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Autore: ClodiaSpirit_    18/02/2022    2 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Clo's: ogni tanto ritornano.
La mia testolina partorisce un momento preciso e si butta di getto a scribacchiare.
Ogni tanto ritornano e mancano.
Ritornano prepotentemente mischiando un po' di tutto. Spero di non risultare too much o extra, ma mi piaceva l'idea di un ulteriore conoscenza - che vederete presto qua - e che apra un po' più gli occhi sui momenti di vita che mi piacerebbe vedere e che forse non vedrò mai. Questo, è uno di quelli.
Dante sa di Manuel e Simone, anche Anita lo sa.
Chi manca quindi ?
Non voletemi troppo male se potete.
Questo capitolo avrà una seconda o terza parte (ancora è da decidere), ma intanto questa prima è nata. Vi ringrazio per continuare a leggere ciò che scrivo perchè in parte, mi fa sentire di fare qualcosa di buono con il mio tempo. Per il resto, resto un caso perso, lol.
Buona lettura, keyword del capitolo : Scozia.









Le dita sopra i suoi ricci si muovevano leggere, frugandoci in mezzo, scandendo il giusto ritmo per dare loro il tempo di fermarsi in un punto e riprendere poco dopo. Come se quelle lunghe dita sollevassero la sabbia o toccassero qualcosa di estremamente delicato e prezioso, studiavano ogni movimento.
Manuel si lasciava andare a quelle premure e quelle attenzioni, mentre con l'altra mano guardava perso il cellulare. Simone e Manuel erano a di questo, distesi sul suo letto, con un copriletto decisamente diverso, quel giorno, caricato di un potente blu elettrico acceso, contro le pareti della stanza. Ormai arrivati in un giorno afoso di giugno, le imposte delle finestre erano inevitabilmente aperte, il caldo di Roma soffocava la gente fuori, ma a loro non importava minimamente del clima, a giudicare dalle loro posizioni.
Nel silenzio di una domenica, Simone si era fermato a casa sua, approfittando dell'uscita momentanea di Anita. Manuel sembrava interessato molto a un video sul telefono, poi però, quando quella passò, mise il blocca schermo e buttò il telefono di lato, alzò il viso fino a incontrare la figura di poco più alta di Simone affianco a lui.

« Quindi è tutto vero? » esordì trasognato.

Simone arricciò il naso confuso. La maglia a maniche corte che portava gli si incollava al petto e anche se risultava di un colore spento, gli rendeva giustizia.

« Cosa? »

« Che voliamo in Scozia insieme, Simò »

Simone ebbe un balzo piccolo in petto, ma lo condensò in un piccolo sorriso che non cancellava tuttavia il battito comunque più veloce.

« Mi hai detto di sì, no? » gli stampò un bacio sulla tempia.

Manuel annuì, piano, poi si alzò di poco, per essere alla sua altezza lungo il materasso. Si mise di fianco, mentre il braccio si poggiava, il gomito schiacciava il tessuto sottostante e Simone spostava la mano lungo il suo braccio, stavolta.

« Me dovrai scusà tutte le volte che parlerò, non mastico l'inglese o almeno, » sospirò con una smorfia « a scuola ce provo, me impegno ma quelli sò i risultati »

Simone rise leggero. Conoscendolo, avrebbe attaccato discussione col primo cameriere che non riusciva a capire. Ma in fondo, gli piaceva anche per quello, non aveva filtri e il suo carattere riusciva sempre ad avere la meglio su Manuel.

« Le basi sono chiedere un caffè, ordinarlo e chiedere informazioni. Poi sei apposto, » le dita affusolate si mossero disegnando linee verticali cadenzate, senza fare troppa pressione « e poi ti faccio io da guida, sta tranquillo »

Manuel si abbandonò lungo il cuscino, un lieve accenno si formava sulle pieghe della bocca. Come in uno stato di trance contemplativa, i suoi occhi si chiudevano e le narici si muovevano, riempiendosi e svuotandosi calme di aria.

« Devo ancora dirlo a mia madre, » mormorò « ma penso non ci siano problemi »

« Se ha messo te al mondo Simò, non me preoccuperei più di tanto »

« E perché? »

« Perché senza di lei, mica te conoscevo »

Oh.

La sfacciataggine di Manuel era qualcosa di difficile a cui abituarsi, nonostante fossero passati mesi e nonostante stessero insieme da tutto quel tempo. Era una particella piccola, eppure così di stupore per Simone. Lo era sempre stata: quel non possedere più filtri che si era proprio mostrato in maniera incisiva, inisibita dopo che l'altro si era fatto avanti. Forse Simone non si sarebbe mai davvero abituato, sapeva che quel cambiamento, seppur banale in superficie, aveva preso completamente le trame di ogni sua fibra corporea.

« Non sono preoccupato, sono solo...curioso » scrollò le spalle.

Manuel suonò un po' a bruciapelo adesso, come una macchina sparapetardi, si trovò a masticarsi il labbro inferiore e spingere in avanti il pulsantino.

« Le hai parlato de me quando te ne sei andato quella volta, vero? »

Ahia.

Simone si inumidì le labbra, annuendo velocemente.

« Sì, qualcosa le ho detto... » il tono era consapevole, fermo. « non tutto, ma insomma tra il dirle che ero gay e le varie cose, il tuo nome è venuto fuori. Sarebbe stato strano il contrario. »

Manuel mostrò l'arcata superiore dei denti, che si premeva contro il labbro, annuendo, formulando forse qualche altro pensiero che gli girovagava in testa. Deglutì poco dopo. Simone lo scrutò meglio, non annullò mai il contatto fisico, come se quei piccoli tocchi potessero in qualche modo aiutarlo a scaricarsi. O a scaricare qualsiasi cosa tenesse chiuso dentro.

« Non tutto, tipo? »

« Tipo che non mi corrispondevi, che volevo assolutamente non tornare a Roma perché avevo paura di rivederti. Cose così. »

Manuel disegno ò un 'oh' con la bocca. Simone lo studiò ancora. « Le ho detto di Christian. E che ci siamo lasciati, le ho detto che c'era un'altro, » i suoi occhi si fecero ancora più grandi « ma non le ho detto che eri tu.»

Manuel sembrò elaborare meglio tutte quelle informazioni, facendo mente locale sullo sguardo ipotetico della madre di Simone quando lo avrebbe visto varcare la soglia di casa sua. Cosa avrebbe detto? Come si sarebbe presentato? "Salve ho fatto soffrire suo figlio in passato, ma adesso so che voglio stare con lui". Non suonava proprio bene.


« Almeno so da dove comincio, meglio sapere che no, al contrario di Socrate. Ora sono un po' preparato, è meglio »

Manuel era...teso? Cosa c'era da essere tesi, erano ragazzi, era solo una nuova conoscenza. Importante per carità, ma iniziale.

« Guarda che è solo mia madre, non un plotone d'esecuzione eh » lo schernì giocosamente Simone.

Manuel lo guardò serio però, come se si fosse appena depositato su di lui il peso di tante piccole pietre. Simone si sporse per dargli un bacio lampo. Lo hai detto tu, non c'è da preoccuparsi, è solo una visita e andrà bene, » la mano si spostò sulla spalla stringendola appena, il tessuto dal maglia che formava delle grinze « sono sicuro che le piacerai »

Manuel si lasciò cullare dalla presenza della mano di Simone sul suo viso e inspirò. Si tranquillizzò appena allungò le mani sui suoi fianchi. Amava farlo, sentirlo la pelle del suo ragazzo sotto le sue dita lo faceva sembrare reale. Lo rendeva cosciente di essere davvero in una relazione con lui.

« Speriamo Simò »

Simone lo avvolse di nuovo vicino, i ricci gli solleticavano il collo, e il naso e il mento erano poggiati sulla sua maglietta. Il calore si espandeva velocemente e le dita ritornavano a disegnare linee immaginarie lungo la schiena, toccando ogni tanto il braccio, il polso. Le sue dita si piegavano, le unghia si sentivano appena. Simone aveva un tocco delicato e rassicurante.
Manuel sospirò sonoramente rilassato.

« Anch'io voglio imparà a fa' ste cose » disse all'improvviso.

« Quali cose? »

Manuel toccò lentamente la mano di Simone, che adesso restava ferma a mezz'aria all'altezza del rene del ragazzo. « È tutta una questione di ritmo, » mormorò « non ci vuole granché »

« Come hai detto che se chiamano? »

La tenerezza di Manuel era oltre limite del possibile. Simone roteò gli occhi, cancellando l'immagine appena formatasi di Manuel con in braccio un animale. L'idea era veramente carina, ma sinceramente non avrebbe mai avuto il coraggio di esporla apertamente con Manuel. Lo avrebbe sicuramente deriso fino alla morte.

« Grattini »

« Me sto rilassando un sacco, » riprese, farfugliando sopra la sua maglietta, il respiro caldo arrivò dritto attraverso il tessuto « c'hai le dita magiche Simone »

La risata riempì la stanza, mentre gli depositava un bacio sull'orecchio, non potendosi aggrappare alla sua bocca. Lo avrebbe fatto volentieri, se solo avesse potuto.

« Ti svelo un segreto, se mi tocchi i capelli, e riesci a non torturarli, mi addormento » soffiò quasi con un velo di malinconia « lo faceva sempre mia madre quand'ero piccolo, quando non riuscivo a dormire. Si distendeva con me. Le favole non facevano granché effetto con me, lei, era più brava. »

Il teppistello si voltò a guardarlo, dal basso. Si immaginò un piccolo Simone alle prese con le serate insonni, la testa piccola, le gambe rannicchiate. Forse aveva smesso di dormire bene anche per la perdita di Jacopo. Sospirò, pensando che adesso invece ci sarebbe stato pure lui ad evitargli gli incubi.

« Va bene allora quando vuoi, sono a disposizione Simò. Anche perché nun me sembra giusto a essere solo io quello che riceve i trattamenti speciali » si abbarbicò ancora di più alla vita di Simone, depositandogli un bacio sulla maglia, all'altezza del cuore.

La beatitudine di quel momento durò poco però. Un cellulare squillò, vibrando sul capezzale.
La musica non ebbe il tempo di suonare la sua melodia per molto, poiché Simone ruotò il busto, agganciò la mano sul mobile evitando di fare cadere a terra l'apparecchio e lesse il nome sul display.
Subito, sembrò accendersi una comprensione istantanea, scambiandosi un rapido sguardo con l'altro, prese la chiamata. Simone si portò il cellulare all'orecchio.

« Ehi, mamma, ciao » il sorriso si ampliò sul volto, mentre la voce arrivava un po' più amplificata all'orecchio di Manuel, poggiato ancora su di lui. Sarebbe rimasto lì, se non avesse sentito subito il corpo del suo ragazzo irrigidirsi di colpo. Manuel alzò di scatto la testa, vedendo Simone rabbuiarsi completamente. « Che cosa significa? » lo osservò mangiarsi quasi le parole, sempre mantenendo la presa salda su di lui, si sistemò lungo il materasso.
Cercò di decifrare il viso di Simone, leggendo forse tristezza, ansia, preoccupazione. Forse tutte e tre. Manuel non riusciva a capirlo.
Questa volta socchiudeva gli occhi, le parole che vennero dopo gli uscirono spezzate. « Da quanto lo sai, da quanto? » Simone deglutì, suonando sconvolto. Mentre continuava a non torturarsi, si portava una mano a coprirsi faccia e con l'altra cercò qualcosa a cui reggersi. Manuel rispose subito senza nemmeno fargli perdere tempo. Il ragazzo annuì, evitando di guardarlo però, prese a respirare subito dopo, come se avesse ritrovato l'aria in corpo, i polmoni che si riempivano. Simone si sostenne alla presa dell'altro, come se non avesse più forza per se stesso e la cercasse in Manuel.

« Papà lo sa? »

Il teppistello indagò, pensando a che cosa potesse essere successo anche se la reazione del suo ragazzo era decisiva: era qualcosa di grave. « No, mamma, io ti raggiungo prima, » Simone cercava la stabilità, soprattutto serrando la mascella ora, in una pressa ferrea, ma Manuel sapeva che non era così, aveva già perso la serenità di qualche minuto prima, era lampante. La serenità assaporata pochi istanti prima, leggeri e spensierati da soli, di quando avevano riso con qualche video stupido su internet, dello stare semplicemente nel silenzio.
« Io mi faccio rimborsare il biglietto, lo rifaccio e vengo. No, ascoltami tu! » riprese sua madre al telefono, impostando la voce « Non puoi impedirmelo, riguarda tanto te quanto me. Non puoi stare in quella casa senza nessuno, senza un aiuto e io ho bisogno di vederti ancora di più, adesso. Lo so, lo so ma lo capisci che dovevi comunque farmi sapere qualcosa? Dammi il tempo di organizzarmi, qualche giorno e sono lì... »

Manuel lo guardò ancora, provando in qualche modo a infondergli sicurezza mentre gli spostava la mano a mo’ di corazza che Simone portava ancora davanti alla faccia. Un’espressione tramortita aveva sostituito la calma antecedente e la prima lacrima gli rigava appena la guancia destra, creando un solco preciso.

Cazzo.

« Sì, ti faccio sapere. Tu riposati, hai capito? Ti voglio bene anch'io mamma. »

Appena riagganciò, Manuel non gli chiese niente, anche perché Simone non riuscì più a trattenersi. Tremante il ragazzo serrava gli occhi e la mascella risultava contratta nell'atto di farsi ancora da scudo. Scudo che crollò nel momento in cui Manuel si avvicinò a lui, sfiorandogli la pelle. Il pomo d'adamo si mosse in uno spasmo veloce e Simone non potè più nascondersi.

« Mia madre...le hanno, » era spezzato, il singhiozzo lo accompagnò a coronare le ultime parole « le hanno riscontrato un piccolo tumore, non si sa se benigno o di forma più invasiva »

Manuel lo afferrò e lo strinse subito in un abbraccio, mentre Simone si lasciava andare ad un pianto liberatorio contro la sua spalla. Non disse nulla, solo lo avvolse con tutto ciò che aveva a disposizione, le sue braccia, la sua presenza, il suo silenzio. Non c'era bisogno di dire niente, semplicemente aveva solo bisogno di sfogare ciò che aveva appena saputo.
I singhiozzi di Simone si alternarono a dei sommessi respiri che cercava di recuperare, ma che non erano regolari, perché ogni volta che ci provava, ricascava nella morsa delle parole di sua madre.
Il petto gli pesava come un macigno e risentiva la sua voce. Sembrava tranquilla, o almeno così gli era sembrato. Aveva saputo quella cosa da una settimana, ma per via dei vari impegni di lavoro, aveva dimenticato. Sua madre si era accorta del problema solo dopo aver controllato delle analisi con dei valori che non quadravano.
Era in ritardo di almeno un mese e aveva fissato di corsa l'appuntamento. Lei sembrava tranquilla, ma Simone avrebbe voluto mangiarsi il mondo, le mani, si sarebbe giocato tutto piuttosto che crederci. Sua madre era da sola, a Glasgow.
Per quanto fosse forte, non aveva nessuno se non qualche collega di lavoro a cui parlarne, ma nessun affetto famigliare. Sua madre, l'unica che lo aveva capito quando suo padre si presentava e scompariva a suo piacimento. La donna che c'era sempre stata per lui, stava male e lui era lì, a Roma, con suo padre, coccolato dal suo ragazzo. Si sentiva in colpa, non c'era stato per lei e doveva raggiungerla. Doveva andare da lei, doveva starle vicino.
Il fascio di nervi colpì di nuovo Simone, che riprese a piangere. Manuel non si allontanò nemmeno un attimo, la mano salì e gli accarezzò la nuca, l'altra rimase fissa sulla sua schiena. Il respiro era strozzato e la mano di Simone si aggrappava alla maglia di Manuel, adesso.

« Non ci credo, è surreale... io de-devo partire » sibilò tra i denti, con la voce rotta « entro questa settimana, non ce la faccio a restare qua »

Manuel lo accarezzò ancora, la mano si muoveva come poteva, cercò di muoversi lenta. Chiuse gli occhi, sospirando inutilmente. Si sentì subito impotente, nonostante sentisse Simone respirare meglio, adesso, non sapeva cosa fare.
Il ragazzo si stava calmando, ma le mani non smettevano di tremargli, tantoché la sua presa si era fatta molle intorno a lui e Manuel dovette proprio sorreggerlo per entrambi.                                                                                                                       
La figura di Simone ricadeva senza controllo, sfinita come fattasi inconsistente, trasparente. Cosa poteva fare, effettivamente? Simone doveva raggiungere sua madre. Questo era ovvio, era la priorità assoluta. C'era da rifare tutto, organizzare di nuovo, annullare il volo prenotato, riordinare i pensieri. Questo però significava anche fare partire Simone in solitudine. Forse avrebbe voluto così, ma no non era fattibile, in quello stato, non avrebbe retto durante il viaggio e forse neanche dopo. Manuel sentì che non era giusto.
Vederlo così spezzato - di nuovo - anche se non per colpa sua, ma per un'altra persona a cui teneva tanto, non era discutibile. Non sopportava l'idea però che affrontasse tutto quello da solo, senza nessun sopporto, senza una spalla, senza qualcuno con cui parlare.

« Vengo con te »

Simone si sganciò un attimo, stropicciandosi gli occhi. Quei begli occhi grandi da cerbiatto che amava, erano rossi, stanchi, invecchiati così velocemente. Fino a pochi istanti prima sussurravano calma, spensieratezza. La mano di Simone cadde di nuovo giù, lo sguardo si abbassò. « Guardami » il ragazzo lo guardò combattuto « Non fà storie, non ti faccio partire così. E poi te lo avevo promesso, sarei venuto a prescindere. Me la sbrigo io con mi madre, tu pensa ai biglietti, partiamo quando vuoi, se te la senti anche domani »

Simone aveva una faccia stralunata, come se gli fosse caduto dal cielo un appiglio indistruttibile su cui fare affidamento. Un portafortuna da usare prima di una prova difficile, l'ancora sicura a cui tenersi per non cadere. E dire, che non pensava mai che avrebbe avuto la fortuna di trovare tutto quello in unno come Manuel. Annuì, mentre tirava su col naso, che sentiva bloccato per ovvie ragioni. « Non ti lascio da solo, Simò » lo riprese con sè, strofinandogli i polsi sulle guance ancora bagnate, poi i pollici accarezzarono la pelle umida « ci sono, sono qua. Andremo insieme da lei. »

Non aggiunse nient'altro, non ce n'era proprio bisogno. Bastava quello. Non ci fu bisogno di dire altro perché Manuel era capitato nel momento più inaspettato e in quel momento, lui era lì a raccoglierlo. Simone si ritrovò di nuovo a tirare su col naso, mentre Manuel ritornava a stringerlo forte circondandolo con le sue braccia.






Mentre faceva la valigia, Manuel pensò subito a come aveva lasciato Simone il giorno prima. Uscito da casa aveva avvertito di nuovo il suo stato di impotenza fare capolino. L'unica cosa che era riuscito a fare, era mandargli qualche messaggio, ma si era in ogni caso sentito inutile. Sarebbero partiti due giorni dopo, con un volo dell'ultimo minuto. Stringendo il piccolo maglioncino tra le mani, sospirò forte. Forse non era la persona più giusta per accompagnarlo, però voleva esserci. Era la cosa giusta da fare.
Simone per lui era sempre stato presente, senza che l'altro glielo chiedesse. Gli doveva questo, tante altre cose e in futuro, chissà cos'altro.
I binari di quel percorso di vita li aveva fatti incontrare, le rotaie si erano curvate in modo brusco, ma avevano finito per riagganciarsi dopo un tratto spezzato. Come delle vene che portavano il sangue al cuore, per Manuel vedere il suo ragazzo in quelle condizioni, non era stato piacevole e si era raggelato a sentirlo piangere. Era questo che aveva provato quando lui non lo corrispondeva? Scacciò quel pensiero, sentendosi un retrogusto amaro in bocca. Se avesse potuto, avrebbe fatto tutto il possibile per farlo stare meglio.
Andare in Scozia, era una di quelle.
Sistemò qualche altro paio di jeans, qualche calzino in più, ma soprattutto aggiunse uno strano berretto che aveva trovato tra le varie cose che non metteva più. Non sapeva che tempo avrebbero trovato ad aspettarli a Glasgow, ma era sempre meglio non farsi mancare nulla. Quando aveva parlato a sua madre, Manuel la aveva vista comprensiva, come poche volte in quei tempi. Gli aveva solo risposto 'vai, ha bisogno di te'.
Era così, per la prima volta qualcuno aveva bisogno di lui, per davvero.
Manuel sorrise un poco, mentre adocchiava lo schermo del telefono: il blocca schermo era una foto di Simone di profilo, in bianco e nero. La aveva scattata poco tempo prima, la mattina dopo quel falò in spiaggia, seduti in un piccolo bar del centro. Non era molto chiara, un po' sfocata, ma il ragazzo sorrideva, come se qualcuno gli avesse appena raccontato una cosa divertente. Il pollice si mosse sopra, lasciando la sua impronta sullo schermo.



 
- - -




L'odore di plastica gli arrivò alle narici, le sedie erano tremendamente scomode e le gambe ticchettavano nervose. Manuel non si ricordava l'ultima volta che aveva davvero viaggiato, forse era davvero troppo piccolo per ricordare o forse non aveva mai davvero preso un aereo per allontanarsi da Roma. Mentre la voce robotica del conducente, annunciava le norme di sicurezza e le prime hostess si affacciavano lungo l'intera ala centrale a controllare che tutti avessero allacciato le cinture.
La schiena gli si irrigidì contro lo schienale appiccicoso, colore giallo spento, le mani erano giunte, in grembo e sembravano volersi sfidare a vicenda.

« Tutto bene? »

Simone attirò la sua attenzione e annuì distratto.

« Mh, sì, non ho mai preso un aereo » la voce era pregna di tensione, come se qualcosa gli stesse attanagliando la gola.

« Davvero? » suonò incredulo.

Guardò Manuel fingere un'aria tranquilla, con in sottofondo il rumore del motore e delle ventole dell'aereo in azione. In quel momento, con la coda dell’occhio notò una delle due mani poggiarsi sul ginocchio, strizzò la pelle sotto i jeans scoloriti, accartocciando il tessuto. Subito, Simone la raggiunse, e nella sua. Il tutto fu scandito anche da uno sguardo premuroso e aperto.

« So' stupido, lo so, ma penso a sto coso, se ce schiantiamo o se casca giù Simò » Manuel deglutì agitato, vedendo tutti gli altri passeggeri che si rilassavano, chi si indossava le cuffie.

« Respira » gli rispose. L’altro lo seguì, poco dopo, inalando e buttando aria. Manuel annuì, anche se non proprio convinto completamente « Non pensare dove siamo, pensa invece a una cosa bella, quella che ti viene per prima in mente »

« Ce provo, okay, ce sto provando »

Manuel continuò così per qualche altro minuto con quell'esercizio, mentre l'altro gli ripeteva di concentrarsi su altro come se recitasse un mantra. Il ragazzo affianco gli stringeva ancora la presa, senza smettere di guardarlo per infondergli coraggio.
Il motore dell'aereo si fece sempre più presente, avvertì che correva lungo la pista, sempre più veloce.
Le ruote sbattevano contro la strada, provocando un rumore sordo che gli scuoteva il petto. « Simò dio mio, ma che cazzo ma lo senti? » sbottò di colpo. Avvertì lo sguardo di un signore seduto nei posti di fronte che lo guardava interrogativo. Manuel avrebbe tanto voluto fargli il gesto medio, come a suggerirgli di farsi i cavoli suoi.

« Una cosa bella, Manuel. Concentrati solo su quella. » ripetè calmo Simone.

Manuel allora seguì il consiglio, chiuse gli occhi, frugò dentro la sua testa. Una cosa bella, una cosa bella. Poi, affiorò da sé.
Le immagini che gli si disegnarono in testa, erano delle più semplici, ma proprio per questo furono efficaci: lui che aggiustava una moto in officina e si sporcava le mani di olio. Sua madre che lo abbracciava. Poi lo sfondo si colorò di verde, un campo in primo piano. Non capiva che stagione fosse, il sole lo investiva. Su quel campo non era da solo. Una figura riccia in controluce avanzava, gli tendeva con il palmo aperto della mano. Nell'altra un casco. Lui lo afferrava, poi, saliva in sella. Gli occhi venivano colpiti dalla luce, famigliari come sempre.
Manuel respirò a pieni polmoni, mentre stranamente le sue orecchie si erano chiuse per la pressione.
Deglutì, la tensione si sciolse e aprì gli occhi. Il suo viso si voltò per guardare fuori dal finestrino, trasformando la sua età da due a una cifra soltanto.
Il piccolo oblò presentava tanti cumuli di nubi soffici come batuffoli, ognuno di dimensione diversa.
Quelli venivano a poco a poco superati e aperti dal mezzo che fendeva il cielo a velocità sostenuta, ma quanto bastava per passarci attraverso. L'azzurro del cielo sembrava dare vita a quegli spruzzi di bianco vaporoso che si dissolvevano al passaggio dell'aereo.

« Ma che siamo già decollati? » strabuzzò gli occhi, fissando tutto quello davanti al suo naso dalla finestrella ovale.

« Hai visto? »

L'altro si girò, vedendosi Simone farsi più vicino, che gli rubava un bacio. Avvertì che Manuel ora era meno rigido, la presa si era fatta meno forte, ma resisteva comunque. Adesso i nervi si erano assopiti e il ragazzo sembrava aver ripristinato quell'aria tranquilla, da sbruffone che sfoggiava sempre come se si lasciasse scorrere il mondo addosso. Anzi, sembrava farsi eccitata ora che Simone lo osservava meglio.

« Non ce credo, » mormorò, il solito sorriso sghembo « siamo davvero su, stiamo volando! Simone, stamo su in cielo! »

« Uno dei tanti miracoli della tecnologia, sì » se la rideva l'altro.

« Che figata! Siamo altissimi, manco i supereroi aò » continuò, con l'entusiasmo di un bambino.

Il signore di prima alzò gli occhi, sospirando con fare annoiato. Manuel se ne accorse. Simone gli girò il viso, premuroso, come a evitargli di scatenare una rissa lì, in mezzo a tutti.

« Me lo potevi dire che avevi paura degli aerei »

« Non era importante e poi se te lo dicevo, manco me avresti fatto venire » ribatté.

« Non è vero, perché sono stato io a chiedertelo, ti ricordo »

« Con te avrei preso pure un treno merci, se fosse stato necessario Simone, » i suoi occhietti erano sinceri e le labbra si posavano sulle nocche intrecciate « questo era il minimo che potessi fà »

Poi Manuel gli strizzò subito le guance in un gesto euforico, portando le sue labbra su quelle del suo ragazzo. Quello arricciò il naso come fosse infastidito, corrugò appena la fronte. Trovò quegli occhi grandi e profondi a guardarlo e a Manuel bastarono per calmarsi del tutto.

« Non è poco. Non te l'ho ancora detto, perché mi sembrava di ripetermi ma... Manuel, grazie » la voce sembrò quasi sfumare di nuovo in uno stato di tristezza, ricadente nel vuoto di giorni prima « Sembra banale, ma grazie. È davvero importante che tu ci sia, al di là di ogni cosa... »

Si rivide riflesso in quelle pozze castane grandi, che tanto gli piacevano e che adesso sembravano riempirsi di acqua. Manuel schiacciò i loro nasi, la mano ritornava forte con la sua presa, come fosse l'appiglio più saldo che ci fosse.

« Non me devi ringraziare, non te ce mannavo da solo, neanche se me supplicavi in ginocchio. Andrà tutto bene, Simone. » notò come l'altro si tirava un poco su, la mano di Simone era sempre lì, nella sua. Il teppistello poi spinse l'argomento oltre, come a suggerirgli altro a cui pensare « E poi me devi fà conoscere la città, ricordi? »

« Giusto » annuì sorridendo.

« Quando me ricapita de avecce una guida così poi? »

Simone si strinse nelle spalle.

« Sei stato fortunato, » gli lanciò uno sguardo furbo, facendo l'occhiolino « di solito c'è la fila per prendere appuntamento »

Manuel schioccò la lingua, adocchiando un po' i passeggeri intorno. Nessuno questa volta sembrava prestare loro attenzione.

« 'Ammazza, allora ho trovato la pentola d'oro in fondo all'arcobaleno, me sa »

Simone scoppiò a ridere. La testa riccioluta e scura oscillò, mentre l'altro lo seguiva a ruota, chiedendosi però perché.

« Peccato che stiamo andando in Scozia, non in Irlanda » lo corresse.

« E stai zitto, cretino, viè qua »

Lo baciò, godendosi la testa che fluttuava. Fluttuava leggera mentre si scambiavano il calore, le lingue si incontravano, i visi aderivano, fluttuava in quel piccolo spazio dedicato solo a loro, sopra le loro figure, sopra il cielo.






- - -








La città si stagliava davanti ai loro occhi, una volta arrivati a Glasgow.
Il clima era più freddo di Roma, ma non esageratamente freddo. Manuel aveva uscito il berretto dalla borsa a tracolla, prestatagli da Anita, per necessità e lo aveva messo appena scesi in aereoporto.
Manuel aveva visto dall'alto, una terra grande, cucita con lembi di verde, blu e marrone, con strade e quelle che sembravano delle vere e proprie brughiere. Atterrati e preso il primo bus, Simone davanti che sembrava una di quelle guide a cui ti rivolgevi per avere un itinerario di viaggio organizzato per bene, si intravedevano le prime architetture e il lato urbano. Svettavano già i primi edifici gotici alti e appuntiti, le chiese col loro grigio e bruno, il verde copriva lo spazio costellato di cipressi, betulle, siepi, alberi di ogni genere, sparsi qua e la. Simone gli indicò con il dito la Cattedrale, appena la passarono, o come si chiamava, George Square con il municipio e con una statua al centro della piazza dedicata a Re Giorgio.
Il mezzo poi oltrepassò il fiume, - l'andamento liscio come l'olio - dove si trovava uno dei tanti musei d'arte della città.
Era rinomata a quanto pare, non solo per la sua birra, ma anche per gli studi universitari, la storia e le tante opere d'arte, letterarie. Passarono davanti ad altri edifici, alcuni un po' più moderni di altri, qualche pub, qualche negozio, addirittura un piccolo commerciante di lana. Il percorso si interruppe fino ad arrivare in una zona aperta, in cui il cartello della fermata del bus era piazzato in mezzo a un piccolo piazzale curato, con una panchina tinta di arancione e una caffetteria a pochi metri.
L'insegna era spenta, ma le lettere a caratteri più grandi del normale, non erano in inglese, almeno così sembrò al più piccolo. Scesi dal bus, valigie alla mano, Simone e Manuel proseguirono dritti girando l'angolo.
Un gruppo di ragazzini lì vicino, gli passò accanto sfrecciando in bicicletta.
Simone si sentì un po' tremare all'idea di vedere sua madre, era felice, certo, ma anche nervoso per come la avrebbe trovata. Lui e Manuel fecero un breve tratto di strada a piedi, fino a inserirsi in un sobborgo di case l'una di fila all'altra. Disposte a schiera, sembravano tutte uguali, di mattoni grigi o sul beige, sul rosso o sul bianco, ognuna con un breve pezzo di terra e verde che faceva da cortile esterno.
Manuel le avrebbe confuse, se non fosse stato per alcune, che prevedevano anche dei balconcini in ferro battuto o più moderni, o dalle finestre con stili diversi. In ogni caso, Simone si diresse verso uno di quei tanti appartamenti e suonò il citofono. Manuel osservò l'appartamento: circa sei piani. Il volto restò incantato a guardare su un bel po'. Al citofono rispose una voce gentile e pacata.

« Mamma, sono Simone, apri »

Il portone si aprì e i due ragazzi si avviarono su per le scale. Non c'era ascensore, quindi dovettero fare almeno tre rampe a piedi. Uno dei due notò che l'altro faceva fatica. Prese la valigia di Manuel con l'altra mano, lo zaino sulle spalle e lo sentì subito lamentarsi.

« Simone, dai su, damme quella valigia che pesa un botto! »

« Ce la faccio tranquillo, e poi siamo quasi arrivati » fu sbrigativo.

Manuel roteò gli occhi e alzò le mani al cielo. La scalinata fu faticosa, almeno fino a quando non arrivarono gli ultimi scalini.

« Ma tra voi inquilini ve conoscete tutti qua? »

« Con alcuni sì, gli altri sono quasi sempre via per lavoro o hanno una casa fuori città dove passano l'estate con la famiglia »

Finiti anche quei centimetri di scale, si trovarono davanti la porta di casa, che però era ancora chiusa. Simone premette il piccolo campanello a lato con l'indice, sfiatando un poco per lo sforzo. Le mani gli formicolavano sopra la valigia, ansiose. Cercò di chiudere la bocca, per evitare di farsi sentire dall'altro che avrebbe potuto rinfacciargli il trasporto anche del suo bagaglio fino a pochi minuti fa.
Quando la porta si aprì, la donna si affacciò. Era alta, i capelli biondi erano legati in una coda bassa, un cardigan blu le lambiva le spalle e le arrivava fino ai fianchi, alle gambe portava dei pantaloni da tuta aderenti.
Simone si buttò tra le sue braccia, lo zaino crollò a terra come un sacco privo di importanza, la salutò così, senza nemmeno dirle 'ciao'.

« Tesoro mio, » mormorò contro la sua spalla « non ti aspettavo così presto »

« Mi sei mancata un sacco » sussurrò piano.

Sua madre gli accarezzò la testa, poi gli baciò la fronte. Un sorriso confortante le si dipinse in viso, addolcendo anche quello stato di stanchezza visibile, che portava addosso.

« Anche tu, amore. Ma hai dormito? Sembri stanco...devo avvertire tuo padre » fece per tastarsi il cardigan e uscire fuori il telefono, ma suo figlio la fermò, incontrando il polso di sua madre.

« Gli ho scritto appena siamo atterrati, non preoccuparti » la tranquillizzò.

Quando Simone si staccò dall'abbraccio, solo allora, sua madre si accorse della presenza di Manuel dietro di lui. Simone si morse il palato e si spostò di lato, non ci fu nemmeno bisogno di tergiversare troppo. Lo sguardo di sua madre si incuriosì subito sulla figura dell'altro ragazzo, mentre suo figlio parlava. Il ragazzo se ne stava in piedi, dondolando un po' con le gambe, una borsa a tracolla sulla spalla.

« Mamma lui è Manuel, » si illuminò un poco, felice di poterlo finalmente dire « lui è uhm, il mio ragazzo »

Manuel si ritrovò ad allungare la mano alla donna, un sorriso imbarazzato gli incorniciava il viso non più tanto furbo. Si sentiva le mani sudate o forse era solo una sua impressione. Come quelle che ti crei quando devi socializzare con qualcuno di nuovo e devi essere tu il primo a intavolare un discorso.

« Piacere di conoscerla »

La donna annuì, guardandolo per bene, il sorriso si apriva un po' di più, dopo un attimo di stupore iniziale. Il ragazzo portava dei jeans stinti, un dolcevita rosso vino, un giubbotto usurato ma pulito e un berretto a coprirgli quelli che dovevano essere ricci, ma risultavano più delle onde intricate, sparpagliate e sformate sotto quello.

« Mi fa piacere conoscerti, Manuel. Ti prego, chiamami Floriana, » sospirò, Manuel notò i suoi occhi ve de nocciola, grandi come quella foto che ricordava Simone gli aveva mostrato « non farmi sentire una vecchia, per favore » ridacchiò.

Manuel sembrò sciogliersi un po' di più, lì impalato sull'uscio della porta. Floriana si mise dietro la porta, - l'aspetto di una gentilezza e disponibilità complete - aprì le mani indicando dentro. Il cardigan si allargò mostrando la sua figura longilinea e snella. Non sembrava avere l'aria di una donna dalla puzza sotto il naso, ne tanto meno che ti avrebbe rifilato del veleno. Il suo aspetto trasmetteva solo cose positive, era dolce, gentile. Più la guardava, più Manuel ci vedeva qualcosa di famigliare, anche se non sapeva bene spiegarsi il perchè. Forse era quell'aria quotidiana o forse la vide molto simile a Simone anche solo nei primi gesti.

« Non statevene qui, entriamo su »



 
- - -





Appena sistemarono le loro cose nella camera di Simone, Floriana offrì loro un caffè, dei biscotti, del succo, portando tutto in tavola. Anche se ovviamente, più che bere, suo figlio si limitava a osservarla apprensivo e attento. Sua madre risultava stanca più del solito, gli occhi erano sempre cordiali, ma c'era qualcosa che stonava. L'idea che si era fatto era di trovarla smagrita, o anche solo spossata. Floriana invece era nella sua solita veste di mamma, diplomatica, anche se le sue borse sotto gli occhi dicevano che non dormiva bene da giorni. Si sedettero attorno al tavolo della cucina, spaziosa e molto moderna, sullo stile minimale. Manuel si guardò attorno: quel posto sembrava uscito fuori da una rivista di complementi d'arredo ricercati. Le sedie del tavolo erano nere, essenziali, la cucina un misto di bianco e legno chiaro, una piccola isola si stagliava in mezzo allo spazio, con sopra un vaso dalla forma più strana che avesse mai visto. Le tendine della finestra che dava sul piccolo balconcino, erano di un blu intenso.

« Com'è stato il volo? » chiese, con le mani sulla tazza fumante, prima di portarsela alle labbra.

« Normale, niente di che » fu secco. Simone sentiva un misto di amarezza dentro, anche essendo lì in quel momento, non sapeva quando l'argomento sarebbe venuto fuori.

« E tu Manuel, » Floriana bevve un rapido sorso « è la prima volta che vieni a Glasgow? »

Manuel sembrò scottarsi appena col caffè, poi posò la tazzina, che fece un rumore evidente.

« Non sono mai uscito da Roma, in verità, » suonò abbastanza tranquillo « diciamo che è il mio primo viaggio in trasferta. Anche il mio primo volo oltremare » si grattò il capo.

Floriana annuì, notando come quel ragazzo aveva qualcosa di speciale, non sapendo però subito afferrare cosa.

« Simone aveva quattro anni quando ha preso il suo primo aereo, » il fumo dalla tazza salì su, fino a circondare la donna di una cornice di vapore « era emozionato e non la smetteva di parlare »

Manuel guardò l'altro, che ora si era fatto piccolo piccolo contro la sedia. Il ragazzo sorrise intenerito, perché Simone era ovviamente in imbarazzo.

« Non c'ho avuto mai la possibilità di viaggiare, da piccolo ricordo le passeggiate ai fori romani, sui sampietrini, er gelato che si scioglieva per strada. Però lo avevo promesso a Simone, » si mangiò il labbro inferiore « quindi ho preso la palla al balzo e mi sono detto perché no? »

Floriana inclinò la testa, con la coda dell'occhio osservò bene l'espressione di Manuel, gli occhi gli erano ritornati immediatamente su suo figlio, mentre parlava. Suo figlio dal suo canto, ricambiò lo sguardo del ragazzo per un attimo, ma fu quello a bastare a Floriana per cominciare a capire. « C'avevo un po' paura, però è andato tutto bene »

« Ci sono tanti bei posti fuori dalla capitale, » riprese Floriana « stare sempre fermi in un posto va bene, ma il mondo è grande. Avrai tutto il tempo per girarlo »

In tutto quello, Simone ticchettava con le nocche sulla superficie di vetro sotto di lui. Non si dava pace, perché sapeva che il discorso era solo un modo per sviare il perché del viaggio.

« Sì, beh me piacerebbe vedere altro. A Roma ce so nato e cresciuto, ma più di lì, non sono mai andato. Una volta preso il diploma, chissà... » deglutì.

« Avete ancora un anno pieno, c'è tutto il tempo per pensare a cosa fare dopo »

Manuel annuì, visibilmente sollevato che Floriana non volesse indagare oltre sul suo passato.

« Va bene, non giriamoci più attorno, » Simone interruppe l'amichevole conversazione, catapultando i suoi occhi ansiosi su sua madre « hai fissato l'appuntamento col dottore? »

« Tesoro, sì, » Floriana usò un tono pacato e dolce « ma ci vogliono ancora tre giorni, » la tazza sembrò di colpo alleggerirsi sua presa « e nel frattempo non voglio che si citi più di tanto alla cosa, sto bene. Simone, sarà un controllo di routine più rinforzato. Ho paura? Sì, certo, » disse senza filtri, massaggiandosi le tempie « è normale che ce l'abbia. Ma non devi fartene carico in questo modo. Sei qua ora, » Floriana si girò a guardare Manuel « avete fatto tutta questa strada e non voglio che la vostra presenza sia un peso o venga avvertito come tale. Non lo merito né io, né voi. »

« Mi preoccupo per te, com'è giusto che sia »

« Lo so, Simone, ma io sto bene. Mi vedi? »

Floriana mimò se stessa con la mano che si slegava dal manico della tazza. Suo figlio sospirò, ancora un po' corrucciato.

« Almeno ti sei fatta dare dei giorni di pausa dal lavoro? » Simone suonò disperato, bevendo finalmente il caffè che aveva tra le mani tutto d'un fiato.

Floriana gli afferrò la mano, stringendogliela. Simone la guardò subito. Era il tipico gesto, sua madre gli si avvicinava per confortarlo e usava il contatto fisico, non riuscendo a spiegare a voce. Era da lei che aveva imparato quella cosa, che molte volte è meglio un abbraccio, un bacio. A volte, un piccolo gesto, rendeva più di tante altre parole.

« Sì, ma sappi che non me ne starò qui in casa, a maciullarmi nell'attesa, senza fare niente fino a giovedì, » lo incalzò lei sicura e in possesso dell'argomento « voglio vedermi con una mia collega e poi devo anche andare a fare la spesa »

« La aiutamo noi, non c'è problema » Floriana si voltò a guardare Manuel, l'espressione amorevole in volto. « A fà la spesa, voglio dì »

Simone lo guardò in risposta, poi ritornando a sua madre. Floriana osservò attentamente il ragazzo, poi si lasciò andare a un accenno di approvazione.

« Non mi farebbe male un aiuto, dovrei andare nel pomeriggio, ma forse siete troppo stanchi per via del viaggio » si massaggiò il petto.

« Ma che, non è nulla, non si preoccupi, ormai io faccio stanco de secondo nome » Manuel sembrò prendere possesso della conversazione, lasciando Simone ammutolito, ma sorpreso positivamente.

« Va bene allora, » sospirò Floriana, finendo il contenuto della sua tazza, che conteneva una tisana, al posto del caffè « ma ti prego dammi del tu, Manuel, ho appena passato la soglia dei quaranta, non sono ancora da buttare, c'è ancora del tempo prima che accada. » scherzò ridendoci sopra.

Anche Manuel stava ridendo e Simone osservò la complicità tra i due, come se fosse la cosa più spontanea e naturale che esistesse.

« D'accordo, » alzò le mani in segno di resa « Ti aiutiamo noi Floriana, vero Simò? »

Simone annuì, ritrovandosi Manuel completamente avvolto dalla luce di casa, il berretto gli aveva scombinato ancora di più i capelli e sembrava più giovane del solito, in quella veste allegra, domestica.





La sera stessa, Floriana Simone e Manuel si sedettero a cenare insieme.
Manuel aveva insistito per portare più buste della spesa, facendo inevitabilmente a gara col suo ragazzo, il quale sembrò offendersi un po'. Caricarono tutto a casa, mentre Simone confermava a sua madre che avrebbe cucinato lui.
Non si lasciò impietosire dallo sguardo di Floriana, che, invitata da Manuel, rifiutava di farsi scoraggiare in quella richiesta. Continuava a ripete che erano “ospiti” in casa sua, ma suo figlio prendeva tutti gli ingredienti dal frigo e li aveva già depositati sul banco da cucina. Alla fine, Simone, testardo com'era, l'aveva avuta vinta.
La luce fredda del lampadario piombava sopra le loro teste, ma l'atmosfera era tutt'altro che glaciale. In mezzo a un tipico piatto di pasta cacio e pepe, cucinato con dedizione e alla lettera, Floriana stava raccontando qualche aneddoto d'infanzia su Simone, riscuotendo in quest'ultimo la voglia di cambiare il prima possibile argomento.

« E sai cosa gli piaceva? Gli piaceva scorrazzare per casa, aveva questa strana fissa che doveva salvare tutti, anche solo con una coperta portata sulle spalle »

Manuel era attento, lo sguardo completamente perso nei ricordi di un Simone che non aveva opportunità o modo di conoscere.

« Mamma, dai, sicuramente a Manuel non interesserà sapere di questo » Simone fermò la forchetta con un rotolo di pasta già aggrovigliato, dentro il piatto.

« No, no me interessa, » ribatté Manuel « eccome se me interessa »

Sì beccò un’occhiata torva e truce da Simone, che per risposta decise seriamente di simulare una sordità breve.

« Era incredibile, » Floriana versò la birra restante nel bicchiere di Manuel « era molto arguto, qualsiasi cosa pensava o faceva, io e suo padre ci stupivamo. Era sveglio, un po’ prematuro per la sua tenera età, ma chi decide cos'è giusto o no in un figlio? »

Simone soppesò il tono di sua madre, che sembrava sul punto di incrinarsi in una specie di pianto commosso. Le fermò il polso, con la mano dolcemente, gli occhi grandi erano pieni di affetto « Ho sempre saputo che Simone era un bambino stupendo e ho avuto ragione, » concluse « su tutta la linea »

« Mia madre ha sempre detto de me che ero una piccola carogna, immagino che la mela non cada lontana dall'albero » rise amaro, aggiustandosi un riccio cadente sulla fronte.

« Ma smettila! » Simone gli diede una gomitata, in tono offeso « tu e papà mi avete sempre visto come l'angelo di casa, avete sempre avuto una visione distorta di me » ribadì verso sua madre.

« Ma distorta de che, Simone è la perfetta descrizione di come sei, non c'hai un difetto manco a trovarlo! »

Floriana li ascoltava divertita, godendosi lo spettacolo davanti ai suoi occhi.

« Ma se tre sere fa hai detto che russo, » gli fece notare riprendendolo, la smorfia che si formava sulla bocca « questo è già un difetto. Ergo, sono umano. »

« Se, vabbè, cogito ergo sum, buttiamola sul classico. E poi so dettagli, qua se parla de carattere Simone »

« E tutte le volte che mi hai ribadito quanto pensassi troppo alle cose? Manuel di che parliamo, quello non ce lo metti come difetto? » gli puntò i rebbi della forchetta contro.

Manuel alzò la mano in alto, la forchetta si levò verticale contro il soffitto, come se fosse stato accusato di qualche reato grave a lui sconosciuto.

« Simò è una fissa che c'hai, sì, ma è più un sinonimo de intelligenza, anche se me da fastidio lo devo ammettere »

Quello scambio di battute sembrò riportare alla mente ricordi che pensava aver rimosso, di quando anche lei era così giovane, piena di energia, testarda a imporsi. La sintonia tra quei due sembrava far scoppiettare la stanza di energia.

« Vabbè, ma in ogni caso è comunque una visione idilliaca, il periodo di chiusura lo abbiamo avuto tutti, per fino io. »

« Questo è vero, ma solo perché è l'età della pubertà che crea tutti quei sentimenti contrastanti, le prime cotte, i cambiamenti- »

« No, mamma anche tu con la psicanalisi no, già mi basta papà a casa, risparmiami » la supplicò.

Floriana cominciò a ridere, mentre Manuel ormai partito in quarta, voleva continuare a saperne di più di Simone.
« E la matematica? » chiese, senza troppo disincanto « Credimi io non c'ho mai capito niente di tutta quella roba, proprio zero. Una vita a perdece tempo per me, ma Simone è una specie di genio » gesticolò con le mani, portandosi poi l'ultima forchettata di pasta alla bocca. « Me fa quasi paura a volte »

« Vedi? Ecco trovato un altro difetto »

Manuel roteò gli occhi al cielo, rivolgendogli solo un sorriso esausto di resa.

« È sempre stato un genietto quindi? » chiese di nuovo a Floriana.

In tutto quello Simone si sentiva pizzicare le guance: l'intera discussione stava ricadendo ancora su di lui. Non sapeva che cosa avesse mai fatto per meritarsi tutte quelle attenzioni. Non era abituato. Poteva anche essere il primo della classe, ma quando si parlava troppo di lui gli fischiavano le orecchie.

« La matematica, quella gli è sempre piaciuta, almeno che io ricordi, » Floriana si illuminò « le maestre erano sempre in prima linea a complimentarsi con me e Dante, tranne che qualche compagno di classe, ovvio »

Manuel si voltò verso il diretto interessato. Simone invece scrollò le spalle, bevendo dal suo bicchiere tranquillo.

« Le solite cose, le prese in giro, qualche ripicca, le gelosie, cose così » fu vago.

« Ti prendevano in giro? »

Simone annuì, indicando il grande contenitore al centro della tavola. Afferrò il mestolo e con un gesto agile guardò Floriana.

« Mamma, dai su, non hai mangiato quasi niente, facciamo che questa te la finisci » e prendendo una porzione generosa, la servì nel piatto di Floriana.

« Accetto solo perché non so quando cucinerai per me di nuovo, anche se sono sazia » mormorò, strizzandogli la spalla « Comunque sì, i bulletti ci sono sempre nelle scuole, anche qua il fenomeno è molto diffuso » alzò gli occhi su Manuel che adesso però sembrava essersi d'un tratto disconnesso dalla conversazione.
Serrò gli occhi, e come se fosse lontano, cominciò a giocare nervosamente con il tessuto del suo dolcevita, il volto si indurì. Simone si accorse troppo tardi del silenzio che era calato e cercò di colmarlo.

« Bene, sì, visto che hai quasi narrato tutta la mia vita - vicende imbarazzanti a parte - al mio ragazzo, che ne dici se appena finisci ti vai a riposare un po'? » disse Simone vedendo sua madre ancora confusa per la reazione dell'altro ragazzo, la forchetta a mezz'aria in stato interrogativo « qua ci pensiamo noi »

Floriana sospirò, finendo il suo ultimo bis di pasta, mentre cercava di fare mente locale sul perché quel ragazzo - a suo modo speciale - si fosse ammutolito subito.
Simone invece, si limitò a scoccargli un bacio sulla fronte, prendendo i piatti da lavare e avvicinandosi al lavandino.
Manuel si alzò con fare frastornato, con la consapevolezza adesso, che Simone aveva già subito degli atti di ripicca in passato e che lui aveva solo contornato il tutto in mesi e mesi precedenti. Forse era un po' troppo, però si sentiva comunque un piccolo nodo in gola che non riusciva a scacciare. Si immaginò un bambino di sette anni e altri a circondarlo che ridevano ingiustamente di lui.

« Che c'hai? » sussurrò.

Manuel fece cenno di no con la testa.

« Niente Simò, tutto apposto »

« Sicuro? » il sapone della saponetta gli scivolò tra le mani, mentre apriva con il gomito il rubinetto per fare uscire l'acqua.

« Si, » fu secco « le tovaglie per asciugare i piatti dove stanno? »

« Secondo cassetto a destra, davanti a te »

Manuel lo aprì e ne tirò fuori una dai bordi azzurri, con uno strano motivo decorativo a scacchi sopra. Non si aspettava però, di ritrovarsi Simone che si sporgeva per premergli il dito insaponato sul naso e abbozzando un sorriso, gli stampava un bacio sulla guancia. Simone rise di gusto. Quella piccola attenzione, lo fece sentire un po' meglio.




 
- - -





La stanza di Simone era ampia, vantava di un letto al centro della stanza, un lungo tappeto laterale ed i colori che erano risultati vivaci nel primo pomeriggio, ora assumevano le tonalità calde per via della luce del grande capezzale sparato in quel grande spazio. Al contrario della stanza che aveva a Roma, Simone aveva pochissime foto, il colore esplodeva e compensava la mancanza di tanti oggetti, con una degna e vasta collezione di cd sullo scaffale a parete.

« Come ti è sembrata mia madre? »

Simone si tirò nervoso gli elastici della felpa che portava come parte superiore del pigiama, attorno alle dita lunghe. Manuel, si sistemava meglio il cuscino e rimboccò la coperta dal suo lato. Avrebbero dormito insieme, anche se ormai quella non era nemmeno tanto una novità. Piuttosto, dormivano insieme lontano da casa.
Si infilò a letto, sentendo i piedi che entravano in contatto con il lenzuolo freddo.

« È simpatica, Simò. Non so perché continuavo a farmi paranoie, è bello parlacce, sembra la versione più soft de tuo padre. »

Manuel aveva in voce tutta questa sincerità contagiosa, parlando a cuore aperto quella sera.

« Mi fa piacere, ma intendevo dire, » Simone si inumidì le labbra torturandosi « fisicamente, dici che sta bene? »
Manuel sospirò, mettendosi seduto, la schiena premeva sulla federa del cuscino, i occhi puntavano dritti sul ragazzo intento a fissare i due lacci della felpa.

« Simone » lo richiamò. Quello alzò la sua attenzione su Manuel. L'espressione ridotta solo a comprensione e cura, questa volta da parte dell'altro. « È una donna forte e se sta male non lo da a vedere. Ma so’ sicuro, » continuò, il calore si sposava con il suo tono di voce « sicurissimo, che andrà tutto bene. È testarda e sa che non può mollare. Non sembra, ma te lo ripeto, v'assomigliate molto »

Simone annuì, quelle parole lo confortarono solo in parte, perché la sua preoccupazione restava palpabile, come se ormai si fosse presa abbondante spazio nella sua testa.

« Vorrei solo che tutto questo non stesse succedendo a lei, non lo merita » deglutì, di nuovo gli occhi bassi.

« Non ce fasciamo la testa prima de rompercela, » cercò di infondergli fiducia, non sapeva nemmeno come, ma Manuel ci provò « dobbiamo pensare positivo »

« Voglio esserlo. Lo voglio, per lei, » si sbottonò completamente « voglio essere forte per tutti e due. Non so come faccia, ma è veramente una roccia » le parole sembrarono lontane, come se Simone stesse pensando ad alta voce e fosse da solo in camera.
Manuel non sapeva esattamente come prenderlo, lì, afflitto e naufragante nei suoi pensieri tristi. Poi però, afferrò quelle mani impegnate, costruendosi in mente il modo giusto – forse era un tentativo disperato, ma tentare non avrebbe guastato.

« Facciamo un gioco, te va? È 'na cosa semplice » esordì.

« Non abbiamo alcolici in casa, Manuel »

Manuel lo guardò al confine tra lo sconforto e l'esasperazione.

« Sta tranquillo che non serve per questo. E poi ce sta tua madre de la, che figura ce faccio poi io? »

Simone trattenne un sorrisetto per il modo in cui Manuel sembrava ormai aver conquistato nelle sue più fervide fantasie sua madre.

« Che gioco? » Simone si distese, gli occhi grandi curiosi, il corpo portato su un fianco, seguendo il movimento dell'altro.

« Io dico una parola e tu riprendi dall'ultima lettera di quella che ho appena detto. Deve essere de senso logico però, se no non vale e se va a ruota così, fin quando l'altro non trova più collegamenti »

In realtà era una cosa del tutto banale, un passatempo che si era inventato Anita quando stava male a letto e non aveva voglia di mettersi a studiare o a fare qualcosa di più produttivo. Ricordava di divertirsi troppo a non farsi battere.
Simone abbozzò un piccolo cenno assenso, la testa si mosse appena.

« Va bene, ci sto »

Manuel si mise comodo sul materasso, con le mani sempre strette in quelle del suo ragazzo.

« Parto io... acqua! »

« Questa è facile... azzurra »

« Acqua azzurra, acqua chiara con le mani posso finalmente bere » intonò Manuel, l'altro gli rise in faccia, al che sospirò cercando di non farsi contagiare. Arricciò poi il naso, e concentrandosi i denti scattarono fuori e si strinsero sul labbro inferiore
« Azzurra, okay ci sono, aria »

« Aria aperta »

« A, come anta »

« Armadio »

« Ossigeno. L’armadio è fatto de legno, di legno è l’albero che produce ossigeno »

Simone sentì un sordo rumore di unghie che si attaccavano allo specchio. Aggrottò la fronte, ma decise di dargliela per buona. Era la prima volta che sentiva nominare quel gioco e quindi pensò andasse bene.

« Okay, rilancio…ozono »

Simone strizzò gli occhi, immaginando la prossima parola che potesse avere un alche modo senso.

« Origine, l'origine del buco dell'ozono » mormorò soddisfatto.

Manuel si passò la lingua sul palato, evidentemente in difficoltà.

« Cazzo, sei bravo, ok, allora... » alzò gli occhi al soffitto, contemplandolo concentrato e con la voglia di non mollare proprio in quel momento « Età. »

« Io dico amore » mormorò.

Manuel sembrò fermarsi un attimo, sospendendosi negli occhioni di Simone, che si erano completamente accesi. Quanto gli piaceva frugargli dentro, notare qualche piccolo cambiamento, se l’iride si faceva più scura o più chiara, se quel castano diventava più intenso o si spegneva.

« Amore eterno »

Simone buttò la testa sul cuscino, i ricci si infossarono sopra, il viso si rilassò completamente. Manuel non pensava nemmeno tanto più a rispondere sensatamente, mentre le mani già si sfioravano più di prima.

« Oblio » sussurrò flebile.

Simone prestò attenzione a quella sensazione di benessere, tranquillità, soltanto rimanendo in contatto con l'altro. Non immaginò come sarebbe stato trovarsi a Glasgow da solo, senza l'altro, adesso, che se lo ritrovava nel suo letto e lo faceva distrarre per non pensare allo stato di Floriana. Non voleva pensarci. Manuel era lì per lui e avrebbe voluto tempestarlo di grazie all'infinito, fino a diventare ripetitivo e insopportabile.

« Obbligare »

L’obbligo che mi do è quello di non starti mai più lontano. Cascasse il mondo, non me ne vado.

« Esercitare un obbligo. »

« Sì e adesso andiamo di verbi con la prima coniugazione, » Manuel rise, per poi ritornare di nuovo serio « uhm, vediamo… etimologia. »

« Ascolto »

Manuel sbuffò, erano arrivati a un bivio senza logica. Osservò la tranquillità del ragazzo, adesso, abbandonato sul letto.

« Vabbè, ma che è... mi arrendo, non me ne vengono più, » Manuel spostò dei ricci dalla fronte di Simone e gli lasciava un bacio sulla bocca « dimme un po' lo conoscevi bene sto gioco, mh? »

« Mai sentito in verità »

« Se c’avevi un mazzo de carte, te avrei proposto di giocare co’ quelle »

Le mani di Manuel si muovevano sulla pelle rosea del suo ragazzo, vedendolo più rilassato rispetto a prima. Forse era riuscito a distrarlo, seppur in minima parte. Si ritrovò a sorridere quando Simone si accoccolò vicino alla sua spalla, il naso che si poggiava.

« Non importa, mi piace stare così » soffiò Simone sopra la pelle bruna.

Simone si lasciò toccare da Manuel, le mani passavano sulle sue spalle, lungo la guancia libera, dietro le orecchie. I suoi occhi si chiusero senza nemmeno imporre loro quel comando, in uno stato di quiete assoluto, sentendo il tocco del ragazzo che gli accarezzava la pelle che adesso, in fare totalmente disinvolto, faceva lo stesso con i capelli.

Ti svelo un segreto, se mi tocchi i capelli, e riesci a non torturarli mi addormento.

« È stata una giornata lunga Simò, » gli disse soltanto, si apprestò a dargli un altro bacio all'angolo della bocca, con quel sorriso accennato contro il suo corpo « dormiamo su »

Simone si addormentò da lì a poco, preso dalle braccia di Morfeo. Manuel invece, era sveglio, lo sguardo gli solleticava la curiosità e si posava sul suo ragazzo.

Mentre dormi ti proteggo e ti sfioro con le dita ti respiro e ti trattengo, per averti per sempre, oltre il tempo di questo momento.





Clo's: ringraziamo Max Gazzè per la nota finale in Mentre dormi, che ci stava benissimo per chiudere questa I parte secondo me. Che dirvi, il legame tra quei due è sempre più puro e si orienta verso una direzione ben precisa e soprattutto credo sia supporto l'altra keyword che descriva il tutto.
Grazie ancora e alla prossima.
   
 
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