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Autore: EsterElle    09/02/2022    2 recensioni
La magia non esiste: il cielo è cupo, l'auto è dal meccanico, il matrimonio è ormai finito e il lavoro chiama dall'altra parte della città. E poi lei, Hermione, sempre la stessa: acuta, impegnata, organizzata, amante delle cause perse. Lei, che della sua vita passata, fatta di immensi castelli e incantesimi, di guerre e pericoli, di gioie e amicizie, non sa nulla. Nulla, se non fugaci sensazioni che le lasciano addosso tanta, troppa malinconia.
Non sa nulla nemmeno di quell'uomo, tale Draco Malfoy, che bussa alla sua vita casualmente e scoperchia un pozzo di ricordi che ricordi suoi non sono. Hermione non sa nulla, se non quello che l'istinto le bisbiglia all'orecchio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Molly Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Sui bordi
 

 
I capelli non sono affatto come avrebbero dovuto essere, pensai.
Non era stata una grande idea, provare quella tecnica tanto pubblicizzata sui social; andare a dormire con la testa umida avvolta in un panno di microfibra non mi aveva regalato morbidi boccoli, piuttosto l’inizio di un brutto mal di testa da cervicale.
Ormai è tardi per rimediare.
«Maggy, ci sei?» gridai verso il piano di sopra.
Mi spostai in cucina e per la strada afferrai uno degli elastici rosa di mia figlia; sistemai i capelli alla solita maniera, un po’ alla buona.
«Margaret, avanti!» gridai ancora. «Se non scendi immediatamente puoi sognarti la squadra di pattinaggio!» minacciai, spostando le padelle sporche dai fornelli al lavello. Ormai le uova della colazione dovevano essere gelide.
Sbirciai per un attimo oltre la tenda, fuori dalla finestra, giusto il tempo di cogliere quanto plumbeo e triste fosse il cielo. I lampioni, per strada, erano ancora accesi, disegnavano cerchi di luce calda in quell’ottobre esageratamente cupo. Un brivido leggero mi attraversò improvvisamente da capo a piedi, facendomi stringere nel maglione; lentamente, posai un dito sul vetro, dimentica del tempo e del lavoro, dei piatti sporchi e dei capelli disastrosi. Col polpastrello coprii l’alone di luce gialla lì fuori, immaginando di prendermelo tutto, quel calore, e portarmelo dentro, vicino al cuore. Sprofondai tra quei pensieri.
«Quanto sei antipatica, mamma» esclamò mia figlia, entrando teatralmente nella stanza e lanciando lo zaino ai piedi del tavolo.
Mi riscossi senza troppi rimpianti da quel torpore; non mi piaceva indugiare in quelle strane malinconie che ogni tanto mi si agitavano dentro.
«Poche storie, signorina. Fai colazione, lava i denti e poi metti la giacca, in fretta» la incalzai.
La guardai mentre mangiava, la mia piccola bambina di otto anni già adolescente. La trascinai, pochi minuti dopo, davanti alla porta di casa controllando che tutto fosse in ordine, dal viso agli abiti.
«Mi raccomando, oggi, a scuola» le dissi, calzandole il cappello sulla testolina ramata, giù fino alle orecchie. «Non essere insistente con le maestre e divertirti con i compagni» continuai, pettinandole delicatamente le sopracciglia con le dita.
«Certo mamma» annuì lei, distratta, allontanando le mie mani e correndo giù per il vialetto.
Il pullmino della scuola era già lì e i bambini del quartiere si stavano arrampicando su per le scalette felpate. Raggiunsi Maggy giusto in tempo per porgerle il piccolo borsone dentro il quale avevo sistemato tutto il necessario per il fine settimana.
«Ti ricordi, vero?» le dissi. «Verrà papà a prenderti e starai da lui per un paio di giorni».
«Sì, mamma. Sai, ieri al telefono mi ha promesso che andremo all’acquario. Hanno una varietà unica di pesci pagliaccio e io so già tutto sull’argomento: c’era un libro a scuola!».
Sorrisi, un po’ nostalgica, un po’ fiera: «Bravissima, tesoro. Adesso sali, avanti».
La spinsi dentro e mi spostai sotto il suo finestrino.
«Ci vediamo lunedì. Mi raccomando, comportati bene con il papà» le soffiai le ultime raccomandazioni insieme a un bacio. Maggy alzò il pollice, poi si allontanò tranquilla, salutando con la mano. Quando la strada fu di nuovo vuota e silenziosa, mi concessi un solo, minuscolo, sospiro stanco. La giornata era iniziata in salita e difficilmente sarebbe migliorata.
Rientrai in casa giusto il tempo di afferrare la borsa e chiudere a chiave la porta. Cercando di non pensare a Maggy o al fatto che sarebbe stata lontana da me per tre lunghissimi giorni, mi avviai alla fermata del bus più vicina: neanche a dirlo, la macchina era ancora da quello sciagurato del meccanico.
Cercai di sgombrare la mente mentre prendevo posto sul pullman diretto a King’s Cross. Respirai a fondo e mi focalizzai sui soli aspetti positivi di tutto quel caos: adoravo viaggiare in treno e, in fondo alla strada, ci sarebbe stata la cara Tana ad attendermi.
 

 
***
 
Il tragitto dalla stazione alla casa-famiglia fu funestato da una scrosciante, gelida pioggia. Camminai sul marciapiede sconnesso di una strada di campagna invasa da stoppe ed erbacce, trascinandomi dietro la borsa, il malumore, l’impazienza e tutte le mie contraddizioni. Quando bussai alla porta della Tana, ero irrimediabilmente coperta di schizzi di fango.
Venne ad aprire una donna alta, vestita di un pratico grembiulone blu.
«Buongiorno, signora Taylor» la salutai, entusiasta.
Quella mi osservò dubbiosa per alcuni minuti, poi esplose in una risata incontrollata: «Cielo, signorina Granger!» esclamò. «Quasi non la riconoscevo. Dove è stata per tutti questi anni? Come sta la piccola Maggy?» prese a chiedere, trascinandomi dentro.
Lì, nell’atrio ampio e antico, calpestando il marmo scuro e respirando il profumo del pranzo in preparazione, avvertì la netta la sensazione – intima, calda e bellissima – di essere finalmente a casa. Non aveva nulla a che fare col sollievo che mi riempiva la testa ogni sera, quando tornavo alla mia villetta in Oxford Street. Era una sensazione assai più simile al conforto e alla gioia, all’idea di camminare sui bordi di un sogno tagliato su misura per me.  
Io appartengo a questa gente.
Dopotutto, occuparmi della casa-famiglia era stato il mio primo incarico importante: ero una novellina, ai tempi, e lo studio legale aveva voluto mettermi alla prova. Che follia incaricare me come consulente legale di quel gruppo di idealisti folli e sognatori! All’epoca ero quel tipo di persona che prendeva sin troppo a cuore le cause perse: rimasi tra queste mura tanto a lungo che, infine, decisi di trasferirmici per un breve periodo, portando una minuscola Maggy con me. Chissà, se non fosse stato per Robert forse saremmo rimaste per sempre.
«Ecco, si sieda» mi coccolò la signora Taylor. «Molly è al telefono, la raggiunge subito. Non mi aveva detto che sarebbe arrivata».
«Non lo sapevo nemmeno io fino a ieri».
«Eh, sono tempi duri, questi…» mormorò mentre scivolava dietro la guardiola.
Annuii: «Lo studio farà il possibile, mi creda».
«Lo spero bene! La Direttrice non è disposta a cedere di un millimetro».
Sorrisi sentendo quel vecchio soprannome.
Come chiamata in causa, Molly Prewett apparve da una porta laterale, il cellulare agganciato tra la spalla e l’orecchio.
«D’accordo Harry caro, saluta i bambini da parte mia. Mi ha fatto piacere sentirti e passa a trovarci: questa è anche casa tua» stava dicendo con un tono decisamente materno.
Era rimasta la stessa, constatai con gioia: rossa, piccola e rotonda, ormai un poco segnata dal tempo ma sempre la stessa donna buona, d’acciaio e di panna. Il ragazzo al telefono doveva essere quell’Harry Potter a cui era così tremendamente legata e di cui avevo sentito parlare fino allo sfinimento: il primo, amatissimo bambino di cui Molly si era occupata come assistente sociale, anni fa.
Non appena riagganciò, alzò lo sguardo e incrociò il mio.
«Finalmente, Hermione, cara!» disse, prendendomi il viso tra le mani. «È passato troppo tempo dall’ultima volta che sei stata qui!»
Mi rifugiai nell’abbraccio caldo di Molly come avrei fatto in quello di mia madre. Profumava di fuoco e cannella, un odore che mi era sempre parso antico e familiare, incredibilmente giusto e tanto, tanto desiderato. Incuneata sotto il suo mento, la mia testa si riempì di voci, schiamazzi, pranzi, di un Natale remoto e stranissimo in cui indossavamo tutti cappelli a punta.
Avevo sbagliato a stare lontana così a lungo.
«Su, su, cara» disse Molly, dandomi dei colpetti sulla spalla. «Abbiamo del lavoro da svolgere».
Sorrisi. Non c’era uomo sulla faccia della terra che poteva impedire a Molly Prewett di tenere al sicuro i suoi ragazzi.
«Lui è già qui?» mi informai.
«Quell’arrogante» sibilò Molly in risposta. «Deve essere stato un ragazzino orribile da bambino. Si è presentato questa mattina presto e ha preteso di controllare tutte le carte. Insiste col voler parlare con un rappresentante legale».
«Bene, sono qui» dissi, raddrizzando la mia pericolante acconciatura.
«Allora seguimi, cominciamo

 
***
 
L’uomo nella stanza si chiamava Draco Malfoy, un nome a dir poco ridicolo. Era il proprietario dell’immobile in cui la Tana aveva trovato asilo, anni e anni prima. Era stato suo padre ad affittarlo a Molly e ai suoi soci, per una cifra, all’epoca, piuttosto conveniente. Ora, il figlio sedeva mollemente davanti al fuoco nel minuscolo studio della Direttrice, pronto a vantare diritti che avrebbero mandato tutti in rovina.
«Signor Malfoy, buongiorno» lo salutai, entrando dalla porta alle sue spalle.
Riuscivo a scorgere solo la sua nuca, coperta di sottili capelli biondi; al mio saluto, lui ruotò leggermente la testa, mostrando un profilo affilato e un volto pallido. Percepii un che di familiare in quella mossa altezzosa, ma mi affrettai a reprimere ogni traccia mio solito, scomodo sesto senso.
«Lei sarebbe?» domandò infine, voltandosi nuovamente verso il camino.
Maleducato lo era di certo. Avanzai nella sua direzione, presentandomi: «Hermione Granger, rappresentante legale della casa-famiglia. Piacere di fare la sua conoscenza».
Non si alzò da quel divano, né accennò a ricambiare la mia cortesia. Semplicemente, mi osservò da capo a piedi.
«Non si direbbe» mormorò in maniera più che udibile.
«Prego?»
«È coperta di fango, signorina Granger» mi fece notare, perforandomi con quei suoi occhi grigi.
La rabbia che mi salì in petto fu violenta, improvvisa e completamente inaspettata. Tremai, di vergogna e offesa, come se quelle parole avessero scoperchiato pozzi dimenticati di dolore. Le lacrime corsero in fretta agli occhi, tanto quanto il desiderio di prendere a schiaffoni quel damerino arrogante.
Ripresi fiato giusto in tempo per rendermi conto che non potevo permettermi di dargliela vinta.
«Avvocato Granger, se permette» risposi, con tutta la dignità che avevo in corpo.
Presi posto sulla poltrona alla sua destra, dritta, a testa alta, respirando a fondo.
«Dunque, avvocato, vogliamo occuparci della questione per cui entrambi ci troviamo in questo… villaggio?» disse, sporgendosi leggermente nella mia direzione.
«Ovviamente, signor Malfoy. So bene che l’oggetto della contesa è l’immobile, tuttavia l’edificio risulta ancora di proprietà di suo padre» dissi, spostando i ciuffi ribelli dalle guance incandescenti e aprendo la mia cartelletta portadocumenti.  
Percepii un certo disagio nel mio interlocutore.
«Al momento, mio padre è impossibilitato ad occuparsi degli affari di famiglia personalmente» rispose, evasivo.
Rimasi in silenzio, con uno sguardo incoraggiante. Avevo il diritto di sapere.
«Si trova sotto procedimento penale» fu costretto ad ammettere, fra i denti. «Affari di famiglia» precisò, col chiaro intento di chiudere l’argomento.
«Oh, capisco» annuii, vittoriosa. «Se permette, posso chiederle di cosa si occupa, signor Malfoy?»
«Sono nel commercio. Arte e antichità».
«E desidera vendere l’immobile perché…»
«Se permette, avvocato, non è affar suo».
Non lo era, in effetti. Ero solo affamata di notizie, guidata da una curiosità malsana nei confronti di quell’uomo odioso. C’era qualcosa, ora, nell’impaccio della posa e nella fierezza difensiva dello sguardo che in un certo qual modo… mi ammorbidiva.
Usalo, Hermione, mi dissi.
Forse potevo giungere al suo cuore di ghiaccio ancor prima di prendere in mano le carte: «Vorrei solo farle presente, signore, che la casa al momento è il rifugio di quindici piccoli ospiti che si trovano in gravi difficoltà. Capirà bene che privarli di questo luogo sicuro non farà che peggiorare la loro…».
Non avevo ancora finito di pronunciare l’ultima parola, che lui iniziò a ridere leggermente. Mi bloccai, di nuovo rossa di rabbia.
«Ed io che speravo di trovare nello studio legale un minimo di professionalità» sospirò. Si sistemò il bavero della giacca, si alzò in piedi e mi tese la mano.
«La saluto, avvocato. Ho sbagliato a venire qui oggi: mi recherò personalmente a Londra per risolvere la questione».
La stanza stretta non dava molto margine di movimento: fui costretta ad alzarmi anch’io, trovandomi a pochi centimetri dal suo petto. Ero accaldata, per la rabbia e, forse, per quella vicinanza improvvisa.
Dovetti alzare la testa per guardarlo negli occhi: «Le garantisco, signore, che qui troverà tanta professionalità quanta umanità» puntualizzai, furiosa.
Poi, non mi trattenni: «Dovrebbe vergognarsi».  
Sbuffò: «Vergognarmi?» mi canzonò.
«Esattamente» ripresi, fiera. «Per le assurdità che dice e l’arroganza con cui si è presentato alla nostra porta pretendendo di sfrattare dei bambini abbandonati e la brave persone che si occupano di loro» esclamai, tutto d’un fiato.
«Lei è un’amante delle cause perse, avvocato» disse, più infastidito che divertito, ora.
«E lei non è abituato ad essere biasimato, signor Malfoy».
Si aprì in un sorriso tiratissimo, ancora in piedi, troppo vicino: «Ma davvero?» mi soffiò sul volto.
Improvvisamente, sentii le lacrime pungere i lati degli occhi. Apparire debole non era un’opzione, non ora, ma faticavo a sostenere la tensione che si respirava in quello studiolo.
Non riuscii più ad aprir bocca e lui nemmeno.
Non avevo un solo motivo al mondo per sentirmi tanto coinvolta, eppure, quando sollevò una mano per raccogliere una mia minuscola lacrima, non mi scostai, né mi stupii.
«Abbiamo sempre fatto così, io e te, non è vero?» sussurrò brusco, gli occhi bassi, cupi.
Sempre, avrei risposto se avessi avuto voce.
Impossibile. Ero così certa di non aver mai visto quell’uomo in vita mia! Feci un passo indietro, urtando la poltrona alle mie spalle.
«Mi deve scusare, io non so…» balbettai. «Non so cosa mi prende».
Lo vidi stringersi nelle spalle e abbandonarsi di nuovo al divano. Se ne stava lì, seduto, ad osservare me, in piedi, una mano a tormentare l’altra. Infine, mi decisi a prendere la borsa.
«È stata una giornata difficile e io non sono al mio meglio. Ho lasciato mia figlia, questa mattina e…»
Ma perché diavolo glielo sto raccontando?
«È solo una giornata storta. Mi perdoni» conclusi, in fretta.
Mi voltai e andai verso la porta a passi svelti.
Dovevo essere impazzita. Quell’uomo era spiacevole e indisponente, borioso e arrogante. Non avevo mai cercato le attenzioni di persone come lui, non ero mai stata tanto disperata da rifugiarmi in simili rapporti tossici. Sì, dopo la separazione mi ero sentita sola e, sì, avevo come la sensazione di essere alla disperata ricerca di un… qualcosa che mai mi era parso di afferrare, nella vita. Ma nulla di tutto ciò aveva a che fare le idee malsane che ora mi agitavano la mente.
Mi fermai davanti alla porta ancora chiusa.
Respirai.
Mi voltai.
L’attimo dopo avevo le mani sulle sue spalle e le sue braccia mi stavano già accogliendo come se mi avessero attesa per tutto quel tempo. Baciai Draco Malfoy nella maniera sciocca dei ragazzi, mettendoci il cuore e l’anima, sospiri e speranze. Fu come tornare al primo bacio, quello che diedi a chissà chi, e correggerlo e consegnarlo, una volta per tutte, a colui a cui era da sempre destinato.
Fu disperato e straziante.
Ero tutta lì, in quell’istante, eppure non ero più io.
«Per una volta…» dissi, la voce affannata.
«L’unica volta» mi corresse, la voce spezzata.
«Dovevo sapere…» affondai il viso nel suo profumo.
«Sapere com’era» bisbigliò sulle mie labbra.
 

 
***
 
«Non c’è nulla che una tazza di tè non può sistemare».
«Oh, Molly, sono stata una sciocca».
«Ma no, cara».
«Sì, te l’assicuro».
«Hermione, si vedeva lontano un miglio che quello non era un uomo come tanti».
«Non lo era».
«No».
«Mi ha offesa».
«Oh».
«E ha riso di me».
«Tesoro…»
«Lo odio».
Restammo a lungo in silenzio e il tè divenne freddo.
«Lo rivedrai?».
Sospirai. «No».
 
Non in questa vita.











 
Note
Ho scritto questa storia in fretta, con un’idea in mente che ha preso forma da sé, senza quasi aver bisogno del mio intervento. Sono stata ispirata dal contest di Nirvana_04, “Vorrei incontrarti tra cent’anni”, indetto sul forum Ferisce più la penna, a cui la storia partecipa. Vi cito una sintesi di ciò che chiedeva:
 
«Cosa dovete raccontarmi? Di personaggi, ma soprattutto di anime, che si rincontrano di nuovo in un'altra vita, si trovano e in maniera sconvolgente, sorprendente, improvvisa e incontrollata si "riconoscono", attratti in modo inspiegabile e irresistibile l'uno dall'altra».
 
Spero di aver interpretato bene tutte le sfumature di questa (fantastica) richiesta, ma non ne sono del tutto sicura. In ogni modo, approfitto di queste note per spiegare a lei e a voi lettori alcune delle scelte fatte.
In primis, parliamo di questa Hermione alternativa. Ho deciso di metterle sulle spalle un matrimonio finito e una figlia in affido congiunto perché volevo in qualche modo rendere quel senso di disgregazione familiare e silenzioso sacrificio che, credo, anche l’Hermione dei libri abbia sperimentato nel momento in cui ha capito che lei e i suoi genitori sarebbero per sempre stati divisi dalla magia. La bambina si chiama Margaret e non Rose perché il marito non è Ron: in questo universo alternativo non hanno avuto la fortuna di trovarsi.
Ho inserito alcuni riferimenti più o meno velati al canon, ma vorrei spiegarne uno solo, quello in cui Draco fa notare a Hermione che è coperta di fango e lei ha una reazione esagerata. In questo caso, volevo suonasse come un riferimento all’insulto “sanguesporco” che Malfoy rivolge ad Hermione nel libro; in inglese è “Mudblood” (letteralmente, sangue di fango). Si tratta di una parola che, nella mente di Hermione, attiva tutta una serie di sensazione e tormenti provati nelle sua “altra vita”.
In conclusione, non ho creato, tra Hermione e Draco, un rapporto completamente diverso da quello raccontato nel canon, perché è più forte di me e non riesco ancora del tutto ad accettare di poter cambiare la storia: ho voluto solo raccogliere quel pizzico di non detto, quella piccolissima gemma di attrazione che aleggia tra i due e amplificarla, concretizzarla in una altra vita. Meglio, un altro universo che, tuttavia, pullula di echi di una vita diversa e impossibile.
Grazie per aver letto ed essere giunti fin qui.
Alla prossima!
Ester











 
  
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