Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: acidosolforic0    25/02/2022    0 recensioni
Floch si sentiva terribilmente solo, e quella prima volta che vide il mare si rese conto di quanto quei suoi sentimenti fossero ben fondati.
[ Tematiche delicate: depressione, pensieri suicida ]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nella camerata dei ragazzi non si parlava d'altro: la spedizione definitiva al di fuori delle mura, verso territori lontani. 

Armin nominava continuamente quel dannato "mare", e Floch non lo comprendeva. Cosa ci trovava di così affascinate in una pozza d'acqua? Sempre che esistesse, poi. Acqua salata che si disperde allo sguardo dalla sua vastità. Cazzate, pensava Floch. 

Nonostante tutto ciò, però, lo invidiava, perché Armin riusciva ad avere un obiettivo, un sogno, qualcosa per cui valesse la pena uscire da quelle mura. Invidiava Armin perché nonostante avesse tolto la possibilità ad Erwin di tornare in vita, stava passando tranquillamente le sue giornate con i suoi amici come se niente fosse, come se ora non fosse un maledettissimo gigante che potenzialmente potrebbe distruggere tutto se solo si fosse fatto male per sbaglio. Floch sapeva che non era quello il funzionamento della trasformazione, ma era troppo arrabbiato con lui e negava l'evidenza. 

La notte prima di partire, essendo il suo letto poco distante da quelli di Armin e Jean, riuscì a malapena a chiudere occhio, in quanto i due parlottarono l'intera nottata su ciò che avrebbero visto al di là. 

Il mattino seguente, a causa della pessima qualità di sonno, era particolarmente irritabile, più del solito, e a colazione non parlò con nessuno. Non che fosse una novità, ma si sedette in un angolo di un tavolo lontano dagli altri, consumando il suo breve pasto solo e controvoglia. 

Era convinto che non avrebbero trovato nulla. Figurarsi una cosa assurda come quel "mare" per cui Armin impazziva così tanto. Acqua salata. Floch al pensiero fece un verso di disprezzo.

Poi salirono a cavallo, pronti per quella spedizione. Floch restò al passo degli altri, e ad un certo punto incontrarono un gigante. Quell'idiota di Eren decise per tutti che non l'avrebbero toccato. Floch non lo sopportava, avrebbe preferito la morte ad Eren come amico. Davvero, soltanto guardarlo in volto gli si accapponava la pelle. Gli toccò obbedire, e proseguirono la loro corsa verso una destinazione non precisata. Vagavano a vuoto, andando avanti, tutti convinti di trovare qualcosa. 

Oltrepassarono prati fioriti e colorati, un breve tratto di boscaglia affiancato dal fiume, ed infine una lunga distesa di sabbia sottile, che col trotterellare dei cavalli si disperdeva nell'aria, aiutata dal leggero vento che tirava. 

A quel punto, davanti a loro si presentò un altro muro. A Floch parve di impazzire: fuori dalle mura erano ulteriormente circondati? Erano condannati a stare chiusi in quel posto? 

Talmente tanto era confuso che si accorse solo in quel momento che gli altri si stavano muovendo, cercando la fine di quel muro, ed il ragazzo li seguì. In ogni caso non avrebbe concluso niente, né andando con loro né tantomeno stando fermo a contemplare dei mattoni. 

Poco dopo, però, riuscirono a trovare la fine di quella muraglia e c'era una salita sabbiosa che portava dall'altro lato di quell'ulteriore muro. Socchiuse le labbra e si mantenne volutamente più indietro degli altri, che invece stavano già facendo correre i cavalli verso quella direzione; Floch aveva quasi paura di scoprire cosa ci fosse, perché non aveva davvero alcuna aspettativa, e fino a quel momento era convinto di non aver alcun interesse nello scoprire il mondo esterno. Si rese conto solo quando stava facendo trottare il cavallo lungo la salita che era fin troppo curioso, interessato nei confronti del nuovo. 

Il vento, prima carico di granelli di sabbia, aveva ora cambiato sapore: era un'aria mai sentita prima, ed un forte odore bizzarro invase le narici del giovane. Quando arrivò con gli altri in cima a quella collina, ora ricoperta da un prato verde, rimase a bocca aperta: proprio lì, davanti ai suoi occhi, c'era una distesa d'acqua immensa, talmente tanto grande da non poterne vedere l'altro lato. 

Era quello il mare? Si domandò. 

Non ci volle tanto perché i suoi compagni scendessero da cavallo per esplorare quella novità, e lui li seguì, ancora incredulo. Legò il suo cavallo assieme agli altri e scese. 

Non riusciva a credere ai suoi occhi, era davvero assurdo che le dicerie di Arlert fossero vere, e la cosa più sconvolgente era che fosse veramente un luogo senza paragoni. 

Si guardò attorno, il sole lo colpiva forte in viso scaldandogli la pelle, l'aria odorava di sale e purezza, il terreno era composto da sabbia bianca e sottile. 

Era da solo in mezzo a quell'ondata di allegria generale: erano tutti con i loro amici, ognuno di loro si stava dedicando ad un'attività diversa, mentre lui non faceva assolutamente nulla. Era in piedi a guardare il mare, forse cercandone la fine, o forse restando incantato dai riflessi del sole, che davano all'acqua diverse colorazioni di celeste. 

Si sedette su quella sabbia stringendosi le gambe al petto, inalando il piacevole odore dell'ambiente, poggiò la testa sulle sue ginocchia e lo sguardo cadde sul trio di Jaeger. Quell'idiota stava indicando un punto indefinito davanti a lui mentre Armin stringeva qualcosa tra le mani e Mikasa guardava il castano con apprensione. 

Il trio di Jean, invece, casinista come suo solito, si stava sbizzarrendo in quelle acque, schizzandosi a vicenda e ridendo come pazzi. 

Il comandante Levi, come lo stesso Floch, non si era avvicinato all'acqua, ma vegliava sulla folle curiosità di Hanji, che avrebbe potuto causare problemi. 

Il ragazzo si strinse maggiormente le ginocchia, come a darsi conforto, dato che a nessuno dei suoi compagni sembrava interessare di lui. Nessuno di loro lo cercava con lo sguardo, nessuno di loro nominava il suo nome, nessuno di loro forse si rendeva conto della sua presenza. 

Sospirò, sentendosi estremamente solo. Chiuse gli occhi. 

Il rumore dell'acqua che si infrangeva sulla sabbia e su quei grossi massi poco lontani da lui, le risate dei suoi compagni, le loro voci, versi di gabbiani e volatili. 

Il senso di pace che sentiva era altissimo, e nonostante la sensazione di solitudine lo stesse opprimendo, quella quiete unica lo calmava. Non se ne sarebbe mai voluto andare. 

Riaprì gli occhi solo per notare come la situazione non fosse cambiata, soltanto Jaeger si era spostato e ora parlottava con i suoi amici. 

Senza neanche rifletterci su, sovrappensiero, si stava togliendo gli stivali ed i calzini, aveva voglia di sentire quell'acqua, voleva sentire se ci fosse qualcosa di diverso da quella del fiume. 

Si alzò e lentamente si avvicinò al mare, sentendo la sabbia calda sotto i suoi piedi; presto, più si avvicinava all'acqua, la sabbia divenne fresca e bagnata. Nel momento in cui un'onda s'infranse sulle sue caviglie e sentì il mare su di sé, sorrise. 

Sorrise in un modo sincero per la prima volta da mesi. Fece qualche altro passo, l'acqua gli arrivava ormai a metà polpacci, la sabbia sotto di lui non era dura come quella incontrata nella prima fascia. Guardò verso il basso e vide i suoi piedi attraverso quell'acqua cristallina, vide degli strani oggetti tra la sabbia – piccoli e grandi, di diverse forme e colori – e nonostante non sapesse cosa fossero, poté intuire che fossero simili tra loro. Si accucciò leggermente per prenderne uno, tra i più grandi, ed era di un color bianco scintillante, alternato solo da alcune striature rosa pallido. Se lo rigirò tra le mani, ispezionandolo, studiandolo con cura, senza mai smettere di sorridere. Si sentiva colmo di emozione per un semplice oggetto dalla natura sconosciuta trovato in una pozza d'acqua. Ironico da parte sua, soltanto fino ad un'ora prima snobbava del tutto la determinazione di Arlert nei confronti del mare, ed ora si trovava ad esserne felice. 

Desiderava immergersi completamente in quelle acque, capire se la sua apparente felicità potesse aumentare, ma non lo fece. Mise in tasca quell'oggetto, poi si accucciò di nuovo, per toccare con le sue mani il mare. 

Non seppe quanto tempo passò in acqua, ma ad un certo punto tornò sulla sabbia asciutta e si lasciò cadere a terra, abbandonandosi completamente alle sue emozioni. 

Si guardò nuovamente attorno, ed i gruppi avevano fatto comunella; persino il capitano Levi si era fatto coinvolgere, nonostante portasse perennemente quella facciata annoiata, Floch notò nei suoi occhi un peso in meno. Si strinse su sé stesso ancora una volta e chiuse gli occhi, scegliendo semplicemente di non vedere. Forse il reale motivo di quel gesto era che stava iniziando a sentire dolore agli occhi dalle lacrime che tentava di trattenere, ma decise di negarsi la verità. Nemmeno quando iniziò a piangere ammise al suo orgoglio di star effettivamente piangendo: dopo quel giorno, quello della riconquista di Shiganshina, non pianse più e si promise di non farlo. Era stato definito debole per quel gesto, così naturale e primordiale, e non avrebbe mai voluto che la situazione si ripetesse, ma in quel caso di inevitabile. Non riusciva più a trattenere quelle emozioni e le tramutò tutte in quelle lacrime, che non smettevano per un secondo di scendere dai suoi occhi castani, che continuava a tenere chiusi. 

Sentiva la risata troppo forte di Sasha, la voce sempre squillante di Hanji, i commenti di risposta di Connie, Jean che parlava animatamente, Armin che probabilmente gli rispondeva e le sue lacrime non facevano che aumentare. 

Per quale motivo non era lì con loro? Non riusciva a comprendere cosa avesse fatto di così sbagliato per meritarsi tutto quel dolore, non riusciva a capire i suoi compagni, sempre così ostinati ad escluderlo. 

Gli scappò un singhiozzo, ma si coprì prontamente la bocca con una mano, mentre l'altra era impegnata ad asciugarsi il volto dalle lacrime; riaprì gli occhi, non vedendo assolutamente nulla di diverso da prima. Nessuno di loro sembrava averlo sentito o notato. Si sentiva uno schifo e non riusciva a muoversi, era costretto a guardare i suoi compagni divertirsi mentre lui era lì, inerme e triste da morire. Avrebbe volentieri scavato una fossa in quella sabbia bianchissima e ci si sarebbe infilato, sparendo una volta per tutte, ma era troppo orgoglioso perfino per quello. 

Seppellì il volto tra le sue ginocchia, cercando di calmarsi. Respirò profondamente, più e più volte, riuscendo a regolarizzare il respiro dopo qualche minuto. Stava male, davvero male, ma a loro non sembrava importare per niente. 

Si rassegnò a quella triste realtà, e rialzò il capo, voltandosi a guardare il mare, l'unica cosa che in quel momento lo aiutava a mantenersi lucido. Era ironico, pensò, come quella pozza d'acqua che fino ad un paio d'ore prima screditava, ora fosse l'unica cosa che lo stesse tenendo a contatto con la realtà. Gli sarebbe davvero piaciuto annegarci dentro, fino a non respirare più, ma si sentiva talmente inutile e sporco in confronto che non voleva contaminare la purezza di quella meraviglia naturale. 

Sospirò nuovamente, dandosi dello stupido per quei suoi pensieri, ma allo stesso tempo si sentiva talmente sopraffatto dalla sua tristezza dal non rendersi conto che aveva ripreso a piangere. Era completamente fuori dal suo controllo ormai. Tutto era fuori dal suo controllo. Avrebbe soltanto avuto bisogno di qualcuno con cui parlare. Ogni tanto aveva dei piccoli dialoghi con Jean, ma per lo più erano frecciatine o discorsi vuoti, e Floch aveva bisogno di piangere sulla spalla di qualcuno. 

Stava fissando l'orizzonte con occhi vuoti, nella speranza che uno di loro lo notasse, anche se non credeva più in niente. 

Fissava l'orizzonte sperando che quell'istante durasse in eterno, quella pace eterea si fondesse con il suo animo lercio. 

Fissava l'orizzonte sperando che i suoi occhi si sarebbero chiusi dallo sforzo, e con troppa volontà, sperava che non li avrebbe più riaperti. 

Nonostante fosse terrorizzato dalla morte, al contempo ne era spaventosamente attratto, forse esageratamente, ma non poteva farne a meno. Chissà da morto come si sarebbe sentito meglio, pensava spesso. Forse più leggero, libero finalmente da quel peso che percepiva perennemente; era opprimente, talvolta gli toglieva il respiro e certe notti faticava ad addormentarsi. 

In ogni caso, decise di rialzarsi in piedi e indossare i calzini e gli stivali, poi si avvicinò al suo cavallo, donandogli tutto l'affetto che avrebbe voluto donare a qualcuno. Ecco, forse aveva bisogno non solo di una spalla su cui piangere, ma di una persona fissa nella sua vita con cui condividere qualcosa. Notò come Jean avesse Sasha e Connie, Eren aveva Armin e Mikasa, Hanji aveva Levi. 

Floch era solo. E così sarebbe stato per sempre, pensò. 

Non aveva aspettative per il futuro, anzi, sperava spesso di non averne uno. Decise quindi di sedersi accanto al suo cavallo e di godersi quegli istanti al mare. 

Nonostante io dolore, quando lo guardava si sentiva pacifico. Quasi felice.

   
 
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