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Autore: moganoix    07/02/2022    1 recensioni
Felix, Changbin, Chan:
Un minuto semidio, un alchimista perso nelle nuvole, un soldato senza macchia e senza paura (forse).
A causa di un'arcana profezia, al secondo tocca uccidere il primo sotto la supervisione del terzo, ma non tutto andrà per il verso giusto...
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["Affinché nostra Madre Terra fiorisca
Felicità, ogni cent'anni, appassisca."]
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!!Chanlix/Changlix!!
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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“Lo vedi quella specie di bulbo di vetro appeso al soffitto?” domandò Hyunjin ad un Changbin che, estasiato, vagava per uno dei tanti piccoli magazzini del villaggio.
“Oh, sì, ho notato che ce l’avete in casa anche tu Jeongin! Che dispositivo è, a che cosa serve?”
Il biondo ridacchiò alla perspicacia del novizio e, senza indugiare oltre, premette un grosso pulsante sulla parete. Il bulbo si illuminò all’istante di una calda, benché, in apparenza, fioca luce giallastra, esplodendo inaspettatamente di fronte agli occhi avidi di conoscenza di Changbin che, ipnotizzato dal miracolo luminoso, tese istintivamente una mano verso il soffitto, tentando di sfiorare almeno con la punta delle dita il vetro iridescente.
“Se fossi in te non lo farei, il vetro tende a scaldarsi in fretta. Vuoi bruciarti anche le dita?” lo riprese maternamente il più alto prima di premere di nuovo lo stesso bottone, interrompendo la magia.
“Che cos’è?” le labbra di Changbin tremavano “Fisica? Chimica? Alchimia?”
Hyunjin prese uno sgabello e, prima di ribattere, sganciò con attenzione il bulbo vitreo dalla sua sede sul soffitto, per poi porgerlo al novizio: “Vivendo tra gli alberi non possiamo rischiare di appiccare incendi illuminando il villaggio con candele o semplici torce, una singola svista può portarci alla rovina. Le creature non umane, soprattutto, non amano il fuoco. Avevamo bisogno di un modo nuovo per illuminare e fornire energia al villaggio e, dopo anni, abbiamo prodotto questo.”
Hyunjin fece un cenno al bulbo: “Ci siamo chiesti come facessero le lucciole a brillare, se ci fosse qualcosa di chimico al loro interno che permettesse loro di sviluppare quel tipo di luce nel loro addome, e alla fine abbiamo scoperto che ciò che consente loro di portare a compimento la reazione è il movimento di una sorta di fluido, un fluido che crediamo sia presente, in maniera più o meno estesa, all’interno di tutti gli organismi, viventi e non, presenti su questo pianeta. In alcuni metalli ce n’è molto, abbiamo sperimentato con essi finché non siamo stati in grado di maneggiarlo.”
Hyunjin si voltò ed indicò un grande e complesso macchinario presente alle sue spalle, composto da due alte vasche collegate tra loro mediante svariati tubuli ed elettrodi: “È con quello che riusciamo a gestire il fluido. Ce ne sono diversi sparsi per tutto il villaggio, richiedono molta manutenzione e si logorano velocemente, ma con gli accorgimenti giusti ci permettono di non appiccare incendi con il fuoco. Dobbiamo solo ricordarci di isolare tutto con l’argilla o la cera.”
Changbin non si sprecò in apprezzamenti vari, continuò a tempestare Hyunjin di domande fino allo stremo, saltando di magazzino in magazzino finché il biondo non lo pregò, a sera inoltrata, con tono drammatico, di piantarla e di starsene un po’ zitto. Changbin si ritrovò a tornare verso la casupola dei due fratelli ancora profondamente insoddisfatto, chiedendosi quale fosse la ragione di dargli così tanti spunti se, alla fine, non poteva avere il tempo materiale di approfondire nulla di tutto ciò che Hyunjin gli aveva rivelato. Una volta dentro casa, con teatrale esasperazione, l’ibrido si arrese a mostrargli alcuni dei suoi disegni preparatori per tutte le invenzioni che aveva costruito o aveva intenzione, prima o poi, di mettere a punto. Mentre il più alto preparava la cena, il novizio sfogliava le pergamene con ansia febbrile, malinconicamente conscio di non capirci assolutamente nulla. Anche se il biondo gli aveva imposto il silenzio, alla fine, posando lo sguardo sull’ultima delle creazioni dell’altro, non riuscì a trattenersi: “E questo a che serve?”
Sospirando con tono melodrammatico, esausto, Hyunjin si voltò verso il foglio e, gesticolando con delle carote in mano, spiegò: “Quella è l’ultima delle invenzioni a cui sto lavorando, è ancora in fase di progettazione, ma in questi giorni credo di star arrivando a buoni risultati. Voglio costruire un amplificatore, servirà a comprendere meglio i versi degli animali nei boschi… Ultimamente, come ben hai visto, c’è qualcosa di strano in loro, nemmeno mio fratello e la sua specie riescono a comunicarci come facevano fino a poche settimane fa. Forse se riesco ad analizzare meglio il loro modo di esprimersi capirò che cosa c’è che non va. È come se qualcosa li disturbasse…”
“Ho sentito che i Filosofi della Capitale sostengono che siano semplici migrazioni, ma non è una teoria che mi convince.”
“Migrazioni in massa di lupi, orsi e cinghiali proprio nel momento in cui le femmine devono accudire i cuccioli e sta per cominciare la fase di preparazione al letargo? Changbin, sai anche tu che non è possibile. O, almeno, non in questi numeri. Sono determinato a scoprire che cosa ci sta dietro, e se vuoi, una volta che sarai di ritorno, potrai aiutarmi nella ricerca.”
Il novizio sorrise complice, come a sottolineare il fatto che sarebbe comunque tornato a prescindere per una lunga visita di cortesia: “Nel tempo che ci rimane proverò per conto mio ad indagare con Felix. Lui dovrà pur sentire qualcosa!”
 
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Il piccolo dio, intanto, aveva trascorso un paio di ore insieme a Jeongin ad arrampicarsi da un ramo all’altro del villaggio – il quale, aveva scoperto, si estendeva in altezza molto più di quanto effettivamente potesse immaginare – per poi venire brutalmente abbandonato dallo stesso che, sbadatamente, aveva ricordato di essere di nuovo ‘di vedetta’, ovvero toccava ancora a lui tenere d’occhio le carovane dei mercanti per ripulirli senza pietà. Scusandosi, l’elfo si offrì di accompagnarlo da Changbin e Hyunjin prima di schizzare via tra le fronde degli alberi, ma Felix, che nei suoi centoventi anni di vita di fisica e chimica aveva solo compreso che erano materie che non facevano per nulla al caso suo, preferì seguirlo di nuovo al di là degli specchi protettivi per scendere a terra e raggiungere Chan nel suo allenamento. Non che nell’uso della spada fosse tanto più in gamba che nel calcolare e misurare dosi e velocità di reazione, forse l’ultima volta che gli avevano lasciato impugnare un’arma era stato trent’anni prima, all’epoca in cui il Cantastorie era giunto alla Capitale, e di certo assomigliava di più ad un piccolo pugnale da signora che allo spadone a due mani di Chan, ma almeno avrebbe potuto tenere compagnia al soldato senza sentirsi il terzo incomodo. A terra, poi, al massimo si sarebbe divertito a giocare a nascondino con qualche farfalla o a preparare deliziose tortine a base di lombrico per i passeri di passaggio, e chissà che Chan non si offrisse di scavare con lui per trovare qualche vermicello alla fine.
Aveva notato quanto il soldato sembrasse giù di corda per aver perso un altro giorno di viaggio e, se da una parte il suo lato umano si chiedeva perché avesse tanta fretta di farlo fuori, dall’altra quello ascetico e divino lo riportava alla realtà e gli faceva presente, uno dopo l’altro, tutti i motivi per cui ritardare ancora avrebbe presumibilmente portato a conseguenze catastrofiche; questo, almeno, era il parere dei Filosofi di corte alla Capitale. Capiva quanto Chan tenesse al suo lavoro, lo conosceva da poco più di una settimana e, in fondo, gli piaceva. Changbin era di certo un personaggio, testardo e concentrato su nient’altro che fosse il suo piccolo mondo fatto di ampolline, incantesimi di dubbia riuscita e pericolosi cerchi alchemici, dolce in fondo, ma ancora distaccato in superficie. Chan era quello che, invece, nel gruppo doveva preoccuparsi di vegliare su tutti loro. Nella maggior parte dei casi recava sul viso la maschera del padre burbero, della guardia inflessibile ed inarrestabile, ma Felix sapeva che celava in sé il peso di una dolce sensibilità materna. Proteggeva il mondo con la spada ed il proprio fragile cuore con la menzogna di un fine velo che faceva calare sugli occhi ogni volta che doveva combattere. Il piccolo dio sentiva di essere intrigato dalla dualità della sua figura, si domandava che cosa potesse nascondersi dietro all’ebano delle sue iridi, dietro alla rabbia con cui, in maniera crudelmente meccanica e precisa, menava fendenti in aria in una piccola radura poco lontano da Tillvah. Non ci mise molto a trovarlo, gli era bastato percorrere al contrario la strada su cui diversi piccoli animaletti boschivi spaventati filavano spediti ed allarmati. In fondo all’impervia via aveva trovato la lama tagliente che Chan portava sempre assicurata alle spalle, e nascosto dietro di essa, grondante di sudore, il soldato che valutava con occhio di falco la sua prossima immaginaria vittima. Felix si schivò di lato, uno scarto dell’iride di Chan verso di lui gli fece comprendere che la guardia lo aveva notato, e lasciò così che portasse a compimento la sua performance. I capelli biondo pallido dell’amico rilucevano di un bagliore biancastro sotto il sole cocente di fine agosto, i riccioli esplodevano in aria ad ogni movimento; alcuni, incollandosi talvolta al viso a causa del sudore, gli pungevano gli occhi, facendolo sbuffare e digrignare minacciosamente i denti. Aveva levato la spessa cotta di pelle e fatto i risvolti all’ampia camicia, più indietro giacevano, gelosamente custoditi dalla ruvida radice di uno dei tanti anziani alberi della foresta, il mantello ed il complicato spallaccio con la testa di lupo che aveva subito impressionato il piccolo dio. Era il simbolo delle Guardie reali, scomodo in battaglia ma utile a pompare l’orgoglio dei superficiali. Chan non era uno di questi, Felix lo vedeva lucidare con cura in lupo bianco ogni sera prima di andare a dormire, subito dopo aver ricontrollato per l’ennesima volta la tratta del loro viaggio ed aver calcolato e ricalcolato il numero dei giorni di cammino rimasti e subito prima che si prendesse un momento per far cadere il drappo di durezza con cui celava il suo vero volto, desse uno sguardo a Changbin, che dormiva sempre, ed un altro, molto più timido, a lui. Timido. Timido non era davvero l’aggettivo più adatto a descrivere i muscoli pieni del soldato che si tendevano sotto l’arduo sforzo di sorreggere lo spadone. Le mani ferme stringevano l’impugnatura metallica con presa sicura, fisse attorno all’asta fredda di un metallo aspro e spietato, e non lasciavano che il peso massiccio del ferro le vincesse. Le vene pulsavano al ritmo degli affondi, delle finte schivate, degli ampi salti che il soldato infilava uno dopo l’altro, e gridavano vittoria con la carica della belva feroce, ma nessun attacco, nessuno stacco poteva davvero dirsi casuale. Felix pensò che stesse danzando un danza terribile ed affascinante allo stesso momento, seguiva le linee delle vene che esplodevano sulle braccia tese nello sforzo e finiva irrimediabilmente a fissare il petto contratto, mezzo nascosto dalla camicia, di Chan, i cui occhi schizzavano rapidi a destra e a sinistra nell’atto di individuare i nemici alla sua portata. Le gambe flettevano e sostenevano armonicamente le mosse più astruse, i polpacci stretti negli stivali ribollivano di adrenalina, la stessa adrenalina che scorreva fino al viso corrugato, segnato indicibilmente da una solennità che incuteva profondo rispetto e metteva in rigida soggezione.
Felix lo era, in soggezione, e per un momento si sentì piccolo, umano, avvertì il proprio cuore battere come faceva quando aveva soltanto vent’anni, seguendo la frigida, fascinosa, melodia dei sibili che lo spadone emetteva squarciando l’aria.
Deglutì a vuoto, gli mancava il respiro e non si era accorto di non essere riuscito a staccare gli occhi da lui nemmeno per un misero secondo durante tutta la sequenza. Quando Chan portò a segno l’ultimo fendente ed abbandonò lo spadone a terra, gli venne spontaneo correre immediatamente verso di lui e domandare con una certa ansia, le mani che tremavano dall’entusiasmo e dal bisogno: “Chan, posso provare anche io? Insegnami, per favore!”
Chan, madido ed ansante, aggrottò le sopracciglia, piegando il viso in un’espressione a metà tra il sorpreso ed il perplesso. Il piccolo dio lasciò che riprendesse a respirare in maniera corretta prima di sporgersi ancora verso di lui e ripetere la domanda.
“Ma tu non dovresti portare gioia e prosperità in giro? Che ci vuoi fare con un’arma del genere?” fu la lapidaria risposta del soldato, accompagnata da una lieve scrollata di spalle.
“Ya, lo so, ma non ho mai imparato e sento che è un’esperienza che voglio fare.”
Piccola bugia, voleva semplicemente danzare con lui, la spada era un di più con cui avrebbe dovuto avere per forza a che fare se non voleva farsi dire di no.
Le sopracciglia di Chan parvero incurvarsi ancora di più: “Ma riesci almeno a sollevarla?”
Le braccine esili del piccolo dio gridavano in modo abbastanza lampante ‘No!’, ma egli, sfoggiando un bello sguardo fiero, rispose invece: “E che ci vuole?”
Si chinò e strinse le mani sull’impugnatura, tirando la lama su da terra. Fece poi per sollevarla di slancio, ma, come previsto, tutto ciò che derivò dallo sforzo di Felix fu un improvviso: “Ahia! Ahia, la mia schiena!”
Chan fu svelto a prendergli lo spadone di mano prima che lo facesse cadere e si affettasse accidentalmente i piedi, per scoppiare in una grassa risata di fronte alla faccia contrariata e dolorante dell’altro.
Felix subito si imbronciò e tentò di lamentarsi con un debole: “Piantala di prendermi in giro!”, ma poi, vedendo che il soldato non accennava a smettere, si rilassò di nuovo e, piano piano, iniziò a ridere anche lui.
“Guarda che comunque non sono io ad essere magro, sei tu che sei troppo muscoloso!” provò a ribattere ancora, ma ottenne in risposta solamente una scossa del capo ed un’altra risata a stento trattenuta. Chan sollevò una mano, la ripulì dal sudore sfregandola velocemente contro i pantaloni e la portò fino al capo di Felix per scompigliargli piano i capelli.
“Non è che sei magro, è che sei vecchio”
Felix, non appena Chan proferì quelle parole, spalancò la bocca e sgranò gli occhi. Per un momento smise di schiamazzare, non si sentì che un grillo frinire in lontananza prima che scoppiasse di nuovo e si mettesse a strillare a più non posso: “Bang Chan, scappa che se ti prendo ti seppellisco vivo!”
Caricò verso il soldato con l’intenzione di gettarlo a terra e dimostrargli di essere un vero uomo virile e forzuto come lui si vantava evidentemente di essere, ma Chan schivò abilmente sogghignando, e fu Felix a cadere di faccia. Il soldato scappò via ridendo, e Felix non ci mise molto a rimettersi in piedi, sebbene inciampando un paio di volte nei suoi stessi stivali, e a sfrecciare verso di lui con l’intenzione di placcarlo. Se qualcuno li avesse visti da fuori avrebbe sicuramente pensato che fossero due idioti, rifletté il piccolo dio, eppure non poteva non ammettere che la versione ‘idiota’ di Chan era particolarmente affabile. Anche adesso stavano danzando, una danza decisamente più goffa ed infantile di quella in cui la guardia da sola si era cimentata appena prima, ma era incredibilmente divertente, ed il piccolo dio sapeva – sentiva – che anche per il biondo era lo stesso. Si chiese che bisogno avesse di mostrarsi tanto disaccato con lui e Changbin, di allontanarsi da loro il più possibile quando ne aveva la possibilità – spesso, durante i pasti, Chan annunciava che si sarebbe allenato e nessuno lo vedeva più per almeno un’ora –, se chiaramente la sua vera natura era… questa. Un sorriso enorme stampato in viso coronava l’ilarità da cui la sua spessa figura era invasa, la spensieratezza, la leggerezza che chiaramente cercava di ritrovare a tutti i costi. Nessun soldato poteva vantare un animo nobile e leggero allo stesso tempo, Felix fu felice di aver aiutato Chan a riscoprire quel lato di sé, almeno per pochi minuti prima che la guardia decidesse, per scherzo, di fermarsi sul posto all’improvviso e lasciare che egli andasse rovinosamente a sbattere contro la sua schiena. Felix non riuscì a frenare in tempo la sua corsa ed andò a finire con il capo dritto contro le toniche spalle dell’altro, ribalzando poi indietro e rovinando di nuovo seduto tra l’erba alta e i dente di leone. Chan si voltò verso di lui e gli si inginocchiò accanto con un’ultima risata, sospirando, per poi tornare ad appoggiare una mano sul suo capo: “Beh, mi sa che ti ho preso io.”
Felix abbassò teatralmente lo sguardo e si mise a braccia conserte per imitare la voce tipica degli anziani: “Sei solo un giovinastro che non ha più rispetto delle vecchie autorità!”
“Lo spadone sono io che riesco a sollevarlo, direi che l’autorità ce l’ho io, Lix”
Felix sorrise leggermente imbarazzato per il soprannome usato dall’amico, ma non era il momento di farsi venire in mente idee strane sul compagno di viaggio. Piegò il sorriso in un piccolo ghigno e, con un leggero scarto del capo, indicò ad una farfalla che volava lì vicino con un nutrito gruppo di sue simili di posarsi sulla punta del naso di Chan. Il soldato non se lo aspettava, ridacchiò di nuovo appena si ritrovò l’animaletto di fronte e gongolò: “Anche la farfalla preferisce un giovinastro come me ad un vecchietto decrepito come te, Lix!”
Felix si unì alla risata di Chan, poi, senza lasciare il tempo a Chan di accorgersene, ordinò alle altre farfalle di attaccare tutte insieme il viso del soldato, che esplose in un gridolino spaventato. Lo lasciò a dimenarsi per alcuni secondi, poi ringraziò gli insetti e, tentando di non mettersi di nuovo a ridere, gli fece il verso: “Il grande uomo con lo spadone pesantissimo ha paura di qualche farfallina!”
“Ya, bravo, vendicati pure con i tuoi poteri magici!” brontolò Chan, ricomponendosi.
“Oh, non dirmi che adesso ti sei offeso però!”
Felix si tirò su e porse una mano all’amico: “Pace?”
Chan si ritrovò ad annuire sospirando, stringendogli volentieri la mano: “Pace.”
Il piccolo dio addolcì allora lo sguardo e, senza mollare a presa, lo aiutò a rimettersi in piedi: “Comunque dicevo sul serio prima! Voglio che mi insegni a maneggiare bene un’arma, e se non sarà la tua spada allora potresti farmi provare il tuo pugnale!”
Il volto di Chan tornò ad oscurarsi un minimo. Si domandò perché l’altro desiderasse tanto imparare da lui i rudimenti del combattimento, e, soprattutto, se non avesse mai davvero toccato un’arma prima di quel momento. Forse voleva davvero solamente togliersi uno sfizio, forse l’aveva davvero trovato bravo e gli era venuta voglia di cimentarsi, pur consapevole di non avere il tempo necessario per diventare un maestro in quell’arte, e chi era lui per negargli una delle sue ultime volontà?
Levò il lungo pugnale che sporgeva dallo stivale sinistro e lo porse allora al piccolo dio: “E va bene, proviamoci.”
Felix afferrò l’impugnatura del lungo coltello con accortezza, come se non volesse rovinarne il manico finemente cesellato. A vederlo era una piccola opera d’artigianato, in un museo di provincia avrebbe certamente ricoperto il ruolo di attrazione principale, ma proprio la sua bellezza faceva alquanto dubitare, in prima battuta, dell’effettiva funzionalità in battaglia della lama. In mano pareva fin troppo, relativamente, leggera anche per uno con la costituzione fisica di Felix. La fece prudentemente roteare tra le dita e, con una certa attenzione, mormorò incerto: “Sembra così fragile… Eppure allo stesso tempo è veramente ben bilanciato.”
“Lo è. L’ho forgiato io da solo, sai? Sia l’impugnatura che la lama sono di ferro niveo, lo stesso che tiene Tillvah appesa ai tronchi d’albero. Quando decidono di accogliere la tua richiesta di entrare nelle Guardie reali allora ti mandano al Nord, e lì devi progettare un pugnale. Il lupo, che rappresenta il gruppo e la forza, e il pugnale, la segretezza ed il silenzio, sono i nostri simboli. Ognuno di noi ne possiede uno, quindi fai attenzione quando maneggi il mio. Ci tengo, chiaro?”
Il piccolo dio annuì immediatamente, colpito dalla storia dell’amico. Ammise di non conoscere tale tradizione, probabilmente perché solitamente bazzicava maggiormente attorno ai Filosofi che ai soldati di ogni genere e rango.
“Se il lupo ci tiene uniti, il pugnale è invece il nostro segno distintivo. Ogni volta che uno di noi muore in battaglia o in missione, prima del corpo siamo tenuti a recuperare il pugnale, che verrà incastonato nella lapide in sua memoria.”
“Non è triste?” obiettò allora il piccolo dio.
“No, almeno non per me. Per quanto mi riguarda, ho preso parte a diverse missioni, ed in ognuna di esse qualcuno è finito ucciso. Ribelli, dissidenti, per ogni, seppur misera, rivolta almeno un prigioniero finiva nelle carceri della Capitale. Non credo di essere una bella persona, Lix, però tutto il bello che poteva esserci in me all’inizio l’ho di certo incastonato in questo coltello. Forse l’impugnatura sembra troppo articolata, forse la lama è troppo lunga, però mi rappresenta a perfezione per come vorrei essere e per come vorrei che mi ricordassero.”
Felix tremò, non era più tanto sicuro di voler tenere tra le mani un oggetto così prezioso, si morse il labbro inferiore e, stringendosi nelle spalle, porse il pugnale al biondo. Prima che potesse aggiungere qualcosa, Chan avvolse le sue mani con le proprie, grandi, calde, e rifiutò l’offerta: “Guarda che fragile non lo è per niente. Puoi maneggiarlo come ti pare, di certo non si spezzerà per i fendenti di un vecchietto come te.”
Felix riprese allora la lama con sé ed alzò gli occhi al cielo: “Guarda che non ti conviene prendermi in giro mentre ho il tuo pugnale in mano!”
“Beh, hai detto di non sapere come usarlo tanto, no? La cosa più probabile che possa capitare è che tu ti faccia male da solo.”
Felix rimise il broncio, ma si fece attento non appena Chan, recuperato un ramoscello al limitare della radura, cominciò a mostrargli le prime semplici mosse.
“Forse ti aspettavi che partissimo dagli affondi, a dire il vero prima di imparare ad attaccare è necessario capire come difendersi e, soprattutto, saper schivare i fendenti dell’avversario. O, beh, degli avversari. Credo che il pugnale sia un’arma abbastanza versatile. Per uno come te, più veloce che forzuto, è una scelta consigliabile rispetto ad una spada o ad una lancia, che sono meno maneggevoli.”
Chan, per qualche motivo, stabilì inconsciamente che gli avrebbe parlato come se avesse avuto ancora davanti la vita intera. Voleva trattarlo come un allievo più piccolo, come un fratellino poco più giovane che ancora lo ammirava, non come un dio centenario da immolare per il bene del Paese.
“Vedi, per schivare devi fare così” e qui allora gli mostrava prima con il ramoscello la posizione corretta, per poi correre a correggere postura e movimento appoggiando le mani sulle sue braccia e sulle sue spalle. Notò per la prima volta che aveva qualche lentiggine anche su di esse, e si sorprese a pensare che gli donassero. Risaltavano sulla pelle abbronzata, davano un tocco di terreno all’aura celestiale di cui la silhouette di Felix era pregna. Continuava a chiamarlo per soprannome, non si ricordava se l’avesse già fatto prima, ma all’altro non pareva dare fastidio e forse era troppo tardi per tornare indietro. ‘Lix’ poteva forse sembrare troppo affettuoso, ma Chan ormai sapeva di essersi già davvero affezionato all’altro. Aveva vissuto cent’anni in più di lui, aveva assistito imperturbabile, sempre giovane, allo scorrere degli anni, alla morte delle vecchie generazioni, ed era innocente. Invidiava il sorriso puro con cui tentava di replicare la crudeltà dei letali movimenti che gli mostrava, il suo ridacchiare gioioso ogni volta che riceveva complimenti.
In poco tempo si spinse ad indicargli, finalmente, qualche attacco, e dovette rimproverarlo per il troppo entusiasmo: “Non colpire mai con tutta la tua forza se stai combattendo contro più avversari. Che succede se poi la lama sta incastrata nel petto di qualcuno per esempio? Se vuoi rallentare gli avversari mira agli occhi o al viso in generale, se vuoi uccidere velocemente taglia loro la gola.”
Il sorriso candido con cui Felix annuiva lo destabilizzava, per lui era tutto un gioco e, in una normale situazione, tutto ciò lo avrebbe fatto imbestialire. Con il piccolo dio non poteva fare a meno, invece, di ricambiare i suoi sorrisi. Ogni minimo, inutile, impercettibile errore era una misera scusante per avvicinarglisi, per toccare le sue braccia molli. Si vergognò quando scoprì che i capelli odoravano di muschio, che la pelle sapeva di incantevole selvatico. Procurò un ramo anche a lui e gli chiese di combattere contro di sé, assecondò il desiderio del dio di danzare insieme e non comprese quanto l’altro ne fosse, in cuor suo, contento. Alla fine lo gettò di nuovo scherzosamente a terra e, in preda ad un istinto altrettanto animalesco, tra gli ansiti della lotta, si sporse verso il suo viso per baciarlo sulla fronte. Felix aveva gli occhi chiusi, respirava affannosamente, non ebbe alcuna reazione, allora Chan raccolse più dolcemente il suo viso con le mani e fece congiungere castamente le loro labbra, il rossore dell’imbarazzo fortunatamente nascosto dalla tenue luce cremisi del tardo tramonto.
Si separò dal viso dell’altro troppo presto perché Felix potesse effettivamente ricambiare, ma ingenuamente era convinto che il piccolo dio gli avrebbe sorriso come quando, poco prima, gli aveva insegnato come sgozzare un nemico, e che, con le mani minute ed il suo soffice tocco, avrebbe di nuovo reclamato il peso delle sue labbra sulle proprie. Quando socchiuse gli occhi, a pochi centimetri dal suo viso, l’espressione di Felix non poté fare altro che inorridirlo. Il piccolo dio guardava altrove, evitava di incrociare la traiettoria del suo sguardo e, con un certo disagio, aveva puntato le sue mani contro il suo petto, domandandogli implicitamente di schivarsi e di lasciargli il suo spazio. Chan si scostò immediatamente, comprendendo di aver esagerato. Preso in contropiede, non appena vide Felix mettersi seduto e spostarsi un pochino più lontano da lui si fece prendere dallo sconforto. Abbassò le spalle, istintivamente calò il ciuffo di riccioli biondi sul viso e desiderò, mai come in quel momento, di sparire all’istante, mangiato vivo dalla vergogna. L’imbarazzo gli rosicchiava avidamente le ossa, ogni secondo di brutale silenzio pungeva la sua pelle e gli intimava di nascondersi, di non farsi più vedere perché, in un attimo di gentile follia, aveva osato desiderare la Felicità.
A stento riuscì a sputare un rapidissimo, rotto: “Mi dispiace…”
Si sarebbe almeno aspettato che Felix scuotesse il capo e provasse a rincuorarlo, ma l’amico incassò la testa fra le spalle e, forse ancora più intimidito di lui, borbottò: “Chan, mi stai portando a morire…”
Bel modo di riportarlo alla realtà dopo un pomeriggio fantastico, pensò il soldato.
“… Non credo che sia giusto darti delle speranze.” concluse Felix “Lasciami perdere.”
Chan, atterrito, annuì mestamente: “Mi dispiace… Ci penso da quando mi hai visto ballare con quella ragazza alla festa qualche giorno fa… Mi dispiace…”
“Ci conosciamo da poco, capita a tutti ogni tanto di prendersi una sbandata. Ci metterai poco a dimenticarti di me una volta che Changbin avrà completato il rito al Cratere.”
Chan non riuscì nemmeno ad essere arrabbiato per il fatto che Felix avesse definito tutto quello una ‘sbandata’. Vide l’altro alzarsi in piedi, questa volta il piccolo dio gli diede le spalle e non lo aiutò a fare lo stesso, e la consapevolezza lo tramortì ancora di più. Recuperò lo spadone e lo assicurò alla schiena, rimise a posto il pugnale, riallacciò la cotta di pelle al busto e con essa rimise al loro posto il mantello e lo spallaccio.
Avvolti da un greve silenzio, i due si diressero di nuovo verso Tillvah. Tutto ciò che Felix fu ancora in grado di pronunciare fu un gutturale mormorio: “Seguimi, Jeongin mi ha detto che avrebbe lasciato una scala per noi con cui arrampicarci.”
Chan emise un sospiro, lo avrebbe seguito in capo al mondo se Lix glielo avesse chiesto.
   
 
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