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Autore: ValePeach_    06/02/2022    1 recensioni
Inghilterra, 1826
Quando la sorella maggiore ed il marito decidono di partire per una stravagante quanto inaspettata luna di miele in Italia e di mandare la giovane Camille al nord per tenere compagnia ad un suocero che odia qualsiasi tipo di contatto con la società ed una zia bisbetica molto più affezionata ai suoi amati gatti che alle persone, con grande sconforto inizierà a pensare che la sua vita sia finita.
Stare lontana da Londra e dal ton è quanto di peggio le potesse capitare e tutto ciò che spera è di tornare presto alla normalità. Ancora non sa, però, che anche la tranquilla e monotona vita di campagna può riservare svolte inaspettate… e fra l’arrivo dell’insopportabile quanto affascinante John Mortain e l’accadimento di un omicidio che la vedrà inaspettatamente coinvolta, inizierà a pensare che, forse, una vita anonima non era poi tanto male.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO 6




 
Se fino al giorno prima gli avessero detto che non esisteva niente di più terrificante dei sotterranei di Brownston Castle, con ogni probabilità avrebbe comunicato al suo interlocutore che aveva ragione. Dopo il pomeriggio appena passato però, si sentiva in dovere di dire che le stanze delle torture rinvenute in quella fortezza non erano niente in confronto all’accompagnare due signorine a fare acquisti… o meglio, una signorina in particolare visto che Phoebe Simmons era rimasta entusiasta quanto un bambino di fronte al precettore che assegnava i compiti.
Camille no.
Camille era stata alla pari di una grandinata estiva.
Partendo dal presupposto che non si erano più parlati dal pomeriggio precedente – quell’abile cospiratrice aveva pensato bene di fingersi stanca per saltare la cena e non dover in quel modo affrontare tutta la sua ira – anche quella mattina quando si erano visti per la colazione John aveva preferito ritirarsi in un rigoroso silenzio. Primo perché parlandole si sarebbe fatto saltare i nervi, già indubbiamente tesi per le prospettive che quella giornata riservava, e secondo perché Camille gli aveva tirato un mancino talmente perfetto da non poter in alcun modo controbattere.
L’aveva chiaramente sottovalutata.
Non era facile fregarlo. Dopo tutti quegli anni passati a ricercare sospettati governativi, spie e assassini pensava di aver accumulato una certa esperienza, ma lei c’era riuscita lo stesso. Era stata furba come una volpe, mettendolo in una situazione in cui non aveva potuto obiettare… non senza risultare maleducato agli occhi di una personalità come la duchessa. Dopotutto fino a prova contraria era un gentiluomo e come tale non poteva sottrarsi all’onore e al piacere di fare da scorta a due signorine dell’alta società. Così con la rabbia in corpo, l’orgoglio ferito e la coda fra le gambe aveva dovuto accettare il suo destino senza fiatare.
Purtroppo l’inizio di quel pomeriggio non fu dei più rosei. Dopo un pranzo leggero e dopo essersi preso un rimprovero per i dieci minuti di ritardo nei quali Camille era stata costretta ad aspettarlo nell’atrio del castello neanche fosse una cameriera qualunque, per citare le sue parole, erano partiti in tutta fretta per andare a prendere la signorina Simmons. Ovviamente anche in quel frangente non si erano rivolti la parola ed entrambi avevano provato un gran sollievo nell’accogliere Phoebe in carrozza. Seguirono saluti cordiali e frasi di circostanza dettate dalle buone maniere, dopodiché poté tornare felicemente a farsi gli affari suoi. Camille invece iniziò a parlare a ruota libera con Phoebe, in quello che a John parve più un interrogatorio che semplici domande sulla sua vita prima di trasferirsi in Cumbria.
Quando poi arrivarono in città, vennero per prima cosa trascinati dalla modista. Una signora sulla quarantina e vestita con un improbabile e alquanto orrendo abito color pesca li accolse felice come una Pasqua. Evidentemente doveva sapere molto bene che quando era Camille ad entrare nella boutique i suoi introiti aumentavano esponenzialmente, perché per tutto il tempo l’aveva fissata come avrebbe fatto un gatto col topo. In effetti così era stato: usando la scusa che secondo le direttive di moda di Madame Latouche la vita degli abiti femminili si era abbassata di ben due centimetri, aveva acquistato stoffe per confezionare otto nuovi vestiti: cinque da sera e tre da pomeriggio.  Avevano perso più di un’ora a scegliere le maledette stoffe per i maledetti abiti, per poi correre dal calzolaio per abbinarci le scarpe giuste.
John provò pietà per quel pover’uomo costretto a correre da una parte all’altra del piccolo negozio per farle vedere i modelli disponibili.
«Solo questi?» aveva osato chiedere Camille, osservando i dieci tipi diversi che aveva di fronte.
Avrebbe voluto strozzarla. Il calzolaio però, in nome degli affari e di ben duecento sterline, fu molto felice di disegnare tre nuovi modelli seguendo le sue rigide direttive. A detta di Camille sarebbero state un enorme successo, specialmente se avesse voluto proporle anche ad altre signore. In effetti John non osava mettere in dubbio il suo buon gusto, era ovvio che seguendo giornali di moda ed avendo partecipato alla stagione di Londra ne sapeva più lei di tutta Windermere, ma ciò non toglieva il fatto che quella situazione fosse totalmente assurda. Quanto si poteva essere viziati e petulanti per non riuscire ad accontentarsi dei modelli già disponibili? E John pensava che la tortura fosse finita lì, ma si sbagliava di grosso. Dopo una cioccolata calda e neanche il tempo di riprendere fiato, erano tornati dalla modista per scegliere nastri per capelli e borsette da abbinare alle scarpe. Poi era stato il turno del cappellaio, altra pugnalata dove non batteva il sole. Infine, per ultimo ma non meno importante, erano andati dal gioielliere per scegliere due paia di orecchini e una collana che potessero star bene con tutti gli abiti che aveva acquistato.
«Signorina Grey, non potremmo fare una pausa?» l’aveva implorata Phoebe all’ennesimo trascinamento per le strade della città.
A lui invece era venuto il mal di testa. Non ne aveva mai sofferto in trentaquattro anni di vita eppure da quando conosceva Camille – soltanto tre giorni! – era già la seconda volta che gli veniva. E ringraziò il cielo per il fatto che fosse appena iniziata la primavera e che quindi le giornate non erano ancora troppo lunghe, altrimenti non aveva idea di quanto ancora sarebbero stati in giro.
Maledetta Camille e maledetta madame Latouche. Non aveva alcuna pietà per i pover’uomini costretti a spendere migliaia di sterline per far stare mogli e figlie al passo coi dettami della moda. Era inconcepibile. Se mai fosse andato a Londra sarebbe andato lui stesso a scambiare due parole con quella fattucchiera, poco ma sicuro.
E mentre tornavano verso Southlake Castle, John osservò con tenerezza la povera Phoebe Simmons: aveva il viso stravolto dalla stanchezza, alcune ciocche erano sfuggite alla crocchia e aveva gli occhi persi. Se non fosse stato per la breve distanza tra Windermere e la dimora della duchessa si sarebbe persino addormentata.
Anche lui era stravolto. Mal di testa a parte, era la gamba a dargli fitte atroci e mascherarle era sempre più difficile.
Lo stupido lì era stato lui. Avrebbe potuto fermarsi al club e restare a leggere un giornale sorseggiando un brandy tutto il tempo, ma per orgoglio si era imposto di seguire le due giovani ovunque volessero andare. Per fortuna a causa della timidezza Phoebe non era quasi riuscita a guardarlo, mentre Camille era troppo presa dai suoi acquisti per notare la fatica che aveva fatto per stare al suo passo. E fu un bene, perché non voleva che lo vedesse come lo storpio che era. Non avrebbe sopportato il suo sguardo compassionevole. L’unico ad essersi accorto del suo malessere era stato Daniel.
Sì, c’era anche lui. Era stata la punizione giusta: la sera prima si era messo a ridere a crepapelle quando gli aveva raccontato del siparietto con la duchessa, così gli aveva ordinato di accompagnarli. Era stato costretto a portare i numerosi pacchetti per tutta la città ed era pronto a scommettere che anche a lui fosse venuto il mal di testa.
Camille al contrario era fresca come una rosa appena sbocciata. Aveva gli occhi che luccicavano di felicità, le gote arrossate e una parlantina che non aveva dato alcun cenno di cedimento.
«Grazie per questo pomeriggio» disse Phoebe, dopo essere scesa dalla carrozza aiutata da Daniel. «È stato molto piacevole.»
Era chiaro che stesse mentendo, ma Camille non se ne accorse. «È stato un vero piacere anche per me avere la vostra compagnia» disse infatti. «Dobbiamo assolutamente rifarlo!»
Phoebe sgranò gli occhi spaventata a quell’esclamazione, poi con un inchino e un saluto veloce si dileguò in un istante. Forse aveva paura che quel diavolo sottoforma di fanciulla la rapisse per un altro giro in città. Come biasimarla, anche lui aveva lo stesso timore.
Ed ecco che erano di nuovo soli.
«Un pomeriggio perfetto, non credete?» ebbe il coraggio di chiedere non appena ripartirono.
John la guardò pieno di rabbia.
«Suvvia non fissatemi come se voleste uccidermi da un momento all’altro… per prima cosa non è per niente educato osservare una donna con quel cruccio spaventoso e secondo tenere le sopracciglia sempre aggrottate fa venire le rughe e data la vostra età non forzerei la mano. Inoltre» continuò, senza dargli il tempo di ribattere. «Potevate anche dire qualcosa di diverso da “sì” e “no”… per poco non ci avete rovinato il pomeriggio.»
«Io avrei rovinato il pomeriggio?» sbottò. Aveva resistito fin troppo. «Ma vi sentite quando parlate? L’unica ad aver reso questo pomeriggio terrificante siete stata voi!»
«E perché mai? Non ho fatto alcunché di male.»
«Ma se ci avete trascinati per ogni singolo negozio della città. Capisco che volevate farla pagare a me, ma che c’entrava quella povera ragazza?»
«Bè, cosa vi aspettavate di preciso? Siamo andati a Windermere per fare acquisti, non certo per guardarci in faccia!»
«Mi state dicendo che per voi il pomeriggio si è svolto in maniera del tutto naturale, senza alcuna forzatura?»
«Mi pare ovvio!»
John rimase sconcertato. E lui che credeva avesse fatto la maniaca solo per ripicca, invece no: era proprio così.
Un brivido freddo gli percorse la schiena e gli fece venire la pelle d’oca. Era un incubo. Uscita dal peggior girone dell’inferno. Pensò anche al poveretto che avrebbe avuto la sfortuna di sposarla, se mai avesse trovato qualcuno di così folle da farlo, costretto a vivere quella maledizione ad ogni cambio di stagione.
Sospirò rassegnato, premendosi una mano sulla fronte e massaggiandola.
«Che avete da sospirare?» si stizzì lei. «Offendere me e la mia amica non era sufficiente? Dovrei essere io a sospirare, non certo voi.»
«Per favore, smettetela» disse, senza speranza e senza forze. Era del tutto prosciugato. «Non ho offeso né voi né la signorina Simmons… e poi come fate a definirla una vostra amica? La conoscete da sole quattro ore.»
«Non posso certo definirla una conoscente, visto che siamo rimaste d’accordo di incontrarci sabato pomeriggio per un tè. E poi il mio intuito difficilmente sbaglia, per cui vi posso assicurare che io e quella ragazza diventeremo ottime amiche.»
«Ah, come vi invidio» la canzonò. «Riuscire a capire le persone con un solo sguardo non è da tutti… suppongo sia un altro dei vostri numerosi talenti.»
«Prendetemi pure in giro, ma è la verità.»
«Come dite voi, signorina Grey» concluse, sperando in quel modo di non sentire più le sue inutili chiacchiere, ma naturalmente il silenzio non era una cosa contemplata dalla sua compagna di viaggio.
«Ha funzionato anche con voi» disse appunto.
Cielo… che qualcuno le tappasse la bocca per sempre.
«Ma non mi dite.»
«Poi ho capito che non c’era affatto bisogno di comprendervi: siete esattamente come vostro padre, solo dieci volte più scontroso e pieno di pregiudizi» e detto quello si lasciò andare contro lo schienale della carrozza, incrociando le braccia al petto più infuriata che mai. «Davvero non capisco perché mi detestiate tanto… ecco, l’ho detto!»
«Io non vi detesto affatto» disse di getto.
«Ah no? Allora avete un modo singolare di dimostrarlo, dato ci conosciamo da soli tre giorni e pare mi abbiate giudicata da tutta la vita.»
«Non è colpa vostra.»
«Allora di chi?»
Mia.
Ma non poteva dirglielo. Si sarebbe messa a ridere nel sentire le sue motivazioni, esattamente come i suoi superiori quando gli avevano chiesto come mai il primogenito di un visconte volesse abbandonare tutto per andarsene in giro in vari Paesi rischiando la vita.
«Dunque? Sono in attesa» continuò Camille imperterrita.
«Non penso possiate realmente capire o sopportarlo.»
«Voi provateci… le mie spalle sono più forti di quello che sembrano.»
Forse era così. Ma poteva sfogarsi con lei? Cosa poteva mai saperne Camille di quello che aveva vissuto e dei suoi sentimenti quando le sue uniche preoccupazioni erano stare al passo con le riviste di moda e partecipare ai balli?
Per la prima volta da quando era arrivato la guardò davvero negli occhi. C’era il mondo all’interno di quei pozzi color ambra e John se ne pentì immediatamente. Vi lesse rabbia, curiosità e comprensione. C’era anche tanta fiducia. Il problema era che erano anche magnetici, pericolosi. Se non fosse stato attento, avrebbe potuto perdercisi dentro.
Fu lui a distogliere lo sguardo per primo. Poi sospirò di nuovo. Probabilmente se ne sarebbe pentito, ma almeno se si fosse offesa a vita non avrebbe più dovuto avere a che fare con lei. Chissà come mai, quel pensiero non lo lasciò troppo entusiasta.
«La verità è che voi siete esattamente il motivo per cui me ne sono andato» disse secco.
«Io? E come potrei, undici anni fa ero soltanto una bambina e non sapevo nemmeno chi foste!»
«No, avete ragione, mi sono espresso male. Quello che intendevo non era voi singolare, ma le persone come voi in generale.»
«Perdonatemi, ma non capisco.»
«Persone frivole, superficiali… gente egoista che pensa solo a sé stessa e ai divertimenti.»
«Oh.»
«Non fate l’offesa, siete voi ad aver insistito.»
«Sì, certo, è solo che… pensate davvero questo di me? Che sono un’egoista viziata?»
«Volete una risposta sincera?» chiese e lei annuì. «Sì» ammise quindi senza giri di parole. «Dal primo momento in cui vi ho vista ho pensato che foste così e dopo questo pomeriggio ne ho avuto la conferma.»
Lei non rispose.
Si fissò le mani e un leggero rossore cominciò ad apparire sulle guance.
«Vi sbagliate» sussurrò, dopo un tempo che parve infinito. «E comunque, cosa vi avrebbero mai fatto quelle persone di tanto grave? La stragrande maggioranza non la conoscevate nemmeno, per cui che torto vi hanno fatto tanto da costringervi ad andarvene? Lo trovo assurdo e senza senso.»
«Dopo che tornai dalla guerra ero un uomo devastato» disse, incapace di fermare le parole e i pensieri. «Non avete idea di quello che ho visto e vissuto durante quegli anni. A Waterloo poi sono quasi morto, non fosse stato per un angelo custode che mi ha salvato la vita. Così, quando dopo la convalescenza tornai a Londra mi aspettavo…» si bloccò. «Bè, non sapevo nemmeno io cosa aspettarmi, ma certo non una totale indifferenza.»
Ancora silenzio.
«Non un pensiero per le migliaia di giovani morti, non un commento… l’unico scopo di quei nobili pomposi era organizzare battute di caccia, giocare a carte e fare scommesse da White’s. E nemmeno le donne fecero differenza. Madri che avevano addirittura perso i figli se ne stavano sedute nei salotti a conversare come se niente fosse successo, a far maritare le figlie e a sperperare denaro. Capite ora?»
«Forse… un pochino, sì.»
«Non potevo rimanere. Mi sentivo soffocare ogni qual volta entravo in un club o in una sala da ballo. Se avessi potuto, li avrei uccisi per il loro disinteresse. Chiamatemi pure codardo se volete, sono consapevole del fatto che molti altri hanno continuato a vivere cercando di andare avanti come potevano, ma io non ci sono riuscito. Provavo troppo odio, così me ne sono andato… e per il resto sapete anche voi com’è andata a finire.»
«Mi dispiace.»
«Non è colpa vostra, ve l’ho detto. Perdonatemi se vi ho messa a disagio» si sentì comunque in dovere di dire.
«Non lo avete fatto» fece lei sorridendo. Un sorriso amaro, carico di tristezza. «Se non altro ora so perché non potete nemmeno guardarmi senza provare rabbia, però posso dire una cosa?»
«Certamente.»
«Non che con questo voglia difendermi… anzi no, un po’ sì, voglio difendermi… però, esattamente, cosa vi aspettate che faccia?»
«Come?»
«Avete detto che sono superficiale e che penso solo ai balli e a sperperare denaro, ma nel caso vi fosse sfuggito io sono una donna… cos’altro potrei fare se non quello?»
John ammutolì.
«Non ho grandi aspettative come voi uomini» continuò seria. «Da quando sono nata l’unico scopo prefissatomi è stato quello di fare un buon matrimonio. Tutta la mia istruzione ruota attorno a quello: non mi hanno insegnato fisica, matematica o medicina, ma a ricamare, a come mandare avanti una casa e a come rendermi adeguata agli occhi degli uomini. Credete che mi piaccia?»
«Non che vi dispiaccia» si difese lui. Quel discorso lo stava inaspettatamente mettendo con le spalle al muro.
«No, certo… e posso anche darvi ragione quando dite che sono viziata. So bene che lo sono, grazie al cielo ho avuto la fortuna di ricevere un’eredità nonostante sia una donna e amo seguire la moda, così come adoro andare ai balli e a teatro… e vi dirò di più: mi manca terribilmente Londra. Quando mia sorella ha deciso di mandarmi qui ho pianto per una settimana intera. Ho cercato in tutti i modi di farle cambiare idea e anche adesso spero torni presto, in modo da tornare alla mia vita di sempre… ma credete davvero che non abbia altre aspirazioni? Pensate che non abbia desiderato anche io di viaggiare in Europa come ha fatto Heather? Santo cielo, non posso nemmeno andare in città da sola senza il timore di vedere rovinata la mia reputazione! Se per esempio fossimo a Londra e qualcuno scoprisse che abbiamo passato del tempo da soli in carrozza senza uno chaperonne, le conseguenze sarebbero disastrose per me… voi invece verreste semplicemente etichettato come un libertino.»
Aveva ragione.
Che fosse dannato se pensava ci fosse qualcosa che non filava in quella confessione e per la prima volta la guardò sotto una luce diversa. Non più come una giovane spocchiosa, ma semplicemente come una ragazza che voleva godersi appieno la vita… o almeno quel poco che le era permesso dalla società. Lui non lo aveva potuto fare. La sua giovinezza l'aveva passata in guerra e quando era tornato era ormai troppo tardi. Il sangue e le battaglie lo avevano segnato nel profondo, non lasciandogli vie d'uscita.
«Vi chiedo scusa» disse sinceramente. «È evidente che vi abbia malgiudicata, il che vi dà ragione anche sul fatto che sono pieno di pregiudizi» continuò, sentendo un altro pezzo di orgoglio andarsene.
Messo a tacere da una giovane di ventun anni… era decisamente meglio se non fosse mai tornato. 
«Accetto le vostre scuse» disse invece lei felice e soddisfatta. «E penso che d’ora in avanti potremmo anche andare d’accordo. In fondo anche io vi ho malgiudicato, fidandomi del mio istinto.»
«Ma come!» scherzò lui. «Credevo non sbagliasse mai.»
«Ancora una volta siete in errore» ridacchiò compiaciuta. «Poco fa infatti ho detto che il mio intuito difficilmente sbaglia, non che non lo faccia mai.»
«Touché, signorina Grey.»
«Camille.»
«Come?»
«Penso che possiate chiamarmi Camille, no? Se vi va naturalmente. In fondo chiamo vostro padre “zio Vincent” per cui credo non ci sia niente di male nel superare certe formalità, specialmente ora che ci siamo chiariti e… oh no!» esclamò spaventata e in un istante divenne rossa fino alla punta delle orecchie.
«Che succede?»
«Ecco… è molto imbarazzante, non credo di poterlo dire.»
«Voi provateci, ho le spalle molto più forti di quanto sembra» disse, ripetendo le sue esatte parole. Camille però era sempre più rossa.
«La lettera» quasi piagnucolò.
«La lettera?»
«Ricordate che ieri è arrivata una lettera da Heather? Bè… io naturalmente le ho risposto e…» non riuscì a finire.
John per poco non scoppiò a ridere.
«Fatemi indovinare: avete decantato in maniera molto eloquente le mie numerose qualità?»
«Non scherzate… e comunque è tutta colpa vostra» sbottò, di nuovo infuriata. «Se vi foste preso la briga di parlarmi prima, certo non lo avrei fatto!»
«Ora sarebbe colpa mia?»
«È sempre colpa vostra!» esclamò con veemenza. John scosse la testa rassegnato, ma sorrise lo stesso. «Però se siamo fortunati forse il signor Montgomery non è ancora andato a spedirla» continuò imperterrita. «Ieri era brutto tempo e oggi sarà stato indaffarato per via della cena di domani sera… certo a meno che non abbia affidato la mia risposta ad uno dei camerieri. In quel caso, temo sia troppo tardi.»
«Camille, calmatevi» disse. Gli fece uno strano effetto chiamarla per nome, ma gli piacque. «Non credo sia così grave come pensate e poi a me non importa.»
«Ma certo che lo è! Se mia sorella ricevesse la lettera e mi rispondesse, poi dovrei spiegarle che mi sono sbagliata e detesto contraddirmi da sola.»
«Ah… è questo allora il problema: il vostro formidabile intuito che ha preso un granchio» disse, mentre un sobbalzo della carrozza gli fece picchiare il ginocchio contro lo sportello.
John imprecò dal dolore.
«Vi fa molto male?» chiese Camille preoccupata.
«Di solito no… oggi l’ho forzato troppo e queste sono le conseguenze.»
«Temo sia colpa mia… avreste potuto dirlo, ci saremmo fermati.»
«Davvero?»
Lei arrossì di nuovo.
«Datemi le mani» disse, ignorando la domanda la cui risposta era indubbiamente un “no” secco. Poi iniziò a sfilarsi i guanti.
«Che state facendo?»
«Darvi un po’ di sollievo» sorrise, mostrando i palmi. «Coraggio, datemi le mani» ripeté.
Incerto, John fece come gli aveva ordinato, così Camille gli prese i polsi e iniziò a disegnare una serie di piccoli cerchi con il pollice sui palmi. Ogni tanto premeva forte, altre volte era più delicata.
«Cosa state facendo?» domandò di nuovo, sentendosi a disagio. Forse lei non aveva idea di cosa quei gesti significavano, ma un uomo o una donna esperti avrebbero scambiato quei massaggi per qualcosa di intimo ed erotico. Lui per esempio. E non andava affatto bene.
«Quando ero piccola caddi da cavallo» disse lei, ignorando del tutto le sue reazioni. «Avevo sei anni e siccome nella caduta mi ruppi un braccio, un polso e battei la testa talmente forte da rischiare di morire, fui costretta a rimanere a letto per un mese intero.»
«Mi dispiace» mormorò, cercando di distrarsi, ma le sue mani stavano diventando sempre più bollenti.
«Lo so, è stato terribile… comunque, essendo così piccola, non facevo altro che piangere. Avevo dolore dappertutto e odiavo stare immobile in quel letto tutta fasciata, per cui mia madre per farmi stare meglio faceva così: mi prendeva le mani e i polsi e iniziava a massaggiarli. Non che servisse a qualcosa, non appena smetteva il dolore tornava tanto come prima, però se non altro riusciva a distrarmi e a darmi sollievo per un po’. Funziona?»
«Direi di no» disse senza pensare. Era una tortura più che un sollievo, ma sembrava talmente fiduciosa che preferì non fiatare oltre.
«Oh… bè, suppongo non funzioni perché non siete più un bambino» rise, iniziando a disegnare cerchi anche sui polsi.
I sensi di John si tesero tutti insieme.
«Forse» disse, mentre la carrozza si arrestava.
Grazie al cielo erano arrivati.
Svelto allontanò le mani dalle sue come bruciato. Anche lei fece lo stesso, per nulla turbata.
Fu Daniel ad aprire la portiera, aiutandola a scendere. Poi scese anche lui.
«Bene, signor Cooper fate portare tutto nelle mie stanze» disse, sollevando le gonne e incamminandosi verso l’entrata. «E dite a Jane di preparare l’acqua, ho bisogno di un bagno. John?» lo chiamò. Lui divenne rigido come un paletto. Non si aspettava di venire interpellato con il nome proprio. Fu devastante. «Grazie per avermi accompagnata oggi, so bene quanto vi sia costato» concluse sorridendo, poi prese le scale e lui la guardò sparire oltre l’ingresso.
L’imprecazione di Daniel lo fece tornare in sé.
«Mi rimangio tutto quello che ho detto l’altra sera» disse, mentre aiutato dal cocchiere tirava giù i pacchi.
«Perché, che cosa hai detto?» chiese distratto, le mani che ancora bruciavano. Con stizza strinse e riaprì i pugni un paio di volte.
«Che è una signorina a modo, gentile e cordiale… non lo è per niente! Mi tocca dare ragione a quell’arrogante di Fox.»
John trovò la forza per sorridere e mentre anche lui entrava nel castello, gli venne in mente quello che aveva pensato riguardo al poveretto che avrebbe avuto il coraggio di sposarla. Fu solo un istante, ma per un momento quell’uomo assunse un volto: il suo. E fu come un fulmine e ciel sereno.
   
 
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