Fumetti/Cartoni americani > Batman
Segui la storia  |       
Autore: My Pride    07/02/2022    1 recensioni
Il silenzio cadde come un macigno, i muscoli di tutti loro si irrigidirono e il brivido che corse lungo le loro schiene li raggelò seduta stante. Nessuno sembrava voler credere a quelle parole, una bizzarra sensazione di dejavù si affacciò nelle loro menti e rese difficile respirare, quasi stessero annaspando sott’acqua per prendere aria. Persino Jason aveva allentato la presa e fatto cadere a terra le sue pistole, il cuore stretto in una morsa mentre gli mancava il fiato.
Genere: Angst, Avventura, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Bruce Wayne, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Only need the light when its burning low Titolo: Only need the light when its burning low
Titolo del capitolo: Past tasted bitter for years

Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo uno: 2874 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Alfred Pennyworth, Barbara Gordon, Stephanie Brown, Cassandra Cain, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: 
Angst and Hurt/Comfort, Emotional Hurt/Comfort, Smut, Avventura
Avvertimenti: Descrizioni di violenza, Slash


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
 
    «Sta meglio?»
    La testa di Damian fece timidamente capolino nella stanza in cui si trovava Bruce, seduto accanto al letto che ospitava Talia.
    Era arrivata alla villa giorni prima, ferita e completamente coperta di sangue, ed era riuscita a sussurrare solo qualche parola scomposta prima di crollare tra le braccia di Bruce, il quale le era corso in contro non appena la donna aveva messo piede nella batcaverna. Issandola con attenzione e tenendola contro di sé, aveva chiamato immediatamente Alfred per far sì che si occupasse di lei, portandola lui stesso verso l’area medica per adagiarla in fretta sul lettino. Il fatto che fosse riuscita a spingersi fin lì era un vero e proprio miracolo. Aveva riportato ferita così profonde che persino Alfred aveva faticato a suturarle, dovendo persino farle una trasfusione.
    Talia era stata portata di sopra solo una volta che le sue condizioni sembravano essersi stabilizzate, per quanto Alfred avesse ritenuto opportuno collegarla a dei monitor cardiaci per assicurarsi di controllarla costantemente. Nonostante il volto tumefatto, il labbro inferiore spaccato e parecchi tagli che le deturpavano il viso, la sua espressione era apparsa tranquilla, e si erano fidati abbastanza da trasferirla in un luogo più accogliente quando lei stessa, con un fil di voce, aveva espresso quel desiderio. L’avevano realizzato solo perché si erano tranquillizzati, ma Bruce aveva comunque sentito una strana rabbia impossessarsi delle sue membra.
    Per quanto avessero avuto i loro diverbi, Bruce aveva digrignato i denti e piegato una sbarra alla vista del corpo ferito di Talia. Le dita della mano destra erano state tutte spezzate e Alfred aveva dovuto steccarle una per una prima di occuparsi del polso, rotto in più punti e fratturato; aveva dovuto operarla per impiantare una piastra d’acciaio e, una volta suturata, l’aveva fasciata stretta, passando in rassegna il resto delle ferite. Svariati colpi da taglio le avevano deturpato braccia e gambe, e la ferita al fianco aveva quasi rischiato di andare in suppurazione; il taglio all’altezza del seno era stato casuale ma, nel vedere i lividi, Bruce aveva richiesto ad Alfred un check up completo e aveva aspettato la risposta con il viso fra le mani. Il riscontro era stato negativo, ma ciò non lo aveva ugualmente rassicurato: chiunque fosse riuscito a fare una cosa del genere a Talia Al Ghul non era di certo da prendere sotto gamba. Ma, cosa più importante, aveva risvegliato in lui un senso di protezione nei confronti della donna che pensava fosse sopito per sempre.
    Tenere a bada gli istinti era stato difficile, ma ancor più lo era stato trattenere Damian quando era tornato dalla ronda con Jon. Aveva fermato la moto al centro della piattaforma e aveva cominciato a blaterare riguardo a degli stupidi trafficanti mentre si avvicinava e si sfilava la maschera di Redbird, sgranando gli occhi non appena aveva visto la madre in quelle condizioni; aveva gettato con forza il casco sul pavimento ed era corso verso il lettino urlando il nome di sua madre, giurando vendetta verso chiunque fosse stato nel prendere la mano sana di Talia tra le proprie.
    Quando aveva minacciato di voler uscire e di voler andare a “strappare le palle a quello stronzo per fargliele ingoiare” – Bruce biasimava molto l’influenza di Jason -, Alfred era stato purtroppo costretto a sedarlo, visto che persino Bruce aveva faticato non poco a tenerlo. Bloccare un ragazzino era sempre stato pressoché facile, impedire ad un diciannovenne di novantasei chili di pura massa muscolare – per di più in preda ad una furia che avrebbero osato chiamare omicida – di uscire per cercare il bastardo che aveva ridotto in quel modo la madre, era stato un altro paio di maniche.
    Erano passati due giorni prima che si sentissero sicuri di farlo avvicinare a Talia, motivo per cui adesso Damian aveva timidamente mostrato la propria presenza, restando sulla soglia mentre si torceva le mani. Ma non riuscivano a biasimarlo per la sua reazione. Nonostante tutto ciò che Talia gli aveva fatto, nonostante avesse ordinato di ucciderlo e in seguito non fosse stata esattamente una figura amorevole, restava pur sempre sua madre.
    Bruce si prese dunque un momento e sospirò, invitando il giovane ad entrare anziché restare alla porta. Vedeva ancora la rigidità delle sue spalle, ma almeno la rabbia sembrava essere scemata in parte. «È riuscita a mangiare qualcosa prima di riaddormentarsi», lo informò, sentendo il piccolo sospiro di sollievo che sfuggì dalle labbra di Damian.
    «Sei… sei riuscito a farti dire cos’è successo?»
Bruce scosse il capo. «No. Non voglio ancora stressarla più del necessario. Alfred dice che ha bisogno di riposo». Nel dirlo, abbassò lo sguardo sul viso della donna, scostandole qualche lunga ciocca di capelli dal viso. «E io glielo avrei dato in ogni caso. Non ho mai…» si prese un momento per umettarsi le labbra, sfiorando un angolo della bocca di Talia. «Non ho mai visto tua madre in queste condizioni. Chiunque sia stato, dovrà vedersela con me».
    «No. Quel bastardo è mio». Il ringhio che scaturì dalla sua gola e la voce gutturale con cui Damian proferì quelle parole furono quasi capaci di far rabbrividire Bruce, tanto che si girò a guardarlo con un’espressione indecifrabile.
    «Damian», lo richiamò, in particolar modo nel vedere il guizzo che corse furtivamente nei suoi occhi verdi. «Respira, ragazzo».
    Per quanto avesse digrignato i denti, serrando la mascella dura e squadrata, Damian dovette trarre un lungo respiro dal naso, cercando di frenare il battito impazzito del proprio cuore. «Giustizia, non vendetta», recitò come un mantra, e si passò ben presto entrambe le mani fra i corti capelli neri. «Ma… Dio, padre, desidero così tanto… così tanto…»
    «Non credere che non ti capisca», replicò Bruce, suonando per la prima volta molto comprensivo. Non voleva alimentare la furia del figlio, ma sarebbe stato ipocrita se avesse nascosto anche a sé stesso che non aveva pensato di fare qualcosa contro il suo codice morale. «Ma tua madre in questo momento ha bisogno che rimaniamo razionali. Dobbiamo starle accanto finché non si rimetterà in sesto e, quando ci avrà raccontato quel che ricorda, ci metteremo a lavoro. Ho già avviato una scansione di tutte le telecamere collegate al mainframe del batcomputer; se troveremo qualcosa di significativo, avremo già un punto da cui iniziare». Con un sospiro, Bruce allungò entrambe le mani verso di lei e le rimboccò le coperte. «Tua madre era a Gotham per un motivo. Qualunque cosa sia successa, è sicuramente successa qui. Le sue ferite erano troppo gravi per essere state inferte altrove. Non sarebbe mai riuscita a trascinarsi fino alla caverna».
    «La mamma ha molti nemici». La voce di Damian sembrava distante e ovattata, come chiusa in una scatola. «Adesso che è la Testa del Demone, chiunque proverebbe ad eliminarla pur di ottenere il potere. Se fossi stato al suo fianco, forse…»
    Bruce lo interruppe bruscamente. «Ragazzo», lo richiamò categorico. «Sei sconvolto e non ragioni con lucidità,  sai cosa avrebbe significato essere al fianco di tua madre».
    «Sì… sì, padre». Damian trasse un lungo sospiro. «E so che non dovrei nemmeno pensarci o avere compassione, dopo quello che mi ha fatto, ma… è mia madre. I legami di sangue sono più forti di quanto si creda».
    A quel punto, Bruce gli poggiò una mano su una spalla. «È del tutto normale, Damian. Siamo umani», replicò, stringendo un po’ la presa prima di battere il palmo della mano sul bicipide allenato. «Adesso vai, resto io con lei».
«Ma…»
    «Vai. Ti chiamo se cambia qualcosa. Promesso».
    Seppur ancora incerto, dopo aver fatto scorrere lo sguardo sul padre e sul volto della madre, Damian annuì, chinandosi verso la donna per sfiorarle la fronte con un bacio e sussurrarle qualcosa in arabo, indugiando accanto al suo viso per un lungo attimo; poi raddrizzò la schiena, rivolgendo un cenno di saluto col capo al padre prima di dargli le spalle e incamminarsi fuori, richiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.
    Damian sembrava essere tornato tranquillo, ma Bruce ebbe la brutta sensazione che fosse solo la calma prima della tempesta.


***


    Gotham era finalmente sprofondata nel silenzio.
    Allo scoccare delle tre e mezza del mattino, con i suoni della città ormai affievoliti da tempo e un agglomerato di nuvole che prometteva pioggia mattiniera, Redbird poté prendersi un attimo di riposo, lasciandosi cadere seduto sul bordo del tetto della Wayne Tower. Era stata una lunga notte: si era fatto carico di qualunque crimine che la sua trasmittente riusciva a captare, anche di banali furtarelli che avrebbero dovuto interessare gli agenti del GCPD, tutto per tenere la mente occupata in qualche modo. Ma, per quanto fosse stato in parte utile, non era servito a smontare la rabbia che gli ribolliva dentro.
    Abbassò lo sguardo per fissarsi le mani, contemplando i palmi prima di guardare i dorsi. I guanti, già rossi di per sé, erano sporchi di sangue sulle nocche, e ammetteva a sé stesso di esserci andato più pesante del dovuto mentre pestava quei criminali. Alcuni di loro li aveva lasciati legati a testa in giù ad un palo, ed era certo che in quel momento Gordon lì avesse ormai trovati e stesse scuotendo il capo, tirando lunghe boccate dallaa sua sigaretta. Ormai sapeva che, quando un pipistrello era arrabbiato, finiva sempre in quel modo. Su quel punto lui e suo padre erano molto simili.
    Mordendosi il labbro inferiore, e pentendosene subito dopo quando si ricordò che era spaccato, Redbird si tolse un guanto per valutare i danni. Stavano già cominciando a formarsi dei lividi, ma erano un danno collaterale minore se pensava che almeno non aveva staccato a nessuno la testa dal collo. Aveva sentito qualche criminale parlare di un uomo che girava armato di katana, e aveva interrogato chiunque per sapere cos’altro avevano sentito, o se qualcuno fosse riuscito a vederlo in faccia. Un uomo munito di tali armi bianche era piuttosto raro a Gotham, ed era comunque l’unica pista che aveva ottenuto. E se l’assalitore di sua madre si fosse realmente rivelato lui… allora avrebbe pagato caro il suo affronto.
    «Ho sentito che ti sei dato da fare».
    La voce di Jon lo riportò parziamente alla realtà, anche se dovette sbattere più volte le palpebre al di sotto della maschera prima di riuscire a mettere a fuoco la sua figura. Reggeva un sacchetto di carta con il logo Bat-Burger, il mantello svolazzante nella placida brezza serale che rinfrescava in parte il viso accaldato.
    «Se vogliamo metterla così...» disse semplicemente, e Jon sospirò, gettandogli una rapida occhiata. Nonostante qualche ammaccatura e qualche livido, i criminali con cui si era scontrato avevano decisamente avuto la peggio. Ciò che lo preoccupava era il battito cardiaco di Damian, che appariva rapido e irregolare, quasi fosse in ansia. Ma poteva capirlo. «Cosa ci fai qui?» chiese Damian, e lui sollevò il sacchetto.
    «Ti ho... portato la colazione?» provò nel sorridere imbarazzato, ma l'occhiata che gli venne rivolta, maschera o meno, gli fece roteare gli occhi. «Il tuo... battito cardiaco ha avuto un'impennata». Si massaggiò dietro al collo con la mano libera, un po' colpevole. «So che è inquietante, che mi hai detto di non ascoltarlo in continuazione e tutto il resto, ma...»
    «No. Va bene. Avevo... avevo bisogno di compagnia. E avevo decisamente fame».
    Jon lo osservò per un lungo momento, poi rilassò le spalle. Il tono con cui Redbird aveva pronunciato quelle parole era mesto, e lui stesso ammorbidì l'espressione che si era dipinta sul suo viso mentre si librava accanto a lui. «Vegetariano per te, doppio bacon per me», canticchiò nel lasciarsi cadere seduto al suo fianco, porgendone uno al compagno che ringraziò sommessamente prima di scartare l'involucro del proprio panino.
    Cominciarono a consumare il loro pasto in silenzio, incuranti del venticello freddo che aveva cominciato a soffiare sulla città mentre l'alba colorava timidamente di rosa l'orizzonte, seduti l'uno accanto all'altro con mille domande che ronzavano nelle loro teste come un'alveare di api al sole. Jon sentiva bene i muscoli rigidi di Damian, il suo respiro pesante, il sangue che scorreva in tutto il suo corpo e il tamburellare del suo cuore, adocchiandolo di tanto in tanto solo per vederlo con lo sguardo perso sulla strada lontana e sottostante. Erano anni che non lo vedeva cos chiuso in se stesso, così distante nonostante fossero l'uno accanto all'altro.
    «...come sta tua madre?» chiese infine, un po' imbarazzato. Non avrebbe voluto alzare l'argomento, ma sapeva quanto ciò che era successo tormentasse il compagno. E, per quanto Talia Al Ghul avesse fatto molte scelte discutibili e avesse cercato di uccidere anche sua madre Lois, restava pur sempre la madre di Damian.
    Non ci fu risposta, o almeno non subito, prima che Damian abbassasse quel che restava del proprio panino per abbandonarlo sulle cosce, senza alzare lo sguardo. Si umettò le labbra e tergiversò, quasi stesse cercando le parole adatte, poi si concentrò verso uno stormo di falchi che si innalzò dall'edificio accanto. «Fuori pericolo», disse solo, e Jon sentì il sussulto che fece il suo cuore. «Alfred ha curato le sue ferite e le ha consigliato molto riposo. Entra ed esce dagli stati di incoscienza, ma a quanto pare stasera è riuscita almeno a mangiare».
    Scivolando al suo fianco, Jon allungò un braccio verso di lui e gli cinse le spalle sentendolo irrigidirsi sotto al suo tocco, ma non si allontanò. «Se... se hai bisogno...»
    «Lo so». Damian gli batté una mano sul bicipite allenato. «Ci sei tu».
    Tra loro cadde nuovamente il silenzio, rotto solo da un clacson che suonò in lontananza. La città stava cominciando a svegliarsi, e ben presto le strade avrebbero cominciato a popolarsi delle prime persone che si dirigevano a lavoro.
    «Sono un pessimo figlio?» chiese Damian di punto in bianco, e Jon gli gettò un'occhiata incredula.
    «Cosa?»
    Damian sospirò. «Sono un pessimo figlio?» ripeté, stringendosi nelle spalle. «Mi sono allontanato da mia madre e ho sempre ripetuto di non voler avere niente a che fare con lei o la Lega, a volte ho persino pensato di combatterla per intralciare i suoi piani. Adesso qualcuno l'ha quasi ridotta in fin di vita, e io... io non...» si interruppe, ma solo perché Jon gli poggiò immediatamente un dito sulla bocca prima di afferrarlo per le spalle, costringendolo a voltarsi verso di lui.
    «Ehi, no. No. Non pensarci nemmeno, D». Damian si ostinava a guardare altrove, e lui dovette usare un po’ della sua super forza per farlo voltare verso di sé quando gli afferrò delicatamente il mente. Incontrò il suo sguardo, per quanto fosse nascosto al di sotto della maschera. «Tua madre ha avuto innumerevoli volte la possibilità di stare al tuo fianco, ma ha sempre preferito una Lega millenaria al suo stesso figlio. Non puoi incolparti di quello che le è accaduto».
    «Ma…»
    «…ma è pur sempre tua madre e capisco che tu ti senta responsabile», continuò Jon senza dargli tempo di parlare.     «Lo capisco. Anch’io mi sentirei così se fosse mia madre. E sappiamo entrambi che stai pensando certe cose solo perché credi che tutto debba pensarti sulle spalle». Gli avvolse le braccia intorno ai fianchi, stringendolo contro di sé nonostante la breve lamentela che Damian si lasciò sfuggire. «Ma non è così, tua madre è adulta e ha fatto le sue scelte, in quanto figlio devi solo trovare il bastardo che le ha fatto questo e sbatterlo in prigione. Quindi piantala di fare il cazzone, okay?»
Per attimi che parvero interminabili, si sentì solo il respiro infranto di Damian contro la spalla di Jon e i rumori della città che si svegliava, i rombi delle auto, uno stormo distante di gabbiani e il martellante suono dei loro cuori. Poi, con una risata simile ad un singulto, Damian batté una mano sulla schiena di Jon. «…hai imprecato», sussurrò nel cercare di stemperare l’atmosfera lui stesso, e ci riuscì, visto che Jon ridacchiò.
    «Visto cosa riesci a fare?» replicò, provando ancora una volta a sorridergli. Poi si chinò, sfiorandogli a malapena le labbra con le proprie. «Non pensare più queste cose, piuttosto hai bisogno di riposo. Vuoi uno strappo?»
Damian parve rifletterci un attimo, poi scosse brevemente il capo. «Meglio che torni a casa anche tu. Dormi almeno un’ora o due, hai un esame», replicò, sentendo Jon imprecare ancora una volta, ma stavolta parve anche un po’ nervoso, tanto che Damian roteò gli occhi. «Te n’eri dimenticato», disse per lui con fare scettico, incontrando il suo sguardo colpevole.
    «…se dicessi di no?»
    «Saresti un pessimo bugiardo, J», rimbeccò nell’afferrarlo per il colletto della tuta prima di scansarlo e vederlo fluttuare oltre il bordo del tetto. «Vola a casa, ragazzone. Ci vediamo quando sei libero».
    Anche se in un primo momento indugiò, Jon gli volò nuovamente accanto, rubandogli un altro piccolo bacio a fior di labbra. «Per qualunque cosa… non esitare a chiamarmi, D».
    La voce dolce che usò fece sorridere Damian internamente, ma agitò una mano in risposta per non darlo a vedere; si salutarono con un ultimo bacio e la promessa che si sarebbero aggiornati presto su eventuali novità – dall’esame di Jon alle condizioni di Talia -, e Redbird restò ancora un po’ su quel tetto mentre vedeva Superboy sparire oltre l’orizzonte.






_Note inconcludenti dell'autrice
Allora. Dopo aver tergiversato un po', visto che non ero sicurissima di voler postare questa storia qui su EFP, alla fine lascio il primo capitolo della storia più angst e hurt/comfort che sto scrivendo in questo periodo. Non scrivevo roba così lunga dai tempi di FullMetal Alchemist (sento qualcuno reclamare ancora il mio sangue per una certa fic *tossicchia "Noi due senza un domani" e fugge via*), quindi... boh, spero che possa interessare in qualche modo
Potrebbe rivelarsi molto forte nei capitoli successivi, dunque il rating arancione mi sembra quello più consono per una cosa del genere
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Batman / Vai alla pagina dell'autore: My Pride