Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
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Autore: Little Firestar84    09/02/2022    3 recensioni
Il mentalista Patrick Jane irrompe ancora una volta nella vita di City Hunter: quando le tracce dei gemelli Jonathan e Cameron Black lo portano ancora una volta a Tokyo, è a Ryo e Kaori, coppia nel lavoro e nella vita, che il consulente dell'FBI chiede aiuto.
Senza sapere che City Hunter- e tutto il loro sgangherato gruppo di alleati- sta già seguendo il caso... solo da un'altra angolazione!
Da New York a Tokyo, la caccia ai ladri ha inizio, ed il tutto per proteggiere il misterioso e prezioso gioiello noto solo come Serpenti!
Genere: Commedia, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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- Questa storia fa parte della serie 'The Consultant'
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“Allora, Ryo, me lo vuoi dire chi siamo venuti a trovare?” Kaori gli domandò, curiosa, mentre entravano nella parte della casa del professore che il vecchio utilizzava come clinica personale, riservata a quei figuri del sottomondo a cui loro stessi appartenevano che, quando feriti o malati, non volevano sentirsi fare troppe domande.

“Eh, in realtà, Sugar, non lo so nemmeno io….” Le rispose, criptico, con quel suo sorriso malandrino stampato sulle labbra, che tante, troppe volte aveva mandato in bestia la sua socia, che un tempo aveva letto quelle mezze risposte come un sinonimo di mancata fiducia. Ryo avvertì quella vecchia emozione bussare nuovamente all’animo della sua compagnia, e le sorrise, mentre stringeva le dita intorno a quelle di lei, desideroso di tranquillizzarla. “Tranquilla, Kaori, aspettiamo solo l’arrivo di Jane e Kay, e poi sono certo che il vecchio ci spiegherà tutto!”

Lei, rinfrancata, sentì un calore profondo irradiarsi in tutto il suo essere, che partiva dal punto in cui Ryo la stava toccando. Strinse le dita di lui, guardandolo negli occhi, e fece segno di sì, col capo, certa che la sua non fosse stata una presa in giro, o peggio, una dimostrazione di mancanza di fiducia. 

Fiducia, rifletté la donna, aprendo la bocca per parlare, ma prima che potesse dire una sola parola fu interrotta dall’arrivo di Jane e Kay dalla stessa porta da cui erano entrati loro, e dall’uscita da una delle stanze del professore, che sembrava gongolare dietro a quei suoi occhialini che gli ricadevano sul naso, una cartella clinica azzurrina sotto al braccio. 

“Oh, bene, vedo che ci siete tutti!” Il professore sorrise, mentre guardava bene l’agente Daniels, che con quegli stivaletti col tacco era ancora più sensuale di come potesse già probabilmente essere di suo. “Eh, Jane, certo che sei fortunato tu, figliolo, ti circondi sempre di belle figliole! Eh, eh, eh!”

“Sì, beh, non si faccia sentire a dirlo da mia moglie.” Il mentalista rispose sistemandosi il gilet grigio. “Allora, cosa ci facciamo qui? Lo sapete?”

“Il grande Patrick Jane che non sa qualcosa? E io che non ho registrato questa tua domanda!” Ryo ridacchiò. “Almeno lo potrò raccontare in giro!”

“Non ho detto che non lo so,” Jane petulò, le mani in tasca dei pantaloni eleganti. “Anzi, il fatto che il tuo professore abbia insistito per la specifica presenza di Kay qui mi da un’idea di cosa potremmo essere qui a fare. Solo, mi mancano alcuni tasselli del puzzle.”

“Sì, sì, certo, come no, tante parole per dire che non sai cosa sta succedendo!” Ryo sbuffò. “Ti rode così tanto ammettere che magari io potrei saperne più di te, eh?”

“Eh, eh, ragazzi, voi vi assomigliate davvero parecchio, sapete?” Il Professore disse loro, con tono malinconico. “Più di quanto voi stessi vogliate ammettere!”

Le voci dei due uomini si coprirono a vicenda, mentre andavano ambedue in escandescenza e rispondevano all’anziano, le parole che si intrecciavano, si aggrovigliavano in un miasma senza senso fonetico, ma il cui senso logico era ben facile da intuire: non volevano ammettere che ciò che il vecchio aveva detto – e che ben più di una persona che li aveva incontrati entrambi pensava- fosse vero. 

“LA VOLETE SMETTERE?!” Kaori li rimproverò, alzando la voce e stringendo i denti, mentre combatteva contro l’innato istinto di prendere a botte Ryo per farlo rinsavire, ma desiderosa di fare bella figura con Kay, che ancora non aveva visto il peggio di loro. Si schiarì la gola, e con le braccia incrociate, battendo il piede a terra, si voltò verso l’anziano. “Allora, si può sapere cosa sta succedendo?”

“In realtà, per saperlo con certezza, avrò bisogno dell’assistenza dell’agente Daniels…” rispose, per vie traverse, volgendo lo sguardo verso Kay; gli occhi erano gentili, carichi di affetto, e Kaori tirò un sospiro di sollievo che, per una volta, il vecchio mentore di Ryo stesse tenendo a bada gli ormoni. 

“Kay,” la donna tossicchiò, mentre si sistemava una ciocca dietro l’orecchio, tenendo gli occhi bassi e mordendosi le labbra. “Kay va bene.”

“Bene, come vuole, Kay, allora, seguitemi…” Con agognante lentezza, prese il pomello in mano, e lo girò, aprendo la porta che emise un flebile cigolio nel silenzio generale, quasi tutti quanti avvertissero la gravità di ciò che stava accadendo. Il professore entrò, seguito ad alcuni passi da Kay, mentre il resto del gruppo rimase nell’ingresso della stanza. La coppia si mosse verso un letto, posto nella penombra, in un angolo dello stanzone, e fu allora che lei lo vide.

Kay ingoiò a vuoto, mentre l’uomo nel letto si voltava verso di lei, e digrignando i denti per il dolore lancinante che sentiva pervadere il suo corpo, cercava di sedersi per vederla meglio. 

Kay percorse lentamente gli ultimi passi che la separavano da lui; con labbra tremanti, appoggiò le mani sulla pediera del letto, ed alzò lo sguardo, perdendosi in quelle pozze blu che la guardavano come se lei fosse la cosa più meravigliosa ed incredibile sull’intero pianeta… eppure, c’era anche altro, una piccola ombra, che macchiava la purezza che vi aveva sempre visto. 

“Cameron…” Sospirò il nome, la parola che le uscì dalle labbra come musica, senza alcuna incertezza, mentre gli occhi minacciavano di riempirsi di lacrime. 

Lui le sorrise, cercando di allungarsi verso di lei, prima di digrignare i denti in preda al dolore e ricadere pesantemente sul materasso. “Ah! Non sono nella mia forma ideale per salutarti a dovere, Kay…”

Lei scoppiò a ridere – nonostante sapesse che in tutta quella faccenda ci fosse ben poco da ridere – e scosse il capo, nascondendo le labbra dietro una mano.

“E com’è che siamo assolutamente certi che questo sia Cameron e non Jonathan? Quei due sono assolutamente identici!” Ryo le domandò, sollevando un sopracciglio, guadagnandosi una gomitata nel costato da parte di Kaori, che trovava l’intera faccenda molto romantica.

“Eh, vecchio mio, lo sai come si dice, no? Il cuore ha delle ragioni, che la ragione non conosce.” Jane sospirò, mentre guardava la coppia riunirsi dopo tante settimane  passate divisi, lontani; la sua voce era colma di malinconia, e rimpianto. “Amore, Ryo. Il fatto che nessuno dei due abbia ancora dato un nome a quel sentimento non lo rende meno vero. E credo che sia una cosa che capiamo bene entrambi. Anche noi eravamo così, dopotutto.”

Ryo non rispose: la sua bocca però si piegò in un leggero sorriso, mentre lanciava un’occhiata colma di significato alla sua Kaori.

“Jane!” Cameron esclamò, prima di lamentarsi per un altro dolore improvviso. “Allora era con te che Kay era venuta qui! Avrei dovuto capirlo!”

“Già, e visto quanto è simpatica l’amica tua e di Johnny, ho pensato bene di chiedere aiuto ad uno specialista..." Jane ” Ryo si avvinarono al letto, il primo con sguardo grave, il secondo senza mai far cadere la sua aria scanzonata. “Ryo, ti presento Cameron Black, ex illusionista ed ex consulente dell’FBI, Cameron, Ryo Saeba, lui è.”

“City Hunter.” Cameron si schiarì la voce, mentre si massaggiava una mano dolorante, che era fasciata da bende che si erano già macchiate di flebili macchie rosa; osservava Ryo con un mix di ammirazione e curiosità, lo stesso sguardo che aveva riservato a Jane quando si erano conosciuti anni prima, lavorando entrambi allo stesso caso, ognuno con i rispettivi agenti di riferimento dell’FBI- Jane con Lison, e lui con Kay. “Lei ha detto qualcosa sul fatto che Kay era sotto la sua protezione.” 

“Immagino che lei sia la donna del mistero….” Ryo fece schioccare la lingua mentre raggiungeva il letto di Cameron, e si appoggiava al muro, di fianco al capo del giovane uomo. “Dì un po’ maghetto da strapazzo, la tua amica ce l’ha un nome o no?”

“Beh, sono certo che ce l’abbia, e magari il mio caro fratellino lo conosce pure, ma io non sono stato ritenuto all’altezza di saperlo.” Cameron grugnì, mentre si massaggiava il braccio. Rimase in silenzio un attimo, poi, quasi avesse solo capito in quel momento cosa stesse accadendo, si schiarì la gola. “Ehm, potrei sapere dove sono esattamente al momento? Sono leggermente confuso su cosa è successo…. Ultimamente.”

Non aggiunse altro, perché non sapeva dov’era, ma nemmeno quanto tempo fosse passato. 

Sapeva solo una cosa: era sollevato che lei fosse lì, con lui – e che gli stesse sorridendo. 

“Qual è l’ultima cosa che ricordi?” Jane gli domandò, prendendo dalla tasca l’orologio che vi teneva dentro, ed iniziando a giocherellarci, aprendolo e chiudendolo, inconsciamente attirando l’attenzione di Cameron che fissava, come incantato, i gesti ritmati del mentalista.

“Non sono così facile da ipnotizzare, Jane…” Cameron gli disse, senza tuttavia smettere di fissare quell’aprire e chiudersi incessante. “Non so nemmeno come ci sono finito, qui…. o dove qui sia!”

jane e Ryo si voltarono verso il Professore; l’anzaino si sistemò gli occhiali sul naso, occhi sfuggenti rivolti verso l’alto. 

“Me lo hanno scaricato qui davanti alcuni miei…conoscenti.” Si schiarì la gola, sapendo che tutti avevano ben compreso se non l’identità, almeno il tipo di persone a cui l’uomo si riferiva. “Se ne sono andati prima che potessi fare loro troppe domande. Non che io sia il tipo da chiedere troppo a quel tipo di gente.”

Jane emise un suono gutturale, senza parlare, ma sembrava che la sua mente avesse improvvisamente fatto degli strani collegamenti, che a tutti loro stavano sfuggendo. Riprese il pendolo in mano, e nuovamente lo passò davanti agli occhi di Cameron, che lo allontanò con un gesto stizzito, le labbra tese in una linea dura.

“Piantala!” Lo intimò, stringendo i denti, sibilando quando avvertì un forte dolore al capo; subito kay fu al suo fianco, silenziosa, ma con gli occhi colmi di affetto e preoccupazione. “Ti ho detto che non funzionerà mai con me!”

“Non ne sono così convinto. Con tuo fratello sono certo avrei dei problemi, ma con te…” Emise una leggerissima risata. “Ragazzino, tu non sei duro nemmeno la metà di quello che vorresti far credere!”

Cameron non rispose. Si limitò a seguire i movimenti di Jane con gli occhi, col capo, senza dire una sola parola.

“Cosa ricordi, Cameron?” Gli domandò, tenendo l’orologio aperto, improvvisamente freddo e duro come il ghiaccio. “Ripensa ai suoni, agli odori.”

“Non lo so…. Dopo che ha ucciso i suoi scagnozzi, mi ha bendato prima di caricarmi in macchina, e ha girato in tondo per confondermi. Credo abbia volutamente girato a vuoto….” Cameron rispose, lo sguardo fisso nel vuoto. “Siamo scesi dalla macchina dopo diverse ore, ma non so quanta strada abbiamo fatto davvero. Però credo fossimo fuori Tokyo. La casa era circondata da un parco enorme, con alberi altissimi…”

“E com’è che sei scappato….” Ryo gli domandò, un po’ scettico, per poi voltarsi verso il Professore, con il suo immancabile cipiglio cinico. “E soprattutto, come è arrivato qui?”

Cameron non rispose; il che fece sbuffare Ryo e ridere Jane, che incalzò il ragazzo.

“Cameron, rispondi  a Saeba.”

“Ho steso Johnny con un candelabro e sono scappato dalla casa in cui lei ci aveva rinchiuso – mi aveva rinchiuso, a lui aveva dato una chiave. Ho corso per il parco, cercavo una via di fuga, ma avevo freddo, e poi sono arrivati i cani, ed ho sentito uno sparo e… e credo di aver perso i sensi. Non so come sono arrivato Qui. O dove qui possa essere.”

Jane richiuse con uno scatto il coperchio dell’orologio da taschino, e Cameron sbattè le palpebre, mentre lo sguardo cessava di essere vacuo. Prese un profondo respiro, sollevato quando avvertì una mano coprire la sua: alzò gli occhi, e vide che era lei a farlo, Kay, e con sguardo sognante ricambiò il sorriso che lei gli stava donando.

“Certo che ne hai avuto di fegato, stendere tuo fratello… anche se lo capisco, considerato che lui ti aveva lasciato a marcire in carcere al posto suo.” Jane scherzò, ma Cameron strinse i denti, ed i suoi lineamenti si indurirono, marcati da una rabbia che gli era impossibile nascondere.

“Quando lo ha fatto, mi ha detto che non voleva scappare con me, che sarebbe stato complicato se entrambi fossimo stati fuori. Credevo volesse proteggermi,” Cameron ammise, la voce bassa, pesante, la rabbia velata da una sottile vena di tristezza. “Invece intendeva dire che gli serviva avermi in carcere per non destare sospetti. Per far credere che Cameron Black fosse in giro deluso da tutti, e Johnny in carcere a marcire per qualcosa che non aveva fatto.”

“Ma non è stato questo a farti scattare…” Jane lo interruppe, usando il suo classico tono saccente da persona che sapeva di tutto e di più, il più intelligente della stanza. “Cosa ti ha detto, cosa ha fatto?”

Cameron non rispose: si limitò a voltarsi verso Kay, che capì – o forse, ammise quello che aveva sempre saputo. Dopotutto, le era bastato uno sguardo in quel letto per capire che aveva davanti Cameron e non Jonathan, perché sarebbe dovuto essere stato differente in un’altra circostanza? Certo, quando poi Cameron era stato scarcerato, aveva capito con chi aveva avuto a che fare, però… però, Jonathan aveva messo il tarlo del dubbio nella sua mente.

Jane sorrise, voltandosi verso la donna. “Oh, oh, oh, piccoli problemi di cuore….cosa ti ha detto Johnny, facendosi passare per il suo fratellino?”

“Le ha lasciato credere che non mi importasse di lei,” ammise Cameron, parafrasando le parole del fratello, parlando con Jane ma rivolto a Kay, nel cui animo scrutava, attento. “Che non mi fosse mai importato nulla di lei. Che avevo solo usato l’FBI per liberare Johnny.”

“Ti ha messo il dubbio in testa.” Jane capì, guardando dall’uno all’altra. “Anche dopo che Cameron è stato scarcerato, tu non sapevi a chi credere. Anche perché erano sparite le prove dal magazzino dell’FBI, lui non è tornato, casa sua è andata a fuoco… quando ti ha mandato quel fascicolo, ti sei chiesta se ti volesse usare, o se lo avesse fatto per mantenere il legame che vi univa. Per questo mi hai chiamato. Non volevi solo il mio aiuto nel risolvere l’enigma, volevi capire cosa aveva spinto Cameron ad agire così.”

Kay si limitò ad abbassare gli occhi, mentre Cameron intrecciò le loro dita, e strinse la mano della donna. 

“So benissimo cosa lo ha spinto ad agire così.” Lei, alzò gli occhi verso di lui, infuocati e determinati come mai prima di allora, e strinse con altrettanta forza. “La stessa cosa che spingerebbe me a fare qualsiasi cosa per salvare mia sorella, se solo potessi farlo.”

“Sì, beh, era quello che avevo pensato di fare,” Cameron ammise, dopo un attimo di silenzio carico di emozioni, di detti e non detti che però non necessitavano di nessuna parola. “Ma non sono certo di quanto mio fratello se lo meriti dopo tutto quello che ha fatto.”

“Già…” Jane rifletté ad alta voce, con quel suo maledetto sorriso enigmatico sulle labbra. “Ma chissà. Noi esseri umani siamo creature molto semplice, eppure estremamente complicate…”

“Sì, sì, va bene, ma possiamo lasciare i discorsi filosofici a dopo?” Ryo li interruppe. “Cosa facciamo adesso? Il piano cambia o no?”

“Piano? Quale piano?” Cameron li interrogò, guardando da uno all’altro. “Avete un piano per prendere quella strega e mio fratello? Posso aiutarvi? Vi prego, ditemi di sì!”

Con un sorriso canzonatorio, Ryo tolse dalla tasca della giacca la collana appena rubata, facendola dondolare con nonchalance davanti agli occhi sbigottiti del giovane. 

“La collana!” Allungò una mano per sfiorarla, ma Ryo ritrasse l’oggetto, mettendolo fuori dalla sua portata. “Avete rubato la collana con le pietre che servono a quella strega per decifrare la mappa del bisnonno!”

“Già. L’idea era di anticiparla, in modo da poterla poi attirare in una trappola, anche se mi chiedo come potremmo fare…” Jane prese a picchiettarsi con un dito sul mento. “La questione è, come attirare la sua attenzione senza che Bulgari ci denunci tutti per furto? Avremmo bisogno di portarla in un determinato posto, in modo da poter avere una parvenza di controllo e non essere presi contromano…”

“E se…” Cameron si strofinò il polso, su cui era caduto dall’albero; strinse gli occhi, mentre sul viso si materializzò un sorriso malandrino. “Forse un’idea ce l’ho, ma potrebbe servirci del tempo. Ed un completo blu. E anche l’aiuto della…” guardò Kaori, incerto su come descriverla, chiamarla, dato che non gli era stata presentata. 

“Kaori, Kaori Makimura. Sono…” Gli rispose lei col sorriso, facendo un piccolo inchino, mentre tuttavia arrossiva leggermente, anche lei un po’ in crisi in quella situazione, in certa sulla sua posizione – anche se ce n’era una di cui era sicura al 100%. “Sono la partner di Ryo. Lui ed io, insieme, siamo City Hunter.”

“Ehm…” Ryo si schiarì la gola; sguardo crudo, mascella tirata, posò una mano sul fianco di Kaori, attirandola a sé, il suo gesto una chiara dichiarazione d’intenti: Donna, mia. Kaori lo guardò stupita, mentre gli altri uomini presenti nella stanza sembravano ridacchiargli dietro, soprattutto Jane ed il Professore. Ma a lui non importava: voleva chiarire le cose fin da subito. Non sapeva cosa stesse succedendo, ma ultimamente Kaori era come sbocciata, e gli uomini, tutti, indistintamente, pendevano dalle sue labbra e le morivano dietro.

“C’è ancora all’FBI quel ragazzino che era nostro fan? Me lo avevi presentato quella volta che abbiamo lavorato insieme a quel caso, quello della finta casa infestata, in cui avevano ucciso un membro dello staff del governatore… ” Cameron domandò a Jane, gesticolando un po’ quasi quei movimenti potessero aiutarlo a fargli comprendere di chi parlasse. “Dai, sai di chi parlo, palliduccio, dava l’idea di essere un personaggio di Twilight ma non altrettanto sexy come i fratelli Cullen… com’è che si chiamava? Walt? Willies?”

“Wylie – e sì, lavora ancora con me!.” Jane sospirò, ed alzò gli occhi al cielo. “Perché vuoi che venga qui?”

“Non sarà necessario che venga qui, se è bravo anche solo la metà di quello che dici, potrà esserci d’aiuto senza alzarsi dalla sua sedia!” Con un sorrisetto, si sfregò le mani, già pregustando il futuro; Jane si illuminò, quasi beato, convinto di aver capito cosa il ragazzo avesse in serbo; ridacchiando, tirò fuori il telefono, lo sbloccò e lo tirò a Cameron.

“Beh, il problema è che è di tempo che non ne abbiamo...” Ryo rifletté, riportando la discussione sul giusto binario, senza però mai smettere di fissare Cameron in modo ostile. “Quando la mostra avrà inizio, tra un paio di giorni, la nostra ladruncola scoprirà che Serpenti è sparito, e non mi meraviglierei se decidesse di alzare le tende.”

“Non lo farà…” Cameron asserì senza nemmeno alzare gli occhi dal telefono. “Serpenti le serve troppo. Cercherà di capire dove possa essere finito…”

“E noi faremo in modo che scopra che ce l’abbiamo noi…” Jane capì al volo il piano del giovane, terminando al volo la frase di Cameron. “O comunque, le facciamo venire questo dubbio…. Sarà lei a venire da noi, e faremo in modo che venga incriminata.”

“E se vorrà avere salva la pelle, dovrà fornirci le prove per scagionare Jonathan…” Kay sorrise, con rinnovata determinazione. 

“Già… e finalmente capirò da che parte sta mio fratello.” Cameron fissò Kay negli occhi: temeva di avere la risposta a quell’interrogativo, ma non voleva ammetterlo. Non era ancora pronto a farlo, dopotutto.

Come aveva detto lei, la famiglia veniva prima di tutto, e se avesse avuto anche solo mezza possibilità per scagionare Johnny, per salvarlo, cambiarlo, farsi perdonare anni e anni di torti subiti da parte del padre, allora avrebbe agito di conseguenza. Avrebbe fatto tutto il possibile.

Avevano perso una battaglia, forse due, ma la guerra non era stata ancora vinta da nessuno, e Cameron non si sarebbe fermato fino a che non fosse stata sua.

   
 
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