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Autore: Slits    05/09/2009    3 recensioni
Crack? OOC?
You eat it?
La ciurma di Cappello di Paglia approda su un arcipelago sperduto e scopre che l'amore non è sempre quel sentimento destinato a sbocciare con il tempo. Soprattutto se il bocciolo prossimo a schiudersi altri non è che una semplice pera di dubbio sapore.
La dimostrazione di come anche una crack, alle volte, possa riservare gradite soprese.
[Zoro/Nami; Franky/Rufy; Robin/Usopp; Chopper/Brook; Zoro/Sanji]
[!OOC; !Crack]
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è nata principalmente con una doppia funzionalità che potrà, più o meno a seconda della coscienza della sottoscritta, evidenziarsi nel corso della stesura.
La prima è di certo abbandonarmi al piacere del crack, scoperto con una coppia di cui presto si sentirà parlare qui sul fandom ù_ù
La seconda, è dare un sano schiaffo all’OOC che tanto temiamo ed abbandonarmici al secondo capitolo. In questo primo spero vivamente di non averne evidenziato in modo così esplicito ._.

Ringrazio inoltre la cara Seiko per aver sopportato i miei deliri circa alcuni paragrafi ed aver messo a tacere stoicamente i propri istinti suicidi. Grazie, Crapa *-*

Detto questo, si dia pure il via alle danze.



---

× Ma quanto è vario il mondo.


Zoro si sdraiò sul letto con le braccia incrociate dietro la testa e guardò le foglie dell’albero piantato proprio davanti alla finestra della camerata. Gli esigui rami superstiti alla tempesta di pochi giorni prima si limitarono ad ondeggiare pigramente, quando a destra e quando a sinistra, in direzione del vetro.
Alzò nuovamente lo sguardo e rimase a fissarli, poi osservò il cielo.
- Non mi piace. – fu l’atono commento alle ampie nubi al di sopra della cabina.
Sentì bussare alla porta della stanza e sbuffò.
- Se è quell’idiota di un cuoco questa volta gli spacco la faccia sul serio. – pensò alzandosi di scatto e spalancando l’uscio all’improvviso.
Il viso del giovane medico di bordo si storse in una smorfia di paura, lasciando l'espressione invariata persino quando la renna fece un balzo indietro per lo spavento, nascondendosi, testa dietro e corpo in avanti, prima della porta.
Quello che almeno in quel primo momento lo aveva colpito di più era stato lo sguardo che lo spadaccino gli aveva rivolto.
Rabbia pura, ecco cosa urlava. Sembrava quasi un grosso cane pronto a prender la rincorsa ed avventarglisi contro senza alcuna ragione. Ma poi cambiò improvvisamente espressione, diventando curioso ed infine sorpreso, e questo sembrò infondergli abbastanza forza da staccarsi dal legno e fare un passo verso di lui.
In quegli ultimi tempi non gli piaceva parlare con il compagno, lo metteva quasi in soggezione e questo Zoro doveva averlo capito più che bene ormai.
- Nami vuole fare un punto della situazione prima dello sbarco e…e quindi mi ha chiesto di venirti a chiamare. – il verde lo guardò senza rispondere, ignorandolo deliberatamente.
- O…o anche no se preferisci. – si affrettò ad aggiungere il medico, facendosi piccolo piccolo alle spalle della porta – Non devi venire se non vuoi. –
Zoro sbottò infastidito un “Vengo” e lo precedette nel corridoio della nave.
Non era di certo colpa sua se la sensazione che qualcosa - sebbene ignorasse ancora con assoluta certezza di cosa si trattasse - gravasse su di loro come una spada di Damocle pronta a colpire, lo avesse fatto divenire ancor più intrattabile del solito. Si fermò il tempo necessario a lanciare uno sguardo piatto alla renna e sussurrare appena un: “Tu no, dottore?”
- Non credere che chiamandomi così possa risolvere le cose, bastardo! – abbozzò un sorriso.
Non lo credeva affatto. Oramai ne conservava l’assoluta certezza.

Non parve accusare il minimo accenno di fastidio neanche quando il corpo malconcio di Brook lo mancò di pochi centimetri conficcandosi, in un lancio di rara bravura, nell’intercapedine fra parete ed oblò della cucina.
- Che volo! Per un attimo ho creduto di veder la luce destinata ai morti! – lo scheletro fece una pausa ad effetto e continuò – Oh, ma io sono già morto!Yohohoho! -
- Dacci un taglio, scheletro! – nascosto in parte da uno dei tanti sportelli della credenza, Franky non mancò a commentare puntualmente il mancato umorismo inglese del musicista. Zoro sospirò sconsolato e portandosi un braccio dietro le spalle prese posto di fianco alla navigatrice di bordo.
Questa di rimando gli lanciò uno sguardo raggelante.
- Che c’è? - chiese candidamente.
- C’è che sono stufa marcia di subire le molestie di un redivivo in afro! – lo spadaccino alzò gli occhi al cielo e rimase ad osservare il soffitto. Persino nell’apparente tranquillità della nave continuava a sentire quella sensazione crescere a poco a poco.
Fece schioccare la lingua irritato e rivolse gli occhi al cuoco impegnato in un acceso dibattito con il carpentiere.
- Cuoco, ti ho già detto che la mia cola deve stare a destra! -
- La tua cola deve ringraziare semplicemente la magnanimità del sottoscritto per poter dividere la stessa anta con i miei vini. –
- Ma dacci un taglio anche tu, torciglio! Mi dici come faccio ad esser super per la settimana senza cola? –
- Non ti basta la perversione, scusa? – Franky lanciò al biondo un’occhiata molto significativa.
Sanji si limitò a gettare la paglia che sino a quel momento aveva tenuto fra le labbra fuori bordo, sembrando voler dare in questo modo il ben servito anche al litigio.
- Oi! Non credere di poter finire la nostra conversazione così! –  Nami richiuse lentamente lo sportello del frigo, versò dell’acqua in un bicchiere e ne prese un sorso.
L’esasperata attenzione racchiusa in quei movimenti sembrò lasciare ben poche speranze allo spirito bellicoso del carpentiere: o un religioso silenzio o l’imminente probabilità di finire scaraventato in acqua ed unicamente in quel preciso istante colpito da una scarica di svariati volt. Tornò a sedersi senza una parola.
A volte quella mocciosa gli faceva veramente paura.
- Bene. Adesso che le vostre lamentele da vecchie zitelle sono finalmente finite, possiamo parlare normalmente. Robin, durante il turno di guardia di stanotte, ha avvistato un’isola. – l’archeologa accennò un sorriso alle parole della rossa, abbassando appena la tazza da cui placidamente stava sorseggiando il suo caffè amaro.
- A prima vista mi ha ricordato molto più un arcipelago… - aggiunse non prima di prendere un lungo sorso. – …la forma sembra pressoché identica a quella di un insieme di isole di cui avevo sentito parlare tempo fa. –
- Non mi interessa. – la voce decisa di Rufy irruppe nella maestosa cucina della Sunny, facendo sentire per la prima volta il proprio parere.
Mettere a tacere gli incessanti brontolii del suo stomaco lo aveva convinto ad anteporre forse per la prima volta fin dall’inizio del loro viaggio un pasto - nonostante tutto incredibilmente scarso (qualche decina di cosciotti o giù di lì) - alla possibilità di partecipare all’ennesima rissa fra i suoi compagni.
Ma adesso che l’occasione di anticipare di gran lunga la loro prossima avventura gli si stava presentando davanti, forte delle eleganti parole della loro archeologa, aveva sentito l’insensato bisogno di dire la sua. Era una questione di principio, dopotutto.
Partecipare a qualcosa di cui già conosci i possibili esiti smorza per principio ogni forma d’entusiasmo.
- Prego? -
- Ho detto che non mi interessa, quindi credo che andrò a schiacciare un pisolino sul ponte. –
- Rufy…? – lo chiamò ancora una volta la navigatrice.
Sprecando fiato ed anche parte dell’attenzione di una ciurma ora rivolta ad osservare la porta della cucina. Ancora mossa, seppur impercettibilmente, dalla folata di vento che il capitano uscendo era riuscito a sollevare.
- Inutile sforzarsi, Nami-san… - seduto sulla penisola cucina, il cuoco non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso. - …sai com’è fatta quella zucca vuota. –
Si era imbarcato anni prima su quella nave di svitati convinto che nulla lo avrebbe potuto distogliere dal proprio obiettivo.
Curioso quindi, si ritrovò a pensare, come l’insolito senso di protezione verso quella banda di scapestrati stesse lentamente soppiantando ogni altra cosa dentro di sé.
Lo spadaccino, dal suo canto, si limitò sbuffare spazientito, rivolgendo lo sguardo all’arcipelago oramai ben visibile all’orizzonte.
Quella situazione gli piaceva sempre meno.

- Mi piacerebbe visitare il tempio che c’è all’altro capo dell’arcipelago. – la richiesta di Robin giunse come un fulmine a ciel sereno nella tranquillità del pomeriggio.
Nami sbarrò gli occhi, facendosi ricadere infine a peso morto sulla sedia. Si chiese per la prima volta chi continuasse a dargliele, tutte quelle energie all’archeologa.
L’aver passato un’intera mattinata a tentare di mettere un freno alle follie dei suoi compagni “Scommettiamo che con tre rumble balls posso muovere le zampe veloce come Brook e fare tutto il giro dell’arcipelago?” “Sì, vai Chopper!” l’aveva privata nel modo più assoluto delle proprie, del resto.
- Dai! Andiamo, Robin! – soltanto l’urlo esaltato del capitano sembrò esser il solo in grado di levarsi ancora fra i tavoli ed i loro inusuali occupanti. Persino Sanji, raramente restio ad accompagnare qualcuna delle sue dee in qualsiasi missione punitiva, sembrava aver voluto accantonare momentaneamente il proprio entusiasmo barattandolo con una paglia appena accesa.
Un “Mi sento a pezzi” sembrò esser la sua oltremodo valida motivazione.
- Se per voi non ci sono problemi preferirei andarci lo stesso. – Nami abbozzò un sorriso divertito da dietro il giornale che stava sorreggendo fra grembo e tavolo. Non lo aveva mai nascosto a sé stessa, eppure non potè fare a meno di abbandonarsi a quel gesto compiaciuto quando la voce dell’archeologa parve quasi smorzarsi in suono vagamente simile al supplichevole.
Vedere finalmente le emozioni, persino le più esigue, palesare dalla perfetta maschera dell’amica le lasciava sempre un’espressione di insolita soddisfazione in viso, in sin dei conti.
Si limitò ad annuire atona, quanto maggiormente sperasse di riuscire a recitare da dietro le pagine del nuovamente aumentato di prezzo quotidiano della Grand Line, e tornare con lo sguardo all’articolo che stava leggendo religiosamente in silenzio.
- Puoi anche essere un’ottima navigatrice, Nami-san… – sussurrò Sanji, osservando le ombre dei due compagni allontanarsi all’orizzonte - …ma come attrice lasci molto a desiderare. -
- Non tutti sono bravi a nascondere le cose del resto. Fattene una ragione, Sanji-kun. – rispose l'altra con altrettanto velato divertimento, balzando con lo sguardo dapprima all’amico e solo per ovvia conseguenza allo spadaccino.
Entrambi parvero rabbrividire.

Rufy sbatté più volte le palpebre, perplesso, e si fermò ad osservare per un attimo l’archeologa.
Un ramo, il quinto o forse sesto dall’inizio della loro strana escursione, venne elegantemente sollevato da una mano apparsa dal nulla ed accantonato sul ciglio del sentiero. Una seconda, originale questa volta, sfogliò contemporaneamente una pagina del voluminoso libro che la donna teneva fra le braccia, portandola delicatamente indietro.
Il ragazzo trattenne a fatica un verso di ammirazione e Robin non potè fare a meno di voltarsi ed aspettarlo ancora una volta.
- Notato qualcosa di interessante, capitano? – chiese.
Rufy si limitò a scuotere la testa, sebbene poco convinto, e tornare con lo sguardo al ramo poggiato sul ciglio della via.
- Deve essere divertente… - la mora richiuse lo spesso volume e rimase ad osservare paziente l'espressione del proprio capitano.
- Lo è. – rispose semplicemente.
Lo sguardo che Rufy le lanciò di rimando la convinse a tener fuori, per lo meno per una volta, gli infingimenti del proprio ruolo e spogliarsi della propria cultura. Gli sorrise come una madre potrebbe fare al momento di spiegare un concetto di basilare importanza al proprio figlio, passandosi il libro fra le mani.
- Ricordi quando andammo a Skypiea? Le avventure che vivemmo lì? -
- Certo che le ricordo! Sono passati pochi mesi del resto! – Robin sorrise ancora una volta.
Il ragazzo la guardò con maggiore perplessità.
- Se adesso qualcuno di noi decidesse di riportare la nostra storia su un libro qualsiasi, le nostre stesse avventure potrebbero viverle altre centinaia, migliaia o addirittura milioni di persone.
Del resto la cultura ha valore solo se condivisa, altrimenti è solo scontato egoismo. – la ferita inferta da Ohara era un taglio ancora fin troppo profondo, sin troppo caldo per non bruciare nel cuore dell’archeologa. Lo sapeva lei e lo sapeva Rufy, adesso immobile al suo fianco.
- Scrivila tu. – aggiunse semplicemente.
- Cosa? –
- La nostra storia. Scrivila tu. – ripetè come se fosse la cosa più naturale al mondo – Non so quanto importante possa essere, ma se serve a far stare meglio la gente voglio aiutare anche io.
Quindi le nostre avventure, per favore, falle vivere tu per noi. - la ragazza annuì semplicemente e si limitò ad accantonare momentaneamente un pensiero che per troppo a lungo aveva sfiorato la sua mente.
Trascrivere la loro storia… cosa ci sarebbe mai potuto esser di male del resto?

- Quindi la rossa che Sanji aveva rimorchiato a Rogue Town era in realtà un lui… – con un sorriso bonario dipinto insolitamente in viso e lo sguardo lucido, la navigatrice si limitò a cercare nuovamente l’approvazione dello spadaccino. Questi, sobrio quel tanto in più che fosse sufficiente a ripetere ogni tanto “Un altro, barista” ghignò divertito.
Che l’alcol fosse un buon modo per scacciare i problemi lo aveva sempre saputo, ma mai avrebbe creduto che così poche bottiglie di rum potessero distanziare ogni dubbio dai propri pensieri.
- Eustass, Eustachio o qualcosa di simile… confondo sempre… - bofonchiò prima di scoppiare a ridere ancora una volta.
In sin dei conti chi vi avrebbe mai prestato attenzione, una volta concluso il loro viaggio?

Robin sfiorò nuovamente, con affetto quasi devoto, i profondi bassorilievi che contornavano l’entrata sud del tempio.
La città di Ihy, questo era il nome della colonia andata distrutta all’incirca ottocento anni prima, sorgeva alla base di una sorgente millenaria, fonte della primaria prosperità del popolo.
A custodirne il corso, eterno e vivo come le terre su cui quello stesso tempio sarebbe stato in futuro edificato, vi era un dio bambino, famoso per la propria sadica ironia.
Questi avrebbe punito qualsiasi invasore delle terre sacre donandogli l’amore.
L’archeologa si soffermò su quelle ultime parole, vagamente perplessa, e tornò con lo sguardo al maestoso colonnato del tempio.
- L’amore, eh? -
- Ehi, Robin! Qui c’è un frutto stranissimo! Sembra quasi una pera, però è rosa! – senza distogliere l’attenzione dalla pietra della costruzione, la ragazza si limitò ad annuire.
- E’ il frutto consacrato al dio di questo luogo. –
- Sa di lampone però… non mi piace. –
- Lo so, lo dice il bassorilievo qu… - sbarrò gli occhi e, portandosi entrambe le mani alle orecchie, si limitò a chieder a Rufy:
- Lo hai mangiato? – un cenno positivo concretizzò le sue più intime paure.
Per un giorno ogni cosa sarebbe cambiata.


                                                                        { Voce solerte, amore concreto. Questo è il mio dono }


- Proprio non capisco perché Nami-san non mi voglia mostrare le sue mutandine! Davvero, non ci arrivo! – sostenendo il bastoncino di zucchero filato come uno scettro, lo scheletro tentò di esternare ancora una volta propria frustrazione alla giovane renna.
Non che sino a quel momento avesse mai portato a qualche risultato ma tentar, si sa, non nuoce. Rimase in silenzio, come in attesa che la soluzione al proprio cruccio potesse giunger dall’alto o per lo meno colpirlo cadendovi.
Ma unicamente uno sguardo, insolitamente voglioso, parve raggiungerlo in quel mercato affollato.
- Brook-sama, te l’ho mai detto che hai dei bellissimi occhi? -
- Yohohoho! Ma io, dottore, gli occhi non ce li ho! – pochi attimi.
Pochi attimi, il tempo di dimenticare l’insolita routine di frasi stereotipate e reazioni abilmente anticipate, ed il suo scettro incontrò il sudicio terreno di quella città.
- Dottore, ma ti senti bene? -
- Con te al mio fianco potrei non esserlo, amore mio? – lo scheletro sbarrò gli occhi, ignaro che per un giorno le cose sarebbero veramente cambiate.



                                                                        { Voce solerte, amore concreto. Questo è il mio dono }
   
 
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