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Autore: flyerthanwind    22/02/2022    1 recensioni
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La vita di Sam è quanto di più normale esista: ha una gemella che la conosce meglio delle sue tasche, un fratello con cui condivide la passione per il calcio e una squadra a cui tiene più della sua media scolastica –ma questo non ditelo alla madre!
Eppure, dal giorno in cui un vecchio amico di suo padre si trasferisce in città, la situazione prende una strana piega. Innanzitutto, le motivazioni del trasferimento appaiono strane, suo padre è strano e i sentimenti sono strani. Questo perché il figlio del tipo di cui sopra ha uno strano potere attrattivo nei suoi confronti.
Ottimi presupposti per una bella dose di disagio, non vi pare?
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Un limone anche meglio!

«Ah, ecco la nuova coppia dell’anno! Non mi dire, Miller, ti sei accorta che voleva solo controllare che fossi davvero… femmina?»

Non pensavo che ce l’avrei fatta. Combattere contro Amelia – contro la mia gemella, contro la mia perfetta metà – era sfiancante, non credevo di avere energie per combattere contro qualcun altro.

Mi sbagliavo. Di grosso.

Avevo atteso che finisse la frase perché non lo credevo capace di una meschinità del genere. Avevo sperato di aver frainteso. E invece Martin Hurt non si era smentito nemmeno quella volta.

Ci avevo messo un secondo a voltarmi e montare un gancio destro che aveva evitato per un soffio, e non di certo grazie ai suoi riflessi. Il suo naso era sano e salvo – e non inondato di sangue come avrei voluto vederlo io – solo grazie ad Austin che, accortosi di ciò che stavo per fare, si era infilato in mezzo e mi aveva sbilanciato.

Lo so, lo so, la violenza non è mai una soluzione… ma vedere il terrore puro nelle iridi di Hurt dava una certa soddisfazione. Quella sera non avrei potuto tollerare anche le sue idiozie.

«Che cazzo, Miller, sei fuori di testa? Potevi rompermi il naso!» sbraitò, indietreggiando di qualche passo e attirando l’attenzione della sua combriccola.

In effetti l’obiettivo era quello.

«Sam, non ascoltarlo, andiamo» intervenne Austin dando le spalle al suo compagno di squadra e posando le mani sulle mie spalle per tenermi a distanza.

«Non ascoltarlo» Hurt lo scimmiottò, inconsapevole che la sua presenza era l’unico motivo per cui non lo avevo ancora azzannato alla giugulare. «Non ti sai più difendere da sola?»

Chissà se i canini umani sono abbastanza affilati da recidere una vena.

«Non so se te ne sei accorto, Martin» mugugnò il riccio digrignando i denti, «ma si sa difendere piuttosto bene da sola. Io sono intervenuto per salvaguardare te».

Scacco matto, Hurt. Questo l’hanno sentito pure i tuoi amichetti.

Si passò le dita nel ciuffo biondo che gli ricadeva sulla fronte, ridacchiando nervosamente. «Non dire cazzate, l’hanno visto tutti che mi ha mancato.»

«Ti ho mancato solo perché Austin ha deviato il  mio pugno» replicai tranquilla. Non era mia intenzione dare spettacolo e ormai erano parecchie le persone che si erano radunate intorno a noi. 

L’avrei fatta pagare a Hurt in qualche altro modo, magari dimostrandogli per l’ennesima volta che potevo essere sia un’ottima calciatrice che una ragazza femminile, ma non era quello il momento.

Afferrai la mano di Austin, intrecciando le mie dita alle sue in una tacita richiesta di seguirmi, di allontanarci da lì prima che perdessi nuovamente il controllo e smettessi di rispondere delle mie azioni, di nuovo. Lui mi seguì senza fiatare e senza mai voltarsi indietro, fidandosi di me nonostante, solo pochi minuti prima, non l’avessi trattato affatto bene.

«Devo smetterla di rispondere alle provocazioni di Hurt, è solo un pallone gonfiato» mugugnai sconfitta quando fummo in giardino. Eravamo soli, non c’era nessuno nei paraggi, quindi potevo sfogarmi e sciogliere l’intreccio delle nostre mani. 

Però non volevo. E lui? Lui voleva che mi allontanassi?

«Già» rispose solamente Austin, carezzando con il pollice il dorso della mia mano. Feci per allentare la presa, dandogli la possibilità di sfilarsi, ma lui strinse più forte.

Allora nemmeno lui voleva.

Ingoiai l’orgoglio che aveva formato un groppo in gola e decisi di riaprire quel discorso che avevo voluto chiudere in malo modo. «Mi dispiace per prima, non avrei dovuto lasciarti così…»

«Non devi scusarti, non sono affari miei» alzò lo sguardo e mi sembrò sincero. «Non avrei dovuto immischiarmi.»

I suoi occhi, quella sera, continuavano a brillare di luce propria facendo concorrenza alle stelle. La profondità che li avvolgeva di solito pareva triplicata, aumentata solo per accogliere me e la mole di dubbi e di problemi che mi portavo appresso.

«Comunque mi sono comportata male e per questo ti devo delle scuse» quasi sussurrai, senza interrompere il contatto visivo. 

Lui fece un paio di passi verso di me, diminuendo ancora la distanza già esigua che era tra noi. «Scuse accettate» sussurrò a sua volta, chinandosi su di me per far scontrare le nostre fronti.

Eravamo a un soffio di distanza e da quella posizione potevo azzardarmi a contare le lunghe ciglia scure che gli contornavano gli occhi, rendendoli magnetici. E, come ogni volta che lui mi osservava, un senso di quiete mi inondò dall’esterno, scuotendomi le membra.

All’improvviso non mi importava delle insinuazioni di Martin Hurt né delle menzogne di Amelia perché il mio interesse venne catalizzato dal ragazzo che mi stava di fronte: mascella squadrata e riccioli biondi ad ammorbidirgli i lineamenti, Austin Rogers assumeva sempre più le sembianze di un angelo.

E io ci provai a spostare lo sguardo, a mettere le distanze, a non apparire come la ragazzina cotta a puntino che ero… ma non ci riuscii. Era impossibile. Interrompere il contatto tra le nostre mani intrecciate avrebbe significato porre fine alla magia che si era instaurata tra noi e io non ero disposta a rinunciarvi.

«Sam» sussurrò ancora, praticamente respirando nella mia bocca. Di tutta risposta sollevai ancora il capo, dischiudendo le labbra come a voler inalare il suo respiro.

Tuttavia, non riuscii a rispondere, sentivo che la mia voce non sarebbe stata ferma e temevo il momento in cui avrebbe capito quanto ero cotta, quindi mugugnai un Mh per incitarlo a continuare.

«Se ti avvicini ancora sarò costretto a baciarti.»

Il mio cervello andò in tilt, completamente. Non c’erano più neuroni funzionanti e in quel marasma di sinapsi e sostanza grigia, la mia facoltà di parola era andata a farsi benedire. Avevo perso la capacità di comunicare ma volevo fargli sapere che, beh, un bacio sarebbe stato ben accetto.

Un limone anche meglio!

Peccato che una mazza di scopa in quel momento aveva più mobilità di me, perlomeno sarebbe potuta cadere direttamente sulle sue labbra mentre io me ne restavo impalata come uno stoccafisso a fissarlo con gli occhi sgranati. 

Consiglio per il prossimo appuntamento – se mai ci fosse stato, avrebbe potuto decidere di scappare a gambe levate ed evitarmi fino alla prossima vita e io avrei compreso la sua scelta – : procurarmi un segnale di fumo e utilizzarlo in caso di ammutinamento delle mie facoltà intellettive.

Austin continuò a sorridere, sorrideva beatamente a un bacio di distanza mentre nel mio cervello si scatenava la terza guerra mondiale. Doveva essersi verificato un cortocircuito quando si era morso il labbro per trattenere una risata. Probabilmente le mie sinapsi avevano definitivamente ceduto in quel momento.

O magari erano state loro a scatenare quei fuochi d’artificio che stavano scoppiettando nel mio ventre, facendomi sentire leggera al punto che avrei potuto librarmi in cielo e trascinare Austin con me senza rendermene conto.

E quando finalmente mi baciò io… non capii più nulla. 

Non ero in grado di pensare lucidamente, non sapevo più dove iniziavano le mie mani e finivano i suoi capelli, mi domandavo se avesse mai smesso di aggrapparsi a me stringendomi come qualcosa di estremamente prezioso. 

E quando risposi al bacio, capii che per lui era lo stesso.

Le sue mani si muovevano lente a carezzarmi la schiena, il respiro si era fatto irregolare contro le mie labbra e, stretta in quell’abbraccio, potevo avvertire il pulsare del suo cuore a un ritmo incalzante.

E gli occhi… i suoi occhi blu avevano perso il potere calmante ma non quello attrattivo e sembravano catapultarmi in un universo in cui esistevamo solo io e lui, nessuno a disturbare la nostra quiete, nessuno a interrompere i nostri baci.

Era un peccato che, nella realtà, necessitavamo di farlo per respirare.

Quando ci staccammo avevamo entrambi il fiato corto e le gote purpuree. Le nostre labbra, rosse e gonfie, erano la prova tangibile di ciò che era accaduto. Non me l’ero immaginato, non era stato un sogno. C’era stato davvero un bacio.

Anzi, un limone… decisamente meglio!

Le nostre mani erano ancora intrecciate e le stringevamo come a voler tastare la realtà. Austin continuava a sorridere, non riusciva proprio a cancellare quella curva dal suo viso, nemmeno mordendosi l’interno delle guance.

«Un cent per i tuoi pensieri» sussurrai. Eravamo ancora soli in quel giardino, ma alzare la voce avrebbe significato stemperare l’atmosfera intima che si era creata e io non ne avevo intenzione.

«Non posso dirti cosa sto pensando o mi prenderai in giro» ridacchiò, memore di quando era stato lui a mostrarmi il penny che portava sempre così. 

«Mi sottovaluti, Austin Rogers» lo provocai con un leggero spintone sulla spalla che sciolse l’abbraccio in cui ci eravamo rifugiati. «Tu prova, potrei sorprenderti.»

Lui approfittò della distanza guadagnata per prendermi la mano e sollevarla, facendomi fare un mezzo giro su me stessa prima di attirarmi di nuovo a sé. Eravamo schiena contro petto e potevo sentire il suo respiro caldo solleticarmi l’orecchio.

«Sto pensando a quanto fossi arrabbiato quando ci siamo trasferiti qui» fece una pausa, lasciando un bacio delicato sul collo. «E a quanto ne sia felice adesso.»

Un ampio sorriso si cucì sul mio viso e fui grata di dargli le spalle perché probabilmente ero anche arrossita.

«Stai dicendo che sei felice grazie a me?» alzai il capo trasformando il sorriso in un ghigno sardonico. «Beh… di solito faccio quest’effetto alle persone!»

Austin mollò la presa all’istante e mi allontanò con uno spintone, ma l’attimo seguente ero di nuovo stretta nel suo abbraccio. Profumava di fresco e di pulito, un odore delicato che gli calzava a pennello.

Quando sospirò rumorosamente sapevo che stava per dire qualcosa che temeva mi avrebbe allontanato. «Sam, ascolta… so che prima ho detto che non avrei dovuto impicciarmi, ma proprio non ce la faccio a vedervi così.»

Annuii, comprendendo immediatamente dove voleva andare a parare.

«Devi chiarire con Amalia. Se non vuoi farlo per lei almeno fallo per me» sembrava una supplica più che una richiesta.

«Per te? Che c’entri tu?» domandai confusa, alzando il viso per guardarlo negli occhi.

«Io voglio che tu sia felice, e so che adesso non lo sei al massimo» rispose tranquillo, come se l’argomento non lo toccasse anche se il suo sguardo suggeriva tutt’altro. «So che non ti sei goduta la serata, magari adesso non hai pensato alla vostra lite, però il resto del tempo sei stata… spenta.»

Aveva ragione. Per quanto mi fossi impegnata a fingere che non fosse accaduto nulla, che la lite con la mia gemella non avesse impattato sulle mie giornate, mi rendevo conto che il mio stato d’animo ne aveva risentito parecchio. Avevo provato a nasconderlo, ma chi mi conosceva – o stava imparando a farlo – se n’era accorto lo stesso.

«Ho sempre voluto chiarire con lei, avevo solo bisogno di tempo per metabolizzare» tentai di spiegare, anche se non erano chiarimenti che Austin chiedeva. Lui non voleva immischiarsi, voleva solo che tornassi a essere spensierata come prima e aveva capito che tutto era dipeso da quella lite.

«E adesso hai metabolizzato?»

No, non esattamente, ma me lo sarei fatto bastare. Non per lui o per i miei genitori o per Lucas. L’avrei fatto per me e per Amelia. Perché lei meritava il diritto di spiegarsi e io meritavo di sapere perché me l’aveva tenuto nascosto.

Ma, soprattutto, perché entrambe meritavamo di ricucire il nostro legame.

Non risposi alla sua domanda, mi limitai ad avvolgergli un braccio intorno alla schiena e incamminarmi insieme a lui verso casa, dove la musica ormai era stata spenta e i ragazzi iniziavano a recuperare i propri averi per andare via.

«Ti dispiace se torno con loro? Vorrei parlarle subito» dissi mentre attraversavamo il salone, ormai non più gremito di gente, per raggiungere Lucas, Malcolm e Garret.

«No, tranquilla» mi strinse ancora a sé, sottolineando le sue parole. «Ci sentiamo domani.»

«A domani» posai un bacio delicato sulla sua guancia che lui ricambiò con uno all’angolo delle labbra prima di salutare anche gli altri e andare via.

Mi guardai intorno, notando come ormai eravamo davvero in pochi a essere rimasti, ma non riuscvo comunque a individuare mia sorella. 

«Dov’è Amelia?» domandai.

«Le è venuto un forte mal di testa ed è andata via presto, l’ha accompagnata Margot.»

Ero indecisa se sentirmi in colpa perché quel mal di testa era causato dal mio comportamento o irritarmi perché mi aveva usata come scusa per appartarsi con la sua ragazza.

A ogni modo, sfruttai il viaggio di ritorno per riflettere su ciò che avrei dovuto dirle, e ciò che avrei voluto sentirmi dire da lei, tentando di mantenere la calma. Ormai avevo deciso di parlarle non appena fossi rientrata, anche a costo di svegliarla, per cui necessitavo di incanalare energie positive per non urlarle addosso non appena me la fossi trovata davanti.

Mentre Lucas parcheggiava l’auto io mi precipitai in casa, fiondandomi su per le scale con un’urgenza tale che mi portò a sfilarmi i tacchi per essere più agile ed evitare di svegliare mamma e papà. Non mi chiesi da dove derivasse quella carica, ma supposi che la chiacchierata – e non solo – con Austin stesse sortendo i suoi frutti.

Spalancai la porta della sua camera e accesi la luce, certa di trovarla nel suo letto. Tuttavia, le coperte non erano state toccate e l’abatjour che solitamente utilizzava la notte era spenta. Tutto faceva pensare che non fosse mai entrata nella stanza, a eccezione di un rossetto posto al centro della scrivania.

Amelia non era lì.

E c’era qualcosa che non andava.

   
 
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