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Autore: Nikita Danaan    10/02/2022    1 recensioni
[La Bella e la Bestia AU!]
"C’era una volta, tanto tempo fa, uno splendido castello in cui viveva un principe di bell’aspetto. Aveva i capelli neri come le ali dei corvi, occhi profondi e scuri, ma era terribilmente egoista e senza cuore, tanto che una notte una vecchia chiese asilo nel suo castello. Inuyasha – questo era il nome del principe crudele – glielo negò, inorridito dal suo aspetto.
Quest’ultima, adirata, rivelò il suo vero aspetto, ovvero quello di una sacerdotessa nera che aveva venduto l’anima ai demoni per poter acquistare la bellezza e la vita eterna.
Tsubaki, la sacerdotessa, gli disse “Non bisogna mai giudicare una persona dall’aspetto esteriore”."
***
Kagome è una ragazza molto bella che adora leggere. Immergersi nei libri è l'unico modo che conosce per vivere una vita piena di avventure. Un giorno il nonno, mentre si reca ad una esposizione sulla scienza, si perde e finisce prigioniero in un castello. La ragazza lo andrà a cercare ma si imbatterà in una creatura, che tutti definiscono una bestia.
[GLI AGGIORNAMENTI SARANNO LENTI]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Se avesse avuto ancora le mani, Miroku avrebbe iniziato a mangiarsi le unghie dal nervosismo. Si era recato nell’ala ovest del castello, la quale era proibita a tutti, ma solo lui aveva il permesso di recarvisi quando doveva comunicare urgentemente o veniva convocato dal suo signore.

Quello però poteva essere definito un caso di emergenza visto che riguardava una prigioniera. Il pensiero di quella parola lo inorridì. Nessuno meritava di esserlo, nemmeno quell’uomo con il quale la giovane aveva fatto scambio di posto e che aveva capito essere suo nonno.

Il profondo affetto che quella ragazza nutriva nei confronti del parente era smisurato e ciò lo aveva toccato profondamente e aveva fatto altrettanto con tutti i servitori della casa testimoni della vicenda e anche tutti gli altri che non erano presenti, a cui poi lui aveva raccontato l'accaduto. Tutti erano coscienti che lei non meritasse di stare rinchiusa nei sotterranei.

Qualcuno aveva ipotizzato che potesse essere lei la giovane che avrebbe potuto spezzare l’incantesimo e anche se infondo al cuore egli stesso ci sperava – quanto avrebbe voluto tornare umano e uscire liberamente da quel castello! – allo stesso tempo non si faceva illusioni.

Quella fanciulla non si sarebbe mai innamorata del suo carceriere e forse non sarebbe nemmeno mai uscita da quella magione, come tutti loro. Tuttavia, non meritava di rimanere nelle umide, tetre e inospitali segrete del castello.

Perciò si diresse verso la porta dove il principe teneva la Sfera e facendosi coraggio bussò alla porta.

Dopo qualche secondo la porta scricchiolò e si aprì, permettendogli di entrare. La stanza era quasi completamente immersa nell’oscurità, creata grazie all'ausilio delle spesse tende che coprivano le finestre, però una luce rosata veniva emanata dal centro della sala, in cui si trovava la Sfera.

Di fronte a quell’oggetto demoniaco si trovava in piedi Inuyasha. Non era ricurvo sulla schiena come di solito tendeva a stare, ma era in posizione eretta. Per merito della luce, Miroku notò che il suo volto fosse voltato verso di lui in attesa che parlasse.

“Mio signore, spero di non disturbarvi” disse accennando ad una riverenza. Vedendo che l’altro non ribatteva, Miroku da un lato era contento non si fosse arrabbiato con lui, ma dall’altro non riusciva a intuire che cosa gli passasse per la testa. Quando era irato era paradossalmente più facile comportarsi: bastava stargli alla larga e aspettare – e soprattutto sperare – che gli passasse alla svelta. Invece quando sembrava insolitamente calmo, come in quel momento, Miroku si sentiva ancora più sotto pressione.

Si auto comandò di tranquillizzarsi e riprese a parlare “La mia forse è una richiesta audace, tuttavia non ho potuto fare a meno di notare quanto le segrete siano un luogo umido e assolutamente inadatto ad ospitare una persona per così tanto tempo”.

Si fermò di nuovo cercando di valutare se Inuyasha avesse mutato espressione o posizione, ma non fu così. Deglutendo, continuò il suo discorso “La ragazza è qua da ancora relativamente poco, temo che se rimanesse lì potrebbe ammalarsi gravemente. L’umidità è pesante e i sotterranei non vengono puliti adeguatamente da molto tempo, perché non ve né mai stato bisogno e voi non l’avete mai richiesto”.

Altra pausa, ma Inuyasha pareva una statua. Miroku iniziò a preoccuparsi. Il suo sesto senso gli diceva che quella fosse la calma prima della tempesta, ma si obbligò a distogliere la sua mente da quei pensieri negativi e concentrarsi sul suo obiettivo primario.

“Perché mi dovrebbe importare della salute di quella ragazza?”. Il suo tono di voce era indifferente, lo sguardo glaciale.

“Anche se è vostra prigioniera potrebbe comunque far parte della servitù”.

“Sono pieno di servi, perché lei dovrebbe essermi utile?”.

Stavolta Miroku rispose immediatamente senza neanche pensarci “Potrebbe essere colei che spezzerà la vostra maledizione”.

Gli occhi già rossi del principe si tinsero ulteriormente di una tinta scarlatta intensa. Digrignò i denti mostrando le zanne “Non osare dire quella parola”.

“Pensateci! Una bella ragazza capita nella vostra dimora, perché non sfruttare quest’opportunità del fato?”.

“Perché lei dovrebbe amarmi!” tuonò la bestia “E chi potrebbe mai amare...questo?!” e si indicò con le mani spalancate.

Miroku non si lasciò intimidire. “Di sicuro tenerla nelle segrete non è una buona tecnica seduttiva. Per il momento liberatela, poi dovreste cercare di essere gentile con lei, educato, galante...”.

Una minuscola parte di Inuyasha sperava con tutto il cuore di riuscire un giorno a ritornare umano. Il pensiero che quella giovane dalla bellezza sconvolgente potesse amarlo sarebbe stato un sogno, ma appunto come tutti i sogni era bello però irreale.

Inoltre, nonostante il vecchio Myoga avesse provato quando era piccolo ad educarlo, era sempre stato insofferente all’etichetta di corte e crescendo aveva sviluppato un carattere irascibile e tiranno, respingendo qualsiasi rapporto umano. Credeva che essendo un principe era legittimato a fare così, che tutto gli fosse dovuto e che poteva anche trattare male gli altri.

Ma la sua arroganza era stata punita da quella strega e aveva capito che rinchiudersi nella stanza della Sfera fissandola ininterrottamente e arrabbiarsi con gli altri abitanti del castello e con il mondo intero, anche loro nella sua medesima condizione di maledetti, non serviva a niente.

Non era ancora per niente sicuro che sarebbe riuscito davvero a farsi amare da quella ragazza, ma tentare non costava niente. Era stanco di quella maledizione.

Alla fine disse al candelabro con tono neutro “Procura alla ragazza una stanza decente nel castello”.

Miroku eseguì.

***

Erano passati un paio di giorni da quando Kagome era stata liberata. Nonostante le fosse stato detto che poteva uscire e girare per il castello tranne nell’ala del principe la giovane si ostinava a rimanere chiusa nella stanza. L’unico contatto che aveva era con Sango e ogni tanto Kaede che le portavano da mangiare e l’armadio della sua stanza, un tempo una demone lupo cameriera di nome Ayame. Tuttavia parlava a stento, mangiava come un uccellino e la maggior parte del tempo restava seduta con le gambe raccolte attorno al petto a piangere.

Le tre donne non sapevano come consolarla. Ogni tanto entrava nella stanza anche il piccolo Shippo, il quale provava a tirarla su di morale raccontandole una barzelletta o le cose che faceva durante la giornata, ma più di una carezza e un piccolissimo e forzato sorriso non otteneva nient’altro.

Una mattina Inuyasha, spinto da Miroku, provò ad andare a bussare alla porta. Fu subito investito dall’odore acre delle lacrime di tristezza della giovane. Indugiò parecchio davanti alla soglia.

Si sentiva veramente in colpa. Pensava che non fosse degno di farsi vedere da lei, che giustamente lo odiava, quindi aveva provato a mandare Sango, Kaede e Shippo per cercare di rassicurarla con delle presenze non minacciose, ma stando dai resoconti di Miroku né le donne né il cucciolo di kitsune riuscivano a consolarla. Lei continuava a sentirsi una prigioniera, nonostante non fosse più in una cella. In più, in quel momento la sentiva mormorare il nome del nonno, distrutta dalla mancanza del parente.

Non sapeva che fare. Miroku gli aveva consigliato di parlarle in maniera pacata, cercando di farle capire che lui non la considerava una prigioniera e che voleva cercare di rimediare ai suoi errori. Ma poteva davvero una persona che si era vista mettere dietro delle sbarre e portare via la persona a lei più cara perdonarlo?

Inuyasha ne dubitava fortemente.

Però, preso da uno strano impeto, bussò alla porta.

Per un po’ sentì solo i tentativi della ragazza di placare i suoi singhiozzi. Aspettò che la ragazza smettesse di piangere e magari chiedesse chi fosse, ma ciò non accadde. Provò a ribussare.

“Sei Sango, Kaede o Shippo?”.

Un debole sussurro. Così debole che se non avesse avuto quelle maledette orecchie canine non l’avrebbe sentita.

“Sono il prin-“ si interruppe per poi correggersi “Sono la bestia”.

La ragazza rimase in silenzio. Gli sembrò che il tempo non passasse più. Visto che ci stava mettendo troppo si disse che lei non volesse assolutamente incontrarlo o parlargli, così fece per andarsene ma la porta della stanza in quell'istante si aprì.

Era la prima volta che la vedeva così da vicino, non tramite il vetro della Sfera e non era nemmeno avvolta dalla penombra come nei sotterranei. I capelli corvini erano lunghi e spettinati, la frangia non cadeva dritta sulla fronte ma era sparata in tutte le direzioni, gli occhi rossi, gonfi, cerchiati dalle occhiaie ancora lucidi, le labbra screpolate, la pelle pallida ma di un colore che sembrava quello dei malati.

Provò un misto di tenerezza, compassione e senso di colpa nel vederla. Si vedeva che non dormiva da giorni e i vestiti che portava erano gli stessi che indossava il giorno del suo arrivo. Notò infatti che quelli che aveva fatto chiedere ad Ayame di prepararle erano ancora piegati e intonsi appoggiati sopra il letto, il quale pareva inutilizzato.

Il peso della colpa era tale che gli bloccava la gola e anche se fosse riuscito a parlare non aveva idea di cosa dirle. Ogni frase che gli veniva in mente gli pareva stupida, anche il più banale degli “scusa” sarebbe risultato forzato, fuori luogo e falso.

Ma ciò che lo fece sprofondare ulteriormente fu lo sguardo di lei: nonostante tutto lo guardava dritto negli occhi a testa alta e mento alzato. Lo stava sfidando proprio come quel giorno.

Non voglio la tua pietà. Non voglio la tua compassione. Non voglio niente da te. Ti odio, ti disprezzo. Mi disgusti più di chiunque altro al mondo– era ciò che quegli occhi dardeggianti gli stavano dicendo.

Anche se era disarmata e quindi indifesa, sembrava un leone pronto a balzare. Non si sognava neanche di sottovalutarla. Se gli fosse balzata addosso per colpirlo non avrebbe opposto resistenza.

“Merito il tuo odio, merito il tuo disprezzo. Se vuoi picchiarmi, fallo. Se vuoi uccidermi, fallo. Io non ti fermerò” le disse.

La sua voce era seria, l'espressione del suo volto grave. Non stava ringhiando come quando era in preda all’istinto della belva. La ragazza inarcò le sopracciglia verso l’altro, ma non parlò né si mosse dall’uscio della porta. Si limitò a stringere ancora di più i pugni e a digrignare i denti.

Forse aveva sbagliato ad andare lì e cercare di interagire con lei. Cosa pretendeva? Che lo accogliesse a braccia aperte, che gli sorridesse, che volesse instaurare un rapporto pacifico con lui?

Povero stolto.

“Vattene”. La voce della ragazza era l’incarnazione stessa dell’odio più viscerale.

Inuyasha non seppe come mai, ma riprovò a parlarle. “Picchiami, sfogati. Almeno per stanotte non piangerai”.

“Vattene!” tuonò la giovane.

Inuyasha abbassò le orecchie e dopo un breve sguardo fugace, chinò il capo e se ne andò. La ragazza non staccò mai i suoi occhi di bragia da lui, finché non lo vide allontanarsi nel corridoio.

Prima di chiudere la porta pensò che le era sembrato di vedere della tristezza negli occhi della bestia, ma poi si riprese. Era venuto da lei e poi se n’era andato con l’aria di un cane bastonato.

Come osava farsi vedere da lei così, come se gli dispiacesse? Non era per niente dispiaciuto quando l’aveva rinchiusa in una cella e di certo non lo era quando l’aveva fatto con suo nonno.

Lo odio. Lo odio, lo odio, lo odio con tutta me stessa.

Kagome sapeva riconoscere molto bene una persona dalla quale era meglio stare alla larga. Le venne in mente Koga. Ultimamente Kagome si comportava in maniera pacata perché voleva evitare il conflitto e vivere serenamente, anche per via di una volta che aveva risposto male a Koga e lui non l’aveva presa bene. Andò in escandescenze, prima strattonandola per le spalle implorandola di ripensarci, poi all’ennesimo “No!” le urlò “Perché mi rifiuti, Kagome? Perché sei l’unica che continua a farlo?” e dopo provò in maniera subdola a farla sentire in colpa.

Ricordava benissimo cosa le disse quel giorno in cui aveva provato a respingerlo rispondendogli in maniera aggressiva, in barba all’educazione insegnatale da suo nonno.

“Solo io ti degno delle mie attenzioni, Kagome. Io, solo io. Nessun altro abitante del villaggio lo fa. Solo io ti desidero, perché sei il gioiello più prezioso di tutti. Solo io posso renderti felice, davvero felice. Io sarò la tua felicità. Il semplice fatto che io ti ricopra di attenzioni dovrebbe farti sentire riconoscente nei miei confronti. Anche perché oltre a tuo nonno chi hai? Nessuno, a parte me. Sei sola e una donna da sola non può fare niente”.

Quel giorno era riuscita a dimenarsi e a scappare via terrorizzata, ma poi il giorno dopo Koga venne a scusarsi con lei, giurandole che non le avrebbe più mancato di rispetto in quel modo. Ormai però Kagome aveva benissimo capito con chi aveva a che fare, tuttavia per evitare di causare problemi a suo nonno e di averne anche lei decise di non respingere più Koga in maniera brusca. Riprovò ad usare un approccio più diplomatico, ma nulla da fare.

Lui non demordeva perché convinto che lei fosse una sua proprietà, ma lei non era la proprietà di nessuno. Era libera e, anche se in quel momento era prigioniera della bestia, nessuno avrebbe mai messo in gabbia la sua mente, la sua immaginazione, la sua volontà. In passato voleva solo che Koga la lasciasse in pace. Ora aveva un nuovo problema, che rispondeva al nome di Inuyasha.

Tuttavia, forse Koga aveva ragione per certi versi. Da sola non poteva fare niente. Giunta a tale consapevolezza, si accasciò a terra, abbracciando le proprie gambe con le braccia, poggiandovi sopra la fronte, e riprese a chiamare il nome del nonno, ignorando i goffi tentativi di Ayame di consolarla.

***

Inuyasha giunse nella sala della Sfera. Chiuse la porta e scivolando con la schiena contro di essa si sedette per terra.

Si sentiva davvero un mostro. Avrebbe voluto cambiare, non voleva più vedere qualcuno soffrire per causa sua ciò lo faceva stare tremendamente male ma non sapeva essere qualcosa di diverso da quello che era, ovvero un’orrida bestia. Era abituato ad essere prepotente, a non rispettare i suoi sottoposti, ad avere sempre tutto quello che desiderava e di cui aveva bisogno senza che muovesse un dito, però si era reso conto da quando era una bestia che era un mostro innanzitutto nell'animo. Si era reso conto che i suoi servitori lo detestavano, ma soprattutto quella ragazza.

Oh, quella ragazza! Lei più di tutti lo disprezzava, perché le aveva portato via il nonno e poi l'aveva privata della sua libertà. Tale consapevolezza fece crollare il cuore di Inuyasha.

Non avrebbe mai potuto amarlo e come biasimarla?

Meritava di restare una bestia per sempre. Era la sua degna punizione per come si era comportato per tutta la sua vita.

   
 
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