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Autore: moganoix    13/02/2022    1 recensioni
Felix, Changbin, Chan:
Un minuto semidio, un alchimista perso nelle nuvole, un soldato senza macchia e senza paura (forse).
A causa di un'arcana profezia, al secondo tocca uccidere il primo sotto la supervisione del terzo, ma non tutto andrà per il verso giusto...
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["Affinché nostra Madre Terra fiorisca
Felicità, ogni cent'anni, appassisca."]
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!!Chanlix/Changlix!!
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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TW: violenza abbastanza esplicita. Se siete sensibili a questo argomento non leggete.
(Ho avuto alcuni lettori di prova e nessuno si è sconvolto, ma, nel caso, sappiate che non è un capitolo leggero).


Kim Seungmin, un nome una garanzia, come si è soliti suggerire. Tale cognome poteva vantare vasto utilizzo presso l’intera Nazione, ma una sola potente famiglia faceva capolino nei pensieri di ognuno quando si sentiva solennemente annunciare: “Arrivano i Kim!”, quella del promettente novizio. Avvocati, giudici, uomini di politica, i Kim vantavano affiliati sparsi in tutto l’astruso diagramma governativo su cui si reggeva l’intera regione. Il nobile capostipite, colui che davvero aveva fatto la fortuna della famiglia, il bisnonno di Seungmin, era stato a lungo primo consigliere del sovrano prima di ritirarsi a vita privata insieme alla moglie, così come aveva fatto suo padre e il padre di suo padre. La madre di Seungmin, giovane sposa prescelta da un ramo di nobili decaduti, si aspettava che anche lui seguisse le orme del nonno e compensasse, un giorno, il vuoto lasciato dalla morte prematura del marito in battaglia, e non aveva inizialmente visto di buon occhio la scelta del figlio di trasferirsi, invece, a studiare in una Casa per intraprendere la lunga carriera di Filosofo. Non ci era poi voluto molto per convincerla, i primi rapporti sul suo rendimento giunti alla Capitale parlavano di lui come di una sorta di piccolo genio, poteva tranquillamente essere considerato il migliore del suo anno. O, almeno, uno dei migliori.
Seungmin non ci mise molto ad imparare a considerare Seo Changbin la sua nemesi, l’avversario che, alla fine dei giochi, avrebbe dovuto sconfiggere per entrare a tutti gli effetti tra le grazie della pretenziosa madre. I voti di Changbin non erano forse eccellenti come i suoi, ma potevano dirsi straordinariamente buoni per una tale testa calda che preferiva sfruttare il tempo prezioso in cui lui era dedito allo studio per divertirsi con la Tarantola magmatica che aveva evocato per scherzo. Lo invidiava, possedevano esattamente la stessa passione, lo stesso rendimento, pari intelligenza, ma Changbin aveva talento, predisposizione. Se a lui servivano intere giornate di approfondimento, al confratello bastavano poche ore di pratica per portare a termine compiti che avrebbero messo in difficoltà qualsiasi novizio della loro età. Seungmin non poteva permettersi di essergli secondo, o la madre avrebbe ricominciato a spingere per un suo ingresso in politica. Amava ciò che faceva, adorava immergersi nel caloroso sentore di antico, ricercare informazioni perdute in pergamene mezzo mangiucchiate dai topi, decriptare codici, risolvere quesiti di fisica spiccia per trovare soluzioni immediate a problemi reali. Spesso costruiva gingilli e giocattoli per i novizi più giovani o per gli animali domestici con cui convivevano, e non era raro che, alle richieste dei minori di fermarsi un po’ con loro, rispondesse con un cenno affermativo. Il fatto che Changbin continuasse a mettersi nei guai era a suo favore e di certo mettergli ogni tanto i bastoni tra le ruote non era complesso. Una qualità che di certo lo distingueva dall’altro era la precisione, in cui invece il confratello, spesso ansioso di arrivare alle conclusioni, non brillava. Per Seungmin non era sbagliato giocare sporco se era per il proprio futuro.
Eppure non aveva potuto che sentirsi sconfitto di fronte alla notizia che aveva appreso poco più di una settimana prima. Changbin avrebbe scortato la Fonte della Felicità fino al Cratere dell’Anima e recitato il suo rito funebre, missione di vitale importanza che, di certo, avrebbe fatto schizzare la considerazione che il Saggio aveva di lui alle stelle. Se durante i primi giorni senza l’avversario aveva continuato a rimuginare sull’occasione sfumata, non ci era però voluto molto affinché gli altri confratelli gli facessero notare che, senza Changbin, avrebbe potuto finalmente concentrarsi in pace sui suoi studi per almeno un paio di settimane. Seungmin non era stato un singolo giorno senza trovarsi di fronte la brutta faccia triangolare del rivale e, in quelle giornate di fine agosto, quasi sperava che decidesse di fermarsi alla Capitale e non facesse più ritorno alla Casa. I verdi prati della valle in cui la sua paradisiaca abitazione era situata avevano assunto una colorazione quasi più grassa, l’erba odorava di rigoglioso, succoso, verde, talmente acceso da fare quasi a pugni con il rosa ed il violetto dei fiori di montagna o il dolcissimo e rinfrescante rosso delle mele. L’aria lo rifocillava, portava con sé buone nuove, lavava via ogni fonte di stress, ogni malanno, ogni brutto pensiero.
In quelle due settimane, Kim Seungmin avrebbe voluto godersi finalmente la serena vita di qualsiasi novizio, e ci sarebbe riuscito se una notte uno strepito allucinato non avesse squarciato l’atmosfera sonnolenta che aleggiava nel dormitorio che condivideva con gli altri novizi del suo anno: “La Casa brucia! Brucia tutto!”
Ci mise un momento a processare ciò che stava accadendo, e a constatare dalle pallide ed assonnate espressioni sui visi dei confratelli, non era l’unico che faceva fatica a comprendere. Bruciare? Che cosa davvero stava andando a fuoco? Aveva la mente annebbiata, non si rendeva conto che una fitta coltre di fumo proveniente dai laboratori, poco distanti, aveva già invaso la camerata e gli impediva di respirare correttamente. Aveva gli occhi che lacrimavano, tossiva sommessamente, tentava quindi di muoversi, di sfregarsi il viso per riprendersi, ma le braccia ricadevano inerti sul materasso, incapaci di obbedire ai suoi deboli comandi. Pensò che sarebbe stato meglio restare lì, tornare a dormire, qualcun altro avrebbe risolto il problema al posto suo per una volta, e quando due forti braccia avvolsero malamente il suo fine e curvo busto osò addirittura lamentarsi e tentare di stringere tra le dita le lenzuola umide, pregne di veleno. Voci indistinte si affacciavano alla finestra della sua mente, ma era come se i vetri fossero appannati, discerneva appena, nella languidezza del fatale torpore, parole sconnesse.
“Portali… poco tempo… lontano… Saggio… laboratorio…”
Chi lo aveva strappato dalla docile carezza del suo letto non era di certo un gentiluomo, lo stava trascinando giù per l’alto edificio a mo’ di sacco di patate, una volta gli fece anche sbattere il capo contro un muro svoltando troppo in fretta. Non ci mise poi molto, comunque, ad abbandonarlo fuori dalla costruzione e a lasciarlo con un'altra figura, più magra, più bassa, forse quella di una donna. Lo mise in piedi, urlò alle sue orecchie di correre e lo spinse con la forza di un leone in una direzione qualsiasi. Seungmin lo fece, scappò via rantolando, inciampando, schiantandosi spesso contro i muri roventi delle costruzioni finché non fu abbastanza lontano da potersi permettere di ruzzolare a terra e gettarsi in mezzo a quell’erba meravigliosa che, ormai, puzzava solamente di fumo. Si appoggiò gemendo contro un albero, tossì, si colpì il viso più volte cercando di riprendere in fretta il controllo del proprio corpo e delle proprie facoltà mentali. Si ritrovò ad annusare il proprio sangue e scoprì solo in quel momento di avere le braccia ricoperte di fini taglietti e scorticature a causa delle numerose cadute. Deglutì a fatica mentre si ripeteva che non doveva andare nel panico, ma lasciò comunque sfuggire uno strillo acuto quando avvertì distintamente una sensazione di viscido e sinuoso stringersi attorno alle sue gambe, avvinghiarsi per un secondo ad esse e scivolare via velocemente come era arrivata. Si stropicciò gli occhi, fissò il serpente schizzare via nella direzione da cui era arrivato ed emise una dolorosa esclamazione di sorpresa nel rendersi conto, ormai di nuovo lucido, che la Casa, il rifugio che lo aveva ospitato per tutta la sua adolescenza, era davvero in fiamme. Perse un battito, si concesse un solo minuto di riposo, il cuore che batteva più forte ogni volta che il fuoco deglutiva una nuova ala dell’edificio, poi, sebbene ancora traballante ed incerto, convinse i piedi a sorreggerlo, le gambe a compiere il primo passo verso l’inferno. Poteva ora sentire chiaramente l’aroma tossico del miasma che aveva respirato, se non lo avessero recuperato in fretta dalla stanza in cui dormiva sarebbe certamente morto avvelenato o soffocato. Le fiamme danzavano sfoggiando un insano color giallognolo, suggerendo con vanità l’orribile sorgente della tragedia: il laboratorio di alchimia. Se fluidi e acidi non venivano riposti nei loro contenitori appositi non era tanto impensabile far scoppiare un incendio di quelle dimensioni, tenendo in conto anche che la maggior parte delle strutture era in legno. Ciò che non comprendeva era perché i Filosofi più esperti non riuscissero ad estinguerlo. Non era di certo la prima volta che qualcosa andava storto e si era obbligati ad utilizzare le formule di dislocazione per domare il tutto. Non appena il respiro glielo permise, coprendosi il viso, tornò ad avvicinarsi barcollando al gruppo di edifici, ma, quando fu di nuovo nella mischia, di primo acchito non poté credere a ciò che stava accadendo. Le grida di panico dei Filosofi quasi coprivano gli strepiti delle fiamme che, avidamente avvinghiate alle forme martoriate del legno, facevano crollare i tetti delle costruzioni, lo scalpiccio dei loro stivali si confondeva con il raspare violento degli zoccoli dei cinghiali sulla ghiaia, con i sibili delle lunghe, letali serpi. Ve n’erano ovunque, sui muri, a terra, pareva piovessero dal cielo. Scivolavano fuori da anfratti mai visti, si facevano strada rapide e mortali all’interno della caotica folla e mietevano le loro molli, succulente prede. Uomini, donne, ragazzi, Seungmin ne vedeva cadere a terra a decine, uno dopo l’altro, soffocati dai fumi tossici, irrigiditi dalla tossina delle vipere o sbaragliati a terra dalla fierezza delle enormi scrofe che, cieche di rabbia, si gettavano tra le fiamme e distruggevano pareti, muri portanti, sradicavano pietre d’angolo e facevano cadere travi addosso a quei coraggiosi che ancora tentavano di introdursi all’interno delle mura per recuperare i corpi inanimati dei suoi confratelli. Solo in quel momento una voce, in fondo alla sua coscienza, gli suggerì di muoversi. Restare impalato nel bel mezzo della piazzola principale lo avrebbe certamente condotto ad una fine infelice, e in più sarebbe solamente stato d’intralcio per quei pochi che ancora erano in grado di combattere. Lentamente riacquistava sensibilità agli arti, riusciva ormai a muovere le dita a suo piacimento, ma non sapeva per quanto tempo ancora ne avrebbe avuto la possibilità. Scacciò il vivido desiderio di darsela nuovamente a gambe, fregò gli occhi, cominciò ad inoltrarsi tra le rovine in fiamme e domandò al primo Filosofo che incontrò in che modo potesse rendersi utile. Gli dissero di portare in salvo il Saggio, fece quindi marcia indietro e cercò nervosamente le stanze dell’anziano capo. Nessuno si preoccupò di impedirgli di gettarsi di nuovo nell’edificio, di un novizio minuto come lui, ormai, non importava più nulla a nessuno. La piazza, i vialetti fioriti erano disseminati di corpi rantolanti, gli occhi sprangati, le mani ancora gettate in aria nel tentativo di riscostruire un misero incantesimo, un cerchio alchemico, o forse, semplicemente, di difendersi per scampare alle rugose braccia del crudo destino. La puzza di cadavere dava il mal di testa tanta era la sua prepotenza. Capitò che una delle tante serpi provasse a morderlo, Seungmin riuscì a staccarsela di dosso appena in tempo, sfrecciando il più rapidamente possibile, con le mani a coprirsi tremolanti il capo, verso lo studio del Saggio. Non gli fu arduo sfondare la porta, ormai mezzo mangiata dall’incendio, ma avrebbe preferito non vedere mai lo spettacolo che lo attendeva all’interno. Il corpo del Saggio, steso al centro della piccola sala, era solo l’umile e dinamica cerniera di una quadro ben più grande di lui. Altri Filosofi ed altri novizi erano già corsi a soccorrerlo, e tutti avevano fatto la sua stessa fine. Le mani ed i piedi che andavano a fuoco mentre un nido di grosse vipere si divertiva a profanare le loro bocche ed i loro ventri, guizzavano tra le labbra secche e sgusciavano fuori dai loro stomaci, bucando la soffice pelle, degustando con elegante crudeltà il sapore del loro acido sangue e del grasso che sfrigolava a contatto con il torrido calore che toglieva il respiro. Seungmin si sentì svenire, si chinò a terra per vomitare la cena che aveva consumato appena poche ore prima, per poi scappare via, completamente fuori di sé. Non si domandò che cosa stesse succedendo, non gli interessava saperlo, non interessava più a nessuno saperlo. Forse erano stati gli animali a provocare l’incendio, forse qualcuno aveva evocato gli animali che avevano provocato l’incendio, non era più importante. Uscendo dall’edificio contò cadaveri che prima non aveva notato, puzzavano di fresco e gli davano il voltastomaco. Non voleva nemmeno sapere come facesse ad essere ancora in vita, prima o poi probabilmente qualche cinghiale gli sarebbe corso incontro ed avrebbe posto fine alle sue pene scaraventandolo a terra con una sola testata ben assestata. Ricominciava a non avvertire più le dita, le braccia formicolavano e minacciavano di abbandonarlo da un momento all’altro. I tagli ed i graffi su di esse, infettati dalle polveri tossiche, erano l’unica cosa che, crepitando, gli facevano capire di essere ancora in vita. Capitombolò più volte, stracciò la tunica, investì nella sua precipitosa fuga altri che correvano disperati esattamente come lui, lo stesso luccichio di terrore a squarciare gli occhi di tutti. Calpestava serpenti con gli stivali, braccia e gambe già sfatte, ricoperte di vermi e formiche che pregavano al fausto banchetto, intralciavano il suo nevrotico disperarsi. Si sorprese a gridare aiuto quando la sua intenzione era quella di aiutare, comprese allora di non essere altro che un misero studente, non avrebbe saputo concludere nulla di buono se ci fosse stato lui al posto dei suoi confratelli maggiori. Li vedeva tutti stesi a terra, gonfi a causa del veleno, dei colpi subiti, intossicati orribilmente per salvare chi, come lui, non poteva di certo portare onore al nome della Casa. Si lasciò andare ad un pianto disperato, fermò la corsa e si abbandonò anche lui al richiamo della terra morente. Scorgeva appena nuovi sinistri figuri fare la comparsa sulla scena, branchi di lupi, orsi, giovani fiere che sicuramente non gli avrebbero lasciato scampo. Forse una di esse si avvicinò davvero a lui, chiuse per un momento gli occhi e quando li riaprì si ritrovò con la tunica sporca di caldo e saporito sangue che scorreva a fiotti. Volse debolmente il capo a destra e a sinistra e gli mancò il respiro quando notò finalmente che parte del suo braccio sinistro era decisamente troppo lontana dal resto del corpo per potervi ancora appartenere. Sollevò incerto la spalla corrispondente per guardare il moncone insanguinato, scagliò un grido; la belva, ancora troppo vicina a lui, intenta a caricare di nuovo, tornò sorpresa sui suoi passi e si inoltrò insieme alle altre nel vivo dell’incendio.
Seungmin arrivò a pensare che sarebbe davvero stato meglio rimanere lì e lasciarsi morire. Si chiese che cosa ne fosse degli altri confratelli, se qualcuno davvero fosse riuscito a fuggire e, magari, a portare con sé il frutto di alcuni dei loro esprimenti più promettenti. Iniziava ad avere le allucinazioni; ricordò, con un improvviso, angosciante, caotico riso, il viso della madre, quello del nonno morto quando lui era un bambino, ed il modo in cui si era opposto alle tradizioni di famiglia. Ricordò Changbin, si diede delle stupido per averlo sempre voluto rincorrere invece di lasciarsi andare e godere serenamente della tranquillità che la Casa gli aveva finalmente potuto offrire nell’ultima settimana e mezza. Passò quindi agli amici, ai pomeriggi chiuso tra la polvere della biblioteca o nella rusticità del laboratorio, ed infine rivide i confratelli minori con cui giocava. Il più grande aveva appena sedici anni, il minore la bellezza di dieci. Vagheggiò su di loro, si domandò se fossero vivi, si interrogò sul perché nessuno avesse pensato a loro invece di preoccuparsi del vecchio Saggio. Sarebbe stato quello il suo compito, la sua ultima missione. Il suo ultimo desiderio prima di morire era quello di trovare i ragazzini ed assicurarsi che fossero in salvo.
Vacillando, dopo secondi che gli parvero eterni, si rimise in piedi e, stringendo forte il braccio monco con la mano restante, ciondolò fin fuori dal gruppo di edifici. Se, come era successo con lui, i Filosofi li avevano indirizzati verso la prateria aperta, allora dovevano essere da qualche parte verso il luogo in cui tenevano le recinzioni degli animali. Senza più perdersi d’animo, infilando un passo dopo l’altro, percorse però solo parte della distanza che si era prefisso di coprire. Perse i sensi a metà strada, e sarebbe affogato nel suo stesso sangue se coloro che lui per primo stava cercando non lo avessero trovato in tempo.
 
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Seungmin si risvegliò verso l’alba, circondato da una decina di coppie di occhietti stanchi e lucidi di pianto.
“Lasciatelo respirare, toglietevi di mezzo!”
Una voce acuta che lui conosceva bene si fece largo tra i mormorii confusi e scansò via gli sguardi indiscreti.
“Seungmin, ti sei svegliato! Come ti senti?!”
Mok, così si chiamava il ragazzo di quindici anni che lo stava interpellando. Corrugò le sopracciglia, tentò di rispondergli, ma la bocca non collaborava e gli permetteva di emettere solamente grugniti indistinti.
“Non importa, non importa!” si corresse Mok “Siamo nelle stalle, Seungmin, ma non possiamo permetterci di rimanere ancora qui a lungo. Dobbiamo entrare nei boschi, se stiamo sugli alberi nessun lupo o cinghiale potrà attaccarci. Aspettiamo qualche minuto che tu ti riprenda dallo svenimento e poi ti aiutiamo a metterti in piedi, dobbiamo trovare alla svelta qualcuno che ti aiuti con quel braccio, ha già fatto infezione anche se siamo riusciti a fermare l’emorragia. Hai la febbre, ma noi ti aiuteremo, non ti preoccupare. Abbiamo perso Danbi e Hyunki, ti aiuteremo anche per loro.”
Mok non era il più grande del gruppo, ma era di certo il più sveglio. Era entrato da poco alla Casa, eppure già da subito aveva imparato a farsi rispettare. Possedeva un’intelligenza creativa tutta sua, spesso faceva a gara con lui a chi inventava il gioco più divertente. Seungmin, istintivamente, sorrise e, stringendo appena gli occhi, annuì debolmente. Non pensò di essere mai stato più felice di quando riuscì a scorgere il minore sorridere a sua volta.
Ci impiegò più del previsto a prepararsi, la febbre gli causava forti attacchi di vomito ed improvvisi capogiri e nemmeno con la robusta stampella che i ragazzi gli avevano preventivamente costruito alla bell’e meglio era in grado di sorreggersi. Quando finalmente le gambe decisero di collaborare fu lui il primo a spingere affinché tenessero un passo spedito. Corsero fuori dalle stalle, i più piccoli stretti tra loro in groppa ai pochissimi cavalli a disposizione, diretti speditamente verso la foresta. Seungmin ne conosceva bene gli anfratti, sapeva in quale direzione guidarli per trovare rifugio, a poca distanza dalla Casa, in mezzo ad una vasta radura, era situato infatti il villaggio da cui essa si riforniva di cibo e vestiari. Avrebbero certamente trovato un medico disponibile a disinfettare e cauterizzare la ferita del novizio. Continuarono a camminare per parecchie ore, ogni tanto i piccoli davano il cambio al più grande in modo che potesse riposarsi – la ferita aveva lentamente ripreso a sanguinare, il laccio emostatico che gli avevano applicato doveva essere stretto e, inutile dirlo, il moncone, svanito il torpore indotto dai fumi tossici della notte, aveva iniziato a dolere immensamente, tanto che a stento riusciva a restare in posizione completamente eretta. Dopo ore e ore, quando avrebbero già dovuto essere arrivati a destinazione da troppo tempo, Seungmin riprese ad avere le allucinazioni. Si avvicinava ai cespugli, sentiva frinire le cavallette ed esclamava con un sorriso rotto e voce strascicata: “Danbi, piccola, come canti bene oggi! Sei felice per qualcosa? Ti hanno dato un buon voto a lezione?”
Accarezzava la sommità del tozzo arbusto, come se effettivamente stesse scompigliando i capelli della bambina, e poi proseguiva avanti sereno. Mok, benché estremamente preoccupato, cercò di rincuorare gli altri sussurrando loro che almeno pareva contento. Spesso doveva spronarlo, Seungmin sembrava aver completamente dimenticato la meta, già da tempo si erano accorti che ai bivi indicava di andare a destra o a sinistra in maniera totalmente casuale. Più di una volta Mok si rese conto di essersi mosso in cerchio in una zona della foresta che, però, ancora non conosceva. Erano probabilmente estremamente distanti sia dalle rovine della Casa che dal villaggio e Seungmin non voleva collaborare. A notte inoltrata si trovò a considerare l’idea di lasciarlo indietro. Il moncone pulsava, la carne incancreniva lentamente e non ci sarebbe voluto molto prima che l’infezione raggiungesse il cuore. Senza Seungmin avrebbero potuto proseguire più velocemente, per lui ormai non poteva esserci più nulla da fare.
“Ha la febbre troppo alta, non si renderà nemmeno conto di essere sul punto di morire” suggerì qualcuno.
Mok non avrebbe voluto dargli ragione, ma la salute dei più piccoli – nessuno di essi aveva riportato gravi ferite, ma soffrivano la fame e la sete – era decisamente più importante in quel momento di quella del confratello maggiore.
“Teniamolo con noi ancora un giorno, glielo dobbiamo. Se continuerà a peggiorare allora lo lasceremo indietro come dite voi” concluse incerto.
Stabilirono di dormire sugli alberi, in modo che le belve non potessero raggiugerli. Intrecciarono tra loro tuniche e camicie fino a formare una corda abbastanza robusta con cui issare Seungmin su uno dei rami più bassi e, infine, stabilirono dei turni di guardia per tenerlo d’occhio. Attorno alla mezzanotte i più piccoli iniziarono a lamentarsi della puzza di putrefazione proveniente dal braccio del maggiore, quattro ore più tardi erano tutti svegli a causa delle urla di dolore di quest’ultimo. Anche Mok, abituato a mostrarsi forte e determinato, tremava di terrore recondito. Non voleva che i più piccoli vedessero il loro amato confratello morire in quelle condizioni e prese allora la sua decisione: il giorno dopo gli altri sarebbero ripartiti sotto la guida di Soohyun, una novizia di un anno più grande di lui, mentre lui sarebbe rimasto a vegliare il corpo di Seungmin per poi raggiungerli in direzione della Capitale.
Era convinto che, comunque, non sarebbe rimasto troppo indietro rispetto al gruppo, ma Seungmin era forgiato di una tempra straordinariamente forte. Nessuno avrebbe mai potuto recuperare quei brandelli di braccio e la parte della spalla ormai secchi e maciullati dalla cancrena, ma la pelle del petto, benché pallida, rifletteva ancora una vena di timida rosea vitalità. Inconsciamente combatteva, ed in questo riconosceva ancora il fratello che amava. Non si aspettava, però, che sarebbe stato invece proprio il gruppo a tornare, la notte seguente, nella sua direzione, seguito da un piccolo drappello di esseri stranamente a loro agio a muoversi tra le fitte fronde degli alberi. Uno di questi, vestito di un lungo mantello, si separò dagli altri e schizzò nella loro direzione. Mok, istintivamente, si mise in posizione di difesa di fronte al corpo rantolate di Seungmin.
“Tranquillo!” l’individuo si tolse il cappuccio, liberando una chioma di lunghi capelli biondi ed un paio di fini orecchie a punta “Tranquillo… Mi chiamo Hyunjin, sono per metà elfo. Io e i miei compagni siamo qui per salvare il vostro amico. Abbiamo i minuti contati, forse non è troppo tardi.”
   
 
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