We do it in the dark
with smiles on our faces.
In piedi contro il muro a gambe larghe.
Matt
ha il viso affondato nel mio collo. Lo sento inspirare forte e rilasciare il
fiato in un tremito dalla bocca dischiusa – labbra umide sulla giugulare a
ricamare baci leggeri. Con ambo le mani si avvinghia
alla mia cintura, nel tentativo maldestro di sfibbiarla. Lo perdono.
Mi stravolgi, ragazzino. Un centimetro alla volta.
Spingo i fianchi in avanti ad incontrare l’erezione che sento
premere sulla coscia, e i tuoi denti affondano poco più su della clavicola, per
reazione. Ingoio a fatica la mia stessa lussuria, sforzandomi invano di ragionare mentre la tua mano tira giù la zip e affonda nei
miei pantaloni.
Oh, puttanate. Penso solo col cazzo, al momento.
Ringhio flebilmente nel sentire quelle dannate, gelide dita d’artista
scivolarmi oltre i boxer lungo il sesso bagnato. M’inarco nella tua mano, ma
col visetto arrossato riemergi dal nascondiglio della mia pelle e mi fissi.
E allora
ti guardo, e lo faccio – dio – lo faccio col cuore.
Non illuderti. È l’unica
cosa a tenermi ancora qui, nonostante la merda che ci
siamo tirati addosso a vicenda.
Sono innamorato di uno spiraglio di devastante afflizione
travestito da sesso e buone maniere.
Tiro su col naso e serro gli occhi, umidi d’imperdonabile
idiozia. Benedetta sia l’ottusità con cui resti all’oscuro di tutto e prendi a
lasciarmi impronte di labbra lungo la linea del mento, la destra atteggiata a
pugno intorno alla mia erezione, la sinistra su di un fianco per tenermi
stretto.
Ma
è tutto inutile. Sto già fuggendo; lontano abbastanza da rivederci, com’eravamo,
un anno fa.
We’re trapped and well concealed
in secret places.
Music Hall. Tra gli schiamazzi della band di chiusura e i gridolini del pubblico ancora su di giri, ci ritagliamo una
via sicura oltre l’angustia del backstage.
Fuori, tra gli scatoloni abbandonati nel vicolo, sbuffa Dicembre
con la sua fredda melassa. Leehampton aspetta da
giorni la neve annunciata alla radio, e nell’attesa si bagna di brina. La
parete in pietra incassata è umida al tatto, quando vi premo il palmo per
bilanciarmi – un attimo prima di allacciarti le
braccia al collo con l’urgenza di un condannato.
Sento una tua mano sulla tempia, fra i capelli arricciati dal
sudore dell’esibizione conclusa. L’adrenalina in circolo è tanta da appannare i
sensi, ma non mi sfugge la discrezione con cui
allunghi la sinistra a stringermi il sedere, impietosamente compresso nei jeans
attillati.
Matthew Bellamy, inutile ammasso di gambe e
braccia – vorrei pensare, ma non mi riesce di far
altro che allargare le cosce per accoglierti, mentre con la bocca ti reclamo
viziato.
We do it in the dark
with smiles on our faces.
Funziona come d’abitudine. Intreccio di fiati
e di lingue, morsi privi di forza e mani che vincono frontiere, pelvi
ostinatamente in movimento – sempre in avanti, a stridere fino al dolore – e
ansiti sulle guance, mugolii fra le labbra.
Ti allontano per riprendere fiato, ma quello mi si spezza in
gola.
Perché stai sorridendo, ghignando quasi,
con la tua faccia da bambino assurdamente contento. Non quel digrignare di denti che opero per
mostrare il mio compiacimento, al sapore d’immancabile lascivia che ottenebra
gli occhi. È solo la felicità del momento che vivi, nel modo sciocco e
un po’ ridicolo di questo vicolo freddo – sai cosa? Mi ritrovo a sorriderti a
mia volta, fronte contro la tua, denti che brillano
nel buio. La tua fossetta sul mento.
Questi idioti che siamo, nel nostro
segreto.
We’re trapped and well concealed
in secret places.
Rinvengo di colpo nella tua
bocca.
Sento dita scaldarsi dentro me, e una
lingua dolce che attenua il disagio solcando le curve più nette alla base del
sesso, seguendo le vene chiare sotto la pelle tesa.
“Matt...”
Ti fermi, e dal basso sgrani gli occhioni
per fissarmi – un innocente bimbetto col suo lecca-lecca tra le labbra.
Allungo le braccia a circondarti. Lascio affondare le unghie nel
tuo scalpo e sul collo, mascherando il gesto con un incitamento.
Sì, ragazzino, non ti fermare. Solo, fatti
carico del mio odio e del mio dolore.
Intrappolato nella seduzione stento a
sciogliermi come desideri, e la tua insoddisfazione viene a galla per mezzo di
sbuffi frustrati che strappano fremiti, nonostante tutto. Momentaneamente
appagato mi stringi di più fra le labbra arricciate, arcui
le dita nelle mie viscere a caccia del bottone giusto. Lo trovi in fretta, e
colgo l’occasione di assecondarti con gemiti rochi – unghie dallo smalto
scheggiato che vanno più a fondo, quasi cavano sangue. Protesti contro la mia
pelle, ma è troppo tardi per concederti il riguardo della libertà. Non hai
fatto nulla per guadagnartelo.
Ad orgasmo speso osservi senza parlare, ed io non ho più voglia
di serrare gli occhi mentre mi cadi sotto la pelle.
Scusami, Matthew. Finisce adesso.
We don’t fight fair.
Gaia è
una statua di sale.
Sembra non aver mai cambiato posa o espressione dall’ultima
volta che l’ho vista, all’appartamento di Matthew. Contro uno stipite a braccia conserte, aspetta che
le dia una buona ragione per farmi entrare.
Ma
non ne ho. Riconsegnarle il giocattolo rotto dopo aver fatto a pezzi la sua
infanzia non è una buona ragione.
“Senti, voglio solo parlare. Ti rubo un
attimo.”
Nei suoi occhi si legge con chiarezza che non c’è proprio nulla
di cui parlare, ma la linea delle sue labbra prende una piega stranamente
morbida. Mi occorre un minuto per capire che il suo sguardo è fisso su di un
punto alle mie spalle.
“Quello è tuo figlio?”
Seguo la sua attenzione fino al finestrino di un taxi
sgangherato, il migliore trovato nei pressi della stazione. Ancora una volta mi
stupisco di quanto adulta sia l’espressione di Cody, mentre fissa cupamente il selciato oltre il vetro.
“Sì, è lui. Sta con me per questa settimana del mese.”
Condividere un particolare tanto delicato della mia vita privata
riesce a fare breccia nella maschera composta. Gaia batte le palpebre con
gravità, come le costasse uno sforzo snervante.
“Va bene, entra. Ma
fa’ in fretta, aspetto l’avvocato.”
We
don’t fight fair.
Seguo la padrona di casa lungo il corridoio asimmetrico, fino
alla diramazione a delta che porta alle camere da letto.
“Per quanto non siano affari miei, dubito che riuscirai a
spillargli anche un solo centesimo.”
Gaia si volta così di scatto verso di me che temo possa caderle la testa dal collo.
“Come, scusa?”
Intanto fa cenno di precederla in soggiorno, dove spicca
immacolato un set di canapè in pelle bianchissima.
“Preferirei restare in piedi. E parlavo dell’avvocato – hai
detto che sta per arrivare, no?”
Piccata, palesemente. Le guance imporporate, borbotta qualcosa
che suona come:
“Certo che non avrò soldi da lui. Piuttosto sono io a doverlo
pagare.”
È un tentativo troppo debole per essere credibile. Di fatto non
penso sul serio che voglia depistarmi.
Nondimeno, meglio toglierle ogni illusione.
“Mi riferivo a Matt. Hai chiamato l’avvocato
per sapere se hai qualche possibilità di essere risarcita da lui, visto che è
tanto ricco e ti ha tradita, ma la risposta è no, non
puoi. Solo la moglie ne ha diritto, e tu non hai fatto in tempo a diventarlo.”
È il momento che stavo aspettando: quello in cui Gaia rinuncia ad
ogni pretesa di cordialità.
“Immagino lei sia ben informato per esperienza personale, signor
Molko! Anche la sua signora
deve aver fatto una cosa del genere, e a quanto mi risulta lei è sposato. Avrà
sborsato una bella cifra, considerato che è anche padre di un ragazzino!”
L’idea di mia moglie Helena che si rivolge ad un legale per spennarmi
è talmente ridicola da strapparmi una risatina poco nascosta, con cui mando
definitivamente la signorina Bellamy fuori dai
gangheri.
“E adesso, se questo era il motivo della sua visita, direi che
può togliere il disturbo.”
Gaia mi supera in un’ampia falcata, evidentemente indicandomi la
via di ritorno verso la porta.
Le afferro un braccio e lei si blocca, raggelata.
“Ascoltami solo un momento. Ti assicuro che vogliamo la stessa
cosa.”
We
don’t fight fair.
Il tempo batte nell’aria fra noi, incalzandomi con la sua
domanda continua.
“Ne sei proprio sicuro?”
Arriccio il naso. Già, più o meno questa.
Almeno siamo tornati al ‘tu’.
“Sta a te decidere se darmi o meno una
possibilità.”
Gaia porta di nuovo le braccia a
intrecciarsi sul seno, accondiscendendo in silenzio.
Sposto lo sguardo sulla parete alle sue spalle e mi scopro a leccarmi
le labbra, come faccio generalmente per distrarre un interlocutore scomodo.
Ho come l’impressione che stavolta abbia
solo bisogno di distrarre me stesso da quanto sto per dire.
We
don’t fight fair.
“Le cose stanno così. Lasciandolo solo faresti il suo gioco e
non ne otterresti un bel niente. Io non lo voglio, e Matt non ha davvero quei gusti che gl’impedirebbero
di darti una famiglia, se lo desiderassi. Puoi considerarla una svista
passeggera e riprenderti lui con tutto ciò che di buono
ne viene, oppure recitare la parte della principessa abbandonata che ha perso
il diritto al trono.”
Sentenza dopo sentenza, sputo fuori col
tono più annoiato che posso, determinato ad apparire sinceramente casuale.
Fortuna che ho smesso di sapere quello che faccio, altrimenti sarei già
scappato da questa casa con tutte le mie belle risoluzione
mature gettate alle ortiche.
Non ho pensato neppure per un istante che per questo tipo di conversazione
avrei avuto bisogno di conoscere Gaia come persona.
Immagino di aver dato per scontato una cosetta o due, le quali mi vengono scagliate dritte in faccia quando la ragazza stringe
gli occhi in due fessure.
“Tu mi credi una vera arrampicatrice sociale,
non è vero? Pensi che stessi con Matt per i suoi soldi.”
C’è un po’ troppo astio nella voce perché possa liquidare la sua
come finzione, ancora una volta. Mi limito a constatare l’ovvio, non più troppo
sicuro delle mie stesse opinioni.
“Hai chiamato un avvocato.”
“Volevo solo fargliela pagare, ma adesso non sono più certa che ne abbia bisogno. Se tu sei la persona per
cui ha rinunciato a me, allora posso soltanto compatirlo!”
Fossi
meno spiazzato non perderei l’occasione di fare insinuazioni sui modi in cui Matt avrebbe dovuto pagarla,
in senso letterale. Disgraziatamente sono davvero preso in contropiede, al
punto da non riuscire a formulare una replica coerente – finisco col concederle
l’ultima parola, e non ricordo l’ultima volta che mi è
successo con qualcuno diverso da Helena.
“Vai fuori di qui, Molko. Adesso.”
We don’t fight fair.
Non pensavo affatto che le cose potessero diventare più assurde
di quanto si erano dimostrate essere all’interno della villetta di Gaia.
Evidentemente mi sbagliavo, dato che all’esterno mi attende
una scena ben più sconcertante.
La prima cosa di cui mi accorgo è che Cody
non sta più seduto nel retro del taxi, bensì in piedi davanti ai gradini d’ingresso.
Al suo fianco, il tassista – un tipo massiccio dalla faccia butterata – si
tiene in disparte, fumando un sigaro mentre assiste
alla scena di un tizio che gioca con mio figlio, lanciandolo in aria per poi
riprenderlo al volo e farlo girare.
Sento il sangue fermarsi lasciandomi di ghiaccio, mentre l’istinto
paterno scalpita affinché mi scagli alla cieca contro il maniaco che sta
molestando Cody, per di più sotto il naso dell’uomo
cui avevo chiesto di tenerlo d’occhio.
Ma poi qualcosa mi blocca, e avviene un attimo
prima che il maniaco si riveli
nient’altri che l’idiota di Bellamy.
Mio figlio sta ridendo. Come non l’ho mai sentito fare, e certo
non negli ultimi tempi.
Devo avere un’espressione a dir poco incredula, perché Matt mi rivolge un ghigno assolutamente – appunto – idiota,
ma anche indicibilmente soddisfatto.
“Hey, piccolo, guarda chi si è deciso
a venire fuori!”
Sollecitato, Cody punta i suoi occhi
da adulto su di me, e col cuore che riprende a battere noto come lo sguardo abbia già qualche anno in meno. Mi sorride
timidamente, togliendomi ogni facoltà se non quella di ricambiare.
Dura solo un momento, il tempo in cui Bellamy permette che ignori la sua presenza. L’attimo dopo sono i nostri occhi a sbugiardarci,
incontrandosi senza più la forza di farsi del male.
Matthew sorride, malgrado tutto.
“Beh? Pensavi di essere il solo in grado di giocare sporco,
Brian?”
Terzo capitolo, un po' in ritardo per lo scarso riscontro del secondo. Se ne deduce che il mio ritorno è dovuto alla fantastica TimeWarpAddicted *-* che ringrazio davvero tantissimo per il sostegno.
Che dire. So che Helena non è la moglie di Brian - e meno male! - ma ho giocato su questa stessa ironia per concedere a Bri una sorta di vantaggio psicologico su Gaia. Ci sono cose che neppure lei sa già, dopotutto.
Perché Matt parla di giocare sporco nel finale? Semplicemente perché aveva intuito che il prossimo istinto di Brian sarebbe stata una fuga precipitosa e la riconsegna del pacco al mittente. La scena che lo vede giocare con Cody serve solo a sottolineare quel rapporto d'intimità anche familiare che va sedimentandosi tra i nostri beniamini.
Questa storia volge al termine e non mi soddisfa. Non ha il giusto contenuto. C'è ovviamente un significato di base, ed è anche più realistica delle altre che ho scritto, ma - bah, forse è proprio tutta questa razionalità a darmi sui nervi. Non sono mai stata tanto disgustosamente povera di romanticismo fine a se stesso xD.
Ormai il dado è tratto :) e non posso che esserne contenta se qualcuno riesce ad apprezzare ciò che a me proprio non riesce di amare.
Grazie, signor lettore :D e alla prossima.
Oh, TimeWA... ho trascorso delle ottime vacanze, ti ringrazio =) e spero altrettanto! ^O^