesa…”
Rin sospirò per la trentesima volta in quella giornata, consapevole di dover fare ancora da paciere, festeggiando mentalmente per il fatto che i due fossero momentaneamente separati, per avere la possibilità di sbollire i sentimenti. 
Continuava a dimenarsi quello, maledicendo il cosmo intero per avergli fatto incontrare la rossa, stringendo i denti per quell’ulteriore affronto che doveva subire. Tutto sotto gli occhi imbarazzati di Rin, che per fortuna era abituata fin da quando ricordava a quelle scaramucce, insulti, momenti “accesi” tra i suoi genitori. Il suo forte papà, guerriero dalla resistenza fisica e mentale ineguagliabile, dalla tempra salda e dai solidi principi, andava in escandescenza davvero con poco quando si trattava di Nami.  
“L’hai fatta spaventare davvero tanto…”
“Solo lei credi che si sia spaventata?” 
“Papà…eddai! In fondo hai chiesto di scambiare la tua vita con la sua…mettiti anche nei suoi panni…” 
“È fuori discussione!” Nonostante inizialmente ne fosse rimasto sorpreso, il suo tono non ammetteva repliche. “Ti ricordo che é stata lei a mettermi in quella situazione. Cosa le è passato per la testa???!” 
“Veramente é stato Akainu!” 
“Lei ha agito di testa sua come sempre, non come una squadra!” 
“…come sei esagerato!” 
 
 
 
Ore 19:00 
 
 
“Ti sei calmato adesso?” 
Chiese la bambina, arrivata a un quarto del testo, a uno Zoro ancora ferito nell’orgoglio che se ne stava sdraiato in silenzio. 
“Nami avrebbe dato la vita per proteggermi, e questo ti fa arrabbiare perché ti fa paura…” girò l’ennesima pagina, convinta della sua saggezza e maturità. “E tu non ci pensi due volte a mettere la tua vita in pericolo per lei…o per gli altri, e questo può farle davvero del male!” Prese memoria della pagina in cui era arrivata e chiuse il libro in tonfo secco. “Ecco, perciò, che in questo siete uguali…” 
“Si può sapere che cosa stai leggendo?” 
“L’arte di tagliare l’ego con la spada..”
 
 
 
Ore 21:30
 
“I ha il significato di essere, Al quello di unità. LAI è la realtà e il mezzo per arrivarci.” 
Rin stava leggendo il suo amato libro rubato a Zoro, quando Robin, con il braccio ancora ferito, tenuto legato sulla spalla, aveva fatto il suo ingresso nella stanza insieme a Brook. Quest’ultimo aveva portato il cibo a Zoro e chiesto a Rin di scendere a mangiare qualcosa insieme a loro. 
 
“Sanji é come te, in ripresa…e Usop, bé sta esagerando come suo solito, sta facendo la vittima per essere servito e aiutato in tutto, e perciò sta benone. E…Rufy…Rufy si è svegliato.” 
 
Quelle erano le parole che facevano da slogan quella sera. 
Quelle erano le parole che tutti erano contenti di sentire.
 
 
 
 
 
 
24 ore dopo lo scontro. 
Infermeria. 
Ore 22:00
 
 
 
Il piccolo medico aveva finito per fare un ulteriore controllo di sicurezza. Sospirando a metà tra il rassegnato e lo speranzoso. Si premurò di sentirne nuovamente il polso, misurare la pressione, sentire il battito cardiaco che era rimasto regolare: il tutto dopo essersi accuratamente accertato che non ci fossero altre emorragie interne. Appesa la boccetta sopra il capezzale del capitano, con l’antidolorifico al suo interno, e innescato il sistema a pulsante con minuziosa attenzione, lasciò cadere le braccia esauste sui suoi fianchi, liberando un respiro faticoso. 
“Chopper devi fare una pausa…non hai fatto che ricucirli tutti e curarli ininterrottamente per un giorno intero…” 
Nami, al fianco di Rufy, gli teneva stretta la mano, ma lo sguardo di apprensione ora era dedicato alla piccola renna provata. Il medico prese per sé altri minuti per respirare, per poi finalmente rivolgersi a Nami, ma prima di risponderle la osservò attentamente. Non aveva un bell’aspetto, e questo per essere gentile. 
“Nami…” si avvicinò delicatamente a lei, scrutando solo buio e sofferenza in quegli occhi solitamente luminosi, e ora, devastati dalla follia della paura della perdita, dalla preoccupazione, dall’esaurimento del non dormire, dallo sfinimento dello scontro, “devi dormire!” 
Scosse la testa immediatamente, con la risposta già pronta, “posso farcela…” 
Senza prenderla sul serio, e senza farsi fermare, poggiò svelto le zampette su tutto il suo addome, facendole uscire un immediato sibilo di dolore. 
“Lo sapevo…”, scostò appena il primo strato di benda fatto da Robin, accorgendosi del sangue che iniziava a bagnare gli strati sotto, “si é aperta la ferita a furia di star seduta qua…dovresti sdraiarti!” 
“Sto bene…” 
“Si, state tutti bene …a sentir voi io non dovrei mai fare il mio lavoro! Ma il medico sono io!” 
Chopper non aveva mai alzato la voce in questo modo, mai. Soprattutto non con Nami. Ma la stanchezza e la paura avevano colpito anche la sua intaccabile dolcezza. 
“Sei stanco, Chopper” 
Una voce profonda sulla soglia della porta fece sussultare entrambi “ma se alzi ancora il tono con Nami-San, ti spezzo le corna!” 
“Sanji-Kun!” 
“TU” lo indicò svelto l’alce, “TORNA SUBITO AL LETTO, BRUTTO INGRATO!” 
 
 
 
Ore 00:00 
 
 
“Si é assopito come un orso in letargo…” la informò Robin entrando in infermeria, in riferimento a Sanji, facendo intendere di aver approfittato della debolezza del cuoco, che a lei non avrebbe mai potuto dire di no, per tenerlo a bada. “Non aveva nessuna intenzione di riposare. Voleva stare in piedi a tutti i costi, quel testone…il povero Chopper stava avendo un esaurimento nervoso…ma alla fine li ho stesi entrambi.” 
Nami sorrise, seppur il suo fosse un sorriso spento, appena accennato, contornato da due occhi scuri e privi di vitalità. 
“Grazie di esserti presa cura di Sanji, sono contenta che ci sia stata tu accanto a lui…” 
La mora, sempre con un braccio fuori uso, prese posto ai piedi del letto dove dormiva il capitano, facendo comparire una sua mano sulla sua fronte a spostarli i ciuffi neri dal viso umido. 
“Non devi ringraziarmi per questo…”
Mentre le due si scambiarono un cenno di consenso con la testa, la mora prese il cappello di paglia dal letto, giocandoci con la mano sana e spolverandolo dalla terra da cui era ricoperto. 
Nami lo notò subito, osservando i gesti della compagna con una punta di allarmismo fuori controllo. 
“Me ne occupo io…lo ricucirò come sempre…” 
Robin alzò il capo a guardarla seria in viso, provocando in Nami una stretta al cuore, immaginando cosa stesse per dirle, in aggiunta a tutta la moltitudine di emozioni che già provava.
“…ho sbirciato un po’ nella nostra camera…”
Sentiva che Nami si era freddata, ma era talmente orgogliosa da non volerle dare nessuna soddisfazione, riprendendo a concentrarsi solo sul viso di Rufy e stringendo ancora più forte quella mano tre le sue. 
“…sta bene, si è svegliato già da un po’.” 
Nami ne fu anche lusingata delle premure di Robin, ma al tempo stesso non poteva fare a meno di mordersi le labbra con fare nervoso: se si fosse lasciata andare al sentimentalismo non avrebbe avuto abbastanza forza per occuparsi degli altri allo stesso modo, per occuparsi di Rufy. Se si fosse permessa il privilegio di crollare, non era sicura sarebbe riuscita a tirarsi nuovamente in piedi. 
Era rimasta accanto a Zoro e Rin quanto tempo aveva potuto, aiutando a medicarli entrambi. Ma loro erano forti, potevano prendersi cura uno dell’altra. 
“Nami…siamo solo io e te adesso, puoi lasciarti andare…” 
Una sensazione di panico si impadronì di lei, facendola pietrificare lì dove si trovava, al capezzale del suo capitano e migliore amico. Non aveva mai subito niente del genere, e ne era spaventata. Sapeva che Robin voleva vederla sfogarsi, vederla andare dallo spadaccino, vederla dormire, e le fu grata per l’interesse, ma lei proprio non poteva lasciarsi andare a questo, non adesso. 
“Zoro e Rin stanno bene…sono fuori pericolo.” 
Si riscosse con un brivido violento, e alzò la testa per avere nuovamente un confronto con l’archeologa.. . 
“Anche Rufy é la mia famiglia…e adesso, lui ha bisogno di me.” 
 
 
 
Ore 3:45
 
 
“Nami, ci pensiamo io, Franky e Brook…vai a dormire! Devi distendere l’addome!”  
La rossa, che ancora mai aveva mollato la stretta su quella mano, non aveva intenzione di ascoltare nessuno di questi consigli, seppur consapevole che lei stessa ne avrebbe elargito di eguali. 
“Posso resistere…” 
Robin sapeva che sarebbe stato impossibile destarla da quella idea; perciò, uscì dall’infermeria per vigilare sulla situazione al posto di Nami, lasciandola sola con Rufy. Si sarebbe occupata lei di Zoro e Rin al suo posto, accertandosi che stessero bene. 
“Grazie…” le aveva detto, prima che richiudesse la porta dell’infermeria alle spalle, dimostrando di aver intuito le intenzioni dell’archeologa. 
 
Per quanto ancora avrebbe realmente resistito? Era stremata, non sapeva nemmeno cosa la tenesse sveglia. Ma, non era giusto, pensò Nami, lasciare che quel poveretto del loro capitano, che aveva salvato la vita a tutti, rimanesse senza il suo sostegno. Zoro non poteva darglielo, seppur fuori pericolo quelle ferite avrebbero potuto ucciderlo. Sanji si reggeva a stento in piedi; Usop, seppur stesse bene, era ancora troppo provato per prendersi un simile carico. Chopper non avrebbe potuto fare di più. É vero, Robin, Brook e Franky erano abbastanza integri, ma Nami pensava che Rufy avrebbe avuto bisogno anche di uno di loro quattro. Rufy aveva bisogno di sentire la sua vicinanza, di sentire la sua voce guida per non perdersi nei meandri della luce accecante. Infatti, ogni tanto gli parlava, gli raccontava qualcosa, cercava di fargli arrivare le sue indicazioni. Lo sapeva che dopo simili battaglie il capitano poteva dormire per giorni interi, ma, stavolta, a parte il respiro e il battito cardiaco, sembrava non essere li. 
“Il coma può durare delle ore come dei mesi, o potrebbe anche non risvegliarsi mai più, seppur conoscendo Rufy, dovrebbe essere l’ipotesi meno probabile”, le aveva detto Chopper. E questo pensiero la destabilizzava, le faceva male fino all’infinito. 
Ma poi…
“Se la risparmi, puoi prendere la mia vita e il tuo onore non ne subirà nessun affronto.”
Eccola di nuovo quella voce. Quelle maledette parole. Come aveva potuto farlo? Come aveva potuto decidere per entrambi? Lei si sacrificava per Rin, lui si sacrificava per lei, e Rufy si sacrificava per tutti.
“Perché ci hai messi insieme, eh Rufy? Perché?” 
 
 
 
Ore 7:00
 
 
“…ti prego, svegliati!” 
Lo mosse appena, non troppo per la paura di scoprire che non stesse in realtà respirando da un pezzo. Passate le dovute ore aveva ripremuto il pulsante dell’antidolorifico, per paura di pensarlo soffrire senza avere voce per lamentarsene. 
Si morse il labbro inferiore, stringendosi fra le braccia e lasciando venire fuori il proprio disagio interiore. 
“Akainu avrebbe ucciso me o lui…e tu non ci hai visto più, vero? Non avresti mai potuto scegliere chi era più giusto si sacrificasse tra noi…tanto meno l’avresti mai premesso. Così hai trovato la forza per rialzarti, hai trovato la forza inumana di salvarci la vita a tutti…” 
Nami sentì come un movimento imprevedibile provenire da quella mano pallida del capitano. Bastò quello per illuminarle un attimo gli occhi. Ma bastò non sentire più niente per riperdere lo scintillio. 
“E lui? Come può essere così temerario e poi farsi fregare come un allocco? Stava per fare il gioco di Akainu… servendosi su un piatto d’argento.” 
Sospirò, continuando a stringere quella mano che pensava essersi mossa, ma che ora aveva perso metà del suo calore.
“Avevi detto che quando l’hai incontrato si era sacrificato alla Marina per salvare una donna e sua figlia…come si fa ad essere così stupidi? Un accordo lo si deve fare per bene, con una certa garanzia…io dovrei fidarmi di uno così, eh Rufy? Dovrei condividere tutto con uno così facile da fregare? 
Lo so, tu diresti di si ad occhi chiusi…”
 
 
Ore 11:00
 
 
Si sentiva così esausta, intontita e incapace di dare una definizione al suo vuoto. Che pensieri sciocchi e fuori luogo che stava facendo, e che paure stavano subentrando sotto la sua pelle; ancora una dannata volta quelle paure. Era così da lei, d’altronde, perdere sicurezze quando capitava qualcosa di così grande, assurda e senza senso. Eppure, una parte dentro di lei sembrava sussurrarle che, in realtà, non dovevano essere poi così tanto assurdi, quei pensieri. Che erano situazioni che dovevano far riflettere. 
Un altro movimento impercettibile avvertito dalla sua mano la fece sussultare. 
Rabbrividì. 
Non poteva averlo immaginato ancora. 
Un’improvvisa fitta alle tempie la costrinse a piegarsi e a proteggere il capo tra le mani, lasciando per un attimo la mano di Rufy che ricadde esanime sul materasso. 
Si sentì male per averla anche solo lasciata. 
“Mi dispiace…” la riacciuffò subito. “Non ti lascerò più.” 
Sospirò, ignorando il suo dolore fisico predominante. 
“Stai pensando che avrei dovuto stare al capezzale di Zoro a stringere la sua di mano, vero? Ma noi non siamo così, non siamo fatti per questi sentimentalismi…e poi, ci sono già stata a quel capezzale…” sospirò pesantemente ancora una volta, parlando poi con se stessa  “ sai, non é da me fare la brava mogliettina…con te però mi é più facile adesso…” 
Finalmente riuscì a ridere, anche se per un solo attimo, mentre due lacrime le scivolarono lungo le guance e si depositarono sulla sua mano che stringeva quella di Rufy; alzandola e poggiandola sulle sue labbra, lasciandoci un casto bacio sopra. 
“Non ti perdono se mi lasci sola in questo casino, hai capito?…
lo sai? 
Zoro andrebbe via…senza di te…mi lascerebbe anche lui, per sempre. Lo so, che ti può sembrare una richiesta egoista, ma non morire, ok?”
 
 
 
Ore 16:00 
 
 
Sfinita, e totalmente affranta da pensieri poco lucidi e dalle ore che passavano inesorabili dentro a un vortice di terrore, Nami lasciò cadere il capo sopra il petto di Rufy, non riuscendo più a reggerlo sulle sue spalle. 
“Sai che ti dico? Che se sopravvivi anche a questo io lo sposo quel cretino! Lo sposo davvero! É una promessa!” 
 
Il suo corpo rabbrividì tutto, quando sentì la sua mano venire stretta forte dalla stessa che stava tenendo lei. 
 
“C-carne…t-t-anta c-c-arne alla brace al m-matri- matri - monio…allora” 
 
 
 
 
 
 
 
 
50 ore dopo lo scontro. 
Camera delle donne.
Ore 00:00
 
 
 
 
Zoro si era svegliato all’improvviso, come quando un sogno, un incubo, lascia addosso la scia del suo passaggio nella psiche e condiziona la vittima per tutta la giornata. 
Sentì immediatamente che nella stanza c’era qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo che prima sicuramente non c’era.
Quando aprì l’occhio, nel visualizzare velocemente l’immagine della camera delle donne che in quella lunga giornata aveva avuto modo di studiare in ogni dettaglio, capì subito di cosa si trattasse, ma non dall’analisi del suo sguardo, bensì dal profumo che aveva invaso ogni spazio vitale. Abbassò il capo alla sua destra, e dove sarebbe dovuta esserci Rin, che ricordava perfettamente essersi appisolata, sdraiata accanto a lui, ci trovò invece il corpo di Nami che gli dava le spalle. 
I suoi cappelli sciolti e, in quel momento, un po’ arruffati, gli solleticavano la pelle del braccio. Era riuscita ad infilarsi tra loro, nonostante lo spazio evidentemente ridotto. 
Zoro era sicuro che non era poi passato così tanto tempo da quando doveva essere entrata nella stanza, poteva capirlo dall’ambiente circostante. Si avvicinò cautamente a lei, voleva vederla in viso, voleva avere la certezza che stesse bene, nonostante la scarsa illuminazione della camera, ma il suo respiro pesante e pieno d’angoscia che si liberava in aria lo fece fermare all’istante. Sembrava così stremata e debilitata, già solo a inquadrarne metà figura, probabilmente obbligata dal suo fisico a crollare. 
Mandando al diavolo ogni principio e arrabbiatura, non perse tempo, e, gli fu, per la prima, volta naturale allungare le braccia ad arpionare Nami appena sotto al seno, dal momento che il torace era leso e ricoperto di bende ben visibili. Si sentì arrossire e leggermente in colpa per il fatto che stava sfiorandola così apertamente, ma non poteva far altrimenti. 
Appena sentito il calore del suo corpo, e la morbidezza delle sue forme, continuò a sentirsi con la coscienza sporca, come se si stesse approfittando di lei. Possibile che per tutto quel tempo avesse sentito così forte quel bisogno di averla lì? Rin aveva ragione? Lui aveva protestato indirettamente perché rimasto scottato da non averla intorno? 
Ma lui lo aveva capito, lei aveva dovuto essere forte, caricarsi il peso di Rufy, ed essere il suo conforto. Zoro lo sapeva, del perché Nami non aveva potuto essere con lui in quella difficile situazione, e non poteva esserne più fiero. 
Con un gesto istintivo incastrò il suo volto nell’incavo del suo collo, respirandone tutto il profumo della sua pelle, seppur sfatta, bisognosa di un bagno, piena di ferite e di sangue secco e appiccicoso. Ma niente di tutto ciò bastava per sopprimere il suo aroma, quello di cui lui ora stava facendo rifornimento. 
La sentì muoversi, ma aspettando tuoni e saette per aver fatto di testa sua, toccandola senza permesso, soprattutto dopo quella situazione ambigua, lo spadaccino rimase invece stupito dalla ragazza, che tutt’al contrario, senza aprire gli occhi, si strusciò su di lui affettuosamente. 
Lui che già rimaneva lucido a fatica, ne fu oltremodo sorpreso, sgranando l’occhio per quella tenerezza improvvisa che non si sarebbe certamente aspettato. 
Quando ebbe la sensazione lontana di qualcuno muoversi alle sue spalle, e conscia di essere stata avvolta da un’improvvisa ondata di calore, Nami, mugugnando qualcosa, volse leggermente la testa, scontrandosi con quella del compagno. 
“Zoro…” 
Assonata ma presente, la voce appena udibile e il respiro tornato regolare, la vide aprire leggermente le labbra, cercando immediatamente le sue, senza nemmeno dedicargli un’occhiata o un’altra parola. 
Non era più arrabbiata? Non era andata lì per maledirlo o fare una scenata al suo risveglio? 
Si fece allora trovare, il verde, alzando di più la testa e prendendo le redini di quell’incontro di cui tanto si era stupito aver sentito necessità. 
Ne aveva sentito subito i contorni, di quelle labbra, e non era mai stato più bello di così, forse perché dopo un periodo di trepidante attesa, tra la vita e la morte, tutto diventa sempre diverso, assumendo diverse sfumature che prima non si potevano cogliere. O forse era solo il loro modo di fare pace ad un litigio che non era ancora avvenuto. 
Gli aveva delineati con attenzione, quei bordi, sentendo Nami essere più sensibile, poiché stava provando apertamente piacere per quella sensazione umida e morbida, di cui aveva sentito il urgenza in tutte quelle ore di sconforto. E benché non fosse nuova quella sensazione, sentirla cedere così in fretta, anche se per via della stanchezza mentale e fisica, fu una curiosa scoperta. 
Le loro labbra stavano giocando, con sempre un'eccessiva pressione che i due non sapevano mai dosare, poiché continuavano a spingerle poco delicatamente una sull’altra. 
Nami sentiva nel frattempo le mani di Zoro invaderla sul corpo, ma, seppur inizialmente si potesse pensare a lui che vergognosamente voleva dar vita, proprio in quel momento peggiore, al loro accordo, lei in realtà lo sapeva - eccome se l’aveva capito- che lui stava solo cercando conferme che lei stesse bene. 
Lo sentì un po’ timoroso passarle la mano sul torace, scendendo piano piano sulla sua pancia, la stessa dove Akainu aveva poggiato il suo pugno magmatico. Ci passò una carezza leggera, facendola tremare, per poi scendere ancora più giù, dove le bende s’intensificavano. Fu lì che la sentì mugugnare di dolore trattenuto, non appena aveva sfiorato la fasciatura più spessa, segno che seppur era scampata all’attacco mortale del marine, era comunque rimasta ferita lo stesso da quell’agguato.  
In un moto d'ira portò le braccia ad avvolgerla nelle spalle, stringendola forte a sé, e, d’istinto, con la bocca nuovamente sulla sua, in un altro bacio possessivo, saggiandole le labbra con più impertinenza. 
Non era stata tanto la ferita in sé a farlo scattare, quanto tutto ciò che gli aveva ricordato. “Potevi morire…”
Stavolta fu lei a fermagli la stretta delle braccia posandoci una delle sue mani sopra, e allontanandosi, a malincuore, dalla sua bocca, il tanto di far spazio per osservarlo bene in viso. Aprì finalmente gli occhi, dedicandogli uno sguardo serio, almeno fin quanto era possibile, visto che col suo stato comatoso riusciva a tenerli aperti a malapena. “Anche tu…” 
La guardò intensamente, capendo che non c’era ironia sul suo viso, ma tanta profondità e tanto dolore, che a volte era in grado leggere altre meno. Ma ciò che più gli passava per la testa era l’essere preoccupato per il suo aspetto stravolto e affaticato, che certamente non avrebbe mai voluto vederle addosso. 
“‘Non è la stessa cosa! Io posso combattere e resistere anche se mi vedi steso a terra…ma quel colpo, quel colpo ti avrebbe uccisa…”
“Non è giusto…” Nami trovò le forze per ribattere, nonostante non ne avesse più “tu non puoi…idiota, sei un idiota…, hai proposto la tua vita in cambio della mia, ma come ti sei permesso?” 
Le prese il volto fra le mani, cominciando a tastarlo con i suoi pollici duri. Gli occhi affaticati, il respiro lento, la pelle pallida con sfumature scure nelle zone più delicate, la bocca ancora calda. Non disse più niente; non ribatté più niente. Sapevano entrambi che era un discorso senza via d’uscita, e che con quella paura avrebbero dovuto conviverci per tutta la vita. Riguardava solo loro. E come erano fatti dentro. 
Certo era, che essere stati separati era stato solo che di beneficio per entrambi, dal momento che almeno così non si erano potuti scannare buttandosi addosso delle brutte, bruttissime parole, date, ovviamente, in pasto dalla paura. 
Non seppe resistere a baciarla ancora, insinuando prepotentemente la lingua tra le sue labbra che adesso erano socchiuse. Ancora quella pressione, ancora quel carattere, in quel modo tutto nuovo che avevano brevettato per sfogarsi. 
 
 
 
 
 
“…é meglio se riposi…”
A differenza del silenzio che Zoro s’aspettava di ricevere, lei ovviamente usciva fuori con le peggior battute. 
“Che c’è, non mi trovi abbastanza seducente stasera? Che sarà mai un po’ di sangue…Tu ne sei sempre pieno…”
“Piantala di scherzare! Si tratta della tua salute…”
Si affacciò nuovamente su di lui fino a sfiorargli le labbra con la bocca, solleticandogli il collo con i capelli. Gli posò sopra un bacio leggero e innocuo, provocandolo, anche se in realtà aveva esaurito ogni tipo di enfasi. 
Inarcò un sopracciglio: Nami voleva avere sempre ragione, come al solito, e non ascoltava minimamente le sue premure. 
No, si disse, non avrebbe ceduto minimamente, per il suo bene, doveva farla dormire, doveva farla riposare. 
Ma lei sembrava conoscere tutto di lui, tutte le sue debolezze, e sapeva quando chiamarle in causa. E lui, si adattava a lei, ai suoi sbalzi d’umore, alle sue richieste e alla sua caparbietà. 
I capelli tornarono a solleticargli la pelle, mentre lei continuava a dargli dei baci intorno alle labbra, e fu così che alla fine l’ebbe vinta, perché talmente bisognoso di quel contatto come non lo era stato mai, non riuscì a non rispondere. 
Quei baci continui erano amore, ma anche intinti di emozioni trattenute, quando rabbia, quando preoccupazione, quando paura, ma soprattutto sollievo. Sollievo di essere ancora vivi, di essere ancora insieme. Facendo finta di essere contrariato, riuscì comunque a farsi sfuggire un paio di baci soffici, prima di tornare alla solita carica aggressiva e prepotente che lo caratterizzava. 
“Vuoi dire che questo ti dispiace?” 
“Affatto. 
Ma devi riposare lo stesso…” 
“Ora che ho visto quanto sai essere accondiscendente…dolce e passionale…” 
“Oh no…che cosa hai in mente adesso…” 
“Per guarire…mi basta anche solo questo, sai?”
“Sei una bugiarda”
 
   
 
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