Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _etriet_    18/02/2022    1 recensioni
La vita è fatta di morali, di discorsi silenziosi che si imparano e si fanno man mano che si vive, un po' a gesti, un po' a parole, e poi un po' con tutti e due.
Come una scalinata fatta in silenzio, in cui i gradini appena fatti si cancellano autodistruggendosi dopo pochi secondi, e non rimane nient'altro se non la scelta di continuare, o rischiare di perdere l'equilibrio fermandosi.
Perché ad ogni passo avanti corrisponde uno sbilanciamento, fisico, morale e psicologico.
Veronica Lisi è sempre stata di idee chiare, ha sempre basato la propria vita su principi fondamentali, come quello che il passato non si cancella, si descrive, che il presente non va guardato, va vissuto, e che il futuro non deve essere sognato, ma costruito; mette tutta se stessa per portare avanti le cose al meglio.
La sua quotidianità, tuttavia, viene sconvolta nel giro di nemmeno un mese, e pur di vedere sua madre felice, cambia tutte le carte in tavola, prende, fa le valige e parte verso qualcosa a lei sconosciuto.
→→→→→→→→ LETTURA A VOSTRO RISCHIO E PERICOLO: CLICHÉ TRATTATI IN MODO ORIGINALE, AMORE PERENNE PER TUTTI I PERSONAGGI E AGGIORNAMENTI LENTI ←←←←←←←←
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Veronica era seduta sul letto, che era tanto comodo che quasi le faceva venir voglia di distendersi, e per la prima volta in quella giornata stava sorridendo davvero. Quando erano arrivati a casa sua zia le aveva fatto fare un veloce giro di perlustrazione, facendole vedere principalmente dove si trovavano il bagno, la cucina, il salotto e camera sua, poi, le aveva chiesto gentilmente di aspettarla prima di cominciare a mettere via le sue cose, in quanto le voleva dare una mano, ovviamente lei non si era rifiutata e aveva preso a curiosare in giro per la stanza mentre l'attendeva. Era spoglia, o almeno era la prima cosa che aveva pensato quando ci aveva messo piede, il letto, che stanziava davanti all'armadio munito di specchio, era coperto solo da un lenzuolo bianco, giusto per proteggere il materasso dalla polvere, la scrivania rettangolare, affianco a questo, era anch'essa bianca e priva di tutto, se non per una lampada di sale posizionata su un angolo più esterno, sopra alla scrivania, poi, facevano capolino delle mensole, ma queste, come aveva potuto felicemente notare, erano piene di fotografie di lei e mamma, e di tanto in tanto, anche di mamma e zia.

Era una cosa piuttosto banale ma le aveva migliorato la mattinata più di quanto pensasse. Immaginare sua madre felice era la cosa che scaldava di più il cuore.

Quindi, presa dall'emozione, non aveva saputo trattenere un sorriso e si era seduta sul letto, le mani appoggiate sulle gambe e i muscoli rilassati. L'affetto era una di quelle sensazioni che amava, che le riscaldava il cuore e anche tutto il fisico rilassandola quasi all'istante.

Amava provare amore, qualsiasi tipo di amore fosse, dall'affetto romantico a quello genitoriale, da quello per un amico a quello per un animale, amava quei momenti di pura felicità che solo un sentimento così profondo sapeva darle, eppure, odiava profondamente quello che avveniva prima dell'amore vero e proprio, lo sconforto, il dubbio, la distrazione, erano tutte cose di cui sapeva poter fare a meno ma a cui non poteva rinunciare se voleva amare qualcuno.

I suoi pensieri erano stati bruscamente interrotti dalla porta, che si era aperta cigolando e scivolando sul pavimento, lasciando entrare sua zia, un poco trafelata, che pareva essere molto più felice di lei

«Scusami tesoro, ti ho fatto aspettare molto?» Veronica non aveva fatto a meno di sorridere, piegando poi leggermente la testa e scuotendola in disapprovazione

«No no, tranquilla, stavo guardando le foto e non mi sono nemmeno accorta quanti minuti stessero passando.»

«Ti piacciono?»

«Oh sì, sono bellissime.»

«Bene, ne sono felice -aveva fatto una piccola pausa per guardarsi intorno- allora, cominciamo che se no non finiamo più, passami i vestiti, segui un ordine particolare per l'organizzazione dell'armadio?»

«Oh... no -si era lasciata scappare una leggera risata, mentre ricordava la sedia piena delle sue magliette, la usava come armadio, visto che era troppo pigra per sistemarlo ogni volta che tirava fuori due o tre magliette in più, però, quella volta si era ripromessa di avere più ordine, visto che quella non era propriamente casa sua e, anche se sua zia le aveva detto di fare le cose come se lo fosse, lei ancora non si sentiva abbastanza a suo agio per essere veramente sciolta- Non faccio molto caso all'ordine.»

«Va bene, nel frattempo se vuoi sistemati la libreria e la scrivania, che so che all'ordine di quelle ci tieni.»

Angela le aveva sorriso dolce e poi, canticchiando, aveva cominciato a sistemare i vestiti nell'armadio.

Veronica aveva passato una quindicina di minuti abbondanti per decidere come mettere il computer e tutti gli oggetti di cancelleria che aveva. Era fissata con quel genere di cose, amava i colori, quindi tendeva a collezionare tutto quello che era colorato, che aveva una sfumatura particolare o una fantasia poco conosciuta: pastelli, penne, evidenziatori, matite, pennarelli, scotch, quaderni. Erano quelle le cose che generalmente amava "raggruppare", insomma sì: un po' di tutto. Alla fine aveva deciso di posizionare il computer al centro della scrivania, con affianco un piccolo portapenne, l'astuccio e il suo diario, nei cassetti aveva riposto i quaderni nuovi, lo scotch di carta e tutte le penne, gli evidenziatori, i pennarelli particolari e i post-it che possedeva. Sulle mensole, invece, aveva posizionato i libri per la nuova scuola, alcuni quaderni di quella vecchia, che probabilmente le sarebbero tornati utili per gli appunti, altri vari portapenne e organizzatori, che aveva suddiviso poi in base alla marca. Aveva poi posizionato in un set gli evidenziatori che usava di più e li aveva posati vicino al muro, successivamente, si era girata verso la libreria vuota, dandole un'occhiata un poco frustrata.  Non si era portata dietro molti libri, quindi aveva posizionato quelli che aveva nei primi scaffali, dividendoli talvolta anche con le foto che aveva trovato sulle mensole, in modo da utilizzare più spazio e lasciarne meno vuoto.

«Come sei presa zia?» si era voltata verso la diretta interessata e l'aveva osservata mente piegava con cura i suoi jeans e li riponeva piegati su uno dei ripiani dell'armadio

«Abbastanza bene, ho quasi finito, anche se mi aspettavo meno vestiti.»

«Ah aspetta, ti do una mano.»

«Ma non serve.»

«Ma ho finito... dai, mi sentirei in colpa a lasciarti fare tutto da sola.»

«Va bene, va bene, piegami quelle magliette nel miglior modo che hai imparato -e si era beccata un occhiolino- E poi passamele che le metto a posto.»

Veronica aveva cominciato a passarle le magliette piegate una ad una e aveva notato come sua zia le stesse mettendo in pile per colore e per sfumatura, erano andate avanti per dieci minuti buoni a mettere giù magliette e a cambiare posizione di alcune per creare una sfumatura perfetta, dal bianco al grigio scuro, dal grigio all'azzurro, dell'azzurro al violetto, e via dicendo, fino ad arrivare al nero. Sua zia era poi sparita per cinque minuti ed era tornata con delle tende, che sì erano leggere e sembravano pure traspiranti, ma erano anche abbastanza ingombranti. Avevano aperto sia i balconi delle finestre sia quelli della porta di vetro scorrevole, e delle vetrate, che portava sul piccolo terrazzino, da cui era possibile guardare verso Ovest, sapeva già che si sarebbe ritrovata a osservare il tramonto da lì, una di quelle sere, era una cosa che aveva dato quasi per scontato quando aveva capito che c'era una terrazza. Avevano messo le tende e successivamente si erano occupate del letto, mettendo copriletto e lenzuola al suo giaciglio, stanche, poi, ci si erano distese sopra ed avevano sorriso spensierate, perché era così che sua zia la faceva sentire, felice e priva di pensieri inopportuni.

Si erano riposate per un po' di minuti e, quando avevano cominciato a sentirsi cariche, si erano alzate e avevano sceso le scale per poi dirigersi verso la cucina

«Hai detto quindi che pasta con il ragù ti va bene giusto?»

«Sì sì.»

«Allora aiutami un attimo, in freezer c'è del ragù di ieri, prendi una pentola e fallo scongelare, io mi occupo della pasta nel frattempo, preferisci spaghetti o mezze penne?»

«Mezze penne!» non aveva poi ricevuto una risposta verbale, solo un sorriso e un cenno con la testa.

Veronica si era procurata una padella antiaderente e aveva acceso il fuoco, mettendo anche un filo di olio sul fondo, aveva poi preso il ragù da sopra il forno dove lo aveva appoggiato, visto che precedentemente lo aveva tirato fuori dal freezer, e lo aveva messo sulla padella, girandolo di tanto in tanto con un mestolo di legno. Anche cucinare era una cosa che le piaceva, anche se le faceva piacere farlo solo quando era in compagnia. Cucinare da sola le dava una noia immensa, e la faceva sentire sola, invece, in quel frangente, non si sentiva affatto sola, con sua zia Angela che canticchiava una canzone in inglese e la porta di casa che si apriva e si chiudeva, lasciando che i muri facessero passare la voce di Francesco al disopra degli altri suoni, fino a farla unire ai tipici rumori di una cucina in uso: il bollire della pasta, i mestoli che venivano posati e il friggere dell'olio. Francesco si era preannunciato di ritorno da una infinita spesa e fila al supermercato.

«Ma tuo fratello non si decide a tornare a casa?» Angela quella volta aveva ovviamente parlato con Francesco, che aveva alzato le spalle

«Sarà da qualche parte in centro mamma.»

«È uscito ancora prima che uscissimo noi, e sono già le tredici e mezza passate, quando torna mi sente.» Aveva sorriso, divertita da vedere Angela sguainare un cucchiaio di legno come se fosse l'arma più dolorosa del mondo.

Dopo pranzo in realtà non era successo niente di particolare, Francesco era rimasto un po' con loro e successivamente si era congedato a ripassare le ultime cose prima del rientro a scuola, visto che quell'anno avrebbe avuto la maturità. Angela e Veronica invece si erano appostate sul divano e avevano cominciato a guardare un film su Netflix, commentando alcune scene e ridendo di tanto in tanto. Poi, verso le quindici e trenta, sua zia aveva cominciato a prepararsi perché aveva il turno in ospedale, Veronica lo sapeva ma, una volta che rimase da sola, davanti alle scene del film Giallo-Comico che continuava imperterrito ad andare avanti, si sentì incredibilmente sola. L'altro fratello non era ancora rientrato, quindi si era abbandonata sul divano e aveva cominciato a scrivere con la sua migliore amica, un sorriso spontaneo le era comparso sulle labbra quando, pochi secondi dopo, la risposta le era arrivata, quasi impaziente, si erano chiamate. Veronica aveva preso a camminare avanti e indietro per la casa, stando lontana dalla camera di Francesco, che probabilmente stava ancora studiando visto che non era ancora uscito. Aveva parlato con Lucrezia, quello era il nome della sua migliore amica, sia del viaggio in treno e delle persone più singolari che aveva visto salire, sia di sua zia e di Francesco. Lu, come era solita chiamarla Veronica, aveva riso di gusto ascoltando la ricostruzione comica di una conversazione che aveva avuto con un signore in treno ed era rimasta ad ascoltarla per tutto il tempo, consigliandola, rassicurandola e facendola sorridere. Non che in quella giornata i sorrisi fossero di certo mancati, ma ovviamente, aveva riso e sorriso più volte al telefono con Lu di quante non aveva fatto in otto ore che era lì. Avevano messo giù la telefonata solo quando i genitori di Lucrezia, dopo aver salutato Veronica, l'avevano chiamata per cenare. A quel punto, o forse solo pochi minuti dopo, anche Francesco era sceso sbadigliando

«Hey.» l'aveva salutata con un cenno della mano e un sorriso

«Hey, come è andato lo studio?»

«Pesante, incredibilmente pesante, ma se si vuole superare un anno al massimo è meglio impegnarsi fin da subito.»

«Già.» Veronica aveva risposto il suo pensiero ai quaderni di sopra e, guardando suo "cugino" girovagare per la cucina cercando qualcosa, le era quasi venuta voglia di mettersi a studiare, o almeno, più di quanto non facesse già.

La conoscenza era qualcosa che amava, di natura lei era una persona fin troppo curiosa, quindi lo studio, fin da quando era stata cosciente delle proprie capacità, non era mai stato un obbligo o un dovere, ma più uno sfizio da togliersi, un pallino costante nella sua mente che le diceva di dover imparare, di dover sapere, conoscere le risposte le dava un senso di forza, di coraggio, che inevitabilmente andava a posarsi sulla sua autostima, alzandola inesorabilmente ogni volta che una delle sue affermazioni era riconosciuta come giusta da un insegnante o a chi facevano riferimento. Era bello sapere, comprendere, avere la consapevolezza di riuscire a dare il meglio di sé. Si era riscossa quando la mano di Francesco le era passata davanti agli occhi, sorprendendola e spaventandola, facendole perdere di poco l'equilibrio, ma era tornata subito in quella che era la sua posizione statica

«Oi, tranquilla sono io, volevo chiederti se per caso mia madre ha lasciato dei soldi per la cena?» Veronica aveva contratto lo sguardo e scosso la testa

«Non ho fatto caso, a che servono?»

«Quando ha il turno la sera generalmente ci lascia dei soldi per prendere qualcosa da asporto, tipo sushi, pizza, club sandwich, e pensavo che visto che oggi sei arrivata anche tu ne avesse lasciati.»

«Oh okay, hai provato a guardare all'ingresso? Mi è sembrato di vederla fermarsi di più in quella zona.»

«Quello è il posto dove solitamente li lascia, ma non ci sono.»

«E per terra?» era andata verso la porta in legno della casa e si era accovacciata, poggiando le ginocchia sulle piastrelle fredde «Magari sono caduti, oh, eccoli» aveva allungato il braccio sotto al termosifone e li aveva presi, erano leggermente impolverati ma sempre di soldi si trattava, quindi, dopo che li aveva passati con le mani per togliere lo sporco, si era girata verso Francesco che la guardava privo di emozioni

«Trovati.» lui le aveva sorriso e lei glieli aveva passati, spolverandosi i pantaloni all'altezza delle ginocchia

«Cosa preferisci, il Sushi o il club sandwich?»

«Il sushi, ma non dovremmo aspettare tuo fratello?»

«In ogni caso non credo che tornerà a casa presto, e visto che sono le otto di sera e lui non è ancora qua direi che è il caso di mangiare?»

«Come vuoi tu, in fondo non conosco per niente tuo fratello.» Francesco non aveva aggiunto nessun tipo di commento e le aveva passato il listino del ristorante giapponese, dicendole che poteva scegliere quel che voleva, rimanendo tuttavia entro le sette portate. Aveva apprezzato che Francesco non avesse proferito parola, perché nonostante lei avesse fatto una battuta, quella singola frase probabilmente aveva fatto capire al ragazzo che tipo di emozioni provava, e senza aggiungere altro ci era passato sopra, convinto che qualsiasi cosa col tempo si sarebbe sistemata.

Alla fine Veronica non aveva scelto niente di che per la cena, come antipasto dei ravioli di carne, che in teoria dovevano essere tre o quattro, non aveva molto fatto caso alla quantità, e degli involtini di verdure, come primo del riso alla cantonese e due nigiri, come secondo due uramaki e una porzione di sashimi. Successivamente, soli a casa, sia mentre mangiavano sia prima, avevano cominciato a parlare fino a finire tra le battute colme di ironia e alcune frasi spinose o piene di sarcasmo. Alla fine lui si era dimostrato una persona testarda e ostinata nelle sue opinioni, certo, ma con cui era incredibilmente facile avere una conversazione, in più, quando parlava della scuola e di ciò che avrebbe voluto fare in un prossimo futuro, gli si illuminavano tanto gli occhi che Veronica aveva quasi pensato che tanta dedizione non ce la metteva nemmeno lei, lui era quel tipo che anche senza abilità speciali nello studio o facoltà che gli creavano delle facilitazioni riusciva a studiare dando il massimo e a trattare in modo incredibilmente schietto, aveva un'innata capacità di conversatore, che spesso, come lei stessa non aveva potuto far a meno di notare nell'arco di quella serata tranquilla, si sviluppava anche per materie in cui non aveva una particolare preparazione, riusciva ad eludere qualsiasi barriera mentale e a portare le persone con il discorso in tutt'altri campi rispetto a quello di partenza. Con lei era riuscito a passare dalla storia della stampa agli ingranaggi meccanici e alla fisica, che nemmeno si era accorta per quale strada stesse andando il discorso, ed era per quello che andava bene, perché riusciva a spaziare e creare di ogni singola cosa più discorsi che, inevitabilmente, erano sempre giustificati, talvolta da una giustificazione più significativa e talvolta da una meno immediata, ma sempre e comunque vera. Veronica invidiava quella sua capacità, perché per quanto lei leggesse, per quanto lei studiasse, le sembrava di lavorare a compartimenti chiusi, e quella era tra le cose che doveva modificare di sé quella che cercava di cambiare sin da tempi immemori. Era andata avanti così fino a quando, dopo aver deciso di comune accordo di guardarsi un episodio insieme di "The mandalorian", visto che tra i vari argomenti di cui avevano parlato era rientrato anche Star Wars, che avevano scoperto piacere ad entrambi. Veronica non aveva mai visto nemmeno un episodio della serie, invece Francesco sì, quindi quando lui faceva dei commenti, invece di infastidirla le faceva piacere, cosa che normalmente non sarebbe stata. Avevano continuato a guardare la televisione fino a quando Veronica, vedendo Francesco ormai mezzo addormentato, non lo aveva scosso per andare a dormire, avevano spento la televisione ed erano andati entrambi nelle proprie stanze.

Veronica però, alle tre di notte, era ancora sveglia perché quella non era la sua camera, non era il suo letto e non le sembrava nemmeno di respirare la stessa aria di prima, quando in realtà probabilmente lo stava facendo. Era in uno stato di confusione e ciò che gli dava vita era un raggio di cose disordinate e poco equilibrate che si erano scontrate col maniacale ordine che aveva cercato di dare alla sua vita.

Aveva passato esperienze ben peggiori, perché in quella giornata bene o male era stata circondata da persone che non le avevano fatto pesare di essere lì, e lei si era messa in gioco per poter stare al loro passo, per dimostrare che la loro preoccupazione nei suoi confronti e riguardo ai suoi sentimenti poteva anche essere messa da parte. Aveva cercato di mostrare che riusciva a lasciarsi quello che era il suo mondo prima di quella mattina un poco alle spalle, accettando quella che era la sua nuova vita da quel momento in poi, eppure, per quanto ci provasse, quando era sola, non riusciva a fare a meno di pensare che nulla sarebbe mai tornato come prima, che tutto quello che sarebbe accaduto da lì in poi avrebbe portato un freno alla concezione del mondo e della vita che aveva fino a quel momento, o che aveva avuto a seguito di esperienze di cui preferiva sempre non far parola. Niente era più doloroso che ricordare qualcosa in grado di spezzarle il cuore a metà, rifiutava qualsiasi pensiero rigirandosi nelle coperte e cercando di non pensare, di non ricordare e di non far dubitare se stessa della propria forza d'animo.

Poi, mentre i suoi occhi si stavano chiudendo per il sonno arretrato, una piccola creaturina nera era salita sul letto, strusciando sulla sua guancia il suo pelo morbido, Veronica, imbarazzata, sorpresa e quasi impaurita, aveva acceso la luce e aveva scoperto essere solo il gatto di sua zia, Akimi. La prima volta che aveva sentito quel nome le era sembrato strano, per un gatto, poi però ci aveva fatto l'abitudine e in quel momento le pareva normale. Aveva accarezzato il musetto della micia, che si era accucciata sul suo letto, poi, si era spaventata per quelle che sembravano delle urla trattenute, ed era scappata e scesa in salotto, e lei le era andata dietro, incontrando anche Francesco che, svegliato da quelle urla, si era preoccupato fino a uscire dalla propria stanza

«Ma ti sembra l'ora di tornare a casa?!» la voce di sua zia, che si stava trattenendo nella speranza di non svegliare nessuno, era giunta alle orecchie dei due ragazzi e del gatto, che con fare tranquillo si era strusciato sulle gambe della nuova presenza in quella casa

«Sono le tre di notte, sai cosa potrebbe succedere a un ragazzo della tua età a quest'ora per strada? No che non lo sai, figlio incosciente che non sei altro!»

«Mamma... m»

«Mamma un corno, vai in camera tua, prima che anche Veronica e tuo fratello si sveglino.»

«Possibile che non possa essere ascoltato?»

«Quella che deve essere ascoltata qui sono io, non tu.»

«Ma...»

«Leonardo -quella volta era stato Francesco a parlare, entrando nel soggiorno- Ti conviene stare zitto, oggi.»

Avevano un'armonia nella stramba situazione in cui si trovavano, Leonardo sembrava più un bambino in quell'istante che un ragazzo di diciassette anni, rimproverato sia da sua madre, sia da suo fratello maggiore.

Erano una famiglia completa, nonostante la mancanza di un padre presente.

♤♡◇♧♤♡◇♧♤♡◇♧♤♡◇♧

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _etriet_