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Autore: ClodiaSpirit_    25/02/2022    2 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Clo's: ci ritroviamo qui, con la seconda parte che è diventata una terza
(non dico chi me lo ha suggerito altrimenti verrò uccisa nella notte)
che dirvi, ragazzi, keep going and stay tuned
ho tanto sclerato scrivendo certe parti, spero sarà lo stesso per voi (ehehehe)
keyword: fidanzatini vibes
bando alle ciance,
buona lettura











Manuel si alzò nel bel mezzo della notte, non infilò nemmeno le ciabatte e i piedi toccarono il pavimento solo vestiti di quei calzettoni lunghi. Era riuscito a non svegliare Simone, spostandolo lentamente al lato opposto del letto, accompagnando il suo corpo, poi, con fare furtivo, era uscito in punta di piedi dalla stanza.
Arrivò in cucina, trovando stranamente la luce accesa. La figura di Floriana era seduta sul piccolo divano all’angolo, con un bicchiere d’acqua in mano. La donna sfoggiò un breve sorriso, le gambe erano portate contro il petto, la schiena poggiata al divano, il pigiama che portava era semplice, senza fronzoli con una vestaglia più pesante sulle spalle.

« Non riesci a dormire neanche tu? » gli chiese.

Manuel annuì e un sospiro gli gonfiò il petto, la mano si stropicciò il viso. Si sedette attorno al tavolo, non capendo neppure lui perché l’insonnia non lo lasciava in pace nemmeno fuori da Roma. Floriana si alzò, aprì il frigo e afferrò la bottiglia d’acqua in vetro. Con la stessa eleganza, si diresse verso lo scaffale sopra il forno e ne uscì un bicchiere e glielo mise davanti.

« Grazie » mormorò, stupendosi di quel piccolo gesto. Cosa c’era da stupirsi poi, era la madre di Simone. Quei due erano nati per dare e dimostrare affetto. Manuel prese il bicchiere e l’acqua fresca scese lungo la sua gola, rinfrescandolo e facendolo rabbrividire un po’. Lo rinvigorì quanto bastava per tenerlo lucido. Posò l’oggetto sul tavolo, osservando la sua forma tondeggiante. « Tu, perché non riesci a dormire? » le chiese rompendo il silenzio.
Floriana si avvicinò, la mano libera poggiata sul bancone da cucina, lo sguardo stanco ma sveglio.

« Pensieri, pensieri di ogni genere »

« Sono una rogna, ne so qualcosa » alzò il bicchiere, come volesse brindare a quella piccola sfortuna che avevano in comune.

« A diciassette anni si dovrebbe avere la testa libera, leggera, svagata…»

« Peccato che io sia un adolescente rotto, nun me m’hai piaciuto essere come gli altri, » Manuel fu amaro come se avesse inghiottito recentemente del veleno « è sempre stato un bel problema »

« E’ questo il motivo per cui sei sveglio? » il tono della donna si colorò di premura, subito intriso di dolcezza e accortezza.

« Ce ne sono un paio, ma sì, fa parte della matassa »

« Definisci “rotto” »

Floriana risucchiò le labbra, le pieghe si fecero evidenti e gli occhi si aprirono mostrando un colore vivido sotto la luce fredda della cucina. Quel suo sguardo aperto, cordiale, invogliava Manuel a dirle ogni cosa, come se fosse un’amica a cui poter confidare ogni cosa. La conosceva da un giorno appena, eppure quella donna sembrava già avergli aperto molte porte, accogliendolo senza riserva.

« Stavo pensando a Simone da piccolo, » Manuel si voltò. Floriana era composta sulla sedia adesso, riempiva il suo di bicchiere ormai vuoto « a tutte quelle belle cose, ma anche a quelle brutte »

« Ognuno le vive, Manuel. Simone non è l’unico che affronta la vita. Essere rotti significa questo per te? »

Il ragazzo annuì piano, le palpebre gli pesavano tremendamente, come se fossero lì lì per chiudersi. Manuel sapeva che se avesse permesso loro di farlo, il tarlo della sua coscienza lo avrebbe logorato oltre. Doveva liberare quel groviglio che ancora portava dentro, altrimenti si sarebbe soltanto fatto del male ulteriormente. Parlare, era questo che Simone gli aveva insegnato. Parlare e non tacere aiuta ad alleggerire il cuore.

« Prima di… prima di stare con Simone, io me so comportato male con lui, » confessò, la guardò da sopra il bicchiere, come se si vergognasse di essere messo sotto giudizio e giudicato colpevole « non sono stato il miglior esempio che ci si possa aspettare, » la donna continuò ad ascoltarlo senza intervenire o interrompere « e me ne pento. Ogni giorno, me dico de avere fatto cazzate su cazzate, che la confusione c’era e che non la stavo ascoltando. Che quando potevo agire diversamente, ho fatto il contrario, così come tante altre cose, se c’avessi pensato, sarebbero andate meglio. Ecco dove sta la rottura, dove sta lo storto. Quando ho sentito di Simone bullizzato, mi è ritornato tutto indietro, come un boomerang. E so, so benissimo che sono cose der passato, che bisogna lasciarlo lì dov’è, ma fanno sempre male, come uno scavino elettrico o un tatuaggio, te bucano dentro e te marchiano »

Manuel deglutì sentendosi la bocca secca, riarsa. Avrebbe voluto bere, ma prima che potesse raggiungere la bottiglia con la mano, Floriana lo anticipò. Era lì, che gliela versava con cura, per lui. I suoi occhi incontrarono quelli di lei, incorniciati da una smorfia pensosa, ma non seria.

« So cosa hai fatto in negativo, » esordì, portandosi un dito a sistemarsi una ciocca di capelli « quando Simone è venuto qui da me, quel famoso giorno in cui ha saltato scuola, mi ha raccontato qualcosa. O meglio, quello che si sentiva di raccontarmi. Il punto Manuel è, » guardò dritto negli occhi il ragazzo « che so anche cosa non hai fatto di sbagliato. »

« Non è molto importante quello in verità »

« Ah no? » Floriana suonò contrariata, alzò le sopracciglia, una strana energia le prendeva posto in corpo « Non lo hai lasciato solo per venire qui, a chilometri di distanza da casa, per correre qua da me, senza ancora un vero esito finale, » si schiarì la voce, il ragazzo si mordeva le labbra percependo la sua tenacia « non lo hai lasciato solo, nemmeno quando ha saputo di Jacopo. Lo so, suo padre me lo ha detto. E la stortura, l’errore, lì è stato il nostro… » Manuel si incollò il bicchiere d’acqua alla bocca « La notte del suo incidente ti sei addormentato in ospedale e sei rimasto lì fin quando non si è svegliato. »

Manuel si ritrovò senza risposta o meglio, provò a cercarne qualcuna, ma suonavano tutte come scuse o come parole che non avrebbero potuto controbattere quelle di una madre.

« Sai cosa ho pensato quando ti ho visto, stamattina, affianco a lui? »

« Non lo so, cosa? »

Manuel sussurrò, come se avesse paura di sentire la risposta a quelle parole, come se potesse svegliare qualcuno. Ma lui e Floriana stavano parlando con attenzione e il suo ragazzo era difficile da destare dal suo sonno anche con le fanfare, bell’addormentato com’era.

« C’è qualcosa di speciale in questo ragazzo, mi sono detta » incurvò le labbra in un sorriso interessato, le mani si poggiavano sotto il suo mento magro « non capivo cosa e ho pensato, chissà quale sarà la sua storia, che intreccio potrà mai avere con mio figlio. Ora lo vedo, vedo perché Simone ti ha scelto »

« Me verrebbe da rispondere perché in quel momento era sordo oppure cieco, ma non credo sia ciò che vuoi davvero dirmi » ci scherzò sopra, come faceva sempre quando le cose si facevano troppo serie e il sentimento cambiava e si faceva netto e denso.
La verità era che non sapeva nemmeno lui darsi ancora una risposta: lui e Simone erano finiti insieme per quello che gli altri amavano chiamare destino, mentre a Manuel veniva solo in mente l’idea che era stata semplicemente natura, la natura semplice delle cose. Non c’è un ordine prestabilito, a lui piaceva vederla in quel modo anche se aveva fatto inciampare entrambi più e più volte in quel percorso naturale.

« Simone ti ha scelto perché ha visto cosa c’era dietro quella scorza che porti all’esterno, ha voluto vedere dietro la maschera e scavarci dentro, a suo rischio e pericolo, ma lo ha fatto liberamente » Floriana suonò cristallina.

Manuel sembrò pensarci seriamente, gli occhi fissarono un punto indefinito della stanza e le gambe si scioglievano dalla tensione. Dietro la maschera.

Sai che non sei così, è solo quello che vuoi fare vedere.
Pensi di conoscemme e invece te sbagli. Simò io non sono come te, non c’ho bisogno costante de fissamme sulle cose. Io so fatto così, punto.
Che è sta storia Simò, me scastro io e mo’ te incastri tu?

Serrò gli occhi, ripristinando qualche conversazione temporalmente opposta a quello che stavano vivendo adesso. La musica ora era ben diversa e se prima i pezzi erano sempre finiti sul tragico, ora sfumavano in una sinfonia armoniosa e calma. Ora c’era Manuel che avrebbe concesso ogni pezzo di sé pur di vedere il ragazzo che amava felice, lontano dal dolore.

« Sai cos’è strano? La cosa più strana de tutte è che sapevo di dover diventare una persona migliore prima, ma non ho mai capito davvero perché una persona pura come Simone l’abbia meritata proprio io »

Floriana si addolcì ancora di più, la mano si posò sulla spalla del ragazzo e a quello non sfuggì il gesto. La presa era cauta, fiduciosa. Si levò sopra gli occhi grandi della madre, sempre più simili a quelli del figlio.

« Non credo sia strano, credo sia solo umano. Quando due persone si trovano, non c’è una ragione da ricercare, non esiste una risposta a tutto. E non è un caso Manuel, che io veda Simone più felice, più sereno negli ultimi tempi » gli fece l’occhiolino.
Manuel si rassicurò, Floriana gli accarezzò una guancia, con quel suo fare candido e protettivo. Pensò istantaneamente a sua madre, la chiamata fatta nel primo pomeriggio, tornati dalla spesa. L’amore, anche quello era un tratto solo e unicamente loro.

« Lo amo, » la parola gli uscì fuori ovattata come neve « voglio davvero dimostrarglielo più che posso perché Simone merita questo, amore. Voglio provare a non sbaglià più »

« Sbagliamo tutti, accade. E tu sei ancora giovane, la vita insegna pure questo »

Floriana circondò le spalle di Manuel, strizzandogliele un poco. Si limitò a quello e il ragazzo si accorse della sua premura a sganciarsi prima che il tempo le permettesse di abbracciarlo. Forse pensava che fosse troppo presto.

« Grazie »

Manuel era sincero, un sorriso grato gli incorniciava il viso bisognoso di riposo.

« E’ il mio lavoro, oltre quello professionale. L’ascolto è molto sottovalutato oggi giorno. Forse è il caso che tu ti rimetta a letto, c’è ancora tempo, sono solo le tre. Buonanotte Manuel »

Il ragazzo annuì, fece per voltarsi, ma qualcosa lo bloccava. Non era giusto lasciare Floriana in quel modo. Tornò indietro, camminò spedito e la tirò in un abbraccio. Lei sembrò non aspettarselo, perché le sue mani risposero qualche istante dopo aver realizzato. Manuel la sentì sorridere contro la sua spalla.

« Riposati, anche tu. Simone ha bisogno di entrambi »

La vide annuire piano, portargli una mano sul viso e poi la figura di Manuel si diresse davvero a letto, questa volta, per cercare di addormentarsi.




 
- - -






A poco a poco, la luce mattutina si posò sulle sue palpebre, le sopracciglia, il naso. Simone entrò in camera, la porta si apriva e quella fu la prima cosa che vide. Un sorrisetto gli circondava le guance, più piene. Simile a un bambino, più che a un adolescente, con quel pigiama comodo e i piedi nudi sul pavimento. La felpa gli ricadeva addosso, le mani nelle tasche e il passo lento. Manuel era disteso a pancia in giù, dal lato della finestra. Le gambe piegate, il braccio abbandonato sul cuscino opposto.
Simone fu cauto, mentre con le labbra gli dava un bacio leggero, premuto proprio sulla fronte.

« Dormiglione, se non ti alzi la colazione si fredda » sussurrò dolce al suo orecchio come un canto.

Manuel si mosse, lamentandosi nel sonno. La mano si arpionò al cuscino, tastando in cerca di Simone. Il ragazzo in piedi, rise un po', prima di ridargli di nuovo attenzione. Il bacio si posò sulla guancia, questa volta. Il teppistello mugolò qualcosa, incomprensibile. Il corpo di Manuel si spostò nel letto, aprendo piano la sua visuale sul suo ragazzo, le palpebre ripeterono il loro movimento più di una volta prima di prendere totale consapevolezza. Simone, ora che se lo trovava davanti, appoggiò la sua mano al materasso, il braccio in tensione, il naso si attaccava piano a schiacciare quello di Manuel.

« Buongiorno, non ce credo sei mattutino come un orologio svizzero pure qua, Simò? » mormorò assonnato. La mano si stropicciò gli occhi, dimostrando la mera dei suoi anni.

Simone mosse il naso e dunque anche quello dell'altro. Manuel che aveva gli occhioni puntati dritti su di lui, la sua mano andò a posizionarsi dietro la nuca del suo ragazzo.

« Buongiorno anche a te, Manuel. Hai dormito di nuovo male, vero? »

« Non proprio male, ma sai com'è...l'insonnia me gioca sti scherzi » sospirò.

Simone annuì e gli depositò un bacio rapido sulla bocca.

« Tu e mia madre potete stringervi la mano. Dovete farvi prescrivere qualcosa, prendere una camomilla la sera, qualcosa che vi faccia dormire tranquilli » fu premuroso.

« Simò a me nemmeno una bomba de sonnifero me farebbe dormire per più di cinque ore »

« O forse semplicemente ti dovevo stringere di più » confessò.

Manuel accennò un sorriso sereno, beato, la mano salì ad accarezzare i ricci del suo ragazzo.

« Dai sbrigati, » lo incalzò Simone « non ti posso portare il cibo qua, cioè lo farei, ma vorrei ci sedessimo tutti e tre a tavola. Ti aspetto in cucina » lo riempì di una serie di baci, uno dopo l'altro, ognuno breve.

Manuel ridacchiò ancora impastato nel sonno, pieno di tutto quel calore mattutino, ancora intontito, ma non lamentandosi affatto di come avevano preso piega le cose. Quando Simone si staccò, la sua mano si arpionò forte alla sua, tirandolo e facendolo ricadere a letto con sé.

« La colazione può aspettare, io no » sussurrò roco « vieni qua, ho bisogno di altra energia per alzamme »

Si incollò alla bocca di Simone, la mano lo spinse giù, tirandolo alla base dei capelli. Il contatto fu delicato, lento e anche pigro. Forse era troppo scontato da dire, ma Simone apprezzava quei baci più di tutti gli altri, sapevano di abitudine, di sicurezza.
Manuel era completamente rilassato e l'aria era quotidiana, come se mancasse solo quel tassello per iniziare ogni giornata, quando avevano dormito insieme la sera prima. I baci erano caldi, comodi, non dovevano essere per forza perfetti. Le mani si incontrarono per sprofondare dietro il collo, sulla schiena, disordinate ma calme, senza aver fretta di accelerare il loro tragitto. E più si intrecciavano, più si ingarbugliavano, più sapevano quanto sarebbe stato difficile interrompere il contatto.
Quando Simone capì di trovarsi ormai spalmato completamente sull'altro, dovette trovare tutta la forza di volontà necessaria dentro di lui per non restare lì, facendosi tentare e dimenticando ciò che aveva sul fornello, in cucina.

« Va bene, playboy » mormorò, la mano fece forza sul materasso, invece Manuel manteneva la presa, tenendolo ancorato « se continuiamo così, mi si brucia la colazione, anzi, la nostra » gesticolò con la mano libera, indicando la porta della camera.

« Ma se può sapere che stai a cucinà, er banchetto pe la regina del Scozia? » una smorfia di evidente delusione in viso, nonostante la battuta.

Simone ridacchiò, mentre gli dava una carezza leggera. Poi, sollevandosi e tornando in piedi finalmente, assunse un’aria fiera e soddisfatta di chi ha appena compiuto una dura prova. Si chinò solo per baciargli una delle mani poggiate sopra le coperte.

« Se vieni in cucina tra cinque minuti, lo vedi tu stesso » e così, si dileguò a passo scandito fuori dalla stanza.
Manuel sospirò, osservando lo spiraglio di sole proiettato dalla finestra.
Lentamente si portò sui suoi piedi, alzandosi. Si stiracchiò, le braccia si alzavano e la maglia del pigiama le seguiva scoprendo un po' il ventre. Si alzò leggermente i pantaloni e ravvivandosi i capelli, andò per qualche secondo in bagno. Manuel si sciacquò il viso, osservandosi allo specchio. Aveva un po' l'aspetto di un cadavere e le borse erano ancora presenti. Si asciugò il viso con l'asciugamano apposita che aveva portato con sé e si diresse in cucina. Ad attenderlo, Floriana seduta al tavolo, la moka al centro della tavola, tre piatti, tre tazze di cui una in mano a lei, Simone era dietro i fornelli, con lo sguardo concentrato.

« Buongiorno » Manuel salutò la donna, che rispose subito dopo, accennando un sorriso. Poi si portò un dito alla bocca, entrando subito in combutta con Floriana, quella annuì capendo all'istante. Si portò dietro la schiena di Simone e lo circondò con le braccia. Quello sussultò un po', il viso premuto contro il suo.

« Er servizio in camera non funziona, è un vero peccato » la sua voce era roca, così vicina. Simone percepì quella distrazione, ma nonostante la presenza di Manuel dietro di lui, girò una delle tante crepes in padella. Sorrise quando riuscì a non bruciare nemmeno quella « Però ho sentito dire che il cuoco è caruccio » continuò Manuel, strofinandogli il naso sulla spalla.

Simone adagiò la crepe sul piatto lì vicino, che scivolò perfetta impilandosi sopra le altre , poi si girò a guardarlo. Aveva quel sorrisetto tipico di chi sta per fare battute perverse.

« Ah sì? Beh, buon per lui »

« Benissimo, » Manuel lo guardava pieno d'amore e malizia « peccato però che è già impegnato, glie volevo chiede de uscire a bere qualcosa, una thè, una limonata »

Simone rise, le labbra si incurvarono all’insù ma non si evitò il gusto di dargli una piccola gomitata.

« Vatti a sedere, che è pronto »

« Agli ordini, Balestra! » si portò una mano sopra la testa e si mise dritto come un soldato.

La scena scatenò la risata di Floriana, che ondeggiò con la testa divertita. Simone spense il gas, accertandosi di aver pulito le mani sulla pezza lì, vicino al gancio del fornello e poi portò il piatto di crepes sul tavolo di vetro, insieme a coltelli e forchette. La varie marmellate e creme erano già state preparate precedentemente.

« Dio Simone, non avrai esagerato? » Floriana indicò il piatto, portandosi il caffè vicino alla bocca.

« Non facevamo colazione insieme da un po', » sospirò « e poi so quanto ti piacciono » si mise a sedere. Ognuno prese la sua, riempiendola della crema che desiderava.

« Perché non uscite oggi? C'è una bella giornata » esordì Floriana, il primo boccone le attraversò il palato e si fermò socchiudendo gli occhi in estasi « sono stupende »

Simone sorrise annuendo.

« Lasciati viziare un po', fin quando sono qua, mamma » mormorò soddisfatto « comunque non lo so, insomma, tu hai già degli impegni? Perché se vuoi restiam-»

« Simò ti ricordo che mi avevi promesso di farmi da guida in giro per la città »
Manuel intervenì, notando lo sguardo rapido di Floriana che chiedeva soccorso.
Simone mandò giù un altro boccone e guardò prima sua madre e poi il suo ragazzo.
« Tesoro dovevo vedermi con quella collega di cui ti parlavo ieri, » si affrettò a dire « e poi non voglio che ve ne stiate chiusi qua tutto il giorno »

« La verità Floriana è che Simone ha paura che me prendo a parole con uno scozzese, » ironizzò, finendo di masticare « me applico nella lingua anche se non è proprio quella la mia preferita »

Simone strabuzzò gli occhi, la forchetta ricadde nel piatto, il suo sguardo sembrava metterlo in guardia. Manuel sembrava non essere minimamente toccato da come lo stava mettendo a tacere con gli occhi.

« Sono sicura, Manuel, che qualcosa ti verrà in mente. Chiedere qualcosa è molto semplice in verità » si limitò a dire Floriana, divorando l'ultimo pezzo di dolce. Il caffè lo accompagnò subito dopo.

Simone riprese parola, la forchetta che veniva degnata di attenzione.

« Va bene allora, » soppesando ancora lo sguardo divertito di Manuel « ti porto a fare un giro in città, solo le cose principali, nonché le più belle. C'è da camminare e ad ogni lamentela, ti avviso, aumento il prezzo della "guida turistica" »

Floriana si alzò un attimo, il cellulare le squillò dal piccolo soggiorno adiacente proprio in quel momento. Si pulì con un tovagliolo e si scusò per andare a controllare. Uscì fuori dalla cucina, chiudendo la porta-separè in vetro dietro di sé.

« Ma ti pare il caso di dire certe cose? » sospirò, Simone, evidentemente in imbarazzo, una volta che sua madre scomparve dalla stanza.

Manuel scrollò le spalle, tranquillo. « E comunque anche se fosse ti fermerei prima che tu possa venire alla mani con qualcuno. Gli scozzesi sono buoni, ma se li provochi finisce male e io non voglio vederti di nuovo sanguinante a terra. Mi è bastato una volta. »
Manuel arricciò le labbra, la crepe gli ripulì la bocca, ma la testa ripercorse quei bei due lividi e ricordi contrastanti, lasciati da Sbarra e Zucca, più all’ex fidanzatino scozzese di Simone.

« A me lasciame perde, l'importante è che non te tocchino, poi posso pure andarci d'accordo » Simone roteò gli occhi, poi lo vide cambiare subito discorso. « In ogni caso quanto costa la tariffa guida? » riprese a prenderlo in giro, sorrise sornione.
Era impossibile.

« Devo controllare, » abbozzò uno sguardo di sfida « dipende da un sacco di cose » poi Simone si ingegnò di furbizia « puoi pagare come vuoi, quando vuoi » la voce si abbassò a un sussurro, metà della crepe che se ne stava ancora lì, abbandonata sul piatto.

Ci fu uno sguardo tra i due che sembrò durare un'eternità. Manuel si inumidì le labbra, gli occhi gli finirono su quelle del ragazzo. C’era una certa cosa chiamata decenza – in realtà anche contegno e dignità - che non rientrava nel suo vocabolario quando non lo guardava negli occhi e quando Simone si prestava a certe allusive interpretazioni, l’unica cosa che davvero desiderava era prenderlo e baciarlo di continuo.

« Mi piace un sacco come idea »

Simone ritornò in sé, il cibo che ritornava ad essere degnato di attenzione, sbuffò fintamente offeso.

« Certo che ti piace, sarebbe strano il contrario »





Floriana sospirò, portandosi una mano alla fronte. Nella stanza accanto, dosò bene il motivo di quella chiamata.

« Sì, Dante va tutto bene » si affrettò a dire « no, non credo mi stiano sentendo o almeno lo spero » la voce era bassa abbastanza ma non troppo, affinché il suo ex marito la sentisse.

« Quando pensavi di dirgli che l'appuntamento con dottore lo hai oggi? » tuonò l'uomo quasi come se la stesse riprendendo.

Floriana si aggrovigliò la manica del pigiama tra le dita, le unghia lunghe, in bocca ancora il sapore della marmellata di fragole.

« È stata una cosa dell'ultimo momento, mi ha mandato un e-mail per avvisarmi ieri, lo sai » pronunciò quelle parole come a cercare una scusa. « Si è liberato un posto, cos'altro dovevo fare? Meglio togliersi il dente subito »

« Sì, ma non pensi abbia il diritto di saperlo? » la voce di Dante era molto seria. Floriana si portò la mano sul fianco, come ad appigliarsi a qualcosa.

« Non mi va di preoccuparlo ancora di più, » mormorò, fece per spostare la porta scorrevole di vetro. Uno spiraglio si disegnò in mezzo alla due ante, su cui il suo occhio spiava le figure dei due ragazzi, intenti a parlare. Simone stava ridendo e l'immagine le suscitò tranquillità « e poi c'è Manuel con lui »

« Come dimenticarmi, il mio alunno filosofo » lo sentì ridere un poco dall'altro capo del telefono.

« Sai che me lo aspettavo diverso? Non so, pensavo mettesse più timore, soggezione... » sentì subito di aver giudicato male durante l'estate in cui suo figlio si era rifugiato da lei. « e invece è una ventata d'aria fresca. È totalmente l'opposto di nostro figlio, eppure sembra essere ciò che di cui ha esattamente bisogno »

« Ti avevo detto che Manuel era un po' incasinato, non di certo il diavolo! » la risata dell'uomo riecheggiò imperativa, portando Floriana ad allargare le labbra, contagiata.

« In realtà da come me ne avevi parlato, sembrava più il classico fighetto che voglia metterti sotto con la macchina »

« Che io sappia, non c'è questo pericolo, non ha la patente per guidarla e seconda cosa, » sentì l'uomo sospirare « ho sempre pensato fosse in gamba, solo che lui lo ha capito tardi. E' un classico caso che viene definito "perso", ma che in realtà bisogna solo sapere prendere »

Floriana annuì, accarezzava le maniglie lucide davanti a sè, come se quel gesto potesse arrivare alla figura di suo figlio dall'altra parte della stanza che li divideva. Manuel aveva il broncio, spiandolo adesso e suo figlio, si era appena alzato per mettergli le mani dietro le spalle e abbracciarlo da dietro.

« Abbiamo parlato un po', la sera scorsa... » restò vaga ricordando esattamente le parole del ragazzo: sono rotto. Sembrava dare l'impressione opposta a guardarlo, adesso, ma aprendosi aveva fatto trapelare più cose di quante non si dicessero in apparenza.

« Immagino siano cose importanti, da come me lo stai dicendo »

« Tiene molto a Simone, me lo ha fatto capire. E poi, credo che abbiano dei trascorsi simili, al di là delle differenze »

« Se non tenesse a Simone non avrebbe tartassato sua madre ogni giorno sul fatto di dover venire lì, quello è sicuro »

Floriana risultò piacevolmente sorpresa. La figura di Manuel dallo spioncino ora si alzava e andava verso il lavandino, Simone prendeva i piatti e glieli portava. Era così piccola la figura del ragazzo, se usava fare il paragone con il discorso che avevano intavolato la serata prima, tutti e due moribondi in astinenza da sonno.

« In ogni caso, oggi escono. Così penserò a un modo per dirglielo, una volta avuti risultati concreti » deglutì e fu sbrigativa. Dante le sembrò comprensivo, anche se portava una vena di disappunto nella voce.

« Sono sicuro che capirà, e se non dovesse farlo, ti aiuterò io Floriana »

« Lo so, testone. E grazie per esserci »

« Non c'è bisogno che tu me lo dica. Riposati e aggiornami appena sai »

Floriana annuì, si salutarono e chiuse la chiamata. Poi fece un respiro profondo e piazzando un sorriso, aprì le ante della porta scorrevole e rientrò in cucina.



 
- - -




Simone fece da cicerone per tutta l'uscita, preferendo girare per il centro principale di Glasgow che sapeva a memoria.
Per prima cosa, portò Manuel a Kelvingrove Park, situato presso il fiume Kelvin. Dato che la mattinata portava il sole, nonostante la brezza pungesse leggermente, era raro visitarlo con quel tempo, dato che per tutto l'inverno il manto era coperto dalla pioggia, dal fango o dalla neve. Quest’ultima forse, era la vista più speciale di tutte. Ma il mese andava in contro al primo periodo estivo e quindi, era naturale uscire con le belle giornate. Il parco era vasto e rigoglioso, lunghi alberi dalle chiome folte erano sparsi qua e la, qualche persona era sdraiata sopra l’erba, a godersi l’aria aperta leggendo o si rilassandosi al sole. Da una certa visuale, a una certa altezza, si vedeva l'edificio principale dell'università, svettante e imponente in stile neogotico.
Un porticato a tre archi, si sporgeva in avanti, mentre il muro dietro era più alto e riportava dei tetti spioventi sul verde spento. Due torri più lunghe dominavano la scena e si allungavano ai lati. Per il resto l'intera struttura continuava longitudinalmente. Era il museo civico del parco. Lo visitarono anche perché, quella giornata risultò gratuita per l'entrata dei turisti. L'interno sembrava più grande, c'era un grande salone a scacchi e ogni galleria presentava il nome specifico di una collezione, opera d'arte internazionale e italiana, come Dalì, Tiziano e Botticelli, oggettistica varia come armi e armature.

« Sai che esiste una leggenda popolare secondo cui l'edificio è stato creato con la facciata sul retro rispetto al parco? Si dice che questo ha portato alla morte dell'architetto, anche se non si sa fino a che punto sia una cosa vera o inventata »

« Poraccio » Manuel digrignò i denti in una smorfia dolorosa.

Erano in una delle tante sale, piene di dipinti e qualche piccolo busto scultoreo ai alti. Simone si stupì molto dell'interesse di Manuel, il che lo mandò con la memoria a quel giorno al museo naturale, con il resto dei compagni. Forse non era troppo il caso di pensarci. Osservò Manuel davanti a un dipinto, volendo con ogni fibra del suo corpo, prendere il telefono e scattargli una foto.

Non mi sta guardando, è un momento perfetto.

Si posizionò bene, cercando di metterlo al centro dell'obiettivo: la figura di spalle, il giubbotto color corda, i ricci che si liberavano da sotto il berretto. Poi decise di farne un’altra, inquadrandolo di profilo. Con un altro piccolo click, Simone scattò.

« Me chiedo come riuscivano a fare 'ste cose, io non saprei nemmeno colorare un cerchio » Manuel si girò in quel momento, Simone che distratto alzava lo sguardo « Che stai a guardà? »

« Io? Niente » infilò il cellulare nella tasca dei pantaloni, come se nulla fosse.
Manuel si avvicinò al ragazzo, circondandogli i fianchi con le mani. Nel museo c'era qualche turista, ogni tanto si vedeva girare qualche donna in divisa sicuramente per il controllo della sicurezza.

« Mi ricordo di quella volta che c'hanno portato al museo, » mormorò pensieroso Manuel « solo che ce stava solo roba impagliata, più che altro morta »

Simone non poté fare a meno di pensare al bacio che aveva provato a dare all'altro, su quella scalinata superiore, c'era il vuoto del primo piano sotto di loro, lo spazio isolato, lontano da tutti.

« Quello che ricordo è ben altro di quel giorno, » si morse le labbra « non proprio gli animali appesi ai muri » rise nervoso.

Manuel annuì, capendo subito a cosa Simone si stesse riferendo. Sospirò e tirò fuori lui il cellulare. Simone lo guardò un attimo confuso, indicò l'altro.

« Che fai ora? »

« Rimedio a quel ricordo e ne creo uno nuovo, Simò » così dicendo, aprì la fotocamera e tirò il ragazzo inquadrando anche qualche pezzo artistico dietro di loro « E poi è come se fossi un po' in gita scolastica, solo che qua possiamo essere più tranquilli »

Messi in posizione, Manuel scattò, prendendo entrambi. Quando finì però non si limitò a quello, il tempo della foto risultò più lungo, perché Simone si trovò Manuel che lo baciava, proprio come aveva tentato lui quella volta. Gli poggiava la mano a coppa sul viso, poi sul mento e poggiava le labbra. Non c'era il bracciolo di una grata o una scala però a sostenerli entrambi, questa volta. La presa di Manuel risultò libera, identica e improvvisata, continuando nello stesso momento a scattare. Quando si staccarono, Simone si sentì imporporare il viso e avvertì subito il calore arrivargli alle orecchie, gli occhi erano luminosi.

« Vedi te se dovevi venire fino in Scozia per baciarmi in un museo » la fronti erano premute l'una contro l'altra.

« La prossima volta, te porto io ai Musei Vaticani e te bacio pure davanti al Papa se lo becchiamo »

Simone scoppiò a ridere, la bocca si aprì e il sorriso ne risultò gigante. La risata causò l'attenzione di alcuni visitatori che stavano passando giusto in quel momento. « Quanto sei bello quando ridi Simone » se lo lasciò scappare, con quell'espressione aperta, vulnerabile.

« Andiamo va, » Simone indirizzò l’attenzione in basso e lo prese per mano « ci sono ancora altre cose da vedere e poi ti porto a bere qualcosa »

« Non c'è bisogno de farmi ubriacare, sono così al naturale te ricordo! » camminava e mentre gesticolava da vero italiano, non c'erano dubbi sul fatto che ancora, qualcuno lì dentro si fosse incuriosito a guardare Manuel.

« Non si beve la birra alle undici o dodici del mattino, almeno, qua loro sono abituati così. Ti faccio provare un caffè alcolico buonissimo però »

« Quindi quella non se beve, ma l'alcol nel caffè invece sì » lo prese in giro.

Simone sospirò, il fiato di Manuel gli stava sul viso, mentre gli dava un bacio sul mento e poi gli stritolava le guance.

« Sono io la guida, se non ti va bene, cercati qualcun'altro, non so, magari puoi chiedere a qualcuno qui dentro. Ovviamente in inglese e senza il mio aiuto, c'è qualcuno di interessante che ti attira? » gli piaceva tantissimo mettersi al suo stesso livello. Simone aveva imparato come prenderlo ormai e non poteva sfuggirgli quella vena ironica e di pieno flirt che sembrava trattare bene al pari del suo ragazzo.

« Sì, me sa de sì, aspetta, che mo' glielo chiedo » Manuel si staccò da Simone di botto, l'altro lo guardò colpito, la smorfia sul viso lampeggiante. Poi quello tornò indietro, la mano alzata sull'altro, neanche fosse un numero da circo e si piazzò davanti a Simone « Sorry, » disse in un inglese romanizzato, l'altro già stava ridendo e Manuel continuò « could you be my... nun me viene- »

« Guide » gli suggerì.

« Sì, giusto, could you be my guide, Simone? » l'inglese stentato era così dolce, che Simone non seppe non abbonarglielo.

« Yes, of course, if you want me too » rispose.

Manuel si fermò un istante, era cristallino con gli occhi piccoli e sicuri. Simone pensò che forse non aveva capito cosa gli avesse appena detto, quindi provò a tradurlo. Il ragazzo però aveva già capito, a sua insaputa.

« Io te voglio sempre, Simò »

Simone perse un battito, gli stampò un bacio veloce, il viso gli si era colorato di nuovo. Procedevano di nuovo vicini, avanzando per le ale del museo.






Simone e Manuel camminavano per le strade inglesi, senza fretta, godendosi il paesaggio. Ogni tanto, uno dei due si fermava, per immortalarlo in qualche scatto.
A Simone veniva da ridere, perché Manuel si attaccava a qualche albero oppure si copriva il viso, ogni tanto metteva la mano davanti la sorgente dell’obiettivo oppure lo tirava in mezzo. Anche l’altro gliene aveva scattata qualcuna, più che altro nei momenti in cui era distratto o si fissava a spiegargli qualche altro dettaglio su ciò che stavano guardando. Quando però se ne accorse, Simone in risposta gli rubò il berretto in un gesto rapido e si misero a correre per tutta la lunghezza del parco. Forse i bambini, sarebbero stati meno infantili, ma a loro piaceva così, corrersi dietro, con qualche frase colorita che usciva dalla bocca di Manuel.
Inutile dire cosa successe dopo: se ne stavano distesi sull’erba l’uno sull’altro, i respiri affannati, Simone che gli rimetteva il cappello in testa aiutandosi con entrambe le mani, Manuel che lo baciava. L'intero parco non sembrava più poi così grande, loro due, soli.
Poi, alla vista di un ponte di pietra, che attraversava il fiume, Manuel, registrò un video, le scarpe da ginnastica ben piantate per terra, la bocca stava improvvisando una pronuncia della lingua alquanto singolare. Il berretto gli dava un’aria tenera, schiacciandogli i capelli, la barba incolta gli era già cresciuta per metà e il solito sorriso svettava fuori impudente. Simone, Glasgow la aveva sempre trovata una bella città, ma adesso stava davvero riempiendosi tutta di un nuovo sapore che c'era Manuel insieme a lui.

« Dai, su è pe mi madre Simone, saluta » gli aveva detto. Il gesto della pace, la ripresa girando appena il telefono.
Simone aveva messo su un sorriso piccolo, ma sincero, muoveva la mano dietro il ragazzo. Per il resto, si inquadrava il panorama, il verde, le casette tutte uguali e in mattoni, gli edifici storici.

« Più tardi dovrò svuotare un po’ di memoria, » mormorò Simone « avrò almeno una cinquantina di foto tutte tue » arricciò il naso, ridendo.

« E’ cosa buona e giusta, » si faceva vicino e gli stampava un bacio, il naso era già freddo, il respiro caldo invece « così te le guardi quando non ce sto e te manco »

« Le più belle le faccio sviluppare » si strinse nelle spalle, la sciarpa gli ricadeva gonfia sul collo e non sentiva quasi più le mani.

In circa due ore avevano scattato non si sa quante foto, spostandosi in mezzo alla gente, ritrovandosi a ciondolare in qualche negozio di dischi o in qualche vicolo particolare della città.
Dopo aver letteralmente passato il tempo in quel modo, i morsi della fame si fecero potenti per entrambi e scelsero di fermarsi da qualche parte per mangiare un boccone. Sotto consiglio di Simone, uno dei tanti Caffè speciali, si trovava vicino la piazza principale e a pochi metri dalla galleria d’arte moderna.
L’insegna del bar spenta e di colore rosso, dominava su delle ampie vetrate in legno ebano scuro. Lo scorcio in prospettiva permetteva di leggere i vari menù e i tavolini sistemati appositamente uno affianco all’altro, in bella vista. La porta aprendosi tintinnò, i due addetti dietro il bancone della caffetteria diedero il benvenuto, Simone accennò un gesto della mano.
La visuale si aprì su uno spazio largo, caldo e accogliente: delle piccole lampadine scendevano dal soffitto, le pareti erano metà in mattone e metà dipinte di un colore che dava sul verdone, i tavoli con qualche panca a muro, erano ognuno separato da un separé in legno, in modo da dare la giusta privacy a ogni cliente. Infisso a una grossa lavagna, erano riportate le varie scelte del menù. In generale, quell’ambiente suggeriva tanta calma e riposo. Simone avanzò verso uno dei tavoli, bloccandosi di colpo, quando riconobbe un volto ben preciso in mezzo agli altri.
Si strinse lo zaino sulla spalla, la sciarpa gli si appiccicava come un serpente al collo ora e il respiro si appesantiva in gola. Manuel, che lo retrocedeva, si accorse di quanto fosse rigido, senza però capirne il motivo. Solo quando il suo ragazzo si piazzò davanti all’oggetto del suo livore, riuscì a farsi un’idea del suo stesso sentimento.
Christian aveva guardato subito verso Simone, nel momento esatto in cui si era fermato in mezzo alla stanza. L’elefante rosa era più presente che mai.
Se non lo faccio ora, non lo farò mai più.
Simone era fermo a pochi metri dal tavolo in questione, era in compagnia di qualcuno quindi non pensò di doverai nemmeno avvicinare: l'educazione era una virtù per pochi. E anche se avesse voluto farlo, non ne ebbe il tempo, perché l’altro prese l’iniziativa al suo posto.
L’ex aveva tinto i capelli, macchiandoli di rosso su qualche ciocca, risultando estremamente ridicolo rispetto all’età che aveva. Gli occhi verdi sembravano grigi e portava un paio di occhiali ripiegati sul collo a v della maglia. Simone lo trovò – in ogni caso – uguale all’immagine che aveva vissuto tempo prima, anche se più sbiadita ai contorni.

« Simone » gli fu davanti, adesso, l’espressione tremolante.

« Ciao » suonò freddo, distaccato. Avrebbe tanto voluto chiedersi perché non aveva pensato alla possibilità che lui potesse essere lì.
Che idiota. Se non altro, Simone non lo avrebbe affrontato da solo.
Il viso di Manuel fece capolino dietro di lui, come fosse un piccolo animaletto curioso ma ben testardo. Simone non poteva vederlo in quel momento, vedendosi oscillare in bilico tra l’uscire da quel locale e urlargli contro di trovarsene un altro e lasciarli in pace. Avrebbero dato spettacolo lì dentro, soltanto a suon di insulti.

« Manuel »

Christian sembrò vagamente adombrarsi, la vergogna gli si dipinse in faccia, anche se sembrò più un’emozione costruita che veritiera.

« Oh, ciao, » il tono si fece affilato al punto giusto « purtroppo ti informo che se vuoi darmi n’altro pugno, non credo la passerai liscia come l’ultima volta »

Simone deglutì, la mano gli si piazzò aperta e in protezione, per fermarsi contro la pancia di Manuel.

« Lascia stare Manuel, non credo si meriti tutta questa attenzione, » ritornò al diretto interessato « d’altro canto, non ha mai chiesto scusa » gli occhi densi di delusione.

« Avrei voluto tante di quelle volte, » Christian abbassò lo sguardo, poi si rivolse a Simone « ma avevo paura che non avresti più voluto parlarmi. E ne avresti avuto tutte le ragioni. Mi dispiace, » temporeggiò su Manuel questa volta « di averti aggredito in quel modo. Non te lo meritavi. »

Simone studiò a fondo l’immagine di quel ragazzo che lo aveva portato per l’estate in giro per i pub, che lo aveva ascoltato e che nel giro di pochi mesi dopo, aveva buttato tutte le buone idee e pensieri che gli aveva costruito addosso.

« Te mancava er coraggio prima, però pe rompermi quasi il setto nasale la forza ce l’hai avuta» tuonò in difesa. Simone teneva ancora fermo il suo ragazzo, sospirando appena, mentre il volto dell’ex sembrava essersi ridotto a una cartina spinta via dal vento.

« Mi dispiace Manuel » sembrò lì lì assumere una posa corrucciata e in parte, poteva essere anche vera, ma lo sguardo che riservò a Simone poi, la cambiò. Era come un pupazzo ferito. Simone però, non diede tanta attenzione a quelle poche parole. Si scusava, ma la cosa che più lo disturbava era quell'aria di assoluta indifferenza che aveva avuto nei suoi riguardi.

« Non ti sei fatto vivo. Lo hai fatto solo perchè avevi la coscienza troppo sporca? Certo, era più facile sparire piuttosto che uscire le palle. Sai, ti credevo diverso, Christian » fu sprezzante. Gli occhi da grandi si fecero due fessure che colpirono a segno.

« Anche io pensavo lo fossi. Non posso dire altro perché mi scaverei la fossa da solo, ma non meritavo di essere lasciato così. Ti volevo davvero bene.»

Simone respirò riempiendo i polmoni.
Si era sentito fin troppo in colpa nell’esatto istante in cui Manuel gli aveva messo in mano la verità dei fatti: non era giusto illudere l’altro se non era riuscito a lasciare andare lui per primo. E ora in che altro modo poteva ritorcere il coltello se non dalla sua parte? Una risatina amara gli uscì fuori come un gorgoglio. Non conosci una persona fin quando non ne subisci i colpi inaspettati dal basso e ti ritrovi a terra.

« Qua l’unico che non se meritava tutto questo, era Simone » si fece avanti, evitando la presa di Simone ancora ferma contro il suo corpo. La spostò di lato, scambiando una rapida occhiata col suo ragazzo. « Per quanto mi riguarda accetto le tue scuse, ma spero de non rivederte più manco cor binocolo perché respiro puzzo da ridicolo fin da qui » mormorò piano, difendendolo.
Poi, con un gesto veloce, prese Simone per mano e lo allontanò via da Christian, senza il tempo di lasciargli dire nient’altro. Vide rimpicciolire la figura del ragazzo che restò impalato per un po’ e dopo ritornò a sedersi al suo posto. Manuel fece per poggiare la mano sulla maniglia della porta d’entrata, ma Simone lo fermò per il polso.

« Quel coglione se meriterebbe un bel calcio in culo, anzi due » esordì, leggendo lo sguardo ancora teso di Simone.

Scosse la testa, riflettendoci per bene.
Chi era lui per decidere dove dovevano stare?

« No, non può averla vinta, non così »

Lo guardò per un lungo lasso di tempo, le loro mani si toccarono.

« Simò se te fa stare male, possiamo andare in un altro posto, non c’è bisogno manco che tu lo dica » Manuel suonò veramente premuroso.
Simone sapeva che lo avrebbe fatto per lui, che avrebbe preferito farsi un altro po’ di strada a piedi, piuttosto che fermarsi lì con quella presenza ingombrante nell’aria.

« Non gli permetterò di rovinarci la giornata, » se prima ci giocava, ora gli afferrò la mano, intrecciandola nella sua « mi interessa solo di stare con te, Manuel, tutto il resto non esiste »

Manuel cercò l’indecisione nei suoi grandi occhi. Simone aveva il naso leggermente rosso, le labbra increspate, il viso rilassato.

« Sei sicuro? »

« Posso fare quello che voglio, sono qua col mio ragazzo, in una giornata – stranamente - soleggiata, ho tutto il diritto di stare qui quanto ne ha lui e non nessuna intenzione di scegliere un altro posto dove pranzare » Simone fece qualche passo in più, gli schiacciò il naso e socchiuse gli occhi.

Il teppistello non si contenne più e lo tirò in un bacio, facendo scontrare i nasi, le labbra, mentre le mani restavano sempre incollate. In piedi, all’interno della caffetteria, le loro figure sembravano le uniche a scambiarsi quel gesto.
L’idea di essere visti neanche lo sfiorava, anzi, in quel momento, Manuel pensò che se anche Christian avesse buttato loro occhio, si sarebbe meritato quello spettacolo. Forse non doveva parlare troppo, ma il pensiero che Simone avesse superato anche quel confine passato, lo fece subito sorridere sulle sue labbra in mezzo al bacio.
Il controllo gli veniva sempre meno quando Simone si rivelava a quel modo: la persona migliore che conosceva e che lo ispirava. Avvertì il respiro caldo del suo ragazzo addosso e quando si staccarono, il naso era schiacciato sulla guancia, la mano libera di Manuel era dietro la sua nuca.

« Mò immagina come ha rosicato quello la oh! » esclamò nel tono più tranquillo che ci fosse.
Simone rise, gli abbassò il berretto sulla fronte e poi, lo trascinò verso uno dei tavolini in fondo alla caffetteria.






« Ma che c’hai, oh, Manuel, non ti sdraiare a terra, su » rideva vedendo l’altro in completo stato di scioltezza sbandare, in mezzo alla strada per ritornare a casa. Erano le cinque e mezza del pomeriggio e Manuel sembrava subire gli effetti dell’alcool in corpo. In realtà il primo allarme era scattato quando aveva cominciato a prendersi un po’ troppa confidenza con l’autista sul bus per il viaggio di ritorno. Simone aveva dovuto pungolarlo più volte per farlo smettere di conversare in un romano sconnesso – senza che l’uomo alla guida capisse una parola, tra l’altro.
Poi, a Simone sembrò di vederlo un attimo bloccarsi mentre camminavano. E adesso che quello si muoveva barcollando, tutto si era fatto chiaro. « Credo che tu non regga tanto bene il whisky » lo sorresse per le spalle, sentendo anche la puzza di birra dal suo alito.

« Simò ma a te non te gira un po’ la testa?, » Manuel strabuzzò gli occhi, camminando dritto, ma percependo la testa annebbiata, i ricci erano ora liberi dal berretto, che per la sensazione di calore Manuel aveva deciso di togliere e riporre nella tracolla « c’hai qualche superpotere, per caso? Dimmi la verità »

Simone non capiva come potesse essersi innamorato di quel piccolo ragazzo che cercava disperatamente di restare in piedi, dopo solo due caffè corretti e due birre artigianali grandi prese per accompagnare il brunch.

« E te lo dicevo, la birra scozzese non è come la nostra, è leggermente più forte.I primi tempi facevo fatica anch’io a farmi passare la sbronza » passarono le strisce pedonali, la borsa a tracolla finì sopra l’altro braccio di Simone, lo zaino era un peso dietro la schiena. Dava l’impressione di un facchino fin troppo giovane.

« Appena tu madre mi vede così, me rispedisce a Roma, sicuro » ridacchiò strizzando gli occhi.

« Mia madre non ti vedrà così, uno perché saluteremo veloci e due perché cercherai di dissimularlo. »

« Sì, vabbè se ce so riuscito per mesi con te, ce posso riuscì con chiunque » passarono a un altro incrocio con un semaforo e lo sguardo di Simone sbiancò.

« Che vuol dire per mesi? Non mi avevi detto che te ne sei accorto durante l’estate? » sostenne l’altro meglio che poteva, mentre attraversavano l’ultimo svincolo. Un paio di minuti e sarebbero arrivati a destinazione.

« E’ così Simò, » biascicò quelle poche parole « solo che penso di aver sviluppato tutto un po’ prima senza averlo capito bene. E’ un accozzaglia di roba, quelle cose che se non ce sbatti la testa più volte, non le riesci a fare tue »

Simone lo guardò bene: gli occhi erano aperti, ma sembravano stralunati, il respiro era calmo, la camminata si stabilizzava, il braccio libero gli penzolava. Una siepe adornava un centro abitato, una pizzeria all’angolo aveva un’insegna fulminata, un po’ più avanti dei signori parlavano tra loro.

« E’ proprio vero che l’alcool ti tira fuori tutto dalla bocca » mormorò.

« Che poi mannaggia a me, t’ho sempre guardato! E non come se guarda una persona, tipo normalmente, c’avevo sta cosa de fissarti, l’hai notato pure te, huh? »

In realtà era una caratteristica ben precisa a cui aveva fatto caso, anche se per le prime volte pensava fossero solo casi isolati.
« Sì, ma ai tempi mi sembrava mi prendessi in giro »

« Ero io che me prendevo in giro da solo… so che non suona proprio carino da uno un po’ ubriaco, » Manuel vide Simone frugarsi nella tasca del giubbotto - sempre stando attento a non lasciarlo - le chiavi di casa, che tintinnarono una volta trovate « ma quando hai deciso di darmi un’opportunità me so sentito il ragazzo più fortunato della terra, me so sentito come se avessi vinto alla lotteria, Simò »

Si scambiarono una rapida occhiata d’assenso o forse solo per tastare il silenzio del vicinato. I villini col calare del sole erano diventati tutti più caratteristici.

« Bell’affare che hai fatto con me allora » scherzò Simone, intravedendo subito la schiera di case famigliare. Sentì la presenza di sua madre e del letto vicine.

« Ho fatto er jackpot! » urlò e alzò le braccia al cielo, facendo per un attimo vacillare la figura del ragazzo facchino accanto a lui.

« Questa sera farai il jackpot di caffè fino a vomitare, ecco cosa farai » l’immagine di suo padre che lo vedeva steso a terra nel salone di casa, gli ritornò in mente.

« Cazzo non altra caffeina, per favore » piagnucolò Manuel.






« Mamma siamo arrivati! » chiuse la porta dietro di sé, adocchiando bene Manuel con la luce fredda della casa: poteva dare l’impressione di stanchezza, come se avesse bisogno di un caffè.
L’altro annuì consapevole, cercando di darsi un tono.
Quando però non lo guardava più, Manuel era andato subito a sedersi sul piccolo divano, avvertendo un breve giramento della stanza.
Floriana si affacciò da una delle porte dalla camera. In mano teneva una busta piegata che strofinava con gli indici, i capelli erano sciolti sulle spalle e indossava una maglia lunga bianca.
Simone la adocchiò subito e il suo umore cambiò all’istante.

« Tutto bene? » il figlio si avvicinò, mettendole le mani a coppa sulle guance.


« Sono stata dal dottore. Non sono riuscita a dirtelo, mi sembrava brutto rovinarvi la giornata, » guardò anche Manuel, notando il ragazzo con le mani giunte in grembo in un’insolita aria meditativa « mi ha avvisata ieri sera. Ho ricevuto le analisi, non ha voluto nemmeno dirmi niente mentre mi ha visitato. Vi aspettavo per aprirla » ticchettò sulla busta sigillata che portava in mano, una smorfia in pieno viso. Simone si rabbuiò, poi però si lasciò andare ad un sospiro e delicatamente poggiò le sue dita sul piccolo involucro di carta.

« Lo faccio io, ti va? »

Floriana annuì. Simone afferrò la busta e pianò strappò i bordi che ne contenevano un foglio ripiegato e con una scrittura di piccolo font e battuta a macchina. Manuel si sporse appena, inclinando il capo. Floriana e Simone si scambiarono uno sguardo d’intesa, annuendo nello stesso momento.
Il ragazzo muoveva gli occhi sulla carta, senza fermarsi un secondo.
« Bene, che cosa dice? » chiese Floriana in ansia.

Simone guardò sua madre, sostenendo il peso dei suoi occhi, Manuel si era alzato dal divano, mettendosi dietro di lei, la mano sulla spalla per darle sicurezza e coraggio.
   
 
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