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Autore: MercuryGirl93    28/02/2022    5 recensioni
*LA STORIA VERRA' A BREVE ELIMINATA*
Federico, ragazzo introverso e apatico, subisce la sua vita con passività, insoddisfatto della famiglia e delle sue amicizie. Sarà l'incontro con Emma, vivace quanto misteriosa, a spronarlo a cambiare e ad accendere in lui la curiosità di guardare il mondo con occhi diversi.
Ma chi è Emma? Una favola vissuta da Federico ad occhi aperti o una persona vera, in carne ed ossa?
Mentre il mistero di questa figura quasi fiabesca vi accompagnerà tra le righe di questo racconto, l'amore sarà il garante di una crescita personale e di un introspezione sempre più profonda di un ragazzo smarrito.
Dalla storia:
"Emma sbuffò esasperata. –Mi baci o no?
Federico la osservò: aveva le guance tinte di rosso, anche se la cosa poteva passare inosservata dato il buio. La trovò irresistibile, quell’insistenza quasi infantile che aveva nel volerlo baciare era deliziosa e inaspettata. - No.
-E perché? - domandò indispettita, sfoggiando la sua migliore espressione contrariata: le labbra arricciate, gli occhi verdi taglienti.
-Perché il tuo chiederlo mi ha fatto passare la voglia –
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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IV Azalea
 
C’era una volta, nel Cashemire, un principe indiano, differente dal suo popolo perché dotato di una pelle chiarissima. Quest’uomo prese in sposa una donna dagli occhi azzurri e dai capelli biondi: una vera rarità in India. Ogni anno, per dieci anni, nacque alla coppia una figlia aventi in tutto e per tutto le stesse caratteristiche dei genitori.
Il padre era molto legato alle figlie e loro allo stesso modo, a tal punto che lui avrebbe rinunciato alla corona piuttosto che a loro. Questo però non era giusto e le ragazze quindi, acconsentendo ai voleri del padre presero tutte marito ed ebbero una vita felice. La tradizione indiana vuole che le anime abbiano la possibilità di rinascere tre volte. Fu così che da sempre unite, le sorelle decisero che sarebbero rinate come colombe.
Pian piano morirono, e Dio assecondò il loro desiderio, facendole ritrovare tutte insieme in cielo. Le sorelle passarono la prima notte a parlare della loro passata vita, dei loro genitori e della loro felicità. Ma anche le colombe, essendo animali erano destinate a moltiplicarsi. Le dieci sorelle ottennero dai propri compagni di costruire nidi vicini su un albero di rododendro, per vivere una insieme all’altra come mai fatto in vita. Anche in questo caso il tempo passò e le sorelle si trovarono vicino alla necessità di scegliere la loro trasmigrazione definitiva.
Videro che ai piedi del rododendro vi era un cespuglio che non era mai fiorito: chiesero a Dio di poter rinascere al suo interno: fu così che alla morte delle colombe il cespuglio si ricoprì di dieci bellissimi fiori: le azalee. *
 
 
Emma sembrava piccolissima al centro del suo letto, accovacciata in posizione fetale. Aveva i capelli corti e sottili sparpagliati attorno al viso, come una specie di aureola, e dormiva con le labbra schiuse e le sopracciglia aggrottate. Le gambe candide erano in bella mostra, lasciate scoperte dalla maglietta che Federico le aveva prestato per dormire, dal momento che i suoi vestiti erano imbrattati di vomito.
Federico si disse che era particolarmente buffa, in quel momento, illuminata dalle luci della prima mattina. Adorabile e seducente in un modo tutto suo, unico e particolare.
Vederla vomitare, la sera precedente, non lo aveva dissuaso dal trovarla attraente, anzi: vederla così vulnerabile l’aveva resa più umana ai suoi occhi, meno fiabesca e irraggiungibile.
Minuta com’era, una volta che aveva smesso di vomitare nel suo salotto, l’aveva presa in braccio e condotta nel bagno al piano di sopra. L’aveva aiutata a rinfrescarsi, le aveva prestato uno spazzolino per lavarsi i denti e una maglietta.
Emma non aveva protestato a nessuna delle attenzioni che lui le aveva fornito, al contrario si era dimostrata collaborativa e gli aveva lasciato carta bianca, senza proferire alcuna parola. Si era addormentata subito, di sasso, dopo essersi stesa sul letto di lui.
Federico, dal canto suo, era ancora leggermente frastornato per il bacio della sera prima. Non sapeva che cosa avesse provato lei, se le fosse piaciuto o meno. Certamente non si era sentito respinto, ma neanche assecondato. Era come se Emma si fosse limitata a subirlo, dopotutto.
Si chiese chi l’avesse invitata a quella festa, se fosse stato Marco, o se magari lei fosse andata fino a casa sua per cercare lui, trovando però una festa epica al suo posto.
L’unica cosa che sapeva per certo era che voleva sapere di più su di lei. E che voleva baciarla ancora, più volte possibile.
E mentre quei pensieri lo accarezzavano, si appisolò nuovamente, sulla poltrona di fronte al suo letto.
 
Qualche ora dopo, aprire la porta di camera sua e scendere al piano di sotto fu come scoperchiare il vaso di pandora.
Emma continuava a dormire profondamente e si disse che era fin troppo strano restare al suo capezzale nell’attesa che si svegliasse.
Quando raggiunse la cucina, Federico fu immediatamente investito dalla puzza inconfondibile di alcool, così vivida grazie a un’enorme pozza di vodka che si estendeva sul tappeto dell’ingresso. La ricordava perfettamente, quella macchia.
La cucina era occupata da immondizia, bottiglie vuote e piene, carte di patatine, bicchieri dal contenuto sospetto. Non aveva mai visto la sua casa così distrutta.
-Bentornato!
Mamma Simona era alle sue spalle, un sacchetto pieno di immondizia tra le mani, la faccia livida. La voce vibrava di sarcasmo, era satura di rabbia.
Federico non ebbe il tempo di dirle niente – non che ci fossero giustificazioni, per quel pasticcio - era già partita come un treno in corsa: -Spero che tu abbia una spiegazione valida per tutto questo, Federico! - passò subito ai toni duri, agitandogli con fare minaccioso il sacchetto sotto il naso.
Lui alzò le spalle mogio, perché del resto sua mamma aveva ragione, almeno per una volta. Se non si fosse fidato di Marco non sarebbe successo niente. E, magari, se si fosse impuntato maggiormente e avesse cacciato via tutta quella gente che si era trovato in casa, il disastro sarebbe stato più contenuto.
-Non ce l’ho.
-Non l’avrei voluta sentire comunque! – sbraitò sua madre, fuori di sé. In quegli anni era come se Simona avesse sempre temuto di rimproverare il figlio in quel modo: lo sentiva già lontano per il divorzio e l’allontanamento del padre, non voleva fornirgli ulteriori motivi per odiarla.
Tuttavia, in quella circostanza, Federico aveva sbagliato e quell’errore era davvero imperdonabile, agli occhi della donna.
Come se un vulcano stesse esplodendo nel cuore della donna, vomitava fiumi di lava di rabbia. Tutti gli arretrati degli anni precedenti, i rimproveri che si era risparmiata di fargli, si stavano scagliando su Federico in una sola volta.
–Non c’è nessuna spiegazione valida del perché ho trovato Marco Poletti praticamente nudo nel mio letto con altre due ragazze! Niente può giustificare una serie di adolescenti ubriachi nel mio salotto, nella mia cucina, in giro per casa mia mentre mio figlio non c’è! Dov’eri?
Un guizzo di sorpresa negli occhi di Federico. Marco aveva esagerato, era uscito decisamente fuori dagli schemi e Simona, sua madre, aveva tutte le ragioni per essere furiosa.
Sapeva che la madre pretendeva delle scuse, che si offrisse di sistemare la casa, ma non disse niente del genere perché non era bravo a fare ammenda, a scusarsi. Non si premurò neanche di sottolinearle che lui, in realtà, era in casa, aveva solo deciso di assumere un atteggiamento passivo davanti alla situazione, per poi dedicarsi ai suoi comodi, a Emma.
-Dov’è Alberta? – glissò, perché non aveva voglia di approfondire ulteriormente dove fosse mentre il disastro si abbatteva sulla loro casa. Incavolata com’era, sua madre avrebbe senz’altro finito per scoprire che c’era una ragazza addormentata in camera sua.
-E dove pensi che sia? - Simona si indignò ancora di più. –L’ho spedita dalla signora Averna dopo che ha visto quel porco del tuo amico con le gemelle Kessler.
-Va bene- borbottò. Aveva la gola secca, ma il frigo spalancato e vuoto gli fece intuire che non c’era acqua fredda che potesse bere.
-Allora? - lo incalzò. –Non hai niente da dire?
-Che vuoi che ti dica? Non è colpa mia. – e sapeva che era solo una mezza verità, quella, ma una giustificazione doveva pur accamparla davanti a quell’inquisitore furente.
-Certo che è colpa tua Federico! Ti ho affidato la casa e un tuo amico chissà come ci ha organizzato un festino mentre tu… Dove cavolo eri, tu?! Sto provando a chiamarti da ore, dove sei stato?! Con chi eri?!
Ormai sua madre aveva perso il lume della ragione: non si era neanche accorta che era venuto esattamente dal piano di sopra e che indossava la tuta con cui dormiva sempre. Quanto al suo telefono lo aveva spento la notte prima e non sapeva neanche dove fosse.
Federico iniziò ad infastidirsi. –Questi sono affari miei. – sbuffò.
Simona perse la pazienza: -Diventano anche affari miei se in tua assenza la mia casa viene assalita da un branco di animali!
-Si può sistemare tutto, non è un problema- minimizzò lui, nel tentativo di concludere quello scambio di battute il più velocemente possibile, era stufo.
Vide con la coda dell’occhio cocci di lume sul pavimento del salotto. Forse non tutto poteva tornare al proprio posto, ma con un pomeriggio di pulizie la casa poteva tornare lucida come uno specchio.
-Non è il disordine il problema, è il tuo comportamento! - si infuriò ancora la madre. –Non posso fidarmi di te nemmeno per la minima sciocchezza, te ne freghi di tutto e di tutti, non hai senso della responsabilità! Sei tu il problema!
Erano parole taglienti, ma non avevano effetto sulla corazza di Federico.
-Mi ripeti sempre le stesse cose.
-Eppure, continui a non capire! – insisté lei, non voleva mollare la presa, quella volta.
-Capisco, invece- annuì Federico, calmo e pacato come sempre. –È che non accetto che la persona che andava a letto con un altro uomo mentre aveva in casa un marito amorevole e due figli mi parli di responsabilità. Non sono il figlio perfetto che desideravi, ovviamente, ma la nostra cara famiglia felice l’hai rovinata tu, non io.
La guancia prese a bruciargli.
Non si aspettava che Simona lo schiaffeggiasse: era stato un attimo, non era nemmeno riuscito ad anticipare la mossa per scansarla. Aveva incassato, e basta.
Vide il senso di colpa nei suoi occhi, affiancato dalla rabbia, dalla collera, dall’esasperazione. Sentire la verità, fredda e pungente come una doccia gelida, dritta sulla faccia, doveva fare male.
-Pulisci questo porcile.
Non gridava più, la voce tremava, gli occhi lucidi in attesa delle lacrime. –Vado dalla signora Averna anche io, quando torno voglio che tutto sia pulito, Federico.
E ci fu silenzio.
Né il suono del suo respiro accelerato, dei suoi passi in corridoio, delle lacrime sulle guance. Solo il tonfo della porta quando la sbatté.
 
Quando tornò in camera sua gli sembrò quasi ovvio trovare Emma sveglia, sempre al centro del suo letto, mentre si massaggiava le tempie. Sembrava che stesse cercando di riaccendere il cervello dopo il blackout della sera prima.
-Ciao – le disse lui, chiudendosi la porta alle spalle e appoggiandosi ad essa. Aveva la sensazione che in quel modo potesse chiudere i suoi problemi fuori da quel momento.
Emma lo guardò inclinando la testa, gli occhi ancora assonnati.
-Se non fosse stato per quelle urla avrei dormito ancora per delle ore – gli sorrise, stiracchiandosi come se fosse un gatto.
Federico si sedette ai piedi del letto, mantenendo una debita distanza da lei per non farla sentire a disagio. Fosse stato per lui, avrebbe annullato qualsiasi tipo di distanza dal corpo di lei, ma qualcosa gli diceva di non essere precipitoso.
-Scusa, non credevo che sarebbe esplosa in quel modo.
Emma liquidò quelle scuse con un gesto della mano. -Io ti ho vomitato in salotto, non te lo dimenticare. – ridacchiò, ma la sua voce non celava alcun tipo di imbarazzo.
Non si sentiva per nulla a disagio per essersi mostrata vulnerabile. Non le interessava di essersi approfittata dell’ospitalità di Federico e del suo letto, era piuttosto come se fosse nel posto giusto al momento giusto. A lei andava bene stare lì, andava bene che lui si fosse preso cura di lei, le andava bene indossare i suoi vestiti e aver dormito nel suo letto.
Emma si sgranchì le gambe, allungandole sul letto e muovendo le dita dei piedi, smaltate di rosa.
Fu in quel momento che Federico si accorse con imbarazzo che la maglietta che le aveva prestato gli lasciava intravedere tutto quello che c’era sotto e le sue mutandine rosa. Qualcosa gli fece intuire che anche lei lo sapesse, ma che non le importasse.
Federico sentì caldo all’improvviso e, nel tentativo di dissimulare, scattò in piedi, afferrò il telefono sul comodino e glielo porse.
-Hai dormito fuori senza avvisare, dovresti chiamare tuo nonno- le disse. – Sarà preoccupato.
Gli occhi verdi di Emma si ridussero a due fessure, ma il sorriso che aveva in viso non scomparve. Aveva capito a che cosa stava pensando lui.
-Sono grande abbastanza da saper badare a me stessa, e lui lo sa – spiegò candidamente, continuando a sgranchirsi le spalle. -Sono le mamme ad essere apprensive, non i nonni.
I suoi occhi verdi brillarono, curiosi, mentre lei si sporgeva verso di lui. Probabilmente, si disse Federico, aveva sentito tutta la conversazione avvenuta al piano di sotto.
Non aveva mai sopportato i ficcanaso, la gente che si impicciava dei fatti altrui e in quel momento Emma aveva tutta l’aria di star ficcanasando. Tuttavia, il legame misterioso che sentiva di avere con lei lo spinsero ad aprirsi, anche se solo di poco. Quel tanto che bastava per farle sapere quanto la volesse vicina a sé, ma non troppo da risultare vulnerabile.
-Non sai quanto hai ragione- si sedette nuovamente accanto a lei, questa volta più vicino. Non stava più pensando a quanto lei fosse attraente, era come se gli si fosse spento un interruttore. Pensava solo a parlare con lei, perché sapeva di poterlo fare.
-Se dovessi trovare un aggettivo per descrivere mia madre sarebbe proprio questo, apprensiva. Ossessiva, petulante, per le cose più sciocche poi.
Emma gli sgattaiolò così vicino da sfiorargli le cosce con i piedi, mentre le ginocchia le teneva al petto. Non sembrava sentirsi affatto a disagio nell’averlo vicino.
-Ti vuole bene, si preoccupa per te – gli disse dolce, inclinando il capo per potergli osservare il viso.
Quella frase suonava troppo confidenziale per una ragazza che conosceva appena da tre giorni e di cui sapeva poco o quasi nulla. Eppure, non era una cosa di circostanza, detta per tappare i silenzi imbarazzati tra estranei, ma una cosa sincera che le veniva dal cuore. Emma lo pensava sul serio.
Federico, che ormai non si interrogava su come fosse possibile che a lei venisse così naturale insinuarsi nella sua vita, ridacchiò. -Ha… un modo bizzarro di manifestarmi il suo affetto.
-Tu come le manifesti il tuo? – Emma lo sfidò, ridacchiando, ed era come se già sapesse la risposta.
-Non lo faccio- borbottò lui annoiato.
-Ecco! – cinguettò vittoriosa, pungolandogli il braccio giocosamente. -Probabilmente non sa come prenderti perché tu non gliene dai la possibilità.
Il viso di lei si fece così vicino che riusciva a contarle le lentiggini sul naso.
-Sono suo figlio, dovrebbe conoscermi, sapere come sono fatto – brontolò.
-Forse pretendi troppo, è pur sempre una persona- Emma parlava come se conoscesse benissimo anche Simona e non solo Federico. -E tuo padre?
Il sorriso che fece lui era amaro. –Non lo vedo da mesi.
-No? - Emma era curiosa e Federico ebbe ulteriormente conferma che la curiosità che lui sentiva per lei era ricambiata.
-No- confermò lui. –I miei sono divorziati da un paio di anni, mia madre ha tradito mio padre con un suo amico, Pasquale. Mio padre non gliel’ha mai perdonato, e con Pasquale è finita presto. Lo sento spesso, quasi tutti i giorni, ma non lo vedo quasi mai.
-Mi dispiace.
Emma era scura in volto, sembrava davvero dispiaciuta, rattristata da una storia che non le apparteneva.
-Non dispiacerti, non lo sono nemmeno io – le sorrise.
Fu in quel momento che si rese conto che la meno di lei era sul suo collo, in una carezza delicata e sincera, intima.
-Davvero? - lo interrogò lei, severa, senza però scostarsi.
-Mio padre adesso sta benissimo- scosse la testa lui. –È in Finlandia, lavora come dirigente in una banca importante.
Nel suo tono c’era un’impronta di rancore, di rabbia, tutte indirizzate verso una persona: la madre. Emma, che aveva già preso atto di come stessero le cose, non indagò oltre.
-Forse dovresti fare quello che ha detto tua madre e iniziare a pulire – Federico aggrottò le sopracciglia. – Sventola bandiera bianca, insomma – lo canzonò lei, questa volta accarezzandogli un braccio.
Lui rimase impassibile. -Perché dovrei fare qualcosa per far pace?
-Questo atteggiamento bellicoso non ti porta da nessuna parte – fece spallucce lei, lo sguardo ad indugiare sulla mascella di Federico. -Vivresti più sereno se facessi pace con tua madre.
Quelle parole suonarono stonate alle orecchie di lui, forse si era sbilanciata troppo.
Ma Emma, furba e perspicace com’era, se n’era accorta e fece di tutto per recuperare la situazione.
-Magari ti basta regalarle un’azalea! – fece lei, giocosamente, così da alleggerire un po’ il tutto.
Federico rise per l’espressione buffa sul viso della ragazza. -E che cosa sarebbe?
-Un fiore! – lo rimbeccò lei, saputella. -Informati un po’, suvvia! È il fiore dell’amore materno, cosa c’è di meglio per una situazione come questa?
Lui sbuffò divertito. - Non so neanche come sia fatto.
Emma si avvicinò pericolosamente al suo viso, gli sfiorava la guancia con il naso, sempre mantenendo il contatto visivo. -Ti aiuterò io – soffiò allegra, con un bellissimo sorriso stampato in volto. Quella promessa aveva tutta l’aria di essere un congedo.
Quando lei fece per allontanarsi, lui non poté fare a meno di trattenerla: le posò una mano sulla guancia mentre con l’altra le afferrò delicatamente il polso.
-Potresti aiutarmi restando qui – le disse lui, rapito da come i suoi occhi verdi lo fissavano curiosi.
Lei ridacchiò. – A pulire quello schifo che c’è di sotto? No, grazie.
Ma non si allontanò, perché anche a lei piaceva lui, anche lei lo trovava curioso, anche lei lo voleva.
-Perché eri qui ieri sera? – la interrogò, roco. Aveva il respiro corto.
-C’era una festa, volevo divertirmi – sussurrò di rimando. Anche lei era senza fiato.
-Sapevi che era casa mia.
Emma inclinò leggermente la testa, inumidendosi le labbra. -Certo che lo sapevo. Allora?
Federico si sentiva eccitato e al tempo stesso esasperato da quella conversazione. Cavarle le parole di bocca era difficilissimo. - Eri venuta a cercarmi?
Lei si limitò a fissarlo senza rispondere.
-Eri venuta a cercarmi, quindi – le sorrise vittorioso. -Eri venuta a cercarmi e guarda caso c’era una festa, quindi sei rimasta, ma sapevi che ti avrei vista.
Silenzio, lei continuò a non proferire parole.
Federico rise, piano. -Emma, così mi fai impazzire.
Ed era sincero. Il fatto che lei lo avesse cercato così come lui cercava lei era bellissimo ed eccitante.
Federico pensò al bacio della sera precedente, di cui Emma pareva non ricordarsi. Si disse che quello era il momento più opportuno per replicare il suo esperimento.
I loro visi erano vicinissimi, bastava poco per colmare quella distanza.
Si avvicinò alle labbra di lei lentamente, ma con decisione. Tuttavia, la cautela con cui lo fece non bastò a preservare quel momento: quando le loro bocche si sfiorarono Emma scattò in piedi come un soldato, facendolo sentire respinto.
-Devo andare – biascicò senza fiato. Poteva sentire il battito del cuore di lei anche da lontano.
Federico cercò di nascondere il suo disappunto, senza successo. Si scoprì, tuttavia, anche divertito dal modo in cui lei zampettò in giro per la sua stanza, alla ricerca dei suoi vestiti. Lei lo aveva respinto, ma voleva baciarlo tanto quanto lui voleva baciare lei, ne era consapevole.
Emma afferrò una scarpa e se la mise saltellando sul posto, afferrò confusamente tutta la sua roba e si diresse verso la finestra.
-Sul serio? – le chiese, confuso come non mai dal fatto che lei volesse uscire di lì.
-Sul serio – sorrise lei, un po’ più rilassata, mettendosi a cavalcioni sul davanzale.
Federico la afferrò per mano. – Quando ci vediamo?
Suonò come una richiesta fin troppo disperata, si disse, ma voleva davvero avere la certezza di poterla rivedere.
-Presto – gli sorrise lei. Esitò un attimo e Federico sperò che lo salutasse con un bacio, ma lei non lo fece. Si riscosse quasi subito da quel torpore e si arrampicò sull’albero accanto alla finestra, scendendo fino al giardino con una grazia inaspettata.
Federico la osservò correre via, con ancora addosso la sua maglietta.
 
-Sempre con quella lingua pungente, tu.
Fu il saluto di suo padre al telefono, poco dopo. Federico puliva da mezz’ora, ormai la cucina era sgombera dai rifiuti. Avrebbe potuto cantar vittoria, ma ancora c’era l’intero salotto e l’ingresso da ispezionare.
-Come lo sai? - chiese al padre, tenendo il cellulare incastrato tra l’orecchio e la spalla.
Giancarlo Visconti riusciva a capire il figlio come nessun altro sapeva fare, e a farsi capire da lui. Non c’era bisogno di troppi giri di parole nelle loro conversazioni, non ne avevano tempo nelle brevi telefonate.
-E come vuoi che lo sappia? - Il tono del padre trasudava sarcasmo, ma c’era anche una punta di divertimento. –Tua madre mi ha tenuto al telefono mezz’ora e con dovizia di dettagli mi ha raccontato che cosa hai combinato stanotte, che la casa è sottosopra, e che sei sempre di più un muro di mattoni.
Federico sorrise, immaginando il viso del padre mentre Simona parlava a raffica, la voce leggermente stridula per il fastidio e la rabbia. –Deve essere stata una tortura.
Giancarlo sbuffò, annoiato. - Mi ha distratto dal lavoro, ma mi importa più di voi, lo sai.
E con voi intendeva lui ed Alberta. L’unico motivo per cui si teneva ancora in contatto con l’ex-moglie erano i figli, da quel che sapeva. Non che non rispettasse Simona come donna e come madre, ma Giancarlo aveva rimosso l’affetto che nutriva per lei dopo il divorzio. Una costrizione necessaria a non star male per quel tradimento inaspettato.
-Lo so.
Federico iniziò a passare il mocio bagnato sul pavimento della cucina, rilasciando un fresco aroma di fiori al suo passaggio. Se doveva fare una cosa, tanto valeva farla per bene.
-E allora che combini? Perché fai disperare tua madre? – lo incalzò il padre.
-Penso che abbia un po’ esagerato nel raccontarti com’è andata.
Un altro sbuffo ironico. –Ti conosco: Simona sarà anche esagerata, ma tu sei impossibile. Lei fa del suo meglio ma non le rendi la vita facile.
Federico roteò gli occhi, consapevole che il padre non potesse vederlo e quindi riprenderlo. –Questa storia l’ho già sentita.
-Se mi dici perché hai lasciato che Marco radesse al suolo la casa te la risparmio- rise. Aveva una risata grassa, piacevole, calda. -Sono convinto che l’idea della festa non fosse tua, ti conosco troppo bene.
Rise anche lui. -Sicuramente meglio della mamma.
-Allora? – lo incalzò. – Perché senti il bisogno di festini? Sei diventato alcolista? Vuoi fumarti qualche canna?
Federico posò lo stracciò. Osservò la cucina trionfante: era pulita, ci si poteva specchiare. Non gli restava che sistemare il soggiorno.
Iniziò a mettere via i tappeti sporchi, nel pomeriggio li avrebbe portati in lavanderia per smacchiarli dall’alcol e dal vomito di Emma.
-Hai una ragazza? – insistè Giancarlo quando sembrò che il figlio lo avesse liquidato malamente.
Lui, distratto com’era dalle faccende, non riuscì a preservare il segreto. -Non è la mia ragazza.
Giancarlo borbottò trionfante dall’altra parte della cornetta. -Lo sapevo che c’era qualcuna!
-Non dirlo alla mamma – borbottò.
-Scherzi? Per chi mi hai preso? – sembrò offendersi. -È bella?
Federico pensò un attimo a Emma: orecchie a punta, naso a patata, labbra sottili, un mare di lentiggini. Non poteva certamente dire che a primo impatto fosse bella, ma il suo modo di fare, di guardarlo, la sua intelligenza e perspicacia la rendevano più attraente di molte altre ragazze che aveva frequentato in passato. Il fatto che fosse così sfuggente e misteriosa lo faceva sentire ogni volta più sedotto. – Bizzarra, ma carina.
-Allora devo decisamente bocciare l’idea di tua madre di farti prendere un volo la prossima settimana per venire qui.
Tipico di Simona: quando Federico la faceva disperare più del solito organizzava quella sorta di spedizione punitiva, con la speranza che Giancarlo facesse una bella lavata di capo al figlio. Quello che non sapeva, però, era che la lavata di capo non avveniva mai. Perché Giancarlo avrebbe dovuto passare il poco tempo che aveva a disposizione del figlio a tenergli il muso? In realtà, si divertivano: mangiavano schifezze, giocavano ai videogiochi, uscivano, bevevano, esattamente come farebbero due amici di vecchia data. E al ritorno a casa Federico era più mansueto, il cuore leggero per l’allegria che passare del tempo con il padre gli portava.
-Te ne sarei grato – gli disse, perché per quanto avesse voglia di vedere il padre, con Emma era tutto così fresco da non poter rinunciare.
-Però tu vienimi incontro.
–In che senso? - borbottò confuso, iniziando a raccogliere i bicchieri sparpagliati sui mobili per poi riporli dentro un sacchetto di plastica nero.
-Prova a farti perdonare da tua madre, fa qualcosa di carino per lei.
Era la seconda volta nello stesso giorno che si sentiva fare quella medesima richiesta. Fare qualcosa per sua madre quando non voleva gli costava, ma in fin dei conti si era comportato molto peggio del solito.
-Ci posso pensare – concluse, pensando a Emma che prometteva di aiutarlo.
-È un inizio! - esultò Giancarlo. –Ma in fin dei conti stavolta l’hai fatta grossa, non ti senti mai in colpa?
-Non potevo prevedere che cosa sarebbe accaduto – si giustificò. Dopotutto Marco gli aveva detto che avrebbe ridimensionato i progetti, come poteva sapere che mentiva?
La risposta servì a glissare la domanda, perché sì. La verità era che non si sentiva mai in colpa nei confronti della madre per ciò che faceva. E perché avrebbe dovuto? Lei doveva sentirsi in colpa per avergli rovinato la vita, per aver costretto il padre a trasferirsi dall’altra parte del mondo, per non essere una buona madre.
-Ti prenderei a schiaffi- disse il padre, ma sapeva che non lo pensava sul serio. Percepiva la punta di ironia in quella frase.
-Inizia a fare il check-in.
-Mi hai scocciato- brontolò, soffocando una risata. –Torno a guadagnarmi il pane. Stammi bene, e dì a Marco di rinfilarsi gli occhiali da nerd e di tornare a giocare ai videogiochi.
-Ciao pà- rise lui prima che Giancarlo riattaccasse.
 
Il piano di sopra era messo meglio di come si aspettava.
-Per fortuna – si disse. Era stanco di pulire, andava avanti da ore.
Stava sistemando la camera da letto della madre, lasciata a soqquadro dal suo presunto amico e dalle ragazze che ci aveva portato, quando sentì la voce di Marco dal piano di sotto: -Stronzo, ci sei?
-Sono sopra, sali! - gridò di rimando.
Un attimo dopo Marco era alla porta, fresco come una rosa. –Che stai combinando?
Il biondo era la figura della rilassatezza. Non si premurò neanche di scusarsi per il pasticcio che aveva combinato, né si offrì di aiutarlo vedendolo indaffarato là dove era stato proprio lui a mettere disordine, inopportunamente.
-Mi improvviso Cenerentola per ordine di mia madre- borbottò Federico, sarcastico. –Qualcuno dovrà pur ripulire il disastro che hai provocato.
–Un disastro fantastico, se me lo concedi- rise Marco. –Una festa da sballo.
Festa che non avevano mai concordato di organizzare, pensò Federico.
Non si sentiva arrabbiato con Marco, lui alla fine era solo sé stesso. In fin dei conti, l’unico problema era essersi fidato. Non lo avrebbe più fatto, in futuro.
-Peccato, già.
-Peccato davvero, stupido idiota! Amelia era pronta a saltarti tra le braccia, cosa ti è saltato in mente?
Federico tolse le lenzuola dal letto e le ammucchiò in un angolo. Dovevano essere lavate e disinfettate dopo quella nottata.
–Avevo qualcosa di meglio da fare.
Marco era scandalizzato. Era inconcepibile per lui pensare che l’amico non fosse stato attratto da quella ragazza. –Sei un idiota- borbottò. –Ma, se non altro, grazie al tuo forfè ho potuto realizzare il mio sogno di fare un ménage à trois!
Sul letto della madre.
-Sei disgustoso.
-E tu hai preferito… - si bloccò confuso. -Aspetta, dove sei finito ieri sera?
Federico non voleva certo sbilanciarsi a raccontargli di Emma, già era tanto se Marco era al corrente di Annamaria. Quell’informazione non gli sarebbe sfuggita, non con lui.
Ringraziò mentalmente il suo santo protettore per aver fatto sì che Marco non lo avesse visto baciare Emma nel bel mezzo del salotto, né portarla al piano di sopra, in camera sua.
-Quindi? – insistette il biondo, curioso di sapere la verità solo per rinfacciargli le sue scelte. Uno come Marco non avrebbe mai neanche guardato una come Emma, era troppo superficiale per una come lei.
-Mi facevo gli affari miei, ma forse non avrei dovuto visto che ti sei sentito autorizzato a fare il cazzo che ti pare in casa mia.
Mantenne un tono freddo, incolore, distaccato. E questo intimidì Marco, ma non lo fece tornare sui suoi passi. –Casa tua è casa mia, amico! Tra l’altro dovrei essere io a lamentarmi: tua madre è stata una stronza stamattina.
Non riusciva a credere che si stesse rigirando le carte in tavola.  
-Sì?
-Sì, cazzo! È piombata qui dentro tutta inorridita e ha iniziato a gridare con voce stridula ‘Fuori porci!’- Accompagnò il tutto con un’imitazione di Simona.
Federico sollevò le sopracciglia. –Forse perché occupavi il suo letto, nudo e con due troie.
Marco tentennò un attimo, ma non avrebbe mai ammesso che aveva ragione. –Che esagerazione! - brontolò. –Vedi piuttosto di tenere a bada questa cazzo di esaurita, sta regredendo!
Non era un mistero che Federico non avesse un amore smodato per sua madre, ma sentirne parlare in quel modo ed in una situazione in cui sapeva che Marco aveva torto marcio… Proprio non lo poteva sopportare.
-Come scusa? – bisbigliò retoricamente.
-Con la brutta figura che mi ha fatto fare deve ringraziare se non le ho sputato addosso- proseguì Marco imperterrito.
Federico non manifestava mai la sua rabbia, ma non voleva dire che fosse incapace di provarla. –Stai parlando di mia madre.
Il tono di voce fermo e sicuro, senza tentennamenti o esitazioni.
-Oh, andiamo- rise Marco. –Non ti incazzare.
-E che motivo avrei? - Federico rise. Una risata tanto grossa quanto falsa. –Hai solo sfruttato la possibilità di fare un festino a casa mia, hai lasciato immondizia ovunque e ti sei sbattuto due sconosciute nella camera di mia madre…
-Sentendolo sembra ancora più figo! - rise Marco, imbarazzato. Tentava di alleggerire la situazione, ma ormai il danno era fatto.
Il suo viso divenne di nuovo di pietra. -…Sulla quale ti permetti di sparare giudizi come se dovessi applaudirti per quello che dici.
Marco era visibilmente confuso, impacciato. –Eh?
-Dovresti pulire tu questo schifo, invece lo sto facendo io- continuò, il tono così freddo da risultare minaccioso. –Invece stai lì, e può andare anche bene, ma non prendere per il culo mia madre.
-Federico…
Federico lo fermò, sollevando una mano. Marco fece un passo indietro, il timore di ricevere un pugno negli occhi. –Vattene, la tua faccia di culo mi ha rotto il cazzo.
 
I passi di Simona erano inconfondibili al piano di sotto, così come il susseguirsi di rumori: la porta accostata delicatamente, le chiavi appoggiate sul tavolinetto nell’ingresso, un sospiro per annunciare che era in casa.
Alberta non era con lei, non si sentiva la sua vocetta pimpante, il saltellare sul parquet.
Federico scese le scale. –Mamma?
La trovò in cucina, un sacchetto sul tavolo e un vaso con una pianta dallo sgargiante color rosa.
-So a che cosa stai pensando- disse la donna senza guardare il figlio, posizionando sugli scaffali barattoli di noodles precotti.
Federico era più che convinto che la madre non lo conoscesse abbastanza da potersi sbilanciare a dire una cosa del genere. In altre circostanze le avrebbe risposto sarcasticamente, o l’avrebbe ignorata e se ne sarebbe andato. Quello, tuttavia, non era il momento giusto per mettere in atto il suo solito copione.
-Mi sembra difficile – le rispose con un tono che aveva tutta l’aria di essere diplomatico.
Soprattutto perché non lo sapeva neanche lui a cosa stava pensando, si disse. Le parole di Marco avevano risvegliato qualcosa: si sentiva in dovere di dire qualcosa alla madre.
Scusarsi era difficile: l’orgoglio e la corazza di ferro glielo impedivano. Non lo aveva mai fatto con Simona e non era sicuro di voler iniziare in quel momento.
Voleva comunque fare qualcosa - Emma e suo padre lo avevano convinto – ma non sapeva cosa.
-Una pianta di azalee non è sufficiente per farti perdonare- disse Simona, buttando il sacchetto di plastica nella spazzatura ed indicando la piantina che aveva notato poco prima.
Federico era confuso. -Cosa?
Per qualche strano motivo, Simona era convinta che fosse stato lui a regalargliela.
La confusione lasciò spazio allo stupore: Emma aveva mantenuto la sua promessa e lo aveva aiutato. La immaginò sgattaiolare dentro casa sua con quei fiori rosa e posizionarli là dove sua madre avrebbe potuto trovarli.
Era magnifica.
-Però ho apprezzato il gesto, e vedo che hai pulito casa- proseguì Simona, adocchiando il salotto in ordine. –Quindi sei sulla buona strada.
Non sapendo cosa dire, rimase zitto, lasciò parlare sua madre: -Ti ho portato da mangiare, io devo fare il turno notturno alla casa di riposo. Alberta è dalla signora Averna.
-Può venire qui.
-No, non può- disse brusca. Tossicchiò, pentita del tono usato. –Meglio che stia dalla signora Averna, per ora- si corresse.
Federico annuì, arreso. –Va bene.
-Bene. Io vado, buonanotte.
Fu fuori in un attimo, veloce come una saetta.
Federico passò sopra a quella conversazione insignificante e guardò la pianta sul tavolo. Simona diceva di aver apprezzato il suo gesto, ma non era stato lui a mandargliele: non sapeva nemmeno che esistessero le azalee fino a quella mattina.
Spiegarlo alla madre, tuttavia, non sarebbe servito: poteva credere che fossero un suo regalo, se voleva.
Osservò i fiori rosa, intensi nel colore e delicati nella forma. Pensò ad Emma, a quanto era stato vicino a baciarla di nuovo, al fatto che volesse disperatamente rivederla il prima possibile. Tuttavia, pensò pure che non sapeva come contattarla, che non sapeva nulla di lei e delle sue abitudini. Era tutto così strano.
Decise che a quella pianta serviva un po’ d’acqua, e mentre la innaffiava si disse che sarebbe stato bello disegnare quei fiori sul suo blocco.
 
L'Azalea può assumere diversi significati. Soprattutto nei paesi orientali, rappresenta la figura della donna più importante per ogni essere umano, cioè la propria madre. Da questo punto di vista l'Azalea simboleggia, quindi, l'amore più puro che esista. A questa simbologia, si affiancano altri due termini strettamente legati alla figura della donna-madre: la femminilità e la temperanza. La madre, quindi, viene universalmente considerata portatrice di entrambe queste virtù. La temperanza è la dote che viene tramandata da ciascuna madre ai propri figli per aiutarli a vivere con serenità le prove che in futuro la vita gli presenterà.
[www.ilgiardinodegliilluminati.it]
 
*Fonte: www.pollicegreen.com

Buongiorno a tutt*. Ho deciso da ora in poi di pubblicare il lunedì ed il giovedì, così che chi segue sappia di preciso quando venire a leggere il capitolo. Sono contenta dei piccoli feedback che sto ricevendo: anche solo che mettiate la storia tra le seguite per me è molto importante, una gratificazione per il mio lavoro. 
Sto pubblicando parallelamente anche su Wattpad, con il quale purtroppo non ho molta dimestichezza perchè non mi ci sono mai approcciata. Se qualcuno avesse qualche dritta da darmi per aumentare la copertura della storia anche lì, ne sarei molto grata! 
Spero che la storia vi stia piacendo. 
Un bacio, a presto! 
   
 
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