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Autore: ClodiaSpirit_    06/02/2022    3 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Clò: - Parapaparaparapapapararapara parara -
Ok, la settimana santa del festival è finita (respirando tristezza e malinconia), le fancam continuano a girare (quelle salvano tutti) e vi lascio una consolazione, con questo
aggiornamento che posso finalmente darvi  e regalarvi.
Stavo fremendo da giorni, e ora è vostro.
Ne vado particolarmente fiera, siate buoni.
Buona lettura.








Dopo che gli alberi avevano perso le loro foglie, i colori erano cambiati dall’arancio, al giallo, il tempo aveva lasciato spazio all’arrivo della primavera e con questa, erano arrivati anche il primo sole e caldo. Lo spostamento di aria era avvenuto in sette mesi che veloci, erano passati riempiti di verifiche, piogge, giornate buie e che terminavano prima che si potesse organizzare il proprio tempo libero in altro modo.
Era la terza settimana di Maggio, eppure c’era già voglia di saltare le ultime lezioni mattutine e andarsene al mare, per godersi l’aria fresca e il vento sui capelli.
Una giornata che culminava con la lezione della professoressa di storia che spiegava a una classe che preferiva scarabocchiare sul quaderno, passarsi pezzi di carta con segreti in codice o semplicemente fissare il soffitto annoiati.
Manuel fissava il banco di Simone, vuoto, mentre sentiva suonare la campanella che segnava la fine della giornata scolastica e la fine di quella tortura cinese.
C’erano stati pochi risvolti interessanti: qualche battuta, un professore in malattia, un altro che si rifiutava di andare avanti col programma e pretendeva di interrogare per il terzo giorno di seguito.
Manuel si tirò dietro lo zaino sulle spalle e si avviò verso il portone d’uscita della scuola. Non era triste, quanto la sensazione che provava era di pura mancanza per l’assenza dell’altro. Simone era partito per una breve escursione con Dante, lontano da Roma, gli sembrava avesse detto si trovasse su, in Piemonte. Era una specie di loro tradizione di famiglia, così ricordava gli avesse detto, almeno fino a quanto Simone ancora piccolo, riusciva a vedere il padre per le vacanze estive prima che lui sparisse. In ogni caso, erano già passati tre giorni e Manuel si sentiva letteralmente catapultato nell’apatia e nella noia. Per i primi due, non era riuscito a sentire il suo ragazzo, se non tramite messaggi o qualche chiamata, visto che la linea internet prendeva malissimo nel posto dove si trovava.
Manuel era contento che Simone avesse staccato un po’ da quell’aria abitudinaria, da città e che soprattutto stesse approfittando di un po’ di tempo per stare con suo padre, ma d’altra parte gli mancava, anche solo lanciarsi frecciatine a vicenda e il punzecchiarsi, gli aveva fatto vivere quei giorni tra i banchi più lenti del solito.
Quando ritornò a casa, fu la solita routine: parcheggiò lo scooter, salì le scale, aprì, posò il giubbotto senza scomodarsi di appenderlo, salutò sua madre, intenta alle prese con una delle sue traduzioni e sprofondò nel divano, esalando un sospiro.

« Che c’è Manu, giornata pallosa a scuola? » Anita batteva al computer, muovendo le dita come una piccola mitragliatrice esperta e attenta.

Manuel si limitò portare i piedi lungo il divano, senza togliersi le scarpe, portando le braccia dietro la testa.

« Tutte le giornate uguali, » mormorò, adocchiando il telefono, sfilandoselo dalla tasca dei jeans « in officina c’ho poco lavoro, fa caldo, c’avevo sta mezza idea de andà al mare, ma non me va ».

Controllò con il pollice il display, sperando in un messaggio di Simone, ma non c’era nessuna nuova notifica, nessun nuovo aggiornamento. Il cellulare gli ricadde sulla maglia a maniche corte, color verde militare.

« Se vuoi più tardi ce possiamo fa un giro, » suggerì Anita, adocchiandolo un attimo da sopra lo schermo del computer « però prima devo finire qua, poi la passeggiata in spiaggia ce la possiamo pure fare se ti va ancora »

Manuel annuì, sospirando sommessamente. Anita si morse le labbra, mentre si alzava e prendeva qualcosa e gliela lanciava. Suo figlio l’afferrò al volo, aggrottando la fronte, confuso.

« Che cos’è mà? »

Manuel osservò la plastica che avvolgeva quella che doveva essere una busta, o comunque un pezzo di carta, data la forma rettangolare e piatta. Anita sorrise furba, mentre accendeva la pentola con l’acqua per la pasta.

« Te aprila e vedi »

Manuel strappò il triangolo che formava la busta, in modo caotico, senza ricamarci troppo sopra, e ne uscì fuori una cartolina. La piccola carta riportava un borgo piccolo di case o forse palazzi, circondato da un lago blu profondo, affianco una piccola scritta: Isola di San Giulio. Il teppistello girò la cartolina dalla parte interna, notando una scrittura familiare, composta, anche e la mano era giovane. Sorrise subito.
Anita sbirciò l’espressione di suo figlio, mentre lo vedeva ricalcare con le dita la carta, come se quella avesse imparato a parlare o ad animarsi. Non volle leggerla ad alta voce, cercando di memorizzare quelle lettere e di ricordare come suonava la voce di Simone nella sua testa.

« Che dice, si sta divertendo? » sua madre spezzò la sua immaginazione.

In quelle poche parole, Simone diceva che le giornate erano già calde come se fosse già estate e che ogni tanto, lui e Dante beccavano il tramonto sul lago. Aveva fatto un sacco di foto e suo padre aveva scambiato una suora per una vecchia conoscente, mentre si incamminavano verso un bosco nei pressi dell’isola. Inutile dire che lo aveva preso in giro per tutto il giorno. Scriveva che c’erano già alcuni turisti, molto di quelli erano stranieri, soprattutto francesi.
Aveva visto anche molte moto d’epoca, di cui gli prometteva di mandargli le foto.
Le ultime parole erano:

Appena posso e trovo due tacche di linea
in questo posto sperduto,
ti chiamo subito.
Promesso.

Simone.

« Sì, sembra proprio de sì » mormorò, stropicciando quella carta plastificata che si teneva ancora tra le mani.

« Dai Manuel, ancora poco e puoi ritornare a rompere le palle anche a lui » lo consolò Anita, mentre pesava un paio di spaghetti e il sugo si scongelava sul bancone da cucina. Suo figlio annuì, portandosi in piedi e andando a preparare la tavola.

« Più che altro spero ce la faccia a tornà per il falò de classe » mormorò dubbioso.

Anita si girò a guardarlo, incuriosita. Manuel spiegò, mentre stendeva la tovaglia e stirava le pieghe con le mani « I ragazzi hanno voluto organizzà una specie di festa sulla spiaggia, sai na cosa per festeggiare la fine della scuola o comunque il fatto che ce siamo arrivati sani e salvi »

« E quando sarebbe questa rimpatriata? »

Manuel si portò le mani sui fianchi, mentre con una mano posizionava i due bicchieri, i tovaglioli e le posate.

« Praticamente è lo stesso giorno in cui lui dovrebbe tornare a Roma, » si mordicchiò le labbra « io c’ho provato a convince gli altri, solo Laura era dalla mia parte nel decidere ad aspettare magari qualche altro giorno. Alla fine, hanno paura co’ le verifiche di fine anno e quindi vogliono togliesse il dente adesso »

Anita gli accarezzò il braccio con la mano, vedendoselo arrivare vicino per guardarla, mentre vedeva l’acqua bollire e aggiungeva la pasta.

« Dai ce la fa sicuramente, » usò il suo tono premuroso « te non ci pensare troppo però, che non te fa bene »

« Sai che non funziona ‘sta cosa del “non ce pensare” perché più lo si dice, più uno effettivamente ce pensa? »

Anita roteò gli occhi al cielo, mentre girava gli spaghetti dentro la pentola e suo figlio prendeva un pentolino, accendeva il gas e schiaffava il sugo dentro, per riscaldarlo. Manuel provò però a pensarla davvero in modo diverso. Simone non era mai mancato a una riunione o festa di classe, in tre anni di liceo. Anzi, si era sempre messo a disposizione, insieme agli altri, nel raccogliere soldi e farsi carico di impegni. Sarebbe stato strano se fosse capitato proprio adesso, visto che mancavano ancora dei giorni prima che rientrasse a casa e con lui, anche l’entusiasmo di Manuel.

« Forse hai ragione mà, » afferrò un cucchiaio di legno e cominciò a girare il contenuto dentro il pentolino « me sto facendo troppi pensieri negativi »







La relazione che doveva presentare per il giorno seguente prevedeva una reinterpretazione di un testo che avevano letto e analizzato in classe. La consegna doveva essere per la terza ora, durante la lezione di inglese. Tutto nella norma se solo si fosse deciso ad andare avanti.
Manuel non aveva minimamente voglia di mettersi in azione, fissava il foglio con la penna tra le dita, il tappo buttato chissà dove. Aveva studiato soltanto pochi capitoli di latino prima, portando la sua testa a non volerne più sapere dopo l'ennesima traduzione. Pensava a che cosa avrebbe fatto se ci fosse stato il suo ragazzo con sé.

Se ce fosse Simone sarebbe tutto più facile, pensò.

Magari avrebbero finito per chiudere i libri e studiarsi a vicenda per il resto della giornata, oppure Simone avrebbe scelto un film da guardare insieme e passare così il tempo, magari evitando di guardarlo tutto per poi distrarsi entrambi. Probabilmente lui gli avrebbe detto qualcosa per provocarlo, così da scatenare in Simone la voglia di sfidarlo subito dopo. Manuel si massaggiò le tempie cercando di scacciare il pensiero del suo ragazzo assente. La carta sulla scrivania era brevemente macchiata di nero, con una calligrafia misurata, ma scostante.
Manuel aveva scritto solo quattro parole per poi bloccarsi all'istante, non sapendo come continuare. Gli occhi gli caddero sulla sveglia che segnava le cinque del pomeriggio. Si portò le mani alla testa, rileggendo il titolo del tema, cercando di riprendere di nuovo in pugno la sua concentrazione.
Appena sua madre entrò, si girò a guardarla con un cane bastonato in cerca di aiuto e quella subito gli piazzò una tazza fumante di thè davanti al naso.

« Cerca di non strapazzarti troppo, che me diventi secchione » lo prese in giro, mentre depositava un bacio sulla testa del figlio. Manuel avvicinò piano la tazza alle labbra, soffiandoci sopra.

« Grazie mà » si portò la bevanda alla bocca, mentre il sapore dolceamaro gli arrivava al palato. Anita osservò suo figlio posare la penna, per accogliere l'oggetto caldo tra le mani e poi riposarlo affianco al foglio.

« Dovresti prenderti una pausa, magari ci ritorni dopo, ti ricordi, mi hai detto che volevi uscire un po' » gli accarezzò i capelli. Manuel sospirò pesantemente, stropicciandosi gli occhi con una mano sola.

« Non mi va più e poi c'ho sta cosa da presentare domani, me devo mette sotto, sò gli ultimi botti » prese un altro sorso del suo thè e impugnò di nuovo la penna nera.

Anita annuì, mentre gli chiedeva se voleva qualcos'altro oltre al thè, magari qualche cosa da mangiare. Manuel scosse la testa e allora sua madre uscì dalla stanza socchiudendo la porta.
Manuel si caricò con due piccoli respiri, spronandosi da solo, o come meglio poteva. Rilesse le prime righe e ripensando al titolo della consegna, riattaccò bottone. Pensò a tutte le volte che si era distratto e a quelle in cui Simone lo riprendeva. Finiva sempre per fare però di più di quanto non facesse da solo, nello studio.
C'erano ovviamente giornate più fortunate e altre più scarse, ma aveva portato comunque buoni risultati quella loro associazione. Poi, che dopo aver studiato, finissero per almeno un'ora e mezza buona a baciarsi, era un altro discorso. Manuel riempì circa mezza pagina, ricontrollando di tanto in tanto i verbi usati, alcuni termini. Scarabocchiò qualche frase gergale - decisamente inopportuna - e qualche periodo troppo lungo. Riprese daccapo, almeno fino a quando il telefono vibrò. Si alzò di scatto, come se ne derivasse la sua vita e sorrise subito quando spuntò sull'interfaccia la foto e il nome di Simone, che lo stava videochiamando.

« Chi non muore si rivede eh » lo salutò così, mentre si sedeva accovacciato sul letto. Simone dall'altra parte del telefono, sorrideva e risultava leggermente più colorito. « Ma guarda come ha preso colore er principino! »

Simone sfoggiò un sorriso confidente.

« Ciao anche a te scemo! »

Manuel si sentì come un adolescente in balia di sentimenti primordiali e da dodicenne in fase di pubertà. Erano giorni che non vedeva il viso del suo ragazzo e adesso, gli sembrava di avere qualche allucinazione.

« Ho ricevuto la tua bustarella, » mormorò « com'è sta storia della suora? »

Simone rise, il fumo uscì dalla bocca e formò una nuvola vaporosa che oscurò un attimo la sua bella immagine. Era in canotta grigia, seduto vicino a un'altura di scogli.

« Praticamente mio padre pensava fosse stata una sua studentessa, prima che si trasferisse a Roma, » ridacchiò un poco « allora l'ha fatta girare e ha cominciato a parlare, facendole i complimenti, » prese un'altra boccata dalla sigaretta « le ha chiesto se si ricordava di lui. Le era volato il velo a pochi metri di distanza e quando è corsa per andarlo a riprendere, quando si è girata ha guardato mio padre in cagnesco »

Manuel sentì Simone di buon umore, mentre finiva di raccontare, beandosi di come almeno uno dei due, stesse bene.
« Insomma, tutto questo senza essere ubriaco »

« Ti giuro, mi sono pisciato addosso, aspetta ti faccio vedere una cosa » strinse la sigaretta tra le labbra, cambiando inquadratura e facendo vedere dove si trovava. C'era una larga visuale, sul primo piano un po' di ghiaia, degli alberi rigogliosi a capitanare in lontananza come sfondo e in mezzo si stagliava un lago ampio e chiaro, su cui si rifletteva il bagliore del sole.

« Wow, Simò è stupendo, pare un luogo fatato »

« E al tramonto è ancora meglio » confessò. Simone camminò alzandosi, e annuendo a qualcuno che passava. Poi ritornò a Manuel.

« Mio padre, scusa » gesticolò con la mano, la cenere gli cadde un po' a terra, mentre dava l'ultima boccata.

« Hai letto il messaggio che t'ho mandato? » suonò un po' rompiscatole e dunque addolcì il tono di voce « voglio dire, l'idea dei ragazzi del falò »

Simone annuì veloce, buttando la cicca della sigaretta, infilandosi le mani nella tasca dei jeans. Si riprese per lungo con il cellulare.

« Mi piace, ma come sempre c'ho un culo in queste cose » si bloccò un attimo, recuperando un tono positivo « Provo ad esserci, anche se l'orario è un po' una carognata, » abbassò lo sguardo « ci vogliono almeno quattro/cinque ore per tornare con la macchina, » si inumidì le labbra « se avessimo preso un volo sarebbe stato più veloce »
Manuel annuì, spegnendosi leggermente in volto.

« Ho capito Simò, io c'ho provato a fà cambiare idea agli altri, ma niente, » si toccò il ginocchio con la mano, accarezzandolo, come a farsi forza « se cagano sotto per le ultime prove e interrogazioni »

« Per fortuna facendo i miei calcoli, io devo andare interrogato solo di matematica, » si aggiustò i capelli, attaccati alla fronte per l'afa, il sudore li aveva già presi in umidità « per farmi tutte le materie mi sono fatto un mazzo... è stata la settimana prima di partire...»

« Sì, me lo ricordo, eri intrattabile »

Simone sentì l'altro strano, come distante.

« Che c'hai? »

Manuel sospirò, mentre si alzava dal letto e si piazzava davanti alla finestra guardando fuori. Il sole stava su in alto, il vetro trasparente era caldo, toccandolo con una mano.

« Niente, la verità è che qua è un po' una palla senza de te, » ammise assumendo il tipico sguardo abbandonato « le giornate so tutte uguali, in officina c'è poco da fare, vengono in pochi, perché ormai le giornate so belle, pare che l'estate arrivi prima quest'anno. Ce stanno già i pischelli che girano per strada in pantaloncini e pallone »

Simone cambiò la fotocamera, dirigendo l'inquadratura su altro. Manuel si distrasse un secondo, sforzandosi di capire cosa l'altro stesse facendo. Il ragazzo più alto, camminò per un breve tratto e inquadrò col cellulare un punto dell'insenatura di roccia, al di là dell'acqua, dove si trovava. Un piccolo frammento di roccia riportava due iniziali incise: S + M.

« Riesci a vedere bene? » gli chiese Simone.

Manuel si ritrovò a sorridere, mentre pensava che una cosa del genere fosse completamente nella mentalità di due dodicenni che di due ragazzi a cui mancava solo un anno per finire il liceo.

« Ora non ti incazzare, so che non ti piacciono queste cose, però mi piaceva il pensiero che anche tu fossi qua con me »

« Mi manchi »

Simone sospirò, riprendendosi di nuovo, invertendo la telecamera. Lo guardò cercando dentro quegli occhietti dietro lo schermo, la voglia di fargli coraggio, trasmettergli un po' di forza. Era raro che il piccoletto fosse così rabbuiato, conoscendo la sua vena giocosa.

« Anche tu... » incurvò le labbra, sussurrando piano. Simone però sapeva di provare lo stesso. Guardando i primi tramonti dal lago, aveva immaginato di averlo vicino e trovarsi in confusione su quale fosse la vista migliore per i suoi occhi « Manca poco però e poi potrai prendermi in giro quanto vuoi, non mi opporrò, giuro. Farò di tutto per esserci giovedì, anche se dovessi arrivare alle dieci di sera »

Manuel annuì, cercando di mostrarsi convinto, anche se forse l'unica immagine che ne uscì fuori fu di un nervoso e soprattutto speranzoso al limite del disperato.

« Devi ricordarmi di inviarti le moto che ho visto, » disse poi « secondo me appena le vedi impazzisci »

« Più de come sto a impazzì ora mi sembra difficile Simone »

Simone si intenerì sentendo l'altro ridere amaramente, lesse nella trama del corpo che si appoggiava alla tenda della finestra, il suo solito lato trasandato ma vestito dal malumore.

« La connessione oggi sembra tenere...hai da fare? »

Manuel osservò il foglio di carta fermo, abbandonato, impassibile sopra la scrivania, ora così distante per poi ritornare da Simone sullo schermo.

« E quando me ricapita de risentirti, approfittamo de ste due tacche de linea »

Con un solo balzo, Manuel si mise disteso a letto, e ripresero a parlarsi.








« Oh, Manuel, questi dove li mettiamo? »

Laura caricava delle piccole sedute di legno, in realtà erano delle cataste che avevano racimolato un po' da qualche bar visto che i proprietari non ne avevano più bisogno e dovevano buttarle. Sarebbero servite per sedersi in spiaggia o posare sopra le bibite e il cibo. In tutto erano riusciti a ricavarne quattro/cinque.

« Lì, su due file, magari due a sinistra e due a destra » suggerì, indicando con le mani. La ragazza annuì, i capelli lunghi le coprirono la faccia « Aspetta, ti aiuto » Manuel allora sollevò una panca, posizionandola proprio a pochi metri dall'altra. Laura lo scrutò per bene, cercando di non risultare troppo invadente.

« Di Simone ancora nessuna notizia? » la voce si colorò di dolcezza.

Manuel fece cenno di no, visibilmente amareggiato. Erano già le sei e mezza di pomeriggio e l'ultima volta che lo aveva sentito era stato il giorno prima.
Da quel momento, il silenzio totale. Pensò che non fosse un segno per forza negativo, d'altra parte sapeva che lui e suo padre aveva deciso di viaggiare per conto loro, in macchina. Si augurava che Dante mettesse il turbo, per farsi dal Piemonte a Roma, col figlio, partendo dopo pranzo.
Manuel vide gli altri ragazzi arrivare con le varie cibarie e bevande, mentre le ragazze, tra cui Chicca e Luna, cominciavano a piazzare le tende. Matteo ridacchiava, Aureliano e Giulio sembravano aver iniziato una conversazione seria invece.

« Sono sicura che in qualche modo ce la fa » Laura allungò una mano, per posargliela delicatamente sulla spalla « non si perderebbe mai una cosa così. Gli piacciono troppo queste pensate. »

Manuel annuì, si allacciò la felpa intorno alla vita, rimanendo in maglia a maniche corte. Era già sera, ma sentiva già caldo. La temperatura giocava sempre brutti scherzi col suo corpo, quando l'estate si avvicinava. I capelli erano già una prova del disastro che l'aumento dei gradi riportava: l'umidità. E ripensandoci, anche le zanzare. Quelle erano il male per ogni individuo.

« Tu non monti la tua tenda? » le chiese, mentre si chiedeva dove potesse essere la legna per il fuoco. Laura sembrò leggergli nel pensiero e gli fece cenno con la testa dall'altra parte, all'entrata della spiaggia libera, sul muretto di pietra. Quella, era stata fornita gentilmente dal padre di Aureliano, che avendo un camino a casa, si procurava da solo le cataste di legno per accenderlo d’inverno.

« Io la condivo con Pin » azzardò, dondolando un po' con le gambe. Laura sembrava a metà tra l'imbarazzo e la voglia di ostentare sicurezza.
Manuel sorrise furbastro.

« Abbiamo avuto la stessa idea, anche io pensavo di usarne una in due... » si masticò il desiderio prepotente che veniva spento dall'idea che Simone non ce la avrebbe fatta a raggiungerli per il falò.

« Sta tranquillo, c'è ancora tempo »

Laura gli rivolse un sincero sorriso di incoraggiamento. Manuel attenzionò lo sguardo davanti a sé: il sole cominciava a tramontare e scomparire oltre la linea del mare, disegnando scaglie di arancione e rosato in cielo. Immaginava come sarebbe stato bello trovarsi a guardalo in due. Invece era da solo. Circondato da tutti quanti, ma si sentiva comunque da solo.
Simone sbrigate, per favore.
Il suo corpo si voltò e con le sue gambe veloci era già a metà strada per recuperare la legna al muretto, per capire dove posizionarla sulla sabbia.





 
- - -




« Ragazzi, calmi calmi » il teppistello mise le mani avanti, il fuoco scoppiettava a pochi metri da lui. Manuel prese controllo della situazione zittendo tutte le persone presenti tutti disposti in cerchio attorno alla spiaggia e il gran baccano delle loro voci che gli schiacciavano la testa « ditemi quale altra canzone volete, prima che divento sordo co’ tutta sta caciara! »

Manuel appoggiò la chitarra acustica contro il petto e le gambe, abbracciandone con fare protettivo la cassa con le mani. Ci si appoggiò come fosse il bastone della sua recuperata pazienza da tenere sempre pronto in caso di stress, nervosismo, come in quella situazione. Qualcuno dei ragazzi sembrò pensarci su, mentre si levavano già altre voci testarde di liceali.

« Fai una canzone dei Muse! Come si chiama quella nuova, uscita da poco? » batté le mani entusiasta Luna.

« No, deve cantà in italiano, oppure una canzone importante, altrimenti non ce capisco niente » borbottò Matteo, incrociando le braccia.

Manuel si portò una mano alla fronte, cercando di liberare la testa da tutto quel baccano infernale.

« Matté si vede che sei antico, la musica è internazionale, ed è giusto farsi una cultura al riguardo, uomo delle caverne » lo riprese Martina, che schioccò un batti cinque tattico con Chicca.

« E se facessimo decidere a Manuel? » Laura lo guardò cercando di venirgli in soccorso « tanto è lui che suona e che canta, quindi è lui che dovrebbe decidere, non noi »

Manuel le mimò un grazie con le labbra, giunse le mani, sollevato visibilmente per il sostegno appena ricevuto.

« Sì, sono d'accordo è giusto così, e brava Lauretta » Chicca se la trascinò in un abbraccio aperto, con la mano sulla spalla.
Manuel si concentrò, pensando a cosa aveva ascoltato ultimamente nei pochi giorni di relax che aveva avuto. Prima che tutta la raffica di compiti, verifiche gli cadesse addosso come un peso gravoso. Aveva una canzone fissa in testa da giorni, un po' perché si era intestardito a farla sentire a Simone prima che partisse e un po' perché, gli piaceva un sacco il testo e la musica. Ritrovava un po' della sua vena personale, quella di divertirsi e parlare con voce non sua.

« Va bene, Mannarino lo conoscete tutti? »

Alcuni annuirono, mentre altri fecero un'espressione perplessa. Manuel abbassò lo sguardo sulla chitarra, posizionandosela sul grembo, le gambe incrociate come un bambino attento. Cominciò a strimpellare le corde, lasciandosi cullare dalla musica che veniva fuori dallo strumento. Il ritmo del suono incalzò e sfumò nell'aria, trovando dapprima silenzio assoluto.

« Quando io sono solo con te,
sogno immerso in una tazza di tè
ma che caldo qua dentro,
ma che bello il momento »

Una seconda prima risposta arrivò in qualche ragazzo, o ragazza - non lo capì perché era completamente concentrato - che accompagnava Manuel col battito o schiocco di mani. Manuel ripeté la stessa scala di note, per la seconda strofa, chiudendo gli occhi. Intriso delle parole del testo, avendo solo una sola precisa immagine in testa.

« Quando sono con te
non so più chi sono perché
crolla il pavimento e mi sciolgo di dentro »

Mentre continuava, si levò un po' di brusio intorno, ma non ci fece granché caso, continuando a toccare le corde con le dita, tese inizialmente e che poi vibravano, scivolando dentro, in quella sensazione densa che si sentiva in corpo, quel coraggio fatto di musica. Sentì una voce familiare e fu allora che alzò lo sguardo, bloccandosi di colpo. Simone si piegava piano verso ognuno, a salutare i compagni, chi lo abbracciava, chi muoveva la mano sventolandola, mentre un sorriso del ragazzo gli creava quelle amate fossette familiari. Quando l'attenzione di tutti ritornò, Manuel riuscì finalmente a farsi guardare. L’altro incrociò il suo sguardo, nel momento esatto in cui riprese a pizzicare le corde.
Manuel non disse niente, solo riprese a cantare, con più impeto di prima. Incasinò le note, velocizzandole leggermente, vorticando dentro se stesso.

« Quando penso a te
mi sento denso perché
Io ti tengo qua dentro di me,
io ti tengo qua dentro con me »

Subito, il piccolo musicista inventato venne accompagnato dagli altri, seguito dal battito di mani, ma poco importava: Manuel guardava solo e ancora Simone.

« Me so' 'mbriacato de 'na donna
Quanto è bono l'odore della gonna
quanto è bono l'odore der mare
ce vado de notte a cercà le parole »

Manuel fece forza sulle gambe e si alzò piano, cominciando a girare con la chitarra addosso, come se fosse un’arma potente, sprigionava tutto ciò che teneva chiuso da ben cinque giorni.

« Quanto è bono l'odore der vento
dentro lo sento, dentro lo sento
quanto è bono l'odore dell'ombra
quanno c'è il sole che sotto rimbomba »

Manuel piroettò attorno alle figure davanti al fuoco, girava lo sguardo su qualcuno adesso, ma ritornava sempre alla figura del suo ragazzo seduto tra Laura e Pin, adesso. Non sapeva nemmeno come si stesse muovendo, ma sicuramente il sorriso si era piazzato anche sulla sua faccia, adesso. Inconsapevole e ubriaco solo di Simone, ricominciò con l'altra strofa. Adesso era proprio vicino al ragazzo, stava in piedi davanti a lui, inchiodato, col quel fuoco che zampillava e gli scoppiettava dietro.

« Quando sono con te
Io mangio meglio perché
non mi devo sfamare
non mi devo saziare con te »

Abbozzò un’espressione contrariata, in totale discordanza con quell'ultima frase, visto che in nessun modo possibile, Manuel si riconosceva nella sazietà dell'altro.
Non avrebbe mai ammesso il contrario, lui ne andava fiero. Notò come Simone era visibilmente imbarazzato, un sorrisetto velava forse la voglia di nascondersi, ma in quel momento non poteva farci nulla, la dedica ormai era partita dall’esatto momento in cui lo aveva visto arrivare. In sottofondo Manuel, sentì gli altri ragazzi prepararsi al ritornello.
Manuel fece di nuovo il giro e sentì Simone liberarsi a cantare, batteva le mani insieme agli altri.

« Me so' 'mbriacato de 'na donna,
quanto è bono l'odore della gonna
quanto è bono l'odore der mare
Ce vado de notte a cercà le parole »

Il teppistello volteggiò un po', mentre terminava la canzone, allungando leggermente l'ultima nota con la chitarra e sfumando la voce.

« Quant'è bono l'odore dell'ombra
quanno c'è il sole che sotto rimbomba, come rimbomba l'odore dell'ombra
e come parte e come ritorna, » Manuel si inchiodò con gli occhi al suo ragazzo « come ritorna l'odore dell'ombra »

Strimpellò le ultime note, beccandosi l'applauso dei suoi compagni di classe mentre in modo abbastanza impacciato alzava le mani in segno di stop. Si sentì qualche "bravo" in sottofondo, mentre a lui in realtà interessava soltanto una cosa. Poggiò la chitarra al supporto di legno lì affianco e fece un inchino più da giullare, che da performer grato.
« Bene, comunico un attimo de pausa che c'ho una cosa importante da fare ora » annunciò.

Manuel si avvicinò a Simone, lo prese per mano, facendolo alzare. Si allontanò lì sulla spiaggia, portandosi via dalla confusione di tutti quegli sguardi indiscreti.
Ci mise un attimo solo per guardarlo e poi tirarlo contro di lui, facendo scontrare i nasi e le labbra. In sottofondo si sentì comunque il silenzio rotto da degli 'oh' che sembravano ululati stonati, ma Simone portò le braccia dietro il collo di Manuel, preferendo il rumore delle onde del mare. Il suo corpo si faceva leggero e il cuore pompava veloce.

« Mi sa che ci stanno guardando tutti » mormorò Simone contro le labbra di quello. Manuel ghignò giusto il tempo di avvicinarlo di nuovo e dirgli poco altro.

« So solo invidiosi, lasciali perde »

Gli diede un bacio più lento, godendosi quel piccolo momento tutto loro, dopo quasi una settimana. Simone si strinse ancora di più alla nuca e Manuel si mise un po' sulle punte come se stesse sprofondando nella sabbia. O forse era solo il contatto della bocca calda e le lingue che ritornava o a scontrarsi. Il più alto si staccò per riprendere fiato e osservare come la figura dell'altro stava bene con il cielo già puntellato sopra le loro teste e la sera che segnava appena le otto.

« Mio padre ha corso come un matto su mio suggerimento » gli tirò un riccetto che spuntava fuori « non ho dormito molto, ma ci tenevo ad esserci. Te lo avevo promesso. »

Manuel annuì, sfoggiando un piccolo sorriso. Osservò come Simone era decisamente più abbronzato, vedeva la linea dove aveva preso il sole che si interrompeva oltre la maglia a strisce azzurra e bianca. Doveva aver usato tutta la crema solare che poteva, ma il distacco era evidente.

« Dai, andiamo, che sennò quelle me menano » Manuel lo prese per mano « sto a fa' un concerto gratis qua »

Simone rise e lo seguì, con lo stesso passo, la stessa lunghezza d’onda, né un centimetro indietro, né uno in avanti.






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« Vi siete organizzati bene » Simone spostò un po’ di granelli sabbia tra le mani, quella scivolò veloce liscia, seduto vicino a Manuel davanti alla loro tenda montata.

« Sì, il merito è quasi tutto mio e di Laura, però » si grattò la barba, mentre la chitarra era distesa a pancia su affianco a lui « abbiamo pensato a tutto, poi Aureliano c’ha aiutato con la legna. Al cibo e al resto c’hanno pensato gli altri, però l’organizzazione è stata più nostra »

« Mi dispiace non aver potuto fare niente, a saperlo prima »

« Simò tu te sei rilassato al lago, tranquillo. Lo abbiamo fatto anche per te »
Simone fece ciondolare la birretta che teneva nella mano sinistra, mentre osservava l’altro strofinarsi le mani sulle ginocchia.

« Sei bravo, » indicò lo strumento che teneva da parte « al di là della canzone che hai scelto »

Manuel roteò gli occhi, sbuffando offeso.

« Ah quante storie, è ‘na bella canzone. La prossima volta la dedica te la fai da solo »

Simone scolò l’ultimo goccio di birra, la infilò tra la sabbia e le cosce e lo tirò dalla maglia con un dito, arpionandolo. Gli depositò un bacio rapido, mentre lo vedeva cambiare espressione.

« Stavo scherzando, guarda che mi è piaciuta, » sussurrò, ispirando piano « nessuno ha mai fatto una cosa così per me »

« Se penso a te, me vengono in mente solo cose belle Simò » strofinò il naso contro il suo, poggiandogli una mano sulla guancia.
Simone si rilassò completamente, chiudendo appena gli occhi.
Una leggera brezza serale si avvicinava e i ragazzi erano un po’ sparsi ovunque a parlare o a cazzeggiare col telefono. Avevano spiluccato qualcosa, più bevuto in realtà, cantato per due orette fino a quanto almeno, Manuel non si era fatto prendere dai morsi della fame e aveva annunciato anche l’apertura della tavola calda.
Il ragazzo alto poi si ricordò di una cosa, il suo zaino era dentro la tenda, quindi si alzò di scatto.

« , dove vai? »

« Ti ho portato una cosa, aspettami qui »

Manuel però non obbedì e lo seguì dentro, nemmeno fosse stato il suo cagnolino da compagnia. Era come se tutti quei giorni di distanza, gli avessero fatto scattare un’assurda dipendenza. Richiuse la tenda dietro di sé e si ritrovò l’immagine di Simone che frugava nella tasca dello zaino. Le gambe da una parte e il busto in torsione.
Curioso, si mise a sedere pure lui, lungo i due cuscini e la tovaglia che era stata distesa lunga, con tutta la stoffa sfilacciata ai bordi, sulla superficie plastica della tenda. Simone ne uscì fuori un pacchettino chiuso con dello scoatch ai lati, era molto semplice ed entrava dentro la sua mano. Quella si mosse contro Manuel, che afferrò il pacchettino con delicatezza.

« Se non ti piace, puoi anche non usarla » Simone suonò teso, anche se l’aspettativa lo stava leggermente divorando dentro « l’ho vista e ho pensato potesse piacerti »

Manuel aprì piano la carta, non volendo rompere qualsiasi cosa ci fosse dentro. Poi alzò il pacchettino e sul palmo della mano scivolò una collana di caucciù, aveva una piccola chiusura metallica ed era decorata con poche pietre irregolari nere e marroni al centro. Le dita sfiorarono accurate il materiale, simile a corda, ma più resistente.
Manuel se la portò al collo, chiudendo il gancetto metallico, mentre le dita ispezionavano le pietruzze davanti. Simone aspettò dicesse qualcosa, invece l’altro si limitò a trascinarlo e a scoccargli un bacio.

« Me piace un sacco »

Manuel lo abbracciò stretto, assaporando la sensazione di quelle braccia, quel profumo che conosceva di pulito e di sicurezza che gli era mancata fin troppo. Simone si sentì tirare, le mani di Manuel si spostarono una sulla sua schiena e una sulla spalla.

« Io ho la motoretta rossa che mi hai regalato e tu questa, » mormorò « mi sembrava giusto così » il mento si mosse sull’incavo del suo collo. Rimasero in quella morsa per un po’ di secondi, deformando il tempo.

« Simò, non partì più » supplicò piano.

Manuel si scostò di poco, le braccia stavano ancora allacciate alla vita del ragazzo, mentre quello si stringeva nelle spalle. Gli occhi erano grandi, la penombra della tenda li nascondeva appena, sembravano luccicare anche per via del piccolo spiraglio di plastica foderato e aperto. Da lì, si vedeva un po’ il cielo macchiato di puntini luminosi.

« Il mese prossimo dovrò andare a trovare mia madre, a Glasgow, lo faccio ogni anno… » mormorò, mordendosi le labbra. Manuel sospirò piano, serrando gli occhi. Simone lo prese per il mento, le dita ormai completamente fuori controllo. Questa volta fu lui ad avvicinare le fronti « Vieni con me »

Le piccole fessure si aprirono, le pupille si allargarono di colpo. Manuel sembrò un attimo perplesso. Si indicò da solo.

« Io, con te in Scozia? »

« Sì, io e te in Scozia »

Simone venne completamente stravolto dal piccoletto che lo sovrastava, lo spostava di posizione e lo riempiva di baci, al lato della bocca, dietro la guancia, sul mento. Avvertì il solletico della barba di Manuel sulla pelle, facendo appello a tutto se stesso per non scoppiare a ridere sentendolo ripetere cose sconnesse. « E poi voglio fartela conoscere » d’altra parte sua madre era ancora all’oscuro di Manuel, se non per il fatto che avesse parlato dei suoi sentimenti, senza citare il nome del diretto interessato, visto che lui a quei tempi, non rientrava nei suoi pensieri.

« E che me devo mette, roba pesante, cose così? »

« Manuel c’è ancora un mese e ci pensi adesso? » cominciò a ridere, vedendo quanto fosse euforico.

« Vabbè sempre meglio essere preparati, non se sa mai che me prendo quarche malanno »

Simone lo guardò divertito, piegato in due, senza smettere di ridere, tanto che l’altro a un certo punto si alzò ginocchioni sopra di lui, e gli diede una leggera gomitata sul fianco destro.

« Simò so serio, ci tengo a queste cose »

« Sei troppo carino » si alzò quel tanto che bastava da catturargli la bocca e avvicinarlo di nuovo.
E Manuel si lasciò prendere, senza fare troppe storie, riportando giù il suo ragazzo, che aderiva completamente alla tovaglia sotto di loro. Le dita artigliavano tra i capelli, i vestiti, la pelle che svettava fuori da quelli. Quando il respiro gli cadde addosso, Simone sentì subito caldo, sfilandosi la maglia, cercando di non colpire Manuel, che intanto gli baciava il ventre che piano piano si scopriva. A torso nudo, adesso, Simone sentì delle voci fuori dalla tenda. A giudicare dal tono, c’era qualcuno che piangeva o forse, si lamentava.

« Signore, no non me frega niente » sbottò Manuel alzando la voce, per farsi sentire. Simone ricollegò la fonte sonora, qualcuno lo stava effettivamente chiamando da fuori. Si dedicò al suo braccio, disegnando con le dita delle linee invisibili sulla pelle, baciandogli le nocche delle mani. Le voci continuavano imperterrite, c’era evidentemente qualcuno che stava schiamazzando, disturbandolo. Il teppistello si ritrovò a scattare di nuovo in controbattuta « Qua vogliamo dormì, annate via e non rompete er cazzo! »

In realtà una risposta ci fu, chiara e precisa.
Manuel stava per parlare di nuovo, ma Simone gli mise un dito davanti alla bocca, per zittirlo. Cercò di concentrare tutto il silenzio – anche se non c’era fisicamente – sull’altro, catturando la sua attenzione. Usò le dita, lunghe e affusolate, per disegnargli il contorno del labbro superiore, poi passò a quello inferiore.
La sua mano scivolò poi sul cotone che copriva il petto di Manuel, finì sul lembo della maglia che alzò piano e uscì fuori, dal capo dell’altro, scombinandogli i ricci. La maglia ovviamente finì accartocciata in un anfratto di spazio.
Petto contro petto, adesso, si muovevano piano l’uno contro l’altro, studiandosi appena, avvolti dal buio.
Sbottonati i jeans, Simone vagò sulla figura del ragazzo, tastò la curvatura della schiena, scendendo lungo la mappa del corpo esile, ma proporzionato.
Dei piccoli gemiti gli morirono in gola, quando quello artigliò con la sua cerniera e la voglia di Simone risultò evidente, se non lampante alla vista dell’altro.
Quando anche quelli furono dimenticati e abbandonati chissà dove, Manuel cominciò piano a ripercorrere il corpo del suo ragazzo, ricordando subito la sensazione che gli provocava toccarlo, quel famoso misto di adrenalina, liberazione, passione che lo contraddistingueva. Era come se non riuscisse mai a staccarsi davvero dalla densità di ciò che Simone scatenava dentro di lui. Manuel depositò un piccolo bacio sull’anca di Simone, iniziò ad abbassare lentamente l’ultimo indumento che lo ricopriva.
La testa di Simone si gettò di scatto indietro, la schiena si inarcò a seguire, la sua mano artigliò di colpo sulla massa riccioluta di Manuel, mentre quello lo liberava completamente dall’ultimo strato di biancheria che lo opprimeva.
Manuel non aspettò nemmeno un attimo per fare lo stesso su di sé, catturando un luccichio in quegli occhi così grandi – sotto di sé – scanditi da una movenza tremendamente calma, osservatori come due fanali notturni.

« Manuel, » sussurrò « io non ho…non ho- »

« Sta tranquillo, io sì » lo baciò rapidamente, muovendosi felino per raggiungere lo zaino. In realtà ci mise un po’ per cercare di orientarsi e ricordarsi dove lo avesse buttato. Si sentì il rumore di una zip che si apriva, il rumore della plastica incartata e Manuel che ritornando andò a sbattere contro la gamba di Simone. Gli scoppiò un risolino. Quando il teppistello riprese la sua posizione, cominciò un po’ a vibrare. Pensò alle poche volte in cui Simone gli aveva permesso di ritrovarsi dentro di lui e che – pensandoci bene – lui aveva voluto il contrario « Simone, uhm, te va bene, vero? »

« Mi sei mancato pure tu » lo prese, trascinandolo giù, mentre Manuel stringeva ancora il preservativo nella mano sinistra « sì, sono sicuro »

Manuel sentì la mascella fargli male, stava decisamente sorridendo troppo quel giorno. Annuì veloce, mentre si sistemava per infilarsi la protezione.
Le mani gli tremavano un poco, ma con attenzione, alla fine raggiunse l’obiettivo e riuscì a fare tutto come doveva. L’idea di sentirsi così, ogni volta con il suo ragazzo, lo mandava seriamente all’altro mondo. Simone si voltò su un fianco e Manuel si posizionò dietro di lui, cingendogli i fianchi con le mani, le dita piccole gli andarono ad accarezzare i glutei, mentre lo sentiva respirare, la schiena aderiva contro il suo petto.
Senza chiedergli nulla, si spinse dentro di lui, le gambe e i piedi di Simone già si attorcigliavano a quelli del ragazzo, girandosi a baciarlo. Scontrò i denti, più che le labbra all’inizio con un contatto disperato.
Il teppistello ritmò le sue spinte, mentre la gamba restava avviluppata alla morsa di Simone, che in modo totalmente sconnesso soffocava mugolii di piacere.
Manuel però, voleva sentirlo, così la sua mano andò liberamente a posizionarsi sulla lunghezza del suo ragazzo, svelandone l’eccitazione. Le spinte cominciarono a farsi frenetiche e ad alternarsi alla sua mano che si muoveva, costante e decisa.
A quel punto, Simone si lasciò andare, contorcendosi contro la figura del più piccolo, la testa ricadde indietro, mentre Manuel la spostava sulla sua spalla, depositandogli piccoli baci sopra.
Simone andò sgretolandosi piano piano, mentre Manuel lo ricopriva di attenzioni, si muoveva su di lui sapendo esattamente come fare, via via che l’intensità cresceva.
Il più piccolo sentì Simone mormorare contro la sua bocca, ora che gli ficcava una mano dietro i suoi ricci, girava il volo, lo baciava, tra una spinta e l’altra, facendo morire il nome di quello sulle sue labbra appena si staccavano per riprendere aria. E via così, la mascella si muoveva, la mano restava sempre imprigionata sul cuoio capelluto e il corpo era già madido di sudore. Goccioline gli imperlavano già i boccoli sulla fronte. Si sentì come se stesse annaspando in cerca d’aria, ma allo stesso tempo, Simone si liberò del tutto quando Manuel, cominciò a sussurrargli cose all’orecchio.
L’alito caldo gli arrivò dritto come il vapore di un treno in corsa contro il padiglione auricolare. Quell’insieme di lettere e verbi risultarono sconnessi, ma tutte, tutte quante, lo riguardavano.
Il suo nome si posava ad ogni battito, ogni suono emesso dal corpo, ogni scatto sussultorio. Suonarono vorticando dentro la sua testa, fluttuando in mezzo al rumore dei corpi che si intrecciavano in un’unica somma, nella forma più pura che potesse esserci.

Mi fai impazzire, Simò.

Un’altra spinta.

Te voglio sentire, parlami.

Simone sembrò danzare sulla voce bassa e roca di Manuel, che continuava sommerso solo di quelle parole.
La mano si spostò dal suo sesso, al ventre, salendo su per tracciargli la linea dell’addome.

Madonna mia, quanto me sei mancato Simone.

« M-manuel » un suono sommesso, spezzato.

Quando Manuel avvertì Simone arrivare al limite e in effetti, provando quella stessa sensazione calda al ventre che si spostava giù, capì che erano gli ultimi attimi prima di raggiungere il piacere. Venne in parte sulla tovaglia e in parte sul suo stomaco, mentre Manuel uscì fuori da lui e lo accompagnava poco dopo, chiazzandogli la porzione bassa della pelle, all’altezza della schiena.
Respirando a fatica, Simone trovò la forza di girarsi, perdendosi tuttavia quello che aveva detto l’altro. Tra il petto frenetico che saliva e scendeva come un’onda impetuosa, lo guardò nel buio totale.

« Non ho sentito, che hai detto? » mormorò. Il braccio si depositò stanco lungo la spalla, cadente, mentre la mano circondava a coppa il viso di Manuel.

Se non te lo dico adesso, mi maledico da solo.

« Simò, » Simone giurò di vedere una piccola luce attraversargli gli occhi « ho detto che ti amo »

Simone si arrestò totalmente. Avrebbe voluto vederlo meglio in viso, piuttosto che ridursi a un’immagine della sua testa, creata apposta e proprio per questo illusoria. Sentì il tocco di Manuel dei palmi aperti sul petto.

« Anche io, » la voce gli tremò, senza controllo « anche io ti amo » schiacciò il naso contro il suo e chiuse gli occhi.








Si appisolarono giusto qualche ora, stanchi, l’uno accanto all’altro.
Quando Simone però, si svegliò per andare bere, accese la torcia del telefono, troppo nostalgico di guardare l’altro. Si sorprese nel trovarlo aggrovigliato su se stesso, gambe tirate un po’ troppo, il braccio gli copriva metà del viso, piegato e rilassato sopra a quello, il quadro della beatitudine. Gli aveva davvero detto che lo amava. Lui, Simone Balestra, era riuscito a far confessare, a far aprire Manuel.
Certo, erano passati un po’ di mesi, ma non riusciva a capacitarsene. Era passato dal chiamarlo frocio, a non respingere più se stesso, fino a comunicargli i suoi sentimenti.
Simone si distese affianco, pensò che i brividi fossero una chiara prova e che si fosse dimenticato di coprirsi – essendo troppo testardo per ammettere di sentire freddo - si allungò a cercare un’altra tovaglia che aveva portato per comodità o emergenza e gliela mise di sopra, coprendolo a dovere.
Adesso, poteva risultare come il quadro di un bambino grande, dalle sopracciglia folte e la barba appena accennata.
Fece per posizionarsi meglio e soprattutto per non disturbarlo, sentendo appena in lontananza, il rumore del vento, del mare che si accavallava e sprigionava solo tranquillità e pace.
Era quello che più gli piaceva, restarsene lì, in ascolto e in visione, di tutto quello. A un tratto, aprì gli occhi piano, lamentandosi, tastando davanti a sé, cercando qualcosa con il braccio che si allentava.

« Simone, dove sei? »

La pelle uscì fuori dalla coperta improvvisata e lui, gli lasciò un bacio, lì, sul polso.

« Sono qua, sveglio »

« Mmh » bofonchiò, con una smorfia, la mano era posizionata pigramente sul petto di Simone. Manuel venne illuminato dalla luce fredda della torcia, come un faretto puntato addosso « spegni sto coso e vieni qua »

Simone obbedì, avvicinandosi piano e Manuel gli offrì parte della sua tovaglia, avvolgendo entrambi. Gli circondò la schiena subito dopo, mormorando qualcos’altro. Stavolta era l’altro ad essere freddo, la pelle era calata di temperatura.


« Sei gelato » non c’era letteralmente più spazio tra il suo corpo e quello dell’altro « mò te scaldo io per bene »

Salì fino ad avvolgerlo completamente, per quanto possibile, con la sua figura, non facendo più capire dove finivano le sue gambe o quelle di Simone. Il viso era poggiato lungo la sua guancia, i capelli gli finivano all’altezza degli occhi e della fronte. Si inerpicò neanche fosse un animaletto curioso, in modo da distribuire in modo equo più calore possibile. Neanche un contorsionista si sarebbe snodato così bene.

« Lo sai vero, che non c’è bisogno di fare così? » ridacchiò, sentendo la barba che gli solleticava il collo, il mento.

« Va un po’ meglio? »

« Sì, anche se mi sembri un koala » rise ancora.

« Ssh, dovresti ringraziamme, se non fosse per me saresti un ghiacciolo »

« Oh, come farei senza di te, Manuel » replicò facendogli il verso « non sapevo fossi anche una stufa umana »

« E’ una delle mie tante qualità nascoste » sorrise.

« Ma che per caso ve siete fatti il bagno, oggi? » cambiò argomento.

« Sì, perché? »

Simone aveva sentito quel pungente sentore di salsedine anche mentre facevano l’amore, gli era arrivato alle narici, gli si era depositato addosso anche se in minor parte. Preso com’era dal momento, non aveva avuto occasione di puntualizzarlo.

« Sei salato »

Manuel si scostò un attimo allungando la presa sul collo, guardando per bene Simone, come se fosse ubriaco ma senza aver bevuto. Non aveva più tanto sonno e gli venne in mente un’idea. Sicuramente dormivano tutti in tenda e in fondo una bella nuotata non avrebbe fatto male a nessuno dei due.

« Te va de fa un bagno? »

Simone sollevò le sopracciglia, fino all’attaccatura della fronte.

« Se trovassi prima le mutande » soffiò fuori.

« Vabbè chi ha detto che te servono… » il teppistello suonò di un malizioso assurdo, da censura per i minori di diciott’anni.

Oh.
Perché no?
Non lo aveva mai fatto, quale migliore occasione? Simone gli levò un’occhiata rapida, poi si alzò in piedi. Si viveva una volta sola, era la loro età e dovevano viverla.

« Chi arriva ultimo, paga pegno! »

Simone uscì fuori all'aperto, il freddo e la brezza gli entrarono subito nelle ossa, mentre correva sulla sabbia. I piedi presero velocità, fino a quando arrivato alla riva, spostò l'acqua con le gambe. Non appena realizzò di starlo facendo davvero, si tuffò in acqua, immergendosi completamente. L'acqua era freddissima e sopra di sé il cielo era puntellato qua e là, come se fosse l'unico a voler accogliere sprazzi di luce in quel posto. I capelli erano già bagnati e pettinati indietro, il viso di purificava di sale. Non capì che Manuel era arrivato anche lui in acqua, sentì solo la schiuma che provocò la sua entrata.

« Cazzo se è fredda » pronunciò una volta emerso fuori. Simone respirò a pieni polmoni l'aria salmastra, le onde che si infrangevano e le tende ridotte a delle casupole sfocate in lontananza.

« Ho vinto, ti tocca pagare la colazione a tutti, domani » le mani si mossero sopra la superficie liquida, con un sorrisetto imperiale sulle labbra.

Manuel simulò un attacco e cominciò a spruzzargli acqua, all'improvviso. Una smorfia sorpresa apparve sul viso del più alto, neanche fossero due bambini dell'asilo, il teppistello continuava imperterrito « Va bene, stronzetto, l'hai voluto tu! »

Iniziò a schizzarmi sollevando acqua con le mani, alzandosi quel poco, in modo che quella gli lambisse soltanto dai fianchi in giù. Manuel cercò di studiare una tattica ben precisa, convinto di attaccarlo di lato, in modo da colpirlo di sorpresa ed evitare di essre colpito. Simone, però, dall'alto del suo lato da "rugbista" sempre allerta, se ne accorse e si voltò di scatto, con i suoi riflessi pronti. Gli schizzi si sollevavano ancora, la schiuma li circondava, frizzando in acqua e insieme a quelli, cominciarono anche a salire le risate. Era una lotta decisamente imapri, in cui solo uno dei due la avrebbe spuntata. Quando Simone lo afferrò per i fianchi, sollevandolo sulla superficie liquida, Manuel realizzò che non ce la avrebbe mai fatta.

« Okay, okay mi arrendo! » sollevò le mani in segno di difesa.

Simone liberò la presa e si immerse in acqua, mentre la pelle d'oca gli puntellava la pelle. Manuel lo raggiunse, creando una leggera curva nell'acqua. Simone circondò le spalle di Manuel e quello concordò che le sue gambe appartenevano senza dubbi al bacino dell'altro. Un koala bagnato, con le goccioline di sale che gli scendevano sul naso, i capelli completamente ridotti a delle onde piatte umide che ricadevano davanti. Simone catturò qualcuna di quelle, come fossero delle lacrime, con la bocca.

« Bello er tramonto, ma quelle, sono meglio der sole, » Manuel alzò la testa, incantato dalle stelle « non credi? »

Simone annuì, anche se non guardava il cielo come l'altro. Pensò che sicuramente avrebbe tanto voluto rimanere abbracciati in quel modo, per una durata infinita. Se avesse potuto, avrebbe fatto di tutto per lui, ma la vera natura delle cose era che non poteva vietarsi di non fare niente. Gettarsi a mare, a notte fonda, era una delle tante cose, per cominciare.
Guardarlo mentre non lo vedeva, era un'altra. Stare a pensarlo, un'altra ancora. Faceva tutto parte di una vasta compilation di piccole abitudini che ormai erano diventate la sua quotidianità.
Manuel ritornò al suo ragazzo, imbambolato a fissarlo. Aveva pensato il peggio per quasi una settimana e adesso, tutta la sua preoccupazione, la sua paura erano svanite come una bolla di sapone. Era avvinghiato a Simone, in una notte di Maggio e c'era soltanto il rumore del mare a cullarli e nessun'altro. Era quella la sua meritata dose di felicità.

« Quando hai detto quella cosa, prima » Simone parlò a cuore aperto, concedendosi tutto il tempo di osservarlo per bene « non ci ho creduto quasi » Manuel ci pensò un attimo, la confusione passò in un secondo sul suo viso « Forse mi fa ancora strano che sono passati dei mesi e tutto questo è reale »si prese in giro da solo, saldo alle spalle dell'altro.

« In realtà non sapevo quando fosse il momento giusto, però è così. Me so fissato, ormai me devi sopportà » fece scontrare i nasi « Simone, m'hai n'castrato male »


« E chi ti molla a te? »

Si baciarono, il sale era presente ovunque, sulla pelle, sulla bocca. L'acqua si infiltrava di poco in mezzo, come se lo spazio fosse tutto loro. Le lingue si scontrarono, le mani si cercarono di nuovo, tirandosi, toccandosi. Nel momento esatto, in cui Simone gli mordicchiava il labbro, l'altro gli cinse la vita, spingendoselo addosso. La pelle era ridotta tutta un brivido, formata dal freddo che saliva e che gli rendeva le ciglia unite e i respiri corti.

« Manuel » sussurrò.

Quello afferrò all'istante e senza staccargli la mano, si portarono fuori dall'acqua, piano, diversamente da com'erano entrati. Lentamente le gambe si scoprivano, così come le cosce, i glutei. La notte resisteva, mentre qualche sagoma si affacciava al micro accampamento inventato studentesco. Simone aguzzò la vista, superò Manuel, si fiondò nella tenda di scatto, afferrò la tovaglia a terra e avvolse entrambi. Manuel lo guardò in cagnesco, non ebbe il tempo di parlare che il ragazzo lo trascinò dentro.

« Che è successo, t'ha morso qualcosa? » lo prese in giro beffardo, mentre l'altro rivestiva un sorriso imbarazzato.

« Un conto è che ti vedo io, » lo indicò da sotto la stoffa, anche se non credeva veramente di dirlo « e un conto è che lo faccia qualche deficiente dei nostri compagni »

« Hai capito, » Manuel non si lasciò sfuggire l'occasione, lo spinse contro di sè « anche Simone Balestra è geloso, me piace »
   
 
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