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Autore: elenabastet    14/02/2022    3 recensioni
Oggi è San Valentino, sarà anche una festa commerciale ma dato che adoro Oscar e André non posso non scrivere di loro e del loro amore.
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: PWP, Tematiche delicate
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CONFORTO

 

Rating: what if, amore, malinconia, passione, OOC

Fandom: Lady Oscar.

Note: Una fanfiction per san Valentino, con una possibilità alternativa: cosa sarebbe successo se Oscar, dopo la dichiarazione di André, avesse fatto un’altra scelta?

 

“Se avessi saputo che donna eravate, forse io...” Le parole dell’uomo di cui credevo di essere innamorata mi uccisero dentro e mi spinsero a voler essere un uomo fino in fondo, seguendo lo scopo per cui ero stata cresciuta.

Anche gli uomini comunque soffrono, anche gli uomini si innamorano, anche gli uomini hanno debolezze e fragilità, anche gli uomini cercano e hanno bisogno di conforto. Passai giorni d’inferno dopo, decisi di lasciare la Guardia reale, perché non ce la facevo ad arrivare a Versailles e vedere il conte di Fersen dopo quello che era successo.

Accettai l’incarico di comandante dei Soldati della Guardia per cambiare ambiente e perché volevo vivere come un uomo e non avere più debolezze e fragilità: il problema fu quando comunicai ad André la decisione di congedarlo dal mio servizio, mi sentivo tra l’altro in colpa per la perdita del suo occhio mentre cercavamo di catturare il Cavaliere nero.

André mi disse quella frase che mi fece imbufalire, Bianca e rossa che sia una rosa è sempre una rosa, una rosa non sarà mai un lillà. Penso con tanto imbarazzo e vergogna a come lo aggredii, verbalmente e fisicamente, picchiandolo e afferrandolo per la camicia, come quando ero ragazzina e volevo sfogarmi fisicamente su di lui.

Ma quella volta le cose mi sfuggirono di mano: André non mi assecondò incassando le botte, ma mi mostrò il suo amore e il suo desiderio repressi per me, afferrandomi come un amante, baciandomi come tale e strappandomi la camicia da dosso in quello che stava diventando un amplesso violento a cui avrei dovuto soccombere.

Mi sentii umiliata, ebbi paura, piansi e lui si fermò, chiedendomi perdono. Sentii la sua sofferenza, la sua vergogna, e quando mi confessò il suo amore rimasi senza fiato. Tenevo ad André più che alla mia stessa vita, lui era la persona più importante per me e capire che era una vita che soffriva così tanto per colpa mia mi fece malissimo. Mi sentii in colpa per non essemi mai accorta dei suoi sentimenti e della loro intensità.

Volevo tenerlo lontano da me, dopo aver saputo quello più che mai, perché non volevo che soffrisse, volevo che si facesse una vita sua. Ma non avevo fatto i conti con la grandezza del suo amore, e anche l’attaccamento che avevo per lui fin da bambina si mise in mezzo, e quando vidi che si era arruolato nei Soldati della Guardia pur di stare con me rimasi senza parole e non riuscii a fare nulla.

Mi arrabbiai e lui mi tenne testa, ma con calma. Avrei potuto congedarlo, era un mio potere, ma non lo feci, perché vederlo lì mi dava conforto, un sentimento egoista, certo ma che non potevo fare a meno di provare.

Alcuni soldati lo massacrarono di botte perché dicevano che era una spia degli aristocratici e di fronte al suo volto e al suo corpo tumefatto, la mia corazza di freddezza crollò. Lui aveva sofferto troppo per causa mia, e io pensai a tutti gli anni che avevamo passato insieme, a quel bambino che fin da subito mi aveva mostrato affetto, a quel ragazzo che mi aveva sostenuto, a quell’uomo che soffocava il suo amore per non farmi del male e continuava a darmi affetto e dedizione senza chiedere niente in cambio, e rinunciando a cercare altrove quello che io gli negavo, piacere, amore, il calore di una famiglia.

La sua presenza mi dava conforto, lui era sempre stato buono con me e io mi sentivo in debito. Volli parlargli una sera, tempo dopo il nostro alterco che era degenerato in quella cosa che avevo tentato di dimenticare, e qualche giorno dopo il pestaggio di cui era stato vittima.

Eravamo entrambi a casa in licenza. Volevo confortarlo ma anche avere io conforto, ringraziarlo per quello che aveva fatto per me e che continuava a fare. Lo convocai, sapendo che gli creavo sofferenza a chiedere di entrare in camera mia, che era stata teatro della sua discesa agli inferi, una cosa di cui non si sarebbe mai perdonato.

Ricordo come entrò da me, a capo chino, senza guardarmi e mi sentii stringere il cuore per lui, per quel bambino sempre pieno di gioia, per quel ragazzo con cui avevo fatto le più belle risate della mia vita, per quell’uomo di cui avevo capito il valore e la grandezza del suo cuore.

“André, mi spiace tanto per quello che ti è accaduto in caserma. Ma mi spiace tanto anche per cosa ti è successo in questi mesi, hai perso l’occhio e poi tutto il resto. E mi spiace che tu soffra per colpa mia”.

“Ma cosa dici? Occuparmi di te per me è gioia, è felicità, l’amore per me è questo”.

In quel momento lo vidi in tutta la sua bellezza e gentilezza: da bambini ci azzuffavamo e poi ci abbracciavamo, ce lo vietarono, scientemente, e credo anche in modo duro per lui. Lo volli abbracciare di nuovo, sapendo cosa lui provava per me, per dargli conforto, per cercare conforto. Gli accarrezzai quel volto che avevo percosso, gli misi le mani sul petto e lo vidi in preda ad un tormento indicibile.

“Oscar, ho giurato che non ti toccherò mai più, ma tu mi stai tentando. Tu non sai cosa potrei farti, purtroppo sono fatto di carne, sangue e desideri, il mio amore per te non è casto e potrei offenderti e farti del male”.

“André, io… tu soffri tanto e io sto da cani per questo. Tu non mi faresti mai del male, qualunque cosa tu voglia farmi...”

Il mio migliore amico, a cui ero da sempre legata da un affetto smisurato. Il mio migliore amico, che aveva sacrificato non so quanto per me. Io non sapevo che nome dare ai miei sentimenti in quel momento, quando André mi riprese tra le sue braccia per baciarmi, un bacio non più di sorpresa come quell’altra sera, e a cui io risposi, per conforto, per riconoscenza, perché volevo così, perché in fondo al cuore quello che era successo mi aveva lasciato dentro qualcosa.

Quando ci ritrovammo distesi sul mio letto, caduti insieme lì, non minacciai di chiamare aiuto, ma mi abbandonai al conforto che mi dava sentire le sue carezze e i suoi baci su di me, attraverso gli abiti. Sentivo il suo desiderio e la sua felicità, vacillante certo, e ad un tratto mi disse:

“Ti prego, se vuoi che mi fermi dimmelo”.

Ma io non dissi niente, chiusi gli occhi, ma non per imbarazzo, vergogna o paura, ma perché volevo godermi quelle sensazioni di conforto, e non solo. Ero stata educata ad essere dura, a reprimere, a comandare, a non curarmi di debolezze e simili. Nessuno mi aveva mai coccolata ed era quello che André mi stava facendo.

Aprii gli occhi e vidi André che timidamente stava per aprirmi la camicia. Niente strappi questa volta, e glielo lasciai fare, guardandolo, ma poi facendogli capire che volevo anch’io che lui si spogliasse.

André si tolse solo la camicia, capii dopo perché non si spogliò del tutto, l’ennesimo atto d’amore e di cura nei miei riguardi per non perdere del tutto il controllo. Poi, mi fece capire cosa voleva dire essere adorata, perché non ci fu un solo angolo del mio corpo che non ricevette i suoi baci e le sue carezze, a cominciare da quei seni che quella sera aveva svelato con disperazione.

Avevo sentito dei commenti dalle dame di corte, che parlavano come se io non ci fossi, usavano su certi incontri aggettivi come sgradevole, degradante, avvilente, imbarazzante, doloroso. Ma il mio amico di una vita, André, a cui dovevo molto, che volevo confortare e da cui avevo avuto conforto non mi fece niente di brutto mentre pian piano mi mostrava la grandezza del suo amore.

Con lui potevo essere me stessa. Mi aveva vista ubriaca, aveva subito i miei malumori e la mia rabbia, sapeva tante cose che nessuno conosceva, e quella sera volle mostrarmi di cosa era fatto il suo amore: soffocò i miei gemiti baciandomi, li stimolò al massimo, mi accarezzò il volto per rassicurarmi mentre diventava sempre più audace, mentre il suo conforto verso di me prendeva nuove forme e non era più solo conforto, ma due anime che si incontravano.

Io sentivo che era giusto quello che succedeva tra di noi, mentre cercavo di dare un nome a cosa provavo per lui, amicizia tanta, affetto tantissimo, riconoscenza infinita, tenerezza, voglia di dare e ricevere conforto, desiderio, eccitazione. Quando restai senza veli davanti a lui mi imposi di stare calma, ma non ci riuscii, perché il suo adorarmi raggiunse vette di audacia e di piacere che mi scossero.

Forse provai un po’ di imbarazzo, ma buono, mentre stringevo le labbra per non gemere troppo, mentre cercavo di trattenermi, ma poi ebbi una folgorazione. Ero con André, l’uomo che da sempre viveva in simbiosi con me, e quello che succedeva era solo un altro modo per stare uniti. Quei due bambini che giocavano insieme erano diventati questo... Non mi chiesi più cosa provassi per lui, mentre le sue mani si intrecciavano alle mie, la sua bocca invadeva la mia intimità non per offenderla, non per umiliarla ma per farla vibrare, mentre le sue dita completavano il lavoro di labbra e lingua, mentre le sue braccia mi cullavano mentre mi riprendevo dall’estasi.

Lo vidi felice come non mai, con il suo sorriso scherzoso che adoravo da sempre, e mi mormorò:

“Altro che fredda e insensibile...”

Capii che lui doveva ancora soddisfare le sue brame, giuste, e non degradanti. Di colpo lo vidi dubbioso, perplesso, pronto a ritirarsi.

“Non voglio farti del male”, mi sussurrò mentre io continuavo comunque ad abbracciarlo, perché glielo dovevo, perché mi dava conforto, perché era eccitante, perché era giusto.

Si tolse le brache e vidi il suo desiderio, come lui aveva visto il mio, ancora davanti a lui, che stillava dal mio corpo, pronto ad accoglierlo. I suoi gesti furono pura dolcezza, prese in mano il suo ardore e lo guidò in me, mormorandomi di perdonarlo, ma non sentii dolori lancinanti, solo disagio e indolenzimento, ma passò in fretta.

Le dame parlavano di indifferenza dopo essere state possedute dai loro amanti e mariti, ma André continuava a cullarmi, a chiedermi scusa se mi aveva arrecato dolore, a ringraziarmi per cosa gli avevo donato, a coccolarmi. Poi ad un tratto mi disse:

“Se non vuoi, non succederà più”. Ma io lo strinsi più forte, non mi ero mai sentita così bene, e forse in quel momento capii che lo amavo, che non era solo amicizia, affetto, riconoscenza, desiderio di conforto e piacere quello che ci legava.

E il nostro rapporto cambiò e ricapitò di nuovo quello che era successo, io continuai a fare il comandante, perché non volevo rinunciare al mio ruolo, ma ormai c’era anche quello tra di nuovo. Era bello desiderarsi, sentire l’amore di André fuori e dentro di me, ma la cosa più bella era l’appagamento dopo, abbracciati, a parlare del più e del meno, a tratti con spensieratezza. Era bello anche vedersi e stare insieme in mezzo agli altri e sapere cosa ci univa.

Finché non glielo dissi, dopo qualche giorno:

“Anch’io ti amo con tutto il cuore… e da tanto credo, da prima che consumassimo”.

“L’ho sempre saputo e questo ci unisce per sempre”, disse André.

Ed è così che andiamo avanti. Il comandante donna cresciuta come un uomo ma che ha capito che certe cose sono fondamentali per tutti e il suo angelo custode inseparabile.

Fuori, si combatte, si dibatte, e ogni giorno i pericoli aumentano. Qui, ci siamo lui ed io, ci confortiamo, ci coccoliamo, ci supportiamo, ci sopportiamo, ci amiamo. La nostra vita è questa, qualsiasi cosa possa succedere. A volte penso che eravamo legati da sempre, ma questo amore intenso e travolgente che abbiamo scoperto l’uno nell’altra ha reso solo tutto completo. E come abbiamo fatto a vivere senza questo per tanto tempo resterà sempre un mistero.




Per le storie a puntate, pazienza, pian piano le finirò.

  
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