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Autore: blueheavenal    28/02/2022    0 recensioni
[[Cole e Dylan Sprouse]]
[[Cole e Dylan Sprouse]][[Cole e Dylan Sprouse]]La madre di Blue è scappata da tre mesi. Il marito sembra avere accantonato la cosa, ma tra le mura di casa continuava a cercarla. Blue vacillava tra la speranza e la rassegnazione. Ma quando un barlume di speranza si accendeva in lei, nessuno riusciva a placare la follia che ne scaturiva.
Harvie forse era l'unico a non volerla placare, ma alimentare.
Harvie : Dylan Sprouse
Blue: Barbara Palvin
Genere: Sentimentale, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Altri
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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-Avanti- accordammo all'unisono.

La porta si aprì esitante, accompagnata da un fastidioso cigolio che normalmente passava inosservato. L'adorabile viso di Margaret fuoriuscì con sguardo circospetto dal misero spiraglio che aveva lasciato. Dopo avere studiato velocemente la stanza, sorrise gentilmente. Ormai mi ero arresa al pensiero di non giungere alla conclusione della conversazione, e mi abbandonai alla sorte, ricambiando il sorriso alla ragazza.

-Ciao, ragazzi- salutò entrando. Il vassoio parzialmente incartato che teneva stretto tra le mani, attirò immediatamente i nostri sguardi e fece risvegliare il nostro appetito. Non era raro che un evento del genere si presentasse, ma era sempre e comunque una sorpresa. Margaret trascinò i piedi fino alla scrivania, prestando particolare attenzione al vassoio invitante, intenta a non fare cadere nulla. Avvicinandosi, fece inconsciamente una faccia buffa, stringendosi un quarto della lingua tra le labbra mentre gli occhiali grandi le scivolavano sul naso.

-Salve, Margaret. Ma quale buon vento...- esultò Harvie, osservandola con un sorriso compiaciuto.

Margaret era la figlia di Celine, l'Art director; si occupava della parte grafica dei manoscritti approvati. La figlia, nonostante l'aria da secchiona, non era una grande amante dei libri o dell'azienda in cui era impiegata Celine. Ma gironzolava comunque tra gli uffici e i corridoi abitualmente, come me.

-Ehi, Margy. Tua madre si è data di nuovo da fare?- Le domandai, non essendone sorpresa. Sarebbe stata un'ottima pasticcera. Non sapevo esattamente come se la cavasse con la grafica, ma con i dolci era imbattibile. Margaret fece una smorfia seccata. A quanto sembrava, non amava l'usanza della madre. Dovevo ammettere che se fossi stata nei suoi panni, non l'avrei pensata diversamente. Forse perché la mia indole egoistica e golosa sarebbe prevalsa, impedendomi di mettere in atto un'azione tanto generosa come la loro. Probabilmente, avrei offerto i miei dolcetti a un ottavo delle persone a cui li offrivano loro; giusto per non sentirmi tanto scadente come sennò mi sarei giudicata.

-Non può proprio farne a meno. Casa nostra, quasi ogni giovedì sera, ha tutta l'aria di essere una pasticceria- sbuffò con sdegno.

Finalmente, posò il bramato vassoio sulla scrivania, tra me e Harvie. Io non esitai a prendere un bocconcino grondante di cioccolato. Harvie mi succedette, prendendone uno identico, ma al gusto di pistacchio. Margaret non si curò della ferocia con cui avevamo già mandato giù quei due dolcetti e si andò a sedere accanto a Harvie, grattandosi la testa imbarazzata. Era una ragazza dolce, ma anche molto timida... e ciò faceva tenerezza. Avevo imparato a conoscerla e a capirla, per quanto potevo, nel mio periodo di permanenza ossessiva nell'edificio. Non la definivo un'amica; quelli sono piani alti. Ma una buona compagnia sì, decisamente.

-Eppure...- osservai gorgogliando, con la bocca ancora impastata di cioccolata. Deglutii frettolosamente per poi continuare.

Mi metteva sempre agitazione quando calava il silenzio nel momento in cui iniziavo a parlare. In effetti, era giusto che accadesse ma, stare al centro dell'attenzione, anche se in un banale contesto, mi portava a balbettare. Il che non era piacevole, dato che tale difetto rendeva ciò che dicevo sempre meno convincente. -con tutte queste tentazioni dovresti essere impresentabile. Invece, su di te, sembrano avere l'effetto contrario- conclusi, sorridente.

Il complimento non aveva alcun fondamento di sola gentilezza o falsa adulazione. Margaret era bellissima, e il suo carattere introverso non faceva che valorizzarla ulteriormente. Lei sorrise ampiamente; sembrava apprezzare i complimenti nonostante la sua modestia.

-Ma per favore...- sorrise imbarazzata, illuminandosi e allungando la mano per concedersi un bocconcino. Posai lo sguardo sul vassoio ancora mezzo pieno, interrogandomi sul da farsi. Mi ripromisi di servirmi solo un'ultima volta, sperando che a Margaret non dispiacesse.

-Vi sono piaciuti i dolci? Mia madre ci tiene a saperlo. Non ha senso chiederlo; nessuno risponderebbe negativamente, per educazione, ma...

-Sono squisiti!- Esclamai con convinzione, interrompendola. Harvie si limitò ad annuire in accordo con me, con gli occhi annoiati sul telefono, a scorrere sullo schermo. Lo guardai storto, intimorita che Margaret credesse di essere la causa del suo improvviso isolamento. E, effettivamente, notai il suo sguardo vagamente preoccupato ricadere di sfuggita su di lui varie volte.

-Come va il college? Questo è l'ultimo anno, giusto?- Le domandai per distrarla da Harvie. Lei si impegnò per risultarne disinteressata, ma era troppo tardi per lasciarmelo credere.

- Sì, esatto. Per ora, va tutto bene. Ma prevedo che sarà un anno molto difficile, - rispose, massaggiandosi le ginocchia. L'imbarazzo sembrava in agguato alle sue spalle. Ero pronta a portare avanti la conversazione quando il telefono di Harvie prese a squillare, scomponendo i miei pensieri. Guardò lo schermo per qualche secondo. Sembrava indeciso sul rispondere o meno, ma alla fine se lo portò all'orecchio.

-Ehi, Bree. Dimmi- rispose con voce monotona. Non capivo perché d'un tratto si fosse tirato fuori dalla conversazione e perché ora apparisse tanto seccato. Margaret approfittò di quel momento per ritirarsi. Ciò mi dispiacque parecchio. Era ovvio che se ne stesse andando perché credeva di essere diventata fonte di disturbo.

-Credo sia meglio che continui il mio giro- mormorò, alzandosi dalla sedia con un sorriso forzato. -È stato bello parlare con te, Blue. Ci vediamo in giro- mi salutò, avviandosi verso l'uscita. Si voltò verso Harvie, prima di aprire la porta. Probabilmente, le sembrava scortese non degnarlo nemmeno di un saluto nonostante si sentisse offesa. Ma lui era di spalle, perciò lasciò perdere. Calò la maniglia e se ne andò con gli occhi bassi. Quella scena fu talmente pietosa e ingiusta che non esitai a lasciare il mio posto e a lasciarmi guidare dalla disapprovazione.

-Più tardi ti passo a prendere- promise Harvie, ancora appassionatamente al telefono. Mi posizionai inflessibilmente davanti a lui, poggiando le mani sui miei fianchi, in attesa. Lo guardai con sguardo severo, mettendo su un sorrisetto che speravo non promettesse nulla di buono. Gli mimai un "ciao", aprendo e chiudendo la mano con fare esuberante, imitando il solito infantile saluto dei bambini, suggerendogli di riattaccare al più presto. Mi guardò incerto. Forse si stava chiedendo se fosse meglio disobbedirmi, ma non credo che gli convenisse che riattaccassi al suo posto.

-Bree, scusa. Devo andare. Ci vediamo più tardi- concluse, riponendo il cellulare nella tasca dei pantaloni.

-Mi spieghi che ti prende oggi?- Sbottò, esasperato e confuso, chiedendosi mentalmente quale pensiero mi fosse appena casualmente sorto in testa.

-No, tu spiegami che ti prende. Una ragazza entra, si mette a parlare amichevolmente e tu ti ritiri nel tuo telefono, non vergognandoti di rendere evidente la tua noia improvvisa davanti a lei? Se ne sarà sentita sicuramente la causa- risposi duramente, incrociando le braccia al petto, contrariata. Lo vidi roteare gli occhi, irritandomi ulteriormente. Non poteva trattare tutto con sfacciato disinteresse. Cosa gli importava nella vita? Della sua cara, elegante e posata Bree? Non volevo che tradisse Bree con Margaret, ma che almeno la trattasse come trattava me; decentemente.

-Perché fai di tutto una tragedia? Non mi piace quella ragazza. Perché dovrei fingere il contrario?- Ammise, alzando la voce di un grado; segno che avrei dovuto moderarmi e apprendere l'avvertimento. Effettivamente, quel pomeriggio, avevo seriamente preso a giocare col fuoco, ma, data la mia indole cocciuta, non esitai a riaprire bocca.

-Si chiama educazione. Ne dovresti sapere qualcosa, sai, uscendo con una reginetta...- risposi acidamente, gesticolando con apparente isteria. Notai i suoi occhi farsi più scuri. Forse era solo una mia impressione, creata dalla sensazione di avere iniziato a schiacciare, tra i suoi nervi, i bottoni giusti per innescare qualcosa. Fissai i suoi occhi, fino ad allora, nascondendo con successo il vago timore che lui scoppiasse da un momento all'altro. Non aveva senso che continuassi a parlare se non volevo che reagisse, ma ormai dovevo dire il dovuto. Magari poi, avrei evitato di infierire.

-No. Si chiama ipocrisia, ragazzina. E devi ringraziarmi per essere rimasto zitto, o sarebbe uscita da qui piangendo!- Scandì parola per parola con voce rabbiosa, avvicinandosi e protendendosi verso di me, intimidendomi. Nonostante paresse già abbastanza irritato, la sua voce aveva un qualcosa di contratto; come se, in confronto a ciò che il suo istinto lo invitava a fare, la sua effettiva reazione fosse la versione più pacata. Le mie mani toccarono le due estremità della scrivania alla quale mi ero addossata e, con mio sollievo, lui si fermò a pochi passi da me. I suoi occhi sembravano infuocati e mi costrinsero a distogliere lo sguardo. Mi guardai i piedi, impietrita. Forse era meglio lasciare perdere, ma questa era una constatazione che avrei dovuto elaborare prima di finire, nella preoccupazione, tra lui e la scrivania.

-Spero che tu abbia delle buone ragioni per odiare tanto una ragazza che ti guarda come se fossi l'unico essere sulla faccia della terra- sputai, rialzando lo sguardo. I suoi occhi si erano addolciti. Forse si era appena accorto del repentino crollo della mia tenacia, capendone, di conseguenza, anche il motivo. Vidi la sua mano spostarsi con esitazione dal suo fianco, rimanendo per un attimo sospesa nell'aria, senza accennare al suo scopo. Poi tremò, come se fosse combattuta da due forze invisibili di eguale intensità, per poi essere vinta da una delle due. Così tornò al suo posto.

-Dovrebbe distogliere lo sguardo se non vuole apparire più patetica del vero- sussurrò duramente, impassibile; la mascella serrata e i denti stretti dietro le labbra carnose. Sembrava impossibile, ma ero quasi certa che si fosse ulteriormente avvicinato. Sentivo il suo respiro accarezzarmi il naso e il suo petto possente si trovava esattamente all'altezza dei miei occhi; vogliosi di interrompere il contatto visivo ma impotenti nel farlo.

-Evidentemente, non ti conosce abbastanza da rendersi conto che è una fortuna che tu non la voglia- ipotizzai con voce sommessa. -Non si meriterebbe una simile tragedia.- conclusi con sguardo pungente. Prima che potesse aggiungere altro, presi la mia roba e sparii oltre la porta.

 

   
 
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