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Autore: Lady I H V E Byron    18/02/2022    2 recensioni
"Shredder, Stockman, Hun, i Dragoni Purpurei, gli Utron, i Triceraton, Savanti Romero, Karai, Bishop, Sh'Okanabo, Viral, Khan… tutti nomi che ormai appartenevano al passato."
Sono passati quattro anni dalla battaglia finale contro lo Shredder virtuale, ma non è ancora finita, per le Tartarughe Ninja. Presto si troveranno coinvolti in una nuova avventura, che riguarderà una coppa di fattura umile, Cavalieri Templari, Dimensioni Mistiche, visioni di un passato lontano, un nuovo nemico e un nuovo alleato.
Quale destino attende le Tartarughe Ninja?
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Note dell'autrice:  qui noterete molti elementi dell'episodio "L'Antico"; le cose si faranno calde per un personaggio...

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-Bene, figlioli, ora rilassatevi...-

Michelangelo sospirò.

-Ah...! Maestro Splinter, dobbiamo proprio?! Io ho faaaaame...!-

Un colpo di bastone lo colpì sul dorso della mano.

-Ah!- esclamò, massaggiandosi la mano.

-Priorità, Michelangelo!-

-Ma non riesco a concentrarmi se ho fame!-

I fratelli erano già in posizione, seduti sul tatami con le gambe incrociate.

Quel giorno era prevista un'altra seduta di meditazione, prima di colazione.

Questo spiegava l'ennesima lamentela di Michelangelo. Ed i continui rumori provenire dal suo stomaco.

Anche Splinter si mise seduto, di fronte ai figli.

Rivolse un'ultima occhiata alla templare: era inginocchiata sotto la croce, con le mani unite in preghiera, con il rosario in mezzo ad esse, muovendo le labbra, emettendo solo dei piccoli sussurri, per non disturbare i ninja. Le sue mani stavano tremando, come le sue labbra.

Dallo scontro delle Tartarughe con Omnes, Elisabetta pregava più del solito, non era mai concentrata durante gli allenamenti e ogni mattina dava l'impressione di non aver dormito affatto. Di tanto in tanto, continuava persino a frustarsi, nonostante le proteste dei ninja.

E, spesso, rompeva tutto ciò che teneva in mano, come bicchieri, penne, per poco persino il suo Tarta-Cellulare: il suo potere si stava ormai attivando a scatti, contro la sua volontà. Anche toglierselo dal dito non migliorava la sua condizione, ma almeno non entrava nel suo stato di Furia.

Inutili erano i tentativi di tirarle su il morale. Michelangelo aveva persino tentato più volte di abbracciarla, ma lei continuava a respingerlo, o voltargli le spalle.

Splinter era preoccupato. E anche le Tartarughe.

-Mia cara...- disse, parlando un po' più forte.

Elisabetta interruppe la preghiera, ma rimase comunque con le mani unite, mentre si voltava vero il topo.

-Stiamo per iniziare una seduta di meditazione. Vuoi unirti a noi?-

La templare, senza pensarci, scosse la testa.

-No, grazie. Sto bene così.- mormorò, prima di guardare di nuovo la croce.

Era impressionante quanto il colore della sua pelle fosse divenuto più chiaro in quei pochi giorni e come accentuasse le occhiaie sotto i suoi occhi.

-È ovvio che non avrebbe risposto altrimenti.- commentò Raffaello, acido -La meditazione non fa per i cosiddetti “Cavalieri di Dio”. Troppo pagana, per loro.-

Leonardo lo colpì con il gomito.

-Raph, che stai dicendo?!- gli sussurrò, come rimprovero -Non ti sembra stia già abbastanza male?!-

-E per questo dobbiamo assecondare ogni suo capriccio?!- ribatté il fratello, ad alta voce -Se rifiuta ogni aiuto che le stiamo offrendo per farla stare meglio, non è colpa nostra, ma sua, che si ostina a restare nella sua prigione di non so che cosa, senza speranza di uscire!-

Non era chiaro se Raffaello la stesse provocando di nuovo per prenderla in giro o farla reagire. Leonardo, però, aveva notato qualcosa, nei suoi occhi verdi. Lui, anche se non lo mostrava, era il più preoccupato per la templare. Ma, come al solito, era troppo orgoglioso per ammetterlo.

No, non era solo preoccupazione quella che stava leggendo nei suoi occhi.

Ma il tono con cui aveva pronunciato quelle parole velenose fecero comunque irritare la templare: strinse con forza le mani, quasi bucandole con i grani del rosario.

“Lui non sa niente...!” pensò, iniziando a digrignare i denti; se avesse avuto il suo anello, i suoi occhi avrebbero avuto subito le iridi a forma di croce templare.

-E se non fa niente, vuol dire che è una vera vigliacca!-

-Raffaello! Modera i termini!- rimproverò Splinter.

Elisabetta non poteva sopportare altre provocazioni. Si alzò improvvisamente in piedi, con il rosario ancora in mano, e camminò verso le Tartarughe.

Si mise di fronte a Raffaello, con uno sguardo tra il minatorio ed il disperato, e le braccia incrociate.

-Se mi unisco a voi, la pianti di dire queste sciocchezze?- sibilò, con una voce che nessuno le aveva mai sentito prima. Faceva venire i brividi.

Raffaello impiegò ogni granello della sua forza per sostenere quello sguardo. Così carico di rabbia. Ed altrettanto di... confusione. E disperazione.

Anche Raffaello riuscì a notarlo: Elisabetta era vicina al pianto. Quegli occhi così carichi di rabbia sembravano quasi dire: “Non ce la faccio più! Aiutami!”. Ma era troppo orgogliosa per cadere nel sentimentalismo.

Si illuse che anche nella mente della ragazza ci fosse il suo stesso pensiero: lei, che finalmente esplodeva in un pianto liberatorio, e lui che la stringeva tra le sue braccia, permettendole di piangere sul suo guscio.

Ma non era accaduto nulla, nella realtà.

Erano entrambi troppo orgogliosi.

Gli occhi marroni e gli occhi verdi sembravano aver eretto una barriera per proteggersi a vicenda, per impedire che l'uno leggesse dentro l'altro.

Raffaello serrò le labbra, per nascondere il suo vero sentimento.

-Sì.- disse, secco.

Anche Elisabetta rispose nello stesso modo.

-Bene.-

Prese posto sul tatami, proprio accanto alla Tartaruga che l'aveva provocata, con le gambe incrociate, di fronte agli sguardi sorpresi ed imbarazzanti di Donatello, Michelangelo e Splinter.

Raffaello faceva del suo meglio per apparire impassibile, ma solo Leonardo stava percependo il suo disagio. Non perché Elisabetta si fosse seduta accanto a lui, ma per come le aveva parlato. Non lo avrebbe stupito se, in quel momento, si stesse dando da solo dell'idiota.

Splinter si schiarì la voce, riportando l'attenzione sull'esercizio.

-Bene, visto che siamo tutti qui, iniziamo.-

Era una posizione cui Elisabetta non era abituata: fece del suo meglio per imitare la posizione delle Tartarughe.

-Respirate profondamente, figlioli. Dovete immaginare il nulla, nella vostra testa. La vostra mente deve essere completamente libera.-

Per Michelangelo sarebbe stata dura: era il suo stomaco ad essere vuoto. Non riusciva a pensare ad altro.

Ma anche gli altri avevano dei pensieri che quasi impedivano loro di concentrarsi, e che continuavano ad apparire a loro insaputa: Donatello ancora non era riuscito a scalfire o prelevare un campione del vetro incrinato, ma infrangibile del Trofeo del Nexus; Leonardo aveva ancora avuto un sogno sull'ombra e sul templare; la mente di Raffaello era fissa su una sola cosa, dalla sera in cui si era risvegliato dal coma, che era quasi diventata la sua ossessione.

Nessuno sembrava essere pronto per una seduta di meditazione.

Specie la templare.

Aveva provato a seguire le istruzioni di Splinter, respirare, rendere la propria mente completamente vuota.

Ma quelle sensazioni, angoscia, ansia, frustrazione, non la abbandonavano.

“Tu non vali niente!” sentì, nella sua mente. Era la voce di un uomo.

Non fu la sola. Iniziò a tremare ed ansimare.

“Perché dovrei mettermi con un maschiaccio come te?”

“Con questi risultati non vai da nessuna parte!”

“Non combinerai nulla nella vita!”

“Tu non sei più mia figlia!”

“Una donna all'interno dell'ordine?! Oltraggio!”

“Non vorrai deludermi, vero?”

“Se continui a parlare, non diventerai mai forte!”

Immagini, voci. Sagome che la additavano. Continuavano ad apparire, accumulandosi di fronte alla templare.

Poi, un patibolo, una corda che diventava tesa, un corpo che ondeggiava nel vuoto.

Infine, una maschera, ed il volto di una persona dichiarata defunta.

-NO!-

Quell'urlo fece sobbalzare Splinter e le Tartarughe, che si alzarono. Elisabetta era più pallida di prima, quasi sdraiata sul tatami, ansimando, terrorizzata. Sembrava avesse visto un fantasma.

-Eli, che succede? Stai bene?- si allarmò Michelangelo, tentando di soccorrerla.

Lei indietreggiò, restando per terra.

-No... non posso continuare... scusatemi...! Scusatemi!-

-Figliola...- aggiunse Splinter, allungando una mano verso di lei.

-STATEMI LONTANO!-

Corse via dal rifugio, stringendo le mani tra i capelli, emettendo persino dei lamenti.

Michelangelo voleva rincorrerla. Ognuno di loro voleva rincorrerla. Ma non fecero altri passi fuori dal tatami.

-Da quando le abbiamo detto di Omnes è fuori di testa...- notò la tartaruga dalla benda arancione.

-E non fa che peggiorare...- si preoccupò Splinter, riflessivo -E sembra che nemmeno le preghiere sembrino sollevarla.-

-Che facciamo, Maestro Splinter?- domandò Leonardo -Dobbiamo fare qualcosa per aiutarla, o potrebbe essere troppo tardi.-

-Sì, è anche il mio timore, figliolo. Oltre a quello che mi hai rivelato l'altro giorno...-

Dopo quanto accaduto con Omnes Leonardo si era trovato costretto a rivelare a Splinter ed ai suoi fratelli dei suoi incubi, dell'ombra che continuava a vedere ogni volta che vedeva il trofeo del Nexus e che era apparsa anche nella Dimensione Mistica, per cercare Federico.

Anche Splinter era come distratto, da qualche giorno, perso in altri pensieri, come se si fosse ricordato qualcosa. Omnes aveva scosso l'equilibrio all'interno delle Tartarughe Ninja, non solo quello dell'ordine templare.

E con le Tartarughe era bastata solo una notte.

-Qui non troverai risposte, figliolo.- spiegò il topo, serio -E nemmeno Elisabetta troverà pace. Solo una persona può essere in grado di aiutare entrambi.-

Leonardo si illuminò.

-Vuoi dire l'Antico?-

-Ti è stato di aiuto quando eri in una situazione simile a quella di Elisabetta. E sei tornato come una persona nuova, figliolo. Sono fiducioso che saprà aiutare anche Elisabetta.-

-Lo spero proprio...- mormorò Michelangelo, guardando, con aria triste, la galleria verso cui si era diretta la templare -Mi si spezza il cuore vederla così triste...-

E non solo a lui.

Raffaello chiuse una mano a pugno.

“Complimenti, sei un vero idiota.”

 

Elisabetta continuava a camminare, senza avere idea dove andare o che direzione prendere. La sua mente era ottenebrata dalle visioni che aveva avuto durante la meditazione. E la sua vista era coperta dalle mani, che ancora stringevano i suoi capelli.

L'anello stringeva forte intorno al suo dito. Le croci templari apparivano e sparivano dai suoi occhi a brevi intervalli. La sua rabbia cresceva e decresceva senza che potesse controllarla. Stava perdendo il controllo sul suo potere.

La rabbia, il suo unico pilastro da anni, la sua sola fonte di potere, stava per essere sostituita dal caos.

E tutto a causa di Omnes. E del ricordo legato a Francesco, detto Benedizione.

Stava perdendo fiato.

In effetti, stava camminando a passo spedito.

Si fermò, con il volto rivolto al muro. Al tatto era ruvido e poroso. Poteva quasi sgretolarlo, nel suo stato di Furia.

-Francesco non è Omnes...!- mormorò, a denti stretti.

Da quella sera, il ricordo del suo scontro a San Pietro le stava praticamente togliendo il sonno. Tornato all'improvviso, dopo tanto tempo passato a reprimerlo, nasconderlo, per non distrarsi dal suo dovere, come acqua che riesce, alla fine, a distruggere la diga che la trattiene.

Senza i templari non sono niente!”

È questo che continui a ripeterti? O è quello che ti fanno credere?”

Omnes metteva il dubbio nei cuori delle persone. E anche lei, così ferma, decisa e fedele agli ordini dei Templari, era caduta in quel tranello.

Doveva rimuovere quei pensieri, quei ricordi.

Sentì nuovamente la Furia impossessarsi di lei. Doveva sfogarla, in un modo o nell'altro.

Diede una testata sul muro.

Poi un'altra. Un'altra. E un'altra ancora.

-Francesco non è Omnes! Francesco non è Omnes! Francesco non è Omnes!- ripeteva, ad ogni testata che dava sul muro, con voce sempre più alta e rabbiosa.

Anche in momenti simili, i suoi occhi si rifiutavano di far fuoriuscire le lacrime.

Non ne aveva la forza. Voleva solo distruggere tutto ciò che toccava.

-Elisabetta...?-

Nonostante il tono gentile, la voce era abbastanza alta da sovrastare i colpi che stava dando al muro.

Le croci templari sparirono dai suoi occhi, mentre si voltava verso la persona che le aveva rivolto la parola.

-Leatherhead...?-

Il coccodrillo era apparso da un vicolo buio. Ormai Elisabetta non si spaventava più a vederlo.

Dopo il loro primo incontro, solo altre due volte era tornato a far visita alle Tartarughe ed assistere agli allenamenti con la templare.

-Tutto bene, cara?- domandò, premuroso; si allarmò subito, appena vide qualcosa scendere dalla fronte della ragazza.

-Ma sei ferita!-

Con altrettanto orrore, notò l'incavo sul muro, e le crepe circostanti.

Non era la prima volta che assisteva alla sua incredibile forza. Non aveva mai avuto l'occasione di misurarsi con lei. Anzi, era lui che non voleva farle del male, diceva. Non voleva rischiare di perdere il controllo dei suoi impulsi violenti.

-Non è niente...- mormorò lei, ormai apatica. Quando aveva quelle sfuriate, seguiva sempre un piccolo momento di apatia. Tutto dipendeva se aveva o meno l'anello.

Non si era nemmeno accorta del rivolo di sangue che le stava scendendo dalla fronte.

Ciononostante, Leatherhead si avvicinò a lei, premuroso, mettendole una mano dietro la schiena.

-Almeno lascia che ti disinfetti quella ferita.- invitò -Il mio rifugio è proprio qui.-

Le era già stato riferito della vecchia stazione dove Leatherhead viveva. Era ancora più grande di quanto avesse immaginato. E anche uno della corporatura di Leatherhead lo considerava gigantesco.

Sembrava quasi la versione estesa del laboratorio di Donatello.

Elisabetta fu sistemata sopra la scrivania.

Per fortuna, la ferita sulla fronte non aveva bisogno di punti di sutura.

Il coccodrillo fu estremamente cauto e delicato mentre vi metteva l'alcool. Altrettanto con la garza.

-Grazie.- ringraziò lei, con tono quasi atono.

Non sorrise. Era ancora scossa dalla seduta di meditazione. Guardava in basso, fissando il vuoto, con aria triste.

Leatherhead si mise accanto a lei.

-Ti ho sentita urlare.- spiegò, preoccupato -E non solo quando eri qui al muro. È successo qualcosa?-

-Ho visto qualcosa... durante la seduta di meditazione...- rivelò lei, automaticamente.

Nella situazione in cui si trovava, sentiva di non volersi tenere certe cose per sé. E poi lo avrebbe scoperto comunque, se avesse rivisto le Tartarughe.

-I ragazzi mi hanno detto di quel tale, Omnes.-

Omnes. Quel maledetto nome che associava al volto di Francesco.

La persona che voleva metterla contro l'ordine templare.

-Ti va di parlarne?-

La mano che toccò la sua schiena circondava interamente le sue spalle. Stranamente calda, nonostante fosse di un animale a sangue freddo.

-La prima volta che l'ho visto, si è presentato a me con il volto di una persona a cui tenevo molto, quando era in vita...-

Sapeva di potersi confidare con Leatherhead. Era gentile, nonostante l'aspetto terrificante.

-Francesco, detto Benedizione, perché ogni peccatore merita almeno una benedizione. Un ragazzo buono, leale, gentile. L'anello aveva subito letto la bontà in lui, per questo aveva ottenuto quel potere, a differenza di me. Ha fatto la Veglia con me e con il figlio del Magister, Federico, quindi ci conoscevamo dall'inizio del nostro cammino da templari. Era un'ottima spada, un valido fratello d'arme. Quando perdevo il controllo del mio potere, gli bastava puntare il suo anello contro di me, per calmarmi. Il suo potere, infatti, era annullare ed interrompere il potere di un confratello. Io perdo spesso il controllo, quindi avere lui era quasi un obbligo, per tutte le volte che andavo in missione. E anche dopo aver scoperto che ero una donna ha continuato a rispettarmi, anzi persino più di prima. Quando è morto... è stato il giorno in cui ho smesso di piangere. Il Magister ha detto che aveva tradito l'ordine, cospirando contro di lui...-

-E tu non gli credi?-

Più volte si era posta questa domanda. Preceduta da “Perché Francesco ha tradito l'ordine?” e “Per quale motivo il Magister mentirebbe sul motivo che ha spinto Francesco al patibolo?”

E, come sempre, non era mai sicura della risposta. O non voleva avere una risposta, per evitare che la sua fede vacillasse.

-Non lo so, Leatherhead.- ammise, scuotendo la testa -È come se fossi divisa in due. Fran era un caro amico e come me fedele all'ordine. Ma non possiamo discutere gli ordini del Magister. E se lui diceva che Fran aveva tradito l'ordine, così era.-

-Che cosa aveva fatto?-

-Non si è mai saputo. Per il tetravirato era sufficiente sapere che stava cospirando contro il Magister. Anche se, se devo essere sincera, nessuno dei miei confratelli ci ha mai creduto veramente, credo.-

Strinse le mani sopra i jeans. La rabbia stava tornando.

-Quando ho incontrato Omnes la prima volta, e ho visto il volto di Francesco, io... io...- si nascose il volto dietro le mani -Oh, Leatherhead, sono così confusa!-

Si alzò in piedi, cominciando a camminare avanti ed indietro, stringendosi di nuovo i capelli.

-E ora che è qui a New York, ha affrontato i ragazzi...! Avevo fatto il possibile per dimenticarmi di lui! Mi dicevo sempre “Francesco è morto! Non può essere Omnes!”. Oh...! Sto impazzendo! Sono sempre arrabbiata! Non riesco più a controllarmi! E devo togliermi spesso l'anello, altrimenti sarei persino capace di distruggere tutte le fognature!-

Le croci erano tornate, per un breve attimo.

Leatherhead si era lievemente allarmato alla loro vista. Per fortuna, erano svanite quasi subito.

-Mi spiace per quello che stai passando, cara...- commentò, provando dispiacere per lei -Questa situazione deve essere parecchio caotica per te, vero?-

Lei annuì.

-Quanto vorrei... ho un bisogno così di spaccare qualcosa...!- digrignò lei, stringendo i pugni; oltre alle croci era apparsa anche l'aura rossa e bianca, intorno al suo corpo.

Ciò fece attirare l'attenzione del coccodrillo gigante.

Infatti, anche lui scese dalla scrivania.

-Se quello che ti serve è sfogarti...- disse, facendo scrocchiare le ossa delle spalle -Beh, io sono disponibile. Affrontiamoci.-

-Tu?- si stupì la ragazza, tornando normale -Sei sicuro? Potrei farti davvero male...-

-Non temere, ragazza mia. I ragazzi non ti hanno detto che anche io sono stato mutato con lo stesso mutageno che ha cambiato anche loro?- si batté sul petto, sicuro di sé -Io sono resistente a tutto.-

Per giorni aveva tentato di trattenere un senso di frustrazione che le faceva perdere il controllo sul proprio potere. Non poteva sfogarlo tutto con le Tartarughe. Ancora non era stato scoperto nulla sul Graal e non poteva permettere che i suoi sentimenti compromettessero la missione.

Anche in quel momento, la rabbia stava di nuovo emergendo, contro il suo volere. Leatherhead si era offerto di affrontarla. Sarebbe stato interessante misurarsi con un'altra creatura gigante, oltre la sua portata.

-COSÌ SIA!- esclamò lei, lasciandosi avvolgere dal suo stato di Furia, permettendo alle sue iridi di mantenere a lungo la forma di croci templari.

Vederla in quello stato fece quasi indietreggiare il coccodrillo gigante.

Ma appena lei gli scagliò il primo colpo, un pugno sul muso, tanto potente da farlo voltare, anche le sue pupille si restrinsero.

-È COSÌ, RAGAZZINA?!- anche lui era entrato nel suo stato di Furia, quando lasciava emergere il suo lato selvaggio, ogni volta che veniva provocato -ORA TI SISTEMO IO!-

Sebbene ancora travolta dalla rabbia, il modo in cui Leatherhead caricò contro di lei la lasciò sconvolta per un breve momento.

Entrambi non erano agili come le Tartarughe. Il loro punto forte era la forza.

Ogni loro colpo lasciava solchi su tutta la vecchia stazione. Le loro grida di battaglia e di furia riecheggiavano per tutte le fognature.

Nonostante i colpi che subivano, nonostante tutte le volte in cui venivano scagliati contro il muro, non sentivano dolore. La loro furia occultava tutto il resto.

Quando incrociarono le mani, tentando di fare pressione l'una contro l'altro, il pavimento sembrava incrinarsi, da quanto vi premevano con i piedi.

Nessuno dei due intendeva cedere. Si guardavano con occhi carichi di rabbia cieca, non di odio.

Le iridi a forma di croce templare e le pupille strette.

E, intanto, continuavano a pressare l'uno contro l'altra.

Nella mente della templare ritornarono le immagini che l'avevano sconvolta poco prima. Compreso il suo combattimento contro Omnes a San Pietro. Il volto di Francesco, ed i suoi dubbi verso l'ordine.

Urlò, per esprimere tutta la sua rabbia e confusione insieme. Storse le mani di Leatherhead, trovando un punto d'uscita dalla mossa di sottomissione reciproca, allargò le braccia e lo sbilanciò con un deciso colpo di testa sul torace.

Accecato dalla sua, di ira, Leatherhead non aveva previsto una reazione simile. E la potenza di quel semplice colpo di testa lo fece sbilanciare all'indietro, facendolo cadere per terra.

La templare puntò le ginocchia contro il suo torace, per evitare che si rialzasse. E, senza dargli tempo di reagire, scagliò una serie di pugni contro la sua testa, come se stesse picchiando un tavolo.

Leatherhead aveva alzato le braccia per difendersi. Ma i pugni erano così potenti da creare un grande solco sul pavimento sotto di lui.

Nella sua mente, stava picchiando Omnes, non il coccodrillo gigante.

Questo la stava portando a colpire più forte e più velocemente.

-Eli! Fermati! Sei impazzita?!-

Quattro braccia separarono la templare dal coccodrillo.

E una mano rimosse, rapido, l'anello dal suo dito. Gli occhi tornarono normali e l'aura svanì.

Ma non la rabbia dentro di lei.

-Sei fuori di testa?!- rimproverò Leonardo; erano stati lui e Raffaello a fermarla.

Michelangelo e Donatello stavano aiutando Leatherhead a rialzarsi.

-Potevi ucciderlo!-

-Va tutto bene, ragazzi!- rassicurò il coccodrillo, anche lui tornando normale -Le ho chiesto io di affrontarmi.-

Quella richiesta non stupì le quattro Tartarughe: dopotutto, sapevano bene anche loro quanto fosse violento Leatherhead quando si arrabbiava. La templare poteva aver trovato un valido sfogo.

-Ma non è...! Non è abbastanza!- lamentò lei, tornando a stringersi le mani tra i capelli -Voglio... devo distruggere ancora qualcosa!-

Splinter si fece largo tra i figli, per raggiungere la templare.

-Era proprio di questo di cui volevo parlare...-

Le prese le mani, nell'esatto momento in cui era riuscita a calmarsi.

-Mia cara figliola, c'è tanta rabbia in te...- le disse, preoccupato -David ti ha insegnato a sfogarla, non a controllarla, e questo ti sta distruggendo dentro. E in questi ultimi giorni stai peggiorando.-

Elisabetta sospirò. Il suo corpo ancora ambiva a distruggere qualcosa. E la testa le pulsava da quanta rabbia ci fosse ancora dentro.

-Lo so, ma... ma... non so cosa fare...-

-Noi abbiamo una soluzione, mia cara.- tagliò corto Splinter, sorridendole, per darle supporto -C'è una persona che può aiutarti.-

-Nemmeno le preghiere sono servite per sollevarmi.- disse lei, scettica -Cosa può fare questa persona?-

-Fidati, se non può lui, nessuno può.- aggiunse Leonardo, mettendole una mano sulla spalla -Ha aiutato me quando ero in una situazione simile alla tua.-

E lui, infatti, appariva calmo in qualsiasi situazione, sia leggera, che critica. Anche il suo ruolo di leader contribuiva nel suo costante auto-controllo.

Era difficile pensare che avesse provato rabbia o delusione, specie verso se stesso.

-Tu stai bene, bello?- domandò Michelangelo a Leatherhead.

Avevano visto i colpi che gli stava scagliando la templare. Ma non ne videro i segni sulla pelle.

-Certo. Ricordate, il mutageno.- assicurò lui, osservandosi le braccia, completamente illese -La ragazza è davvero forte. Non avevo provato un'adrenalina così da tanto tempo.-

Sembrava più ammirato che spaventato.

-Allora è deciso.- aggiunse Raffaello -Che ne dite di uno scontro a tre, come nel wrestling? Per sfogare il nostro nervosismo a vicenda!-

-Non incoraggiatela.- avvertì la tartaruga dalla benda arancione -A giudicare da come ti ha rovinato la tana, Leatherhead, poteva davvero distruggertela con una mano sola.-

C'erano crepe e solchi quasi ovunque.

Elisabetta si guardò le mani: stavano iniziando a sanguinare, ai lati. E anche le sue nocche erano rosse; cominciavano a farle male.

Erano i segni della sua rabbia. Come il cerotto sulla fronte.

Era sempre stata orgogliosa del suo potere; la forza derivata dalla sua ira la faceva sentire potente, libera, inarrestabile, invincibile.

Ma, in quegli ultimi tempi, stava diventando incontrollabile. Dalla morte di Francesco e più che mai dalla recente notizia della presenza di Omnes a New York, che le aveva risvegliato il ricordo da lei represso del suo incontro a San Pietro, dove lui si era presentato con il volto di una persona defunta.

Omnes non è Francesco! Francesco è morto!” continuava a ripetersi, da allora.

Nemmeno i suoi confratelli erano riusciti ad aiutarla: era troppo potente persino per Golem. Persino il Magister ignorava il suo scarso controllo: l'importante era che sfogasse quella rabbia contro i loro nemici, poco importava se non riusciva a fermarsi.

Ma senza Benedizione era come una mina vagante.

-Non posso più vivere così...- mormorò, vicina al pianto; ma non voleva piangere in fronte a delle persone, per non apparire debole ed emotiva.

-Dove si trova questa persona?-

Leonardo sorrise, continuando a tenere la mano sulla sua schiena.

-In Giappone.-

-È stato il maestro del mio maestro.- spiegò Splinter -Viene chiamato l'Antico.-

-Ti avverto, è un po' strano. Ma ti assicuro che è degno del suo ruolo di Maestro. Vedrai, saprà aiutarti a gestire la tua rabbia.-

Meglio che mettere due rifugi in pericolo, pensò la templare, ancora incerta sulla decisione da prendere.

-Non temere, ti accompagnerò io.- la rassicurò Leonardo, come se avesse letto nella sua mente.

La sua mano esprimeva un calore quasi familiare. Come se, in quel momento, ci fosse Federico, al suo posto.

Alla fine, prese la sua decisione.

-Allora... vado a preparare i bagagli.-

Aveva accettato. Questo sollevò i ninja.

 

Tornati al rifugio, anche Leonardo preparò il suo zaino con dei viveri, insieme ad un cappello ed un impermeabile.

Elisabetta, invece, mise nuovamente la mimetica nera con il giubbotto antiproiettile bianco con la croce rossa in mezzo. E, sopra, il suo mantello da templare con i doppi lacci, uno per chiudere il cappuccio, l'altro per evitare che il mantello volasse oltre le sue spalle. Sapeva di dover fingere di essere scomunicata, ma, anche se lo fosse stata, provava un senso di agiatezza, in quel mantello. Una protezione migliore della sua armatura.

Michelangelo fu il primo a salutarla, prima che lei e Leonardo uscissero dal rifugio.

-Uaaaaaaaah! Mi mancherai!- lamentò, stringendosi alla ragazza, temendo che non sarebbe più tornata.

-Tranquillo, Mick.- lo rassicurò lei, accarezzandogli la sua testa -Vedrai che tornerò prima che tu dica “pizza”.-

-Pizza!-

Donatello scosse la testa e prese il fratello per il guscio.

-Su, Mick, ora lasciala andare, altrimenti la prossima volta che si arrabbia ci distrugge davvero il rifugio.- suggerì, portandolo via dalla templare.

Ma Michelangelo ancora teneva le braccia protese verso la ragazza.

-No! No! Non separarmi da lei!-

Uno spettacolo più divertente che drammatico.

-Bada a Elisabetta, figliolo.- invitò Splinter a Leonardo.

-Lo farò, Maestro Splinter.-

-E, mia cara, stai attenta e stai sempre vicina a Leonardo.-

-Sì, Maestro Splinter.-

Anche Donatello rivolse il suo saluto alla templare, iniziando con un abbraccio.

-Ti ho risistemato il Tarta-Cellulare.- spiegò, porgendole un cellulare a forma di guscio di tartaruga -Stavolta stai attenta a non romperlo.-

-Va bene, starò più attenta.-

Raffaello, dal rifugio di Leatherhead, era rimasto in silenzio: stava guardando in basso, verso il pavimento, grattandosi nervosamente un braccio.

Si morse entrambe le labbra, quando notò la sagoma della templare avvicinarsi a lui.

Elisabetta si soffermò di più su di lui. Non ricambiava il suo sguardo. Forse si sentiva in colpa per averla provocata, prima.

-Eli...- mormorò, con un filo di voce.

-Sì, Raph?-

Lui rimase in silenzio per qualche altro istante. Un silenzio che lo imbarazzava a tal punto da divenire più rosso della sua maschera.

E la sua mano non finiva di grattarsi il braccio.

-Stai...- la guardò per un attimo, negli occhi marroni.

Non notò rancore, per averla provocata; ma qualcos'altro, che non sapeva spiegarsi. Forse ingenua curiosità su quello che voleva dirle.

Ma negli occhi di Raffaello si poteva leggere una richiesta, un'implorazione.

Per questo aveva subito distolto lo sguardo da lei, per evitare che leggesse nei suoi pensieri.

-Stai... stai sempre vicina a Leo.- richiese, praticamente ripetendo quello che aveva già detto Splinter.

Lei era ancora confusa. Il suo sguardo indicava tutta un'altra richiesta. Ma il tempo stringeva.

Accettò quel suggerimento.

-Va bene.- rispose, fredda, forse un po' delusa.

-Eli, dobbiamo andare.- invitò Leonardo; aveva già indosso un impermeabile, un cappello con la tesa abbastanza larga da coprire il suo volto, ed uno zaino sulle spalle, con le katana legate in mezzo.

Hellas era nascosto sotto il mantello, mentre Hesperia era legata alla cintura.

-Ciao...- salutò la templare, prima di allontanarsi da Raffaello.

Salutò il resto con la mano, sorridendo lievemente.

-Torna presto!- ricambiò Michelangelo, salutandola con il fazzoletto con cui si era asciugato le poche lacrime che aveva versato.

E così continuò fino a quando Leonardo ed Elisabetta non salirono sulla scaletta che li portava all'esterno.

Lei, però, si era voltata per un attimo, prima di salire. Ma il destinatario di quell'ultimo sguardo si era voltato nell'esatto momento in cui non c'era più nessuno sulla soglia del rifugio.

-Ah... me misero!- lamentò nuovamente Michelangelo, con posa da attore drammatico -E ora come passerò le mie giornate senza la mia sirena?-

-Esattamente come le passavi anche prima che arrivasse: mangiando, guardando film, giocando ai videogiochi, leggendo fumetti, e, ovviamente, allenandoti.- gli fece notare Donatello, mettendogli una mano sulle spalle, per dirigerlo verso l'area intrattenimento.

-E, Raph, fratellino, sei stato davvero freddo con la nostra Eli. Scommetto che non vedevi l'ora che se ne andasse. Beh, non mi sorprende. Dopotutto sei l'unico a cui non è piaciuta dall'inizio. E perché è da un po' che ti sta battendo nei vostri corpo a corpo.-

-Michelangelo, un po' di tatto.- rimproverò Splinter.

Raffaello non dava l'impressione di aver ascoltato le sue parole.

Aveva ancora lo sguardo cupo. E le sue mani che stringevano le braccia opposte.

Non era più nervoso, o imbarazzato. Ma triste.

“Voleva dire che non volevo che partisse, razza di idiota.”

 

Per il viaggio da New York al Giappone, Leonardo ed Elisabetta dovettero nascondersi in una nave mercantile, stando bene attenti a non farsi scoprire dalla sicurezza.

Per questo, Leonardo aveva caricato la templare tra le sue braccia, prima di introdursi tra un container e l'altro.

Si nascosero dietro uno di essi, in un punto ben nascosto. Non c'erano molte guardie, ma era saggio non farsi notare. Li avrebbero presi per clandestini e li avrebbero buttati in mare.

Nonostante le immagini che ancora erano fresche nella sua mente, Elisabetta trascorse il periodo del tragitto dormendo. Leonardo le aveva permesso di dormire con la testa poggiata sulle sue gambe, mentre lui avrebbe fatto da sentinella e in modo da essere pronto a prenderla in braccio, nel caso in cui una guardia si fosse avvicinato nel loro nascondiglio.

Vederla così calma era una situazione inusuale. Dopotutto, nessuno l'aveva mai vista dormire. Da sveglia, aveva sempre un'aria cupa, occhi tristi. E tanta rabbia.

-Fran...- mormorava lei, agitandosi nel sonno.

Leonardo, per calmarla, le toccava i capelli, quelli chiari.

Lui, invece, non era riuscito a prendere sonno. Era ancora inquieto dai suoi sogni.

Sperava solo che il Tribunale Ninja o l'Antico potessero dargli qualche risposta. Ne dubitava, ma sarebbe stato meglio che continuare a farsi domande senza risposta e senza avere un indizio su cosa stesse effettivamente sognando.

-Eli, siamo arrivati.- disse, ad un certo punto, agitando lievemente la spalla della ragazza, per svegliarla.

Lei sbadigliò. Sebbene avesse tenuto gli occhi chiusi per tutto quel tempo, non era sicura di aver dormito.

-Questo è il Giappone?- domandò lei, mettendo la vista a fuoco. Vedeva tutto ancora sfocato.

-Sì, e ora dobbiamo farcela tutta a piedi.-

Per fortuna, gli anfibi che la templare indossava erano adatti anche per le lunghe scarpinate, non solo per proteggere i piedi da impatti violenti.

Camminarono a lungo, prima di raggiungere un paesaggio innevato.

Quel giorno tirava persino una bufera. Leonardo camminava con la testa bassa, per evitare che il cappello volasse via.

Il cappuccio del mantello, per fortuna, era stato legato bene. Ma Elisabetta lo teneva comunque stretto con le mani. Il mantello ondeggiava alle sue spalle. Il secondo laccio, per fortuna, impedì che gliele scoprisse

-Non temere.- assicurò Leonardo, che camminava di fronte -Una volta superato quel crepaccio sarà finita.-

-Oh, fantastico! Potevi dirlo DOPO essere morta assiderata qui, visto che c'eri!- commentò lei, sarcastica.

La tuta mimetica non la stava coprendo completamente dal freddo.

-Considerati fortunata ad essere in compagnia.- rivelò lui -Quando ho viaggiato qui per la prima volta, ero solo.-

Smarrito. Pieno di delusione verso se stesso. Proprio come Elisabetta era in quel momento.

Per questo si era offerto di accompagnarla ed aiutarla.

Il crepaccio era vicino.

C'erano due enormi massi che lo coprivano, alti circa dieci metri, ma lasciavano abbastanza spazio per passare.

La templare ed il ninja si fermarono all'improvviso, quando quei massi si mossero.

Non erano massi, ma mostri. Mostri con fattezze quasi umane, escludendo la pelle coperta da una pelliccia color del ghiaccio, e le zampe da leone. Portavano una corazza simile a quella indossata dai samurai, ma le loro spade somigliavano più a scimitarre che a katana.

-Nessuno può passare.- mormorò quello di destra -Oh, chi si rivede. Il pupattolino verde.-

Leonardo non si mosse, nemmeno disse nulla. Fissava quei mostri con aria seria, senza cadere nelle loro provocazioni.

-Ed ha portato un amichetto, stavolta.-

-Un amichetto ancora più piccolo.- aggiunse quello di sinistra, accennando una risata.

Elisabetta digrignò i denti a quella provocazione. La sua mano si chiuse a pugno.

-Perché non chiudete quelle bocche zannute e ci lasciate passare?- domandò, quasi minacciosa; parlava con voce quasi maschile -Dobbiamo vedere l'Antico!-

I due mostri risero. Questo accentuò il nervosismo della templare.

-Cosa c'è da ridere? Come osate ridere?!-

-Oh, il pupattolino ancora più piccolo è ancora più suscettibile dell'altro.- derise quello di sinistra -Un altro bambino che fa i capricci se i suoi desideri non vengono esauditi.-

La già alta rabbia della templare crebbe, con quelle parole. Se non avesse avuto indosso i guanti, le sue unghie sarebbero affondate nei suoi palmi, facendo fuoriuscire il sangue.

-Se non vi fate da parte, ve ne pentirete amaramente!-

La sua mano era già vicina all'impugnatura di Hesperia. E l'altra pronta a portare Hellas al suo braccio sinistro.

Leonardo cercò di calmarla, mettendole una mano sulla spalla.

-No, Eli, non ne vale la pena.- cercò di dissuaderla.

-Ascolta il tuo amichetto, pupattolino.- aggiunse il mostro di destra -Non avresti speranza contro di noi.-

Era troppo. E le croci templari nelle sue iridi ne erano la prova.

-ADESSO BASTA!- tuonò, spingendo la tartaruga verso la neve. Leonardo non aveva avuto il tempo di stabilizzarsi.

-Eli, no! Non farlo!-

In preda all'ira, era divenuta sorda. Si era sciolta persino il laccio che teneva saldo il cappuccio, per avere una miglior visuale.

-Uuuhh! Il pupattolino più piccolo è arrabbiato!- provocò di nuovo quello di sinistra, fingendosi spaventato dall'aura rossa e bianca.

Un urlo precedette un attacco caricato da parte della templare. Non le importava se quei mostri fossero alti dieci metri, chiunque la provocasse doveva perire sotto la sua lama.

Le zampe erano il suo obiettivo: se fosse riuscita a tagliare i tendini, li avrebbe fatti inginocchiare, poi avrebbe tagliato le mani e poi mirato agli occhi.

Ma quei mostri erano grandi e sembravano prevedere i suoi attacchi. Più volte, la ragazza aveva rischiato di cadere sulla neve, accecata dalla rabbia.

Proteggersi con Hellas non fu sufficiente per parare il calcio che ricevette.

-Tornatene a casa, pupattolino bianco.- suggerì il mostro di destra, ridendo insieme all'altro.

Leonardo la soccorse. Ma non voleva aiutarla a combattere contro i due mostri.

-Ti prego, rinuncia.- la esortò, parlandole con calma -Non puoi vincere contro di loro.-

-GIAMMAI!- si ostinò lei, tornando in piedi, più furiosa di prima -SONO UN OSTACOLO! DEVO ELIMINARLI!-

Pensiero occidentale: se trovi un ostacolo nel tuo cammino, distruggilo. Un pensiero simile a quello di Shredder, dei Triceraton e della Federazione. Uno più guerrafondaio dell'altro.

Per quanto fossero potenti i suoi attacchi, Elisabetta non riusciva nemmeno a sfiorare i due mostri.

Una mano enorme, alla fine, la prese e la sollevò da terra. Persino le sue braccia erano bloccate.

-E adesso come la metti, pupattolino bianco?- provocò nuovamente quello di sinistra -Senza le tue braccia non puoi fare nulla, a quanto pare.-

Entrambi risero.

-LASCIAMI ANDARE SUBITO!- ordinò lei, dimenandosi.

Ma il mostro stringeva ancora più forte, lasciandola quasi senza fiato.

-Il tuo cosiddetto potere non è molto utile, adesso.-

Leonardo era sempre più preoccupato. Si mise sotto i due mostri.

-Vi prego, lasciatela...!- si corresse subito -Ehm! Lasciatelo andare!-

Prima di scendere dalla nave, Elisabetta gli aveva fatto una richiesta: di chiamarla Eliseo e rivolgersi a lei come uomo, in cospetto di altre persone.

Ma ormai aveva rivelato la sua vera natura. Senza volerlo.

-Oh... il nostro pupattolino allora è una donna.- realizzò il mostro di destra.

La rabbia della templare si trasformò immediatamente in qualcos'altro. Imbarazzo, vergogna.

-Oh, e ora sta cominciando a piangere.-

Si era voltata verso Leonardo, con aria di rimprovero. Lui guardò in basso, anche lui imbarazzato, ma senza provare alcuna colpa.

-Uomo o donna...- riprese il mostro di sinistra, aprendo la mano con cui aveva intrappolato la templare -Un guerriero che attacca per rabbia è destinato a non vincere mai.-

Elisabetta cadde nel vuoto, verso la neve, ma Leonardo fu abbastanza rapido da prenderla tra le sue braccia.

Lei si dimenò per toccare terra da sola, come se non avesse gradito quell'aiuto, dopo quel piccolo tradimento.

Il suo potere era svanito e lei era tornata normale. Ma con una morsa amara nel cuore.

Leonardo le mise una mano dietro la schiena, esortandola a camminare.

-Su, andiamo...-

-Camminate verso quella roccia fino a quando non vedrete le vostre ombre.- spiegò il mostro di destra -Poi chiudete gli occhi e contate sette passi. A quel punto, potrete aprire gli occhi.-

-E ricorda la lezione, pupattolina.-

Templare e ninja erano già lontani, quando li udirono nuovamente ridere.

Elisabetta si stringeva nel suo mantello, con il cappuccio nuovamente alzato e non solo per ripararsi dal freddo. Ma anche per nascondersi per la vergogna.

Seguirono entrambi le istruzioni dei due mostri.

Dal paesaggio innevato, infatti, si trovarono di fronte ad una terra arida, illuminata dalla luce del crepuscolo.

-Siamo vicini, ma ci conviene accamparci, per la notte.- suggerì Leonardo, continuando a tenere un braccio sulle spalle della templare.

Lei continuava a guardare in basso, triste, delusa.

-Ti avevo chiesto una sola cosa, Leo...- mormorò, con la mano che le tremava ancora dalla rabbia -Una cosa sola. E tu hai subito infranto la tua promessa.-

Aveva infranto una promessa. Ma non lo aveva fatto apposta. Era ormai abituato a chiamarla con il suo nome da donna e rivolgersi a lei con i pronomi femminili. Elementi che la facevano vergognare.

-Lo so, e mi dispiace.- si scusò lui, sospirando -Ma tu non dovresti vergognarti del nome che porti o per quello che sei.-

Non sarebbe stato facile; per tutta una vita, Elisabetta si era vergognata del suo essere donna. Sfoggiava il nome Eliseo ed il suo aspetto da uomo con più orgoglio. Erano divenute le sue vere armature contro il mondo esterno.

 

La notte scese presto.

La templare ed il ninja avevano trovato un posto per accamparsi. Erano riusciti a raccogliere della legna ed accendere un falò. Per dormire e proteggersi dal freddo, dovettero accontentarsi uno del proprio impermeabile, l'altra del proprio mantello.

Sedevano in due parti opposte del falò. Elisabetta era ancora arrabbiata con Leonardo per il suo tradimento, per questo voleva dormire lontana da lui.

-Eli, ti ho già detto che mi dispiace, non volevo.- si scusò di nuovo; ma lei continuava a tenergli le spalle -Mi terrai il muso tutto il tempo?-

Non ottenne risposte.

Lui, però, sospirò.

Lo zaino non era un buon cuscino, ma era sempre meglio di niente, pensò la templare.

Non riusciva comunque a dormire, nemmeno se lo avesse voluto.

La sconfitta le rodeva ancora il cuore. E per dei sibili che la allarmarono.

Scattò a sedere, quando si fecero più vicini.

-Cos'è stato?!- esclamò, allarmata.

Leonardo si voltò, stranamente calmo.

-Spettri demoniaci.- spiegò -Tranquilla, non ti attaccano se non diamo loro fastidio.-

Stavano passando delle sagome eteree, vicino al loro bivacco. Le loro forme erano demoniache. E fluttuavano per aria. Ricordavano quasi i demoni di Faust.

La templare provò un forte senso di disagio, insieme a quello di pericolo.

Erano molto, troppo vicini. E li stavano guardando con dei ghigni rabbiosi sul volto.

L'anello sembrava reagire alla loro presenza. O forse reagiva alla rabbia della sua portatrice, ancora più incontrollabile a causa della confusione nella sua testa.

La luce delle croci templari negli occhi, sebbene per pochi istanti, attirò l'attenzione dei demoni.

Da che li osservavano come formiche, in quel momento sembravano cercare uno scontro.

Le loro fauci si erano aperte, mostrando le zanne.

-Deus mi!- imprecò lei, sguainando Hesperia ed Hellas -Arrivano da questa parte! Leo, sguaina le tue katana!-

Lui scosse la testa.

-No, Eli, è inutile.-

-Inutile?! Quei cosi ci stanno per attaccare!-

Uno aveva già la mano aperta verso la templare, per attaccarla con gli artigli.

Lei deviò da una parte, usando la spada.

Tentò di contrattaccare, ma, con sua grande sorpresa, la spada gli passò attraverso.

-Cosa?!-

Un manrovescio la fece cadere sul terreno. Ciò accrebbe la sua ira, insieme al pensiero di non poter ferire i suoi avversari.

Una mezza dozzina di demoni la stava circondando. Con le dita delle mani arcuate e le zanne in mostra.

Ma la templare non aveva paura. Ne avrebbe stesi anche il doppio, con la rabbia che la stava consumando.

Urlando di nuovo si avventò su quelli di fronte a lei, ma, per quanto ci provasse, non riusciva a colpirli.

In compenso, loro potevano colpire lei.

-Eli, non puoi affrontarli!- cercò di dissuaderla Leonardo, preoccupato non tanto per l'integrità fisica della ragazza, ma quella mentale -L'unico modo per salvarti è dire che ti arrendi!-

-GIAMMAI! IO NON RINUNCIO AD UNA BATTAGLIA!-

Faceva il possibile per proteggersi con Hellas. Ma i colpi che stava subendo stavano cominciando a farsi più forti e più veloci.

“Se la spada non li trafigge, allora ci penserà la forza del mio Signore!”

Si alzò, allontanando i demoni che la stavano attaccando. La croce sull'anello si illuminò di azzurro. Venne puntato in avanti, con la mano chiusa a pugno.

-Reversate in umbras!- esclamò lei, dopo aver scagliato la croce eterea in avanti.

I demoni erano rimasti esattamente dove erano.

Elisabetta era più sgomenta che sorpresa.

La croce eterea aveva sempre funzionato sui demoni e sugli spiriti malefici che controllavano.

Cosa avevano di diverso quei demoni che stava affrontando?

Distratta dal suo stupore, non ebbe il tempo di difendersi dai demoni che la aggredirono alle spalle, facendola cadere per terra.

-Lasciatemi stare, demoni!- ordinò lei, dimenandosi tra i loro artigli che la tenevano ben stretta ai polsi.

-Devi arrenderti, Eli! Non hai scelta!-

Non poteva toccarli. Non poteva ferirli. Nemmeno fare danni con la croce eterea.

E un demone aveva già alzato una mano per aria, diretta alla sua testa.

La templare non ebbe altra scelta.

-VA BENE! MI ARRENDO! MI ARRENDO!-

Non era stata una decisione facile. Tantomeno da accettare. Ma almeno era libera.

I demoni si allontanarono, come se nulla fosse avvenuto.

Templare e ninja erano rimasti nuovamente da soli.

Elisabetta si mise a sedere sull'erba, guardando in basso, verso le sue armi. Le sue valide e fidate compagne, che da quattro anni a quella parte l'avevano aiutata contro qualunque tipo di nemico. Eppure, con quegli spettri, erano state completamente inutili. Per la prima volta, si era sentita debole.

-Eli...- mormorò Leonardo, avvicinandosi cautamente a lei -Stai bene...?-

Le stava per mettere una mano sulla spalla, quando fu improvvisamente aggredito da lei, a tal punto da farlo sdraiare per terra, con la lama di Hesperia premuta contro la sua gola.

-PERCHÉ?! PERCHÉ MI HAI DETTO DI ARRENDERMI?!- esclamò, con le croci templari ancora nei suoi occhi -NESSUN GUERRIERO SI ARRENDE! ARRENDERSI È QUELLO CHE FANNO I VIGLIACCHI!-

Lui non aveva avuto il tempo di sguainare le sue katana. Visti da vicino, quegli occhi erano davvero spaventosi.

Ciononostante, non si lasciò intimidire.

-E combattere senza una testa ti sembra una scelta migliore?!-

Esattamente le stesse parole che, anni fa, gli aveva rivolto l'Antico, quando anche lui era nella stessa situazione di Elisabetta. Ed aveva avuto la stessa esperienza con quei demoni.

La templare sembrò calmarsi, a giudicare da come i suoi occhi fossero tornati normali.

Rinfoderò Hesperia con mano tremante.

Rinunciare ad una battaglia non era da lei. Non lo sarebbe mai stato.

Scappare o arrendersi era da lei considerato come gesto degno di un vigliacco.

E lei non lo era. Non voleva esserlo. Avrebbe preferito morire in battaglia, che scappare.

La sua missione, Federico, erano stati i due motivi per cui aveva pronunciato quelle due parole vergognose: “Mi arrendo.”

Non poteva morire. Non ancora.

La vergogna, però, continuava a persistere. La vergogna di essere uscita sconfitta da dei nemici che non poteva nemmeno toccare, nemmeno con la croce eterea.

Corse lontano da Leonardo, prima di mettersi in ginocchio sul terreno, ma non per pregare.

I suoi pugni si scagliarono per terra, veloci, come aveva fatto con Leatherhead.

-SONO UN'INCAPACE! NON VALGO NIENTE!- urlava, ad ogni pugno.

Si stava creando una voragine, intorno a lei.

-SONO DEBOLE! PATETICA! NON SONO NESSUNO!-

Erano urli di rabbia, ma misti anche ad un qualcosa simile al pianto.

Leonardo tentò nuovamente di calmarla.

-Eli, ti prego, non fare così! So come ti senti...-

Aveva atteso che i suoi pugni rallentassero, prima di avvicinarsi a lei.

Voleva nuovamente abbracciarla, ma ancora una volta quell'intenzione venne rifiutata con uno schiaffo sulle mani.

-Lasciami stare!-

Il suo cuore era spezzato, ma le lacrime erano ancora bloccate. L'orgoglio, spezzato come il suo cuore, le impediva nuovamente di piangere.

-Non valgo niente.- mormorava, tornando al bivacco, stringendosi nel suo mantello -Senza i templari non valgo niente. Non sono nessuno...-

Leonardo era rimasto fermo, a fissarla, fino a quando non era tornata al falò.

Era esattamente così che si era sentito anche lui, nel suo primo viaggio in quelle terre: debole, inadeguato. Ma per un motivo del tutto differente rispetto al suo.

Scosse la testa, quasi sospirando.

“È davvero più fumantina di Raph...” pensò.

 

Uno stemma tornò a brillare, sulla torre un tempo a forma di tempio giapponese.

Ma non era il simbolo del Clan del Piede ad essere acceso: era una croce rossa, con lo sfondo sopra bianco e sotto nero.

Ogni elemento di Shredder e del Clan del Piede era stato cancellato da quella torre.

La facciata, come l'interno, era stata decorata in stile gotico.

La sala un tempo appartenuta a Shredder era ornata con statue di santi e dipinti raffiguranti episodi della Bibbia, di artisti delle varie epoche, dal Medioevo al Seicento. E le vetrate raffiguravano i precedenti Grandi Maestri Templari, da Huges de Payns a Jaques de Molay.

E il grande tavolo con l'incisione “PAUPERES COMMILITONES CHRISTI TEMPLIQUE SALOMONIS” intorno al rilievo della croce templare era al centro.

E, dove un tempo sedeva Shredder, sotto un grande crocifisso, c'erano quattro troni: lo spazio dedicato al tetravirato, David, detto Magister, Andrea, detto Lazzaro, Giacomo, detto Galvano, e Luigi, detto Faust.

Era una Base Templare in tutto e per tutto. La dimostrazione che finalmente i Templari erano riusciti ad insediarsi in America del Nord, per raccogliere nuovi adepti e proseguire con il loro proposito.

I Dragon Purpurei si erano rivelati degli ottimi operai, con la giusta paga e la promessa di tornare a regnare sulle bande criminali di New York. Sarebbe stato come se fossero tutti agli ordini dei Templari, esattamente come ai tempi di Shredder. Il padrone era cambiato, ma il modus operandi non era così differente.

David era sollevato nel non dover mai più alloggiare in quel vecchio hangar.

Lo dimostrava il modo in cui era seduto sul suo trono.

Anche Andrea, Giacomo e Luigi erano del suo stesso umore.

Il resto dei Cavalieri Templari erano seduti intorno al grande tavolo, inchinati di fronte ai loro superiori.

Mancava uno solo, Federico, il figlio di David.

Entrò nella sala principale proprio in quel momento, avvicinandosi al tetravirato e salutandoli con un inchino profondo.

-Miei signori...- salutò, senza guardarli negli occhi -I Thai Weasels sono arrivati.-

-Falli entrare.- ordinò, lesto, il Gran Maestro David.

Successivamente la sommossa organizzata per far attirare le Tartarughe alla falsa scomunicata Flagello, non erano stati richiesti altri servizi, da parte dei Thai Weasels, non del medesimo calibro.

Anthony, infatti, sembrava nervoso. E da come la sua fronte luccicava, stava per sudare.

-Benvenuti nella nuova sede Templare, Thai Weasels.- salutò il Gran Maestro, senza alzarsi dal suo trono.

Anthony e la sua banda avanzavano lentamente verso il tetravirato. Fino ad allora, avevano solo visto Galvano e Salterio. Non avevano mai incontrato David. La sua vista incuteva timore. C'era una luce diversa, nei suoi occhi grigi e non era solo per il completamento della Base Templare.

-Quando siete stati assoldati da ser Galvano qui presente...-

Il pelato sorrise in modo strano, nel sentirsi nominare.

-... vi è stato affidato subito un compito. E lo avete svolto egregiamente.-

Anthony ancora non si degnava di guardare il Gran Maestro: qualcosa lo inquietava.

-Grazie, mio signore...- mormorò, muovendo a malapena le labbra -Quindi... non ci avete convocato per un qualcosa che abbiamo fatto male...?-

-Ma cosa dite? Certo che no. Volevamo solo attendere di avere una degna Base, prima di darvi quanto vi spetta, come ricompensa per i servigi svolti per l'Ordine.-

I Thai Weasels, come il loro capo, emanarono un sospiro di sollievo. Temevano una punizione per i loro fallimenti, o per timore di aver fallito la loro prima missione. Non pensavano sarebbero stati ulteriormente ricompensati, oltre alla paga in valute templari.

Salterio, però, non sembrava sollevato. E Galvano continuava a sorridere in modo strano.

David si voltò verso uno del tetravirato.

-Fratello Faust, vorresti, di grazia, condurre i nostri graditi ospiti nella sala del tesoro?-

L'interessato fece un silenzioso cenno della testa.

-Seguitemi.- disse, alzandosi dal suo trono.

Da preoccupati, i Thai Weasels divennero entusiasti al pensiero di un premio che non fosse solo denaro.

La porta in cui entrarono non era molto distante dai troni.

-Prendete pure ciò che volete.- indicò il templare, una volta aperta la porta e facendo loro cenno di entrare -Come vedete, siamo generosi con chi ci serve bene.-

Non c'erano solo valute templari, all'interno della sala del tesoro: gioielli, lingotti d'oro, pietre preziose...

Nessuno poteva vantare ricchezze simili, nel mondo.

Gli occhi di Anthony e dei Thai Weasels si illuminarono, di fronte a quel tesoro. E Faust aveva detto che potevano prendere tutto quello che volevano.

-Siamo in paradiso...?- mormorò il giovane, dandosi spesso dei pizzicotti, per assicurarsi che non stesse sognando.

Ma era vero. Quell'oro era vero.

-Che aspettate?!- annunciò, a gran voce -Prendiamo tutto!-

Naturalmente, i suoi uomini e donne si gettarono a capofitto nelle ricchezze di quella meravigliosa sala del tesoro.

Alcuni prendevano delle valute templari, per farle scorrere sulle loro dita, altri nascondevano i lingotti nei loro giacchetti di jeans; le donne, invece, provavano i gioielli e si impersonavano come regine.

Anche Anthony si inginocchiò di fronte ad un bel mucchio di valute templari. Ne prese una manciata in mano.

-Siamo ricchi!- annunciò, colmo di cupidigia -Pensate cosa potremo fare con un tesoro così! Altro che volgare banda di strada! Quando usciremo da qui, daremo inizio alla nostra conquista di New York!-

I suoi uomini urlarono con approvazione, pregustando la loro ascesa nel mondo del crimine, aspirando di superare persino i Dragoni Purpurei, come prestigio.

Una luce accecante li illuminò all'improvviso.

Proveniva dal fondo della stanza. Era un grande faro: una luce violacea che sembrava girare come una spirale.

Alcuni dei Thai Weasels si sentirono come attratti da quella luce, ma non per propria volontà.

E non stavano nemmeno camminando: una curiosa forza magnetica li stava proprio trascinando verso quella luce.

E sparirono in essa, senza nemmeno urlare.

Altri fecero la loro stessa fine. Uno ad uno, venivano inghiottiti da quella luce.

Quando lo compresero, era troppo tardi: quella luce era un portale. Erano stati attratti in una trappola.

-No...! No!- esclamò Anthony, il prossimo ad essere attratto da quella luce.

Cercò di tenersi a dei lingotti, con la speranza che fossero più pesanti di quanto sembrassero.

-Non mi porterete via dall'oro!- esclamò, cercando di non mostrare alcuna paura di fronte a quella luce che lo stava privando dei suoi uomini. Erano rimasti in pochi.

Diede un fugace sguardo ai lingotti a cui si stava tenendo. Tuttavia, si accorse di non star toccando dei lingotti: una testa mostruosa gli ruggì contro, fissandolo rabbioso. Pelle verde, occhi rossi, quattro braccia.

Anthony urlò alla vista di quel mostro, con una paura tale da fargli mollare la presa. Urlò persino quando era vicino al portale: aveva intravisto qualcosa, dall'altra parte, un mondo in fiamme, con persone che si dimenavano in un lago di pece, tentando di liberarsi.

-No! No! Non voglio morire!-

Le urla non allarmarono il tetravirato. Anzi, sorridevano.

-E un'altra banda è sistemata...- sospirò, sollevato, David, come se si fosse liberato di un peso.

Andrea, Giacomo e Luigi avevano le mani aperte rivolte una verso l'altra: un globo viola si era formato in mezzo ad esse, una sorta di unione dei loro poteri, il legame con il mondo dei morti di Lazzaro, il potere demoniaco di Faust, catalizzati entrambi dai fulmini di Galvano avevano creato quel portale.

-E hanno davvero ottenuto quello che meritavano.- aggiunse Giacomo, tornando seduto comodo sul suo trono. Lo sforzo non era stato eccessivo, ma sentiva comunque il bisogno di rilassarsi.

Il tesoro non era reale. La stanza, non appena la luce si era spenta, era tornata vuota.

Tutto ciò che i Thai Weasels avevano visto e toccato altro non era che una visione di Avarizia.

Luigi lo aveva evocato nell'esatto momento in cui aveva aperto loro la porta.

E non era stata la prima banda a sparire in quel modo. Altre bande finite al soldo dei templari, dopo settimane o mesi di servigi, erano spariti in circostanze misteriose.

-In fondo non è stata una gran perdita.- notò David -Non valevano granché. Oh, beh, gli agnelli sono destinati al sacrificio di un desiderio superiore. E ogni agnello che noi sacrifichiamo ci porta sempre più vicini al nostro obiettivo.-

Il resto dei templari restò serio, senza dire una parola: nessuno aveva il coraggio di obiettare le decisioni del tetravirato, per timore di fare la stessa fine dei Thai Weasels.

Non avevano mai visto, però, la strana luce negli occhi del Magister. Non era la prima volta che una banda criminale veniva uccisa dai poteri congiunti di Lazzaro, Faust e Galvano, ma David era sempre rimasto impassibile. Quella volta, però, stava sorridendo.

Federico teneva lo sguardo basso. Ogni volta che sentiva le urla, chiudeva gli occhi. Odiava quel lato del padre, la crudeltà che mostrava con le bande criminali. Disonorava il codice templare, secondo lui.

Ma, come i confratelli, il suo timore lo spingeva al silenzio.

Si limitò solo a giocare con l'anello, girandolo più volte.

Erano ormai due sere che non comunicava più con Elisabetta. Lei non rispondeva alla chiamata.

Era preoccupato. Non aveva più notizie. Temeva le fosse accaduto qualcosa. O che si fosse dimenticata di lui.

Mai Elisabetta si sarebbe dimenticata di Federico: non voleva farlo preoccupare, parlandogli di quanto la comparsa di Omnes l'avesse sconvolta a tal punto da non riuscire più a controllare il suo potere. E non voleva allarmarlo, riferendogli del viaggio che avrebbe compiuto in Oriente. Non lo aveva riferito neppure a David.

“Eli, le cose stanno peggiorando.” pensò Federico, immaginando di parlare con lei nella Dimensione Mistica “Mio padre sta impazzendo per questa ricerca del Graal. Ti auguro davvero di non tornare...”

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"Elisabetta riuscirà a controllare la sua ira?
Cosa la attenderà, una volta al cospetto del Tribunale Ninja e dell'Antico?
Leonardo otterrà mai risposte alle sue domande?

Cosa significheranno, davvero, i suoi sogni sul ninja e sul templare?"

   
 
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