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Autore: Dorabella27    14/02/2022    15 recensioni
Seconda parte del mio anomalo "Dittico di San Valentino": ma non vi ci avvezzate, eh, a questi ritmi! E dopo che abbiamo rivissuto il ballo dell'episodio 25 dalla prospettiva di Victor Clément de Girodelle, e abbiamo scoperto come sia nata in lui l'idea di chiedere la mano di Oscar, vediamo un po' che cosa accade al rientro a casa del nostro amatissimo Comandante. Se vi ricordate, al ballo Girodelle aveva gongolato, soddisfatto, notando l'assenza del "villano ripulito". Ma può mancare André, quando si parla di Oscar? .... Buona lettura e buona serata di San Valentino....
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Alla fontana, e oltre
 
Piangeva.
“Le braccia di Fersen mi hanno stretta. Mi sono sentita divorare dai suoi sguardi. Le sue labbra hanno parlato di me[1]: adesso so come ci si sente.
Adesso posso davvero lasciar perdere”.
Si vergognava, tanto.
Che cosa aveva sperato? Nulla.
Non avrebbe mai osato provare a  ... sedurre,  - che parola, che parola grande e tremenda! -, l’uomo per cui la sua Regina provava un amore tanto profondo, e che a sua volta la amava, l’uomo che era tornato per lei, dopo sette anni, dall’America, per starle vicino nel momento che si faceva critico e drammatico, quando la popolarità della Monarchia stava ormai declinando furiosamente. Era magnifico, questo.
Magnifico.
E lei, pensava, che diritto avrebbe avuto di entrare in quel ... in quel rapporto? Nessuno, si disse Oscar, amara. Ma, ripeté con forza, lo sapeva da tempo, da sempre. Solo per qualche giorno si era illusa, quando.... quando ... Come una sciocca: che cosa aveva sperato?
Voleva sapere che cosa si provava, come ci si sentiva fra le braccia dell’uomo che si ama.
Tutto qui. Bene: l’aveva provato.
Voleva, almeno per una volta, che Fersen la considerasse una donna: l’aveva ottenuto.
Ma aveva sentito anche quello che non avrebbe voluto udire.
Rabbrividì: la notte dicembrina non era l’ideale per starsene, all’aperto, davanti alla fontana di Latona, con gli schizzi d’acqua gelida che le rimbalzavano sul viso, mescolandosi al caldo salso delle lacrime, e poi sulle braccia nude e sul vestito.
Si volse, meccanicamente, come a cercare ... ma no, ma che, ricordò in un lampo: André non c’era.
Non quella sera. E per fortuna. L’aveva dimenticato. Del resto, non era accaduto spesso che venisse da sola a Versailles. Con molta dignità, guadagnò il luogo defilato dove l’attendeva l’anonima carrozza su cui era arrivata, quella notte, alla Reggia, maledicendo l’impossibilità, ora, in quel momento di salire in groppa a César e partire al galoppo, il vento sul volto. E camminando, immersa in quei pensieri, incespicò leggermente, una volta o due, sui tacchi degli scomodi scarpini di raso dorato, che le stringevano i piedi, mentre si sentiva serrare il cuore da una morsa ben diversa.
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Per fortuna, il grande atrio di Palazzo Jarjayes era vuoto; nel buio, solo il fuoco nel grande camino centrale diffondeva un cerchio di luce, e un poco di calore.
Oscar, con ancora addosso il mantello caldo recuperato in carrozza, dove l’aveva lasciato prima di entrare nel salone delle feste, si sedette; ma che, si accasciò sulla comoda poltrona davanti al fuoco.
Per fortuna, non c’era nessuno ad attenderla. Almeno il ridicolo le sarebbe stato risparmiato.
Poi, un lieve tramestìo, e dalla porta laterale, che dava sulle cucine, uscì André, l’espressione sorpresa, e una bottiglia in mano.
“Oscar! Già di ritorno?”.
“Così pare”, rispose lei, laconica.
“Scusami, mi ero attardato qui, a leggere un po’”. E indicò la poltrona imbottita accanto a quella dove stava Oscar, e, vicino, tra le due sedute, un basso tavolino, con un bicchiere e un libro.
Oscar girò lo sguardo, e, impercettibilmente, il capo, a osservare quegli oggetti.
“Vuoi bere qualcosa anche tu?”, chiese lui. Un cenno di assenso, poi Oscar allungò la mano verso il bicchiere sul tavolino fra le due poltrone
“Aspetta, ti prendo un bicchiere pulito”, si offrì lui con un sorriso, volonteroso e sottilmente dissimulatore, in atto di tornare da dove era venuto un attimo prima.
“No, non stare a tornare in cucina”, protestò debolmente lei, facendogli il gesto di avvicinare la bottiglia con la mano sinistra, e prendendo con la destra il bicchiere di André, e porgendoglielo, con la mano il più possibile ferma.
Mentre André versava il liquido ambrato, lei chiese: “Che cos’è?”. “Brandy”. Una smorfia, come a dire: “Può andare”.
“Mio Dio, hai le mani gelate!” , esclamò lui, sfiorandola, come per caso, mentre le riempiva il bicchiere. “Certo, la divisa da Colonnello è più calda, nelle notti invernali”, osservò lui, come a dire una ovvietà, sedendosi nella poltrona separata dal tavolino da quella di Oscar, la bottiglia bevuta a collo, una gamba accavallata sull’altra distesa, guardando fisso verso il fuoco.
Oscar fece un cenno di assenso, roteando il bicchiere nelle mani - ma chi sa se lui, che teneva lo sguardo puntato sulle fiamme davanti a sé, la vedeva?
Certo che sì, si rispose.  In un modo o nell’altro, mi vede sempre, si disse mentalmente. E quasi se ne stupì.
“Come era il ballo?”. Una domanda qualsiasi, in tono guardingo.
“Affollato. Deludente”, rispose lei, nascondendo l’imbarazzo del trovarsi così, sentendosi quasi in maschera, non la se stessa in cui era a suo agio, e ricamando l’aria con la mano sinistra: vaga, ma senza mentire. Tanto, rifletteva, sarebbe stato informato il giorno dopo, o quello dopo ancora, al più tardi, della misteriosa dama biancovestita che aveva danzato con il Conte di Fersen, e che poi, di colpo, era fuggita via. André viene sempre a sapere tutto quel che succede a Corte. Come farà?, si chiese , forse per la prima volta. E la risposta che si diede non le piacque, si stupì di pensare.
“Immagino”, convenne lui, prima di bere un altro sorso, e Oscar si sorprese a spiare, guardandolo in tralice, il lieve gonfiore della gola di André, in cui scendeva il liquore caldo e ristoratore, il colpo della lingua in bocca, il suono quasi impercettibile mentre deglutiva.
Il silenzio, tante volte amico, questa volta pesava. Oscar si alzò: “Bene, credo che andrò a dormire”.
Anche André si alzò, ma, subito dopo realizzò che non poteva offrirsi, come tante volte, di aiutarla a spogliarsi, a togliersi gli stivali, come si converrebbe a un attendente. Non che Oscar avesse mai accettato, in passato, ma una parte della loro familiarità veniva da quelle profferte di aiuto, dovute, e invariabilmente declinate con un sorriso, ma che ora sarebbe stato sconveniente e improponibile anche solo pensare di fare.
“Chiamo Mireille per ... aiutarti?”, chiese lui, incerto.
“Sì, grazie. Sei molto caro, André. Soltanto, aspetta ancora qualche minuto a farla venire nella mia stanza”. Ma glielo disse volgendogli le spalle, un piede già sul primo gradino dello scalone.
E mentre Oscar saliva verso la sua camera, André era sicuro che stesse cercando di ricomporre, passo dopo passo, gradino dopo gradino, i minuscoli frammenti del suo cuore.
 
 
 
[1] Mi rifaccio, per questo soliloquio di Oscar, al doppiaggio inglese dell’anime, traduzione della versione giapponese.
   
 
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