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Autore: Nao Yoshikawa    10/02/2022    17 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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[Ichigo/Rukia by me]

 
 
A suggerire il gioco della bottiglia era stata Yami, lo aveva visto in un programma in TV. Le bambine si erano dimostrare entusiaste, i bambini sembravano più timidi all’idea di dare un bacio, ma Yami era stata categorica: dovevano esserci dei baci. Sapeva che a Kiyoko piaceva molto Kaien e che suo fratello aveva un debole per Ai. Quindi si sentiva in dovere di fare qualcosa. E poi erano seduti sull’erba, con le lanterne e le falene attorno a loro, era l’atmosfera perfetta per un po’ di romanticismo.
«Non mi piace questa cosa e non mi piacciono i baci, non possiamo cambiare gioco?» domandò Kaien annoiato.
«Neanche per sogno. Tocca a te, piuttosto» disse porgendogli la bottiglia.
Kaien sbuffò e si arrese al suo volere. Peccato che Yami non avesse tenuto in conto che non sempre le cose andavano come voleva e la bottiglia scelse Miyo, la quale arrossì.
«I-io?» sussurrò. Kiyoko arrossì a sua volta e affondò il viso sulle ginocchia. Che diamine, era sempre sfortunata.
«Beh?» Kaien si lamentò. «Facciamo questa cosa e basta.»
Dovevano essere un po’ buffi, Miyo era un po’ più alta di lui, ed era agitatissima. Forse perché tutti li guardavano con interesse. Lei e Kaien si guardarono per qualche istante. Lui chiuse gli occhi e la baciò sulle labbra.
«Amh… come sono andato?» chiese poco dopo. Miyo, immobile, per poco non cedette sulle sue gambe.
«Ha ragione Kaien, è stupido» protestò Hikaru.
«Zitto tu! Oramai abbiamo iniziato a giocare, quindi si gioca» disse Yami. «Miyo, vuoi girare tu la bottiglia?»
Ma lei fece intendere chiaramente che non sarebbe stata capace di reggere un altro bacio. E forse era meglio così, perché accanto a lei Kiyoko aveva un’espressione inconsolabile. Invece fu Yuichi a proporsi. E il destino volle che questa volta la bottiglia si fermasse su Masato.
«E-eh?» domandò quest’ultimo. «Io?»
«Loro non possono baciarsi, sono due maschi!» fece notare Kaien.
«E allora? Non c’è niente di male!» borbottò Naoko.
«Sì, ma loro sono solo amici, è troppo strano!»
Yuichi si sistemò nervosamente gli occhiali. Non sapeva perché, ma il suo cuore aveva preso a battere forte e così anche quello di Masato. 
«Non è un problema, credo» mormorò timidamente e ciò stupì non poco Yuichi. Kaien era sconvolto: suo fratello voleva forse baciarlo davvero? 
«A-Aspetta» provò a dire. Yuichi però si era già piazzato davanti a Masato. Lo guardò per qualche istante e poi con far timido si avvicinò. Poggiò piano le labbra sulle sue e tanto bastò ad entrambi per arrossire. Naoko era stupita e sorrideva. 
«Accidenti, che carini» sussurrò. 
Poi i due ragazzini si staccarono. Masato non si era mai chiesto come fosse baciare qualcuno, maschio o femmina. Ma con Yuichi era stato strano. Morbido e leggero. 
«Bene, fatto. Visto? Niente di che.» disse sedendosi. 
Hikaru si portò le ginocchia al petto. 
«Comunque io non intendo baciare Kaien.»
«SCUSA E PERCHÉ DOVRESTI?!» obiettò lui. Yami pensò che fosse una buona idea e così era passata dal cercare di formare delle nuove coppie, al cercare di convincere suo fratello a baciare Kaien Kurosaki. Mentre Ai e Kiyoko avrebbero voluto tirarle qualcosa in testa per fermarla. 
Shinji, che era stato incaricato di controllare i ragazzini, guardò con sospetto Yami che tentava di avvicinare Kaien e Hikaru. 
«Ma che state facendo?» 
«Giochiamo al gioco della bottiglia» rispose Yami. 
«… Voi che cosa?! No, anzi. Non sono sicuro di volerlo sapere. Fa niente, io ero venuto solo a controllare. Miyo, se qualcuno ti da fastidio...»
«Papà, per favore! È tutto a posto!» borbottò sua figlia, rossa in viso. Meglio che non sapesse mai del bacio che Kaien le aveva dato. Shinji e Ichigo si scontravano già abbastanza. 
 
In realtà, a Ichigo bastava bere solo un pochino più del solito per diventare piuttosto disinibito. E in genere Nnoitra e Grimmjow lo seguivano, anche se la colpa era soprattutto di Urahara che continuava a versare loro da bere. 
«Kisuke, ma insomma!» lo aveva rimproverato Yoruichi con una certa vena omicida negli occhi. 
«Che ho fatto? È bello bere in compagnia, e poi non li costringo mica!» aveva risposto tutto allegro, anche lui leggermente brillo. Rukia, guardandosi intorno, si rese conto che mancava qualcuno. Renji era in ritardo, ma sarebbe arrivato con Ikkuka e Yumichika e non c'era da sorprendersi. A preoccuparla erano più che altro Chad e Karin. Seduta accanto a Ichigo, gli diede un colpetto. 
«Hai sentito tua sorella?» 
«Ah? Oh, sta tranquilla, arriverà presto. Magari hanno avuto qualche problema con Kohei, sai com’è.»
Sì, Rukia sapeva bene com’era, per questo era tanto preoccupata. Ma subito dopo la sua attenzione si rivolse a Byakuya. Temeva che suo fratello potesse sentirsi un pesce fuori d’acqua, invece sembrava piuttosto a suo agio. Renji aveva promesso di venire a sua volta, e sicuramente non avrebbe tardato se non fosse stato per Ikkaku. Che a sua volta però dava la colpa a Yumichika.
«Sentite, non guardatemi così. La colpa è del signor nonsomaicosamettermi!» si lamentò.
«Vuoi accusarmi perché ho stile? Accomodati pure!» rispose il suo ragazzo, offeso. Renji, con le mani infilate nelle tasche si era diretto immediatamente verso Byakuya.
D’accordo, si era detto. Comportati con naturalezza. È tanto che non vi vedete, comportati come sempre, sii naturale.
«E-Ehi, Byakuya. Che bello vederti finalmente.»
Quello non era un tono di voce naturale. Certo che per essere grande e grosso si faceva impaurire facilmente. Byakuya fece un cenno con il capo, ma non sorrise. Dopotutto lui non sorrideva mai.
«Renji. Sono davvero felice di vederti» mormorò. E Renji capì che diceva sul serio.
 
Byakuya e Renji erano in mezzo alla gente ma in un mondo tutto loro. Parlavano a bassa voce talmente erano vicini e Renji cercava di nascondere quanto la cosa gli piacesse. Ogni volta che arrivava un pensiero del genere, ecco che lo allontanava. Non poteva permettersi altro, non poteva ambire ad altro se non comportarsi d’amico. Questo poteva bastargli, doveva bastargli.
«Allora, quanto è emozionante la vita in ufficio? Io non credo proprio che ce la farei» disse Renji. «Ho bisogno di mettere mano a motori, auto. Capisci che intendo?»
«Più o meno» rispose Byakuya. Che fossero del tutto diversi era palese anche solo guardandoli. Se Byakuya se ne andava in giro con la sua aria malinconica, elegante e seria, se era preciso e ligio al dovere, Renji viveva alla giornata, aveva un pessimo senso dell’organizzazione e a volte sembrava ancora un ragazzino. Ma si faceva comunque volere bene.
«Amh… insomma, visto che ci siamo incontrati, volevo chiederti…che ne diresti di uscire… noi due?» Renji quasi s’incespicò nelle sue stesse parole e si odiò, ma per fortuna Byakuya non parve badarci.
«Visto che a quanto pare non devo chiudermi in me stesso… suppongo sia una buona idea.»
«Bene! Cioè, bene» si schiarì la voce, dandogli una pacca. «Non preoccuparti, ci penso io a farti divertire.»
Agitarsi era da stupidi, si conoscevano da anni e non sarebbe stata certo la prima volta in cui uscivano da soli.
No, certo che no, ma per Renji fare finta di niente diventava sempre più difficile. E questo non lo aveva messo in conto.
E doveva anche ricordarsi di non fissare Byakuya, questo era sconveniente e inquietante.
«Ahi! Ehi!» esclamò ad un tratto. Rukia gli era finita addosso mentre correva in direzione di Karin.
«Scusami!»
Finalmente Karin e Chad erano arrivati. Con loro Kohei, che se ne stava stretto a sua madre con l’aria spaventata, nonostante fosse un ragazzino alto e robusto per la sua età.
«Meno male, temevo non veniste più!» ansimò Rukia davanti alla cognata.
«Scusaci, sai... com’è… Kohei non ama i posti troppo affollati.»
«Oh, non preoccuparti. Kohei, vuoi raggiungere gli altri?» chiese con dolcezza e il ragazzino distolse lo sguardo, annuendo. Nel frattempo, Ichigo era andato dai suoi figli per far loro un discorso serio, soprattutto a Kaien.
«Vostro cugino è qui, quindi comportatevi bene e coinvolgetelo.»
«Ma papà, Kohei si comporta da pazzo!» protestò Kaien agitando le braccia. «L’ultima volta mi ha lanciato dei sassi.»
«Non voglio sentirti parlare in questo modo, chiaro?» si fece severo all’improvviso. Masato annuì, tirando per il braccio il gemello.
«Non ti preoccupare, ci prendiamo noi cura di lui.»
Masato era il più tranquillo. E quello meno incline alla ribellione e alle discussioni e per questo Ichigo glie n’era grato.
«Bene, così mi piacete» concluse, avvertendo una leggera vertigine a causa dell’alcol. Io… torno di là, eh.»
Kaien sembrava ancora indispettito e si scostò dal fratello.
«Io non so mai come comportarmi con Kohei, ha quella… quella cosa strana…»
Ai sollevò lo sguardo. Non era una che parlava molto, ma quando lo faceva stupiva spesso e volentieri.
«Non è una cosa strana, è l’Asperger. L’ho letto in un libro» disse, arrossendo subito dopo.
«Quello che è!» si lamentò Kaien gesticolando, indietreggiando e andando a sbattere contro Kohei, il cugino della sua età ma grosso di stazza e con quei modi che lui definiva da pazzo. Kohei sembrava sempre un po’ nervoso quando era in mezzo alla gente.
«Ciao» salutò, timido. Naoko, che era la migliore a mettere a suo agio qualcuno, lo afferrò per un braccio.
«Arrivi al momento giusto, vogliamo provare un nuovo gioco.»
 
I bambini erano tranquilli, gli adulti altrettanto. Più o meno. Ichigo stava imprecando contro Grimmjow, come al solito. O in alternativa contro Nnoitra, e Urahara continuava ad annaffiare il tutto con una buona dose di saké.
Rukia sospirò e si poggiò al muro. Alla fine, erano tutti una grande famiglia allargata (molto allargata). Era bellissimo essere tutti lì. Con il buio, le falene e le lanterne. Adorava i suoi amici fuori di testa, amava Ichigo e i suoi bambini.
Ma.
Lei dov’era in tutto ciò? Quando si fermava un secondo a prendere aria, arrivava quel pensiero. Si sentiva come se si fosse persa nel marasma della sua vita di moglie, madre, amica, confidente.
Renji la raggiunse in quel momento, si era allontanato per fumare una sigaretta.
«È fatta» disse. «Tuo fratello ha accettato di uscire con me, era ora! Lo farò divertire, promesso!»
Rukia assottigliò lo sguardo e sorrise mentre pensava: Renji, un giorno dovrai confessare a mio fratello ciò che provi per lui. Ti si legge negli occhi, io lo vedo.
Ma avrebbe taciuto.
«Ne sono contenta, davvero.»
Renji borbottò qualcosa. Chissà se a lei avrebbe potuto confidarlo.
Rukia, avrebbe potuto dirle, sono innamorato di tuo fratello da anni e non ho mai trovato il coraggio di dirglielo. Quando si è sposato ho pensato di metterci una pietra sopra, ma non ci sono mai riuscito. E adesso non so come comportarmi. Rischio di rovinare tutto.
«Rukia, senti…»
«Mh…?»
Dirlo a qualcuno, a lei, avrebbe alleviato il peso che aveva sullo stomaco.
Ma non era quello il momento, non ancora. Lo capì quando vide Ikkaku sbucare da un cespuglio, afferrandolo.
«Dov’eri finito?! Sapevo che l’anello dovevo tenerlo io, brutto deficiente!»
«Rilassati, sta per esploderti una vena!»
Rukia li guardò.
«Anello…?»
«Eh? Ah sì, Ikkaku farà la proposta a Yumichika proprio stasera.»
«VUOI STARE ZITTO?!»
Oh, i matrimoni. E le proposte. Rukia le adorava, ricordava bene quella di Ulquiorra a Orihime, quella di Ishida a Tatsuki, di Chad a Karin… e ovviamente la sua.
«Se smettete di fare casino, vi do una mano» disse all’improvviso.
Era un buon modo per non pensare.
 
Ishida aveva sperato che Tatsuki venisse, quella sera. E forse era stato infantile, non c’era motivo per sperare una cosa del genere. Oramai erano prossimi al divorzio e la consapevolezza lo faceva stare così male da renderlo assente.
«Ah, su, su, piantala con quest’espressione funebre» Nnoitra iniziò a essere un po’ molesto. «Sì, d’accordo, tra te e Tatsuki è finita, e allora? Se io tornassi single…»
«Se tu tornassi single cosa, Nnoitra?»
Non aveva idea da dove venisse la voce di Nel, ma non ci pensava proprio a farla arrabbiare.
«Vabbé, come non detto» si lamentò. Ishida teneva in mano lo stesso bicchiere da tutta la sera, non riusciva a bere, temeva di deprimersi ulteriormente.
«Sarebbe tutto più facile se non l’amassi ancora. E so che anche lei mi ama ancora. Ma non funzioniamo, siamo troppo diversi. Non riusciamo a venirci incontro, ad andare d’accordo. Anzi, quando stavamo insieme veniva fuori la parte peggiore dell’altro.»
Che fossero diversi lo avevano sempre saputo. Ma rendersi conto di essere in qualche modo sbagliati era stato un boccone amaro.
«Tecnicamente non siete ancora divorziati. Credo che dovreste riprovare» tentò Ichigo, che nelle questioni di cuore si sentiva un po’ negato. Ishida bevve dal bicchiere e fece una smorfia.
«Peggioreremmo le cose, ed è già difficile così. Per il bene nostro e quello di Yuichi, più stiamo lontani, meglio è.»
Ma non ci credeva nemmeno lui. Non era meglio per lui. Non era meglio per Yuichi e di sicuro non lo era per Tatsuki. Ma lei era testarda e quando s’imputava su una decisione, era difficile farla tornare indietro.
«Tsk» borbottò Grimmjow, già più che ubriaco. «È in questi momenti che sono felice di non essermi sposato. Niente preoccupazioni, niente di niente e…»
«E sta zitto, cretino, peggiori le cose!» urlò Ichigo dando un calcio alla sedia su cui era seduto e facendolo cadere. E almeno questo per un attimo fece ridere Ishida.
Rukia e Renji tornarono poco dopo con un’espressione sospetta in viso.
«Che avete voi due?» chiese Ichigo.
«Aspetta e vedrai» lo zittì sua moglie. Ikkaku si aggirava nervoso come un bambino, rosso in viso. Yumichika se ne stava seduto a parlare con Karin e non sospettava nulla. Ikkaku tossì, iniziando ad agitare le braccia come un forsennato.
«S-scusate. Prego, mi serve la vostra attenzione.»
A debita distanza Renji si schiaffava una mano sul viso e mormorava cose come “imbecille” e “idiota”.
Quantomeno aveva funzionato e adesso tutti stavano guardando lui. Era strano che all’improvviso tutta la sua energia sembrasse essersi esaurita.
«Sì, allora. Devo fare un annuncio… beh, non è proprio un annuncio» quasi incespicò sulle sue stesse parole. «Yumichika.»
Il suo ragazzo arrossì, non avendo ancora realizzato.
«Sì?»
Ikkaku si infilò una mano in tasca e fece quasi cadere lo scatolino in velluto.
«Merda… giuro che nel mio immaginario era meglio. Oh, ma che importa, io queste cose non le so fare, ma comunque…!» si inginocchiò. Oramai era o la va o la spacca. E tutti avevano capito, anche Yumichika,
«Sì, insomma… vuoi sposarmi?»
Lo aveva borbottato, aveva parlato di fretta, ma anche senza sentirlo oramai era chiaro quale fosse la sua intenzione. Le guance di Yumichika divennero rosse - no anzi, bordeaux – e per qualche attimo sembrò perdere l’uso della parola. Perché non aveva capito nulla quasi fino all’ultimo. E quegli attimi di silenzio quasi causarono uno svenimento a Ikkaku.
«Tu sei un pazzo…» mormorò Yumichika con le lacrime in bilico tra le ciglia. «E… sì. Ovvio che sì. Ti voglio sposare.»
Ikkaku poté tornare a respirare.
«Cazzo, mi hai fatto prendere un colpo» disse mentre gli infilava l’anello e poi si lasciava stritolare in un abbraccio. Orihime iniziò subito ad applaudire e Neliel le andò dietro, già presa dall’entusiasmo che portava un matrimonio. Renji sospirò.
«Finalmente, mi ha stressato una vita per questo momento. Ehi, ma Ishida sta bene?»
Uryu si era scolato un bicchiere di saké e Urahara ridendo gli aveva detto che anche lui spesso si commuoveva durante quegli eventi.
«Meglio non chiedere. Ma Renji, volevi chiedermi qualcosa, prima?» gli chiese Rukia.
Già, chissà cosa avrebbe dovuto dirle? Che un giorno anche lui avrebbe voluto chiedere a Byakuya di sposarlo, che forse guardava fin troppo avanti perché non stavano neanche insieme, lui non sapeva neanche dei suoi sentimenti?
Ma lo sapeva, non era il momento.
«Oh, no. Niente d’importante.»
 
 
 
 
Da tutt’altra parte, Rin Ichimaru faceva una smorfia.
«Ahia, mamma. Piano, fa male…»
Era seduta sul tavolo e Rangiku le stava applicando un cerotto proprio sul naso. Un brutto graffio, niente di che.
«Non è niente, aspetta. Oh, Rin. Certo quella bambina ha sbagliato a colpirti, ma devo supporre che tu non sia del tutto innocente?»
Rin arrossì. Se qualcuno dei suoi compagni di scuola l’avesse vista, non l’avrebbe riconosciuta. A casa Rin cambiava, diventava più dolce, affettuosa, aveva parole gentili per tutti, cosa che non faceva assolutamente fuori, con gli estranei.
«Io potrei aver infastidito Naoko» ammise. Rangiku alzò gli occhi al cielo, tuttavia non l’avrebbe rimproverata troppo duramente. Rin ammirava tanto sua madre, non solo perché era bellissima, ma anche perché era amata da tutti, era amica di tutti e nemica di nessuno. In questo non le somigliava. In questo somigliava molto di più a Gin, che aveva sempre l’aria di chi nascondeva qualcosa e di chi poteva tradirti, anche quando non era vero.
Gin Ichimaru era l’assistente di Sosuke Aizen, quest’ultimo un avvocato che nel corso della sua carriera non aveva mai perso una sola causa. Non c’era nessuno a Karakura che non lo conoscesse.
«Quando torna papà?» domandò Rin mentre osservava Sir Biss, il suo serpente acciambellato nella teca di vetro.
«Non lo so, piccola» rispose Rangiku con un sorriso, mentre beveva un sorso di champagne da una flûte di vetro. La famiglia Ichimaru aveva tutto ciò che chiunque potesse sognato, erano ricchi, una bella casa, addirittura camerieri per servirli. Viaggiavano ogni anno, almeno due volte l’anno, in qualche meta europea. Rin aveva costosissime bambole, anche se preferiva giocare con Toshiro, il migliore amico di sua madre.
Ma nonostante tutto questo benessere, c’era un fondo di malinconia perenne. E di amarezza. A Rangiku non piaceva, ma non si lamentava mai. Dopotutto, perché avrebbe dovuto? C’era chi stava molto peggio.
«Lo aspetto alzata» sussurrò Rin, poggiando il viso sulle mani e guardando Sir Biss.
 
 
Rin era scivolata lentamente dal divano al tappeto, morbido e confortevole. E aveva finito con l’addormentarsi e Rangiku non aveva avuto il coraggio di spostarla. Aveva atteso con pazienza che Gin tornasse.
Quando lo vedeva arrivare, i suoi occhi si illuminavano come se fosse la prima volta. Lo amava in maniera esasperante come lui amava lei e questa era una delle cose che sapeva con certezza.
Gin era silenzioso. Entrava nella penombra e la baciava sulle labbra. Poi aveva sempre un occhio di riguardo per Rin, sempre.
«Ha aspettato che tornassi, ma è crollata addormentata» sussurrò.
«Che dolcezza, la amo. La metto a letto e sono subito da te.»
Gin si chinò e la prese in braccio, Rin si lamentò ma riconoscendolo gli si aggrappò addosso, rassicurata. Rangiku viveva per quei momenti magici, teneri. Ma neanche in quei momenti la sensazione di malessere e malinconia l’abbandonava mai.
Dopo aver messo a letto sua figlia, Gin tornò da lei e la baciò sussurrandole, tentatore, mi sei mancata,
Rangiku cedette, come cedeva sempre, amandolo come se fosse la sua amante, come se fosse la prima volta in cui potevano aversi.
 
 
Erano quasi le dieci quando Sosuke tornò a casa. Anche lui, come il suo assistente Gin, poteva vantare una salda stabilità economica. Era ricco, influente e popolare. Aveva una moglie devota, tranquilla e dolce, Momo. La quale lo attendeva ogni sera, la quale lo adorava e la quale lo vedeva come il marito perfetto. Più o meno.
«Bentornato, Sosuke. È stata una giornata proficua?» domandò accogliendolo sulla porta di casa. Momo Hinamori aveva sempre l’aspetto di una ragazzina nonostante fosse madre, nonostante indossasse begli abiti eleganti e un leggero strato di trucco sul viso.
«Come ogni giorno del resto.»
Sosuke le porgeva la sua ventiquattro ore, poi di solito si concedeva del saké. O del whiskey se voleva qualcosa di diverso.
«Hayato?» domandava poi, comodamente seduto. Hayato era il loro unico figlio. Viziato e e accontentato in tutto e per tutto, da parte sua e da parte di Momo soprattutto, la quale adorava il figlio quanto adorava il marito. Per lei Hayato era un bambino straordinario e non avrebbe mai creduto che con i suoi compagni di scuola fosse prepotente.
«Sta dormendo, è andato a letto presto» Momo gli si sedette accanto, assumendo un’espressione languida. Non era brava a sedurre, in realtà non lo era mai stata e ancora dopo anni di matrimonio si sentiva un po’ goffa. Il tutto era reso più difficoltoso da Sosuke, piuttosto freddo su certe cose. Il sesso si faceva spesso e volentieri alle sue condizioni e quando decideva lui. Capì subito, non appena sua moglie gli posò le labbra sulle proprie, che intenzioni avesse.
«Momo, perdonami. Ma sono davvero esausto» disse allontanando il viso. Quando Sosuke Aizen diceva qualcosa, era difficile andargli contro. Metteva chiunque in soggezione, Momo compresa.
E lei, come ogni volta, sorrideva e incassava il colpo. Aveva sempre mirato ad essere la moglie perfetta e come tale si sarebbe comportata.
«Ma certo, perdonami tu» disse sottovoce.
Momo Hinamori parlava sempre sottovoce. Era questo che doveva fare, sempre.

Nota autrice
I matrimoni omosessuali in Giappone non sono legali, ma per esigenze di trama (e anche perché nel mio mondo ideale e forse utopico problemi del genere non sussistono), facciamo finta di sì.
   
 
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