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Autore: Zomi    17/02/2022    4 recensioni
-Non sei stata invitata-
Il perché avesse scelto quelle parole, gli era sconosciuto.
Forse gli erano rimbombate dentro per troppo tempo.
Ma gli era ben chiaro il ritmo incalzante nel petto del suo cuore, e la rabbia con cui stringeva i pugni, e che vibrava nella voce roca, a dar voce alla confusione che gli abbaiava nella mente.
Nami forse leggeva tutto ciò nel suo sguardo, o nel suo tono duro e secco, tagliente come le sue armi, o nel suo passo violento con cui aveva aggirato il letto.
O forse lo leggeva nel centro del suo petto, che lui ostinava a ignorare.
-Certo che non mi hai invitata!-
{FanFiction partecipante alla run “Chocolate Box - Non sai mai quello che ti aspetta” indetto dal FairyPieceForum}
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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FanFiction partecipante alla run “Chocolate Box - Non sai mai quello che ti aspetta” indetto dal FairyPieceForum: prompt n.8, a fine capitolo








Non sapeva indicare la prima notte in cui l’aveva trovata intenta a spiegare le pieghe invisibili del tatami.
Era stata di certo una notte apparentemente uguale a tante altre, in cui si era spinto in un allenamento lungo e logorante, concluso con una doccia calda a lavare ogni segno di stanchezza prima di trovarla lì.
Dove mai l’aveva vista.
Con le mani intente a stendere un materasso per nulla morbido, su un pavimento che spesso lui aveva occupato per dormire, ma che mai lei si sarebbe abbassata ad occupare.
L’aveva poi studiata accostare due cuscini tra loro, presi chissà dove, e stendere, con naturalezza e nonchalance, una spessa coperta sopra al letto improvvisato.
Solo a quel punto i loro sguardi si erano incrociati: quello di Zoro dubbioso contro quello invece sereno e con una certa strafottenza di Nami.
Non aveva detto una sola sillaba, la rossa.
Aveva finito di sistemare il giaciglio, per poi sfilarsi gli short e restare nella canotta leggera diurna, infilandosi poi sotto le coperte.
Zoro non aveva avuto bisogno di chiedere se avesse davvero intenzione di dormire lì, in palestra, dove lui stesso spesso dormiva: le intenzioni della cartografa erano fin troppo chiare.
E sfacciate.
Come lei.
Si era appropriata del suo spazio privato di allenamento e riposo, senza chiedere o aspettare un invito, e con fin troppa spensieratezza lo aveva diviso con lui, come se fosse lo spadaccino l’ospite di un giaciglio improvvisato, sgualcito, caldo e offerto.
Era stata la prima notte.
La prima.
La prima notte in cui Nami era salita sulla palestra rialzata sull’albero maestro della Sunny, aveva preparato un spartano letto sul pavimento freddo della stanza rotonda, e vi aveva dormito.
Con Zoro.
La prima notte.
Zoro non sapeva quando realmente era ubicata nel tempo, ma la ricordava bene, come le successive.
Sembrava che la rossa sapesse esattamente quando si assentava per la doccia serale post allenamento, apparendo per magia nella palestra nel preparare un letto indegno di tale nome, ma morbido e confortevole grazie a un agrumato profumo la cui provenienza lo spadaccino ignorava con ferocia.
Zoro la osservava mentre accostava i cuscini su cui poi i loro capi si sarebbero sfiorati.
Si faceva guidare nello sguardo dalle mani della navigatrice, che accarezzavano coperte di lane in notti da soffi di vento gelato, o lenzuola scarne e leggere contro un sudore estivo che incollava le pelli.
Storceva il naso, e l’occhio sano, ogni santa notte in cui la rossa si sfilava l’indumento che le vestiva le gambe, restando in una leggera maglia come indumento notturno, per un sonno pesante e profumato, accanto a lui.
Lo spadaccino non si era mai sottratto a quella tacita sfida.
Nami voleva forse metterlo in imbarazzo, dormendogli accanto svestita?
Lui aveva affrontato ben di peggio (da ultimi eredi di specie alate ad assassini governativi) e non temeva di certo una ragazzina come lei!
Dormiva al suo fianco, muto e privo di espressione, cadendo precipitosamente in un pesante abbraccio notturno, che a volte gli sembrava di percepire davvero sulla pelle nuda del petto, ma che spariva ad ogni risveglio come la compagna.
L’intrusione si ripeteva ogni notte.
Come una routine programmata, senza alcun rinvio o eccezione.
Non importava se durante la giornata litigassero, o se i rispettivi turni di vedetta impedissero la regolare apparsa di Nami, del suo sorriso innocente, del suo respiro caldo e calmo nel sognare notturno.
Zoro le aveva ricordato che un letto lei lo possedeva: morbido, caldo e ornato di chissà che stomachevole oggettistica femminile.
Ma Nami aveva ondeggiato le candide spalle  in un chiaro segno di disinteresse,e si era assopita al suo fianco.
Zoro glielo aveva detto che era inopportuna e non invitata (al scostumata un palmo freddo e violento, l’aveva colpito sulla nuca), in quel giaciglio che lei stessa improvvisava, ma la rossa si era ripresentata nuovamente la sera successiva e le seguenti.
Mai una sola notte era stata cullata senza la sua presenza.
Mai.
Con piedi freddi che lo avevano accarezzato inaspettatamente, mani a cercarlo nel buio, ricci rossi a stuzzicargli la pelle della spalla, o fremiti di incubi che avrebbe negato a chiunque di aver visto tormentare il sonno di Nami.
E due dita, piccole e segnate d'inchiostro, che sempre, dal primo sbadiglio all’ultimo sfarfallio di ciglia prima del risveglio, si stringevano al suo polso in un abbraccio presente ma taciuto da entrambi.
Ogni notte.
Sempre, mai rinviate.
Sempre senza invito.
E Zoro temeva che questo potesse cambiare.
O non ripetersi.
Perché era nato dal nulla, senza permesso e senza richiesta, senza spiegazione che lui non aveva mai chiesto.
Non le aveva mai chiesto perché si presentava ogni notte in palestra.
Perché preparava un scomodo letto per due, con una tale devozione e cura.
Non le aveva mai chiesto chi la obbligava a tanto, né cosa le fosse saltato in mente.
Non le aveva mai chiesto perchè, mentre si assopiva al suo fianco sinistro, nel suo angolo cieco e buio, la sua mano si allungava a sfiorargli il polso, in una dolce carezza, e solo con il suo stesso battito cardiaco stretto in una morsa debole e ridicola, riusciva a cadere lui stesso nelle braccia di Morfeo.
Non le aveva mai chiesto niente di tutto ciò.
Egoisticamente, da vero approfittatore, aveva rubato quelle notti senza ringraziare ma anzi, ostentando un certo fastidio per una mocciosa che andava a disturbargli il meritato riposo.
Sentiva che era sbagliato, rubare quelle notti, quei tocchi, ma non si può chiedere a un pirata di rinunciare a un tesoro.
A un demone, un anima ingenua che si offriva a lui.
Chi poi fosse il vero demone, continuava a chiederselo a ogni tatami elevato a materasso notturno, occupato in due.
Se lo chiedeva ancora mentre l'isola su si sarebbero fermati, si faceva sempre meno piccola, delineandosi maggiormente e aggiungendo dettagli al suo scarno profilo in poco tempo.
Se lo chiedeva, cosa portasse Nami a dormire con lui da così tanto tempo, se era giusto acconsentire al suo capriccio.
Si chiedeva per quanto ancora ne avrebbe potuto approfittare, e quando, oh conoscendola sarebbe arrivato quel quando, invece avrebbe dovuto chiedere lui un invito per una sola notte accanto a lei.
Sbuffò, scocciato dai suoi stessi pensieri, mentre la fune di ancoraggio passava dalle sue mani a quelle di Jinbe.
-Sembra un'isola pacifica- commentava il timoniere, lo sguardo perso all’orizzonte -Possiamo dormire sonni tranquilli-
Ironico, ghignò Zoro, ironico e tempestivo.
O semplicemente saggio e lungimirante.
Sollevò lo sguardo sull’isola ormai prossima, e distrattamente alla cartografa intenta a urlare gli ultimi ordini per l’ormeggio.
Sapeva bene come si sarebbe svolto l’attracco: la divisione dei ruoli di vedetta e rifornimento cambusa, le ore di sano bivacco nella cittadina, la scelta di una locanda per la cena chiassosa ed esagerata, e per il riposo notturno.
Un riposo magari in solitaria, dopo tante notti passate in compagnia silenziosa e vicina.
Un riposo che agognava e trovava scomodo, mentre bagnava i suoi pensieri con gli alcolici locali che l’oste continuava a proporgli, in vana speranza di troncare i bagordi della ciurma.
Un riposo, invitante, lussurioso, morbido, come il sorriso di Nami al di là del tavolo, proprio di fronte a lui, che ammiccava e provocava, invitava, mai apertamente, sempre in sordina e sornione.
Un riposo, che la navigatrice annunciò meritarsi a ora tarda, allontanandosi dal gruppo, da lui, oscillando la chioma e soffiando un sorriso invitante salendo le scale della locanda.
Invito che Zoro si trattenne dall’afferrare a mani piene e ubriache.
Riposo, di mente e di cuore, che urlava e invocava ascolto, ma che lo spadaccino volentieri ignorava.
Riposo, si riprometteva con labbra attaccate al boccale.
Riposo.
Un invito al riposo solitario.
Solamente tra lui e i suoi pensieri.



-Non sei stata invitata-
Il perché avesse scelto quelle parole, gli era sconosciuto.
Forse gli erano rimbombate dentro per troppo tempo.
Ma gli era ben chiaro il ritmo incalzante nel petto del suo cuore, e la rabbia con cui stringeva i pugni, e che vibrava nella voce roca, a dar voce alla confusione che gli abbaiava nella mente.
Nami forse leggeva tutto ciò nel suo sguardo, o nel suo tono duro e secco, tagliente come le sue armi, o nel suo passo violento con cui aveva aggirato il letto.
O forse lo leggeva nel centro del suo petto, che lui ostinava a ignorare.
-Certo che non mi hai invitata!- ribatté secca e con voce solo lievemente impastata dal sonno, sollevandosi col busto dal materasso e sgualcendo le coperte -Avrei dovuto pure aspettare un invito??-
Zoro aprì e richiuse bocca, certo che si, Nami avrebbe dovuto aspettare un suo invito per infilarsi nel letto della sua stanza nella locanda!, ma non così tanto da esprimere a voce alta e funesta quel semplice diritto ad avere una propria camera personale.
Era tarda notte, era stanco.
Era col cuore sereno nel vederla nel letto della sua stanza.
Strinse maggiormente i pugni lungo i fianchi, fermo lungo il lato del materasso opposto da quello occupato dalla rossa, feroce e inerme allo stesso modo, prima di sfilarsi maglia, katane e stivali, e infilarsi sotto le coperte ringhiando.
Invadente, inopportuna, semi nuda e calda.
Quella donna l’avrebbe mandato ai pazzi, se lo sentiva nelle vene che bruciavano mentre si premeva contro il materasso (uno vero questa volta), e strattonava le coperte sulle gambe.
-Non rubarmele!- miagolò Nami, accucciandosi al suo fianco e aggrappandosi alle lenzuola.
Ottimo, ora prendeva anche del ladro dalla ladra della ciurma.
-Sei tu che rubi il letto a me- sbottò roco, l’occhio cieco rivolto alla compagna, stretta al suo fianco, l’immancabile profumo agrumato che prendeva spazio contro il suo più duro e atavico, non invitato come la proprietaria.
Proprietaria che ridacchiava mentre sfiorava il suo polso a fior di dita.
-Ora te ne lamenti?- lo derise sottovoce, la frangia rossa che gli accarezzava la spalla -Ti dà così tanto fastidio che dorma con te?-
Zoro non rispose.
Si impose il silenzio, ammutolendo la risposta negativa e urlata che gli saliva dallo stomaco e prendeva calore all’altezza del petto.
Petto che ruggì non sentendo più le risate di Nami.
-Ti dà fastidio?- chiese di nuovo, un filo di voce questa volta, le dita ferme poco sopra al polso dove avevano preso l'abitudine di dormire e cullarlo nel sonno.
Ancora non rispose, lasciandosi sfuggire un ringhio quando la mano della cartografa lo liberò dalla sua presa.
-Vuoi che vada via?- gli domandò alzandosi col busto pesta, un grammo di offesa sul fondo della voce, mischiato a oceani di offerte.
Sospirò, arreso e invitante, prendendole la mano e riportandola accanto a lui.
-No- assicurò, volgendo il volto al suo, respirando agrumi e sale marino mentre occhi scuri si specchiavano nei suoi.
-Non ti ho invitato- ribadì, più calmo e accarezzando col polpastrello il dorso della mano che reggeva nella sua.
Una scusa forse, o un semplice gesto d’invito che mai sarebbe riuscito a parole.
Nami gli si fece più vicina, mai così tanto in quella notte, mai come prima.
Sentiva la sua pelle contro l’intero braccio, il battito quasi contro il suo.
I suoi pensieri, le sue emozioni, ciò che gli offriva da ormai svariate notti, chiari nel buio della stanza.
-A volte non serve un invito- soffiò sulla sua bocca, da quanto erano così vicine? Perché non lo erano da molto prima? -A volte basta offrirsi… e aspettare- si avvicinò ancora, le labbra premute sulle gemelle di Zoro.
-Posso aspettare qui, nel letto con te, Zoro?-
Zoro non sapeva bene quando Nami aveva iniziato a dormire con lui.
Era stata una notte di mesi prima, in cui se l’era ritrovata a preparare un letto spoglio e inadatto per un sano riposo sul pavimento della palestra.
Zoro non sapeva indicare una notte esatta in cui Nami l’aveva invitato a dormire con lei, stanca di attendere, vogliosa solo di offrirsi.
Di amarlo.
Zoro non lo sapeva.
Ma sapeva che le labbra di Nami erano morbide, calde, di un sapore intenso e non fruttato come si aspettava.
E le aveva scoperte nel letto di una locanda su un’isola pacifica, come l’aveva descritta Jinbe.
Aveva scoperto che lei gli porgeva un invito dolce e morbido da intere notti, aggrappandosi a lui con due semplici dita, preparando quel stesso invito con coperte calde o leggere, accostando due cuscini tra loro come i loro cuori, non strappandolo dall’allenamento per raggiungere il suo sogno, ma accostandosi lei, un altro suo sogno, al luogo dedicato a quegli obiettivi effimeri e amati.
Zoro conosceva la morbidezza vellutata del corpo di Nami, le curve dei suoi fianchi, il dondolio del suo petto.
Sapeva l’esatta intonazione del suo respiro quando raggiungeva il culmine del piacere.
Zoro sapeva, che per quanti inviti non le avesse mai rivolto, Nami si sarebbe sempre trovata al termine di ogni giornata al suo fianco, sotto coperte di lane o lenzuola leggere, offrendosi a lui, senza invito, senza richiesta, senza pretesa.
Senza attesa.
L’avrebbe trovata lì, a offrirgli quel sentimento che ancora non chiamavano per nome, ma che li invitava a dormire assieme ogni notte, ovunque fossero, in qualsiasi letto, senza mai aspettare un invito, ma offrendosi per primi.







 
Il vero amore non aspetta di essere invitato,
si offre per primo.
 (Fray Luis de León)


 
   
 
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