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Autore: DrkRaven    28/02/2022    5 recensioni
BOKUAKA | Tanta forza in Kōtarō, tanta potenza, tanta energia. Ma anche qualche debolezza, 37 per la precisione. E nessuno le conosce meglio di Akaashi, da anni al suo fianco, una presenza di cui Bokuto non può davvero più fare a meno. | ⚠ QUESTA STORIA CONTIENE SCENE E LINGUAGGIO ESPLICITI ⚠ ADATTA PER UN PUBBLICO ADULTO ⚠ BOY X BOY ⚠ | Parole: 8.073
⚠Questa storia è frutto della mia fantasia.⚠
⚠Qualunque riferimento a trama, personaggi o eventi narrati in altre fan fiction di altri autori è assolutamente e del tutto casuale, ma vi prego di segnalarmelo se doveste riscontrare tale similitudine.⚠
⚠E' assolutamente vietato copiare e riprodurre quanto riportato in questa storia.⚠
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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– Aaggaassheee –

– Bokuto-san, tutto bene? –

Ho risposto al primo squillo. È mezzanotte passata, di solito Bokuto non mi chiama così tardi.

– Agaashi… Dormi…? – mi chiede, strascicando le parole.

Sento che c’è qualcosa di strano anche nel tono di voce, mi sa che ha bevuto.

– No, stavo guardando un film. Perché mi chiami a quest’ora? – domando con un po’ apprensione.

– ‘Kashi, non so dove andare… – piagnucola al telefono.

– In che senso? Dove sei? – mi sto preoccupando.

– Non lo so. Ci sono tanti alberi… – farfuglia che quasi faccio fatica a capire cosa dice.

– Kōtarō, tranquillo. Spiegami con calma cosa è successo. – cerco di calmarlo, mentre invece io mi sto agitando.

– Niente ‘Kashi, è che non mi ricordo più. – dice piano.

– Cosa non ti ricordi? – gli parlo come se fosse un bambino piccolo, per cercare di capire meglio cosa sta succedendo.

– La strada. Per tornare a casa mia… – ora sta proprio piangendo.

– Ok, non ti preoccupare. Riesci a condividere la posizione del tuo cellulare con me? – gli dico con la voce più pacata che riesco a trovare.

– Aspe… – sento un po’ di fruscio e dopo quasi un minuto torna – boh, prova a vedere. –

Controllo, e in effetti vedo che Bokuto si trova nel parco del campus universitario; non è molto lontano dai suoi alloggi, ci sono stato settimana scorsa.

– Ok ti vedo. Resta lì e non ti muovere che ti vengo a prendere. – lo rassicuro.

– Grazie ‘gashi… Meno male che ci sei sempre tu… – piange al mio orecchio prima di riagganciare.

Infilo velocemente un paio di jeans, ed esco di casa cercando di fare meno rumore possibile, così da non svegliare i miei genitori.

Cammino veloce, non sono preoccupato, ma so che Bokuto lo è.

Fortuna che abito abbastanza vicino al campus, sono una decina di minuti a piedi.

I corsi universitari sono iniziati da un paio di settimane, e giusto lo scorso weekend Bokuto mi ha invitato a vedere il suo alloggio, che condivide con un ragazzo più grande che sta finendo di preparare la tesi.

È un piccolo appartamento con due camere da letto, un bagno e un soggiorno con cucina a vista. Ci sono anche camere singole al pensionato studentesco, ma Bokuto ha preferito condividere uno degli appartamenti per non restare solo. Peccato che nel fine settimana il suo compagno di stanza torna sempre a casa e quindi è comunque da solo.

Questa nuova vita universitaria lo sta confondendo parecchio, i suoi sbalzi di umore nelle scorse settimane sono stati diversi, e ogni volta mi ha chiamato. Passa dall’euforia per questa vita molto più indipendente, alla depressione per aver lasciato il liceo e tutti i vecchi amici. Non che abbia comunque problemi, Bokuto, a farsene di nuovi, sta già frequentando un sacco di gente ed è già andato a molte feste, come immagino abbia fatto stasera. Ma sono le novità che lo destabilizzano, ogni volta che deve riadattare le sue routine c’è sempre un periodo di assestamento.

Lo scorgo in lontananza, e mi si stringe il cuore nel vedere la sua testa ciondolare alla luce del lampione. È seduto su una panchina, le mani abbandonate tra le sue stesse ginocchia, e la testa bassa che dondola a destra e sinistra.

Solleva piano il capo man mano che entro nel suo campo visivo, e i suoi occhioni gialli si illuminano quando mi riconosce.

– Aaagaaasheee! Amico!  – fa per alzarsi ma ricade sulla panchina, le gambe non lo sorreggono.

Mi siedo al suo fianco.

– Eccomi Bokuto-san, visto che ti ho trovato?! – e gli passo un braccio attorno alle spalle per rassicurarlo.

Bokuto scoppia a piangere e poggia sconsolato la testa sulla mia spalla, le punte rigide delle sue ciocche bicolore che mi pungono il collo.

– Grazie ‘gashi, non sapevo cosa fare…. – farfuglia ancora – Kuroo non c’è… –

Già, Kuroo, il suo storico compagno di cazzate, che ha iniziato anche lui da poco l’università.

– È tornato da Kenma – prosegue – e io allora sono andato alla festa da solo… –

Piagnucola, mentre mi spiega cosa è successo.

– Ma c’era troppa gente che non conoscevo, così ho bevuto un po’ per ambientarmi. – e si ferma, come se ormai fosse tutto chiaro.
Beh, sì, diciamo che il quadro mi è chiaro.

Alcool e Bokuto non sono un’accoppiata vincente, soprattutto se Bokuto è da solo. Tante volte Kuroo, che regge meglio di Bokuto, lo ha riportato a casa dopo una sbronza.

– Ok, tranquillo, ci sono io. – lo rassicuro con una pacca sulla spalla.

– È che davvero davvero non me lo ricordo dove abito adesso. Questi maledetti alberi sono tutti uguali! – indica intorno a sé puntando il suo lungo dito che trema e oscilla.

– Dai, andiamo, mi ricordo io dove abiti. – e lo sollevo a fatica dalla panchina.

Bokuto si alza e vedo che ora riesce a reggersi sulle gambe, anche se oscilla un po’. Mi infilo sotto il suo braccio e gli circondo la vita per reggerlo, e ci incamminiamo lentamente.

Kōtarō si guarda intorno con un sorriso liquido e la bocca spalancata.

– Sono belli questi alberi… – farfuglia – peccato che sono tutti uguali… – mi ripete ancora.

– Sì, hai ragione – lo assecondo.

– Maledetto Kuroo! – cambia improvvisamente registro – Doveva proprio scopare questo weekend!? –

Sembra davvero arrabbiato, ma poi torna piagnucoloso.

– Ma non si lascia il proprio migliore amico da solo…. vero ‘Kashi? – mi chiede.

– Sì, è vero. Però cerca anche di capire, lui e Ken non si vedono più durante la settimana… – cerco di farlo ragionare, anche se so che con Bokuto ubriaco non c’è storia.

– Eh, ma che c’entra. Anche io e te non ci vediamo più durante la settimana… – ribatte.

Già.

Appunto.

Senza volerlo, Bokuto ha toccato un tasto dolente; anche per me è stato difficile non vederlo più tutti i giorni a scuola, non vederlo agli allenamenti della squadra…
E per me è ancora più difficile che per Kenma.
Perché Kuroo e Ken stanno insieme, e Kuroo quando può, torna a casa.
Mentre io, per Bokuto, sono solo un amico. Importante, speciale, ma pur sempre un amico.

Arriviamo agli alloggi nell’ala nord del pensionato studentesco che sono provato, oltre ottanta chili di Bokuto da trasportare non sono certo uno scherzo.

– Bokuto-san, hai le chiavi? – gli chiedo, cercando di riscuoterlo; negli ultimi minuti non ha parlato e si è concentrato nel cercare come poteva di sorreggersi senza pesare troppo su di me.

– Kōtarō!? – insisto, ma non mi risponde e la testa continua a ciondolare, ho paura che le sue gambe possano cedere da un momento all’altro.

Gli prendo le mani e gliele appoggio al muro davanti a noi, vedo che riesce a reggersi e mi scosto dal suo braccio. Passo dietro la sua schiena e infilo le mani nelle tasche dei suoi jeans per cercare le chiavi dell’alloggio.

Il profumo di Bokuto mi invade subito le narici, questa vicinanza mi sta turbando mio malgrado.
Chiudo gli occhi un istante e inspiro il profumo speziato di Bokuto, il docciaschiuma al sandalo che ho imparato a riconoscere, mischiato con l’aroma fruttato del suo gel per capelli. Percepisco il calore che emana la sua schiena a pochi centimetri dal mio corpo, e mi stacco subito, appena prese le chiavi. Non posso indugiare.
Bokuto è mio amico.
Punto.

Infilo la chiave nella toppa, entriamo e prendiamo l’ascensore. Gli ultimi metri di corridoio sono i peggiori, le gambe di Bokuto cedono e lo devo trasportare di peso. Apro la porta dell’appartamento a fatica, e riesco a trascinarlo fino alla sua camera, dove lo lascio cadere sul letto singolo, troppo piccolo per il suo corpo massiccio.

Cerco di riprendere fiato, sono davvero provato. Gli sfilo le scarpe, e decido che basta così, non posso spogliarlo, è a pancia in giù e pesa davvero moltissimo. E non voglio spogliarlo, non voglio avere nessuna tentazione dal suo corpo grande e caldo abbandonato incosciente sul letto.

Il solo pensiero mi fa arrossire, sento la faccia in fiamme e le stesse fiamme stanno invadendo anche i miei boxer. Nonostante tutto, non riesco a non provare questi sentimenti, questo trasporto, questa attrazione.

Mi sono innamorato di Bokuto un giorno dopo l’altro negli anni passati, la mia ammirazione per lui come asso della pallavolo si è poi tramutata in un amore sincero. Amo tutto di lui, la sua forza, la sua energia, la sua pazzia e tutte e 37 le sue debolezze.

– Kōtarō, io vado. Sei a casa. Ora dormi. – gli sussurro piano vicino all’orecchio. Non so se può sentirmi.

– Kuroo… – sussurra di rimando Bokuto.

Sgrano gli occhi, mentre un pensiero viscido e subdolo si impossessa della mia mente in un attimo.

Kuroo?

Non voglio nemmeno dar voce a quel pensiero, ma mio malgrado mi si accende in testa un numero.

38.

Che Kuroo sia la nuova debolezza di Bokuto?

Lascio in fretta la sua stanza, poso le chiavi sul tavolo ed esco dalla porta nel corridoio buio. Non accendo la luce, mi richiudo la porta alle spalle e cerco di calmare il battito del mio cuore che pulsa fin dentro ai miei timpani.

Ansimante, mi appoggio con la schiena alla porta dell’appartamento, cerco di prendere fiato.

Kuroo.
Possibile che Bokuto sia innamorato di Kuroo?
Che sia andato alla festa per bere e non pensare a Kuroo che è tornato a casa da Kenma questo weekend?

Una palla calda e dolorosa si sta formando nel mio stomaco, gli occhi mi bruciano e mi manca il fiato. Non riesco a fermare questo singhiozzo che sta salendo lentamente nella mia gola, che vuole uscire, che vuole sfogare tutta questa pena che da mesi mi porto dentro.

E poi esplode, un grido silenzioso che esce dalle mie labbra, gli occhi pieni di lacrime e il petto scosso da un singhiozzo irrefrenabile che cerco di bloccare con le mani a tapparmi la bocca.
Mi accascio a terra appoggiato alla porta dell’appartamento di Bokuto, e non riesco a fare altro che singhiozzare, cercando di trovare ossigeno tra un singulto e l’altro. Mi schiaccio gli occhi con i palmi delle mani, ma un lamento soffocato esce ancora dalla mia bocca aperta, un filo di bava che cola sulla mia maglietta.

Passano pochi lentissimi minuti finché mi calmo un po’ e mi rendo conto che sono seduto in mezzo al corridoio, ma per fortuna è buio e deserto, nessuno si è accorto della mia disperazione.

Mi ricompongo velocemente, asciugo il naso sul mio braccio, e poi cerco di togliere tutte le lacrime dalle mie guance. Quando mi sento un po’ più padrone di me stesso, mi rialzo in piedi e mi incammino verso casa.


⊛˜°•°˜⊛

È ormai mezzogiorno che mi arriva un messaggio di Bokuto.


BOKUTO-SAN: Grazie Akaashi per ieri sera, non ricordo granchè ma so che ti ho chiamato e poi stamattina ero nel mio letto. :)
Stasera c’è la festa di Oikawa, ci saranno anche Iwaizumi (ovviamente), Sugawara e qualcun altro che conosci, ti va di venire?
Così almeno sei già lì e non ti devo chiamare in piena notte…
AHAWHSAHAHA


Come faccio a dirgli di no?
Forse farei bene a darci un taglio, ad approfittare che sono ancora al liceo e che quindi non lo vedo più tutti i giorni a scuola e agli allenamenti.

Dovrei farlo, ma so già che non lo farò. Non lo posso fare.
Mento a me stesso dicendo che Bokuto ha bisogno di me, come ieri sera, e come è successo tante volte in campo, quando perdeva il controllo e deragliava.
Solo io riuscivo a riportarlo sui binari.
E lui si appoggia a me, lo ha sempre fatto.

Bokuto ha bisogno di me.
E io ho bisogno di questo.

Mi va bene anche questo, esserci quando mi cerca, aiutarlo quando me lo chiede.
E anche quando non lo fa.

Perché sono io che ho bisogno di lui. Mi basta anche solo stargli vicino.

No, non è vero, non mi basta.

Ma me lo faccio andare bene lo stesso.

Certo che se adesso Bokuto si è innamorato di Kuroo è davvero un casino colossale. Sono amici da anni, tanto diversi eppure così simili, sempre insieme in ogni occasione; ma Kuroo ama Kenma, lo sanno tutti, è qualcosa che tutti abbiamo sempre saputo, anche prima che si mettessero insieme.

Bokuto ne uscirebbe distrutto.
E io devo essere lì per lui, se questo dovesse davvero capitare.

Rispondo al suo messaggio.


Ok. Passo io da te. A che ora?


BOKUTO-SAN: Grazie ‘Kashi! Ti aspetto alle dieci allora.


E così alle dieci, puntuale, mi trovo davanti all’ala nord della residenza universitaria.

Ammetto che questa zona dell’università è molto bella, le residenze degli studenti sono immerse nel parco che collega anche i vari atenei. È tutto vicino, a portata di mano, e ben curato e armonioso.

Non mi dispiacerebbe il prossimo anno venire a stare qui, anche se abito davvero vicino. Ma so che la vita universitaria la vivi di più se ci sei dentro giorno e notte. E poi la stanza nell’appartamento di Bokuto si libera per fine anno.

Ma che cazzo sto pensando!

Keiji, stai coi piedi per terra, cazzo!

Bokuto esce dalla porta bello pimpante, mi dà una sonora pacca sulla spalla e ci incamminiamo.

Oikawa ha organizzato questa festa all’ala sud, dove stanno lui e Iwaizumi.
La sala comune è il cuore pulsante della festa, musica a palla e tanta roba da bere e meno da mangiare.
Ma siccome Oikawa non è certo un novellino in fatto di feste e divertimenti, ha fatto in modo di coinvolgere praticamente tutti i residenti.
I fumi dell’alcol e la gente che balla si insinuano come tentacoli anche lungo i corridoi, diverse stanze sono aperte con dentro gente che parla, fuma, balla, fa sesso. Quelle magari vengono chiuse, ma in corridoio si sentono certi rumori inequivocabili.

Troviamo l’organizzatore della festa nella sala comune, che si dimena a ritmo di musica, in mezzo ad una pista da ballo improvvisata mettendo i divani in cerchio; indossa un paio di pantaloncini di pelle neri e un crop top dorato. Una nuvola di glitter anch’esso dorato sulle tempie e gli zigomi, scintilla alle luci dei led attaccati alle pareti.
Ammetto che fa la sua figura, si muove da dio ed emana una sensualità naturale a cui è difficile resistere.

Mi rendo conto guardando i volti intorno a me, che non sono l’unico a pensarla così.

Bokuto ha la bocca spalancata da quando siamo entrati, ma la chiude vedendo che lo guardo.
Vicino al tavolo con le bevande, Sugawara guarda lo show di Oikawa con sguardo fiero e orgoglioso, e mi viene il sospetto che ci sia anche il suo zampino nella scelta dell’outfit di stasera.

Iwaizumi è poggiato al muro, braccia conserte e bicchiere in mano, e sembra voglia sbranarlo con il solo sguardo. Ho idea che resteranno poco qui, che per loro la festa a breve si sposterà nella loro stanza.

Suga mi viene incontro e mi saluta, il suo solito sorriso affabile, e ci appartiamo a commentare quanto stia bene Tōru con quell’outfit, intanto che Bokuto sparisce a prendere da bere. Ma torna dopo un istante con due bicchieri, me ne porge uno, mi fa l’occhiolino e sparisce di nuovo tra la calca.

Bevo la mia birra e chiacchiero con Suga per un po’. Ci raggiunge poi lo stesso Oikawa, luccicante e accaldato in viso ma perfettamente composto e padrone di sé.

Ma come avevo previsto, Iwaizumi lo rapisce poco dopo.

– Ragazzi scusatemi, ma Iwa-chan non riesce proprio a starmi lontano stasera – ci dice sorridendo mentre Iwaizumi lo tira per un braccio.

Dei compagni di corso di Suga si uniscono a noi, e ci spostiamo in corridoio per chiacchierare senza il frastuono della musica.

Dopo un po’ Bokuto spunta in corridoio e mi allontana dai ragazzi con cui sto parlando tirandomi per il polso.

– Agasheee, vieni a giocare? – e sta strascicando un po’ le parole.

Ho già paura. Paura di doverlo riportare a casa di peso un’altra volta per davvero.

– No, Kō. Anzi, stai qui anche tu a chiacchierare con noi. I compagni di Suga sono simpatici. – provo a convincerlo.

– Ma no, dai, vieni, facciamo Buzz, tu sei bravo in matematica. – ma non mi lascio convincere.

– Vai tu allora, – gli dico – finisco un discorso e ti raggiungo. –

Bokuto torna nella sala comune ma riappare in corridoio dopo un attimo con un altro bicchiere di birra che mi porge sorridendo.

– Ecco, così almeno resti in pari col tasso alcoolico. Ti aspetto eh? – e torna nella sala comune che già sta barcollando.

Non raggiungo Bokuto per un’ora almeno, fino a che ci accorgiamo di un cambio di musica, e io e Suga rientriamo nella sala. Qualcuno ha tolto la musica dance, ed ora c’è una compilation Lounge che fa da sottofondo alle poche chiacchere di chi ancora non si è accasciato sui divani o per terra.

Ed è proprio qui che trovo Bokuto, seduto con la schiena al muro che fissa il suo bicchiere vuoto poggiato in mezzo alle gambe.

– Tutto ok? Dai, vieni, andiamo. – gli porgo la mano.

– Ho perso. E il mio bicchiere è vuoto. – farfuglia Bokuto fissando ancora il bicchiere.

– Sì, meglio. Dai, andiamo. – insisto e avvicino la mano.

Bokuto la prende e mi guarda negli occhi. E poi tira la mia mano, mi tira verso di lui finché i nostri nasi sono a pochi centimetri.

– Aagaasheee. Ma i tuoi occhi sono verdi o blu? – biascica che quasi faccio fatica a capirlo. E continua.

– E sono due o quattro? –

Andiamo bene…

Tiro in piedi Bokuto con tutte le mie forze e mi preparo alla seconda delle dodici fatiche di Ercole, la prima l’ho già fatta ieri sera.

Saluto Suga e porto Bokuto fuori da lì.

Ma evidentemente Kōtarō non ha bevuto come la sera prima, perché dopo pochi minuti all’aria aperta sembra tornare un po’ più presente. Quantomeno, riesce a camminare. E per la mia schiena è già un bel risultato.

Ma poi comincia con uno strano discorso, e ammetto che non capisco se è colpa dell’alcool o è la debolezza n.21 che sta prendendo il sopravvento. Forse entrambe.

– Aagggasssheee…. secondo te io sono bello? – mi chiede di punto in bianco mentre camminiamo.

Ondeggia lievemente, ma per il resto sembra padrone di sé. A parte la storpiatura del mio nome, a cui ormai sono abituato, non sembra particolarmente ubriaco.

– Sì, Kōtarō. Sei bello. – lo rassicuro.

– Ma secondo te, sono più bello io o Tōru? – insiste.

– Non saprei. Siete diversi. Decisamente diversi… – sottolineo le ultime parole.

– Ma secondo te…? Ti piaccio di più io o ti piace di più lui? –

– Nessuno dei due, siete miei amici. – rispondo sperando che la smetta con queste domande, ma mi sono ovviamente illuso perché continua imperterrito.

– Ma se tu fossi un giudice, diciamo, al concorso per Mister Universo, voteresti per me o per Oikawa? – insiste.

– Per te, Kō, voterei per te. – comincio a vedere l’edificio dell’ala nord e accelero il passo, ho quasi paura di scoprire dove voglia andare a parare con i suoi discorsi.

– E tra me e Kuroo? Chi è più bello? – mi chiede di nuovo.

– Sempre tu, Kō – rispondo, ma lui alza le sopracciglia e mi fissa con i suoi occhi gialli che risultano in questo momento quasi inquietanti.

– No, non è vero. Kuroo è più bello. Lo dicono tutti. – replica con un’espressione solenne.

– Lo dice solo Kenma – gli rispondo cercando di ricordargli, appunto, che Kenma è il ragazzo di Kuroo.

– No, ‘Kashi, ti assicuro. Nella residenza di Oikawa hanno fatto una classifica dei ragazzi più belli dell’università. E ha vinto Kuroo. – mi stupisco che riesca a formulare frasi così lunghe e coerenti. E continua.

– Iwa mi ha detto che Tōru era incazzatissimo. Anzi, lui pensa che Tōru abbia organizzato la festa di stasera, proprio per mettersi in mostra sapendo che Kuroo non ci sarebbe stato. – e scoppia a ridere tenendosi la pancia. Si ferma un attimo a riprendere fiato.

Ma poi mi fissa e la sua espressione da divertita torna seria.

– Comunque, anche per me il più bello è Kuroo. – mi dice solenne.

E a quel punto io non rispondo più, inghiotto un grumo amaro di bile, infilo le mani nelle tasche dei jeans e riprendo a camminare lasciandolo indietro.

Mi raggiunge al portone e, a fatica, tira fuori le chiavi che sembrano incastrate nelle tasche dei suoi jeans.

– Sali? – mi chiede armeggiando col mazzo che ha in mano.

– No, vado, è tardi. – rispondo. E ho bisogno di aria, di fare due passi e schiarirmi le idee.

– Aaaggaaashiiiii! Ti pregooooo. Dai sali da me. In frigo dovrei avere ancora un paio di birre. – dice mentre ancora scorre le chiavi una dopo l’altra, e mi rendo conto che le sue mani tremano e non riesce a trovare la chiave giusta.

Gli prendo il mazzo dalle mani e al secondo tentativo apro il portone.

Bokuto infila il suo braccio sotto al mio e mi trascina dentro, verso l’ascensore perché comunque non è in grado di fare le scale.

Sono ancora io che apro la porta dell’appartamento. Bokuto entra e si butta a pancia in giù sul divano, con un braccio che pende molle a toccare terra.

– Dai, vieni qui, stai ancora un po’ con me. Non voglio stare da solo. Non mi piace… – piagnucola e strascica ancora un po’ le parole.

Mi avvicino al divano, lui si punta col braccio e si tira su, e mi fa segno di sedermi sul sedile. Mi siedo, e lui si mette supino, poggia la sua testa sulle mie cosce e mi sorride dal basso.

Allungo il braccio per accendere la lampada sul tavolino di fianco al divano ma Bokuto mi ferma.

– No, lasciala spenta, mi dà fastidio. I miei occhi ci vedono meglio al buio. –

Che poi non è buio, è giusto una penombra, visto che i lampioni del parco comunque illuminano un po’ la stanza.

– Allora, me lo dici? – riprende di punto in bianco un discorso che forse sta facendo dentro la sua testa.

– Cosa Kōtarō? – chiedo.

E aspetto la sua risposta che tarda ad arrivare.
Mi rendo conto di quanto sia surreale questa situazione, ma non riesco a non assecondare Bokuto. Mi ha chiesto di non lasciarlo solo, e anche se probabilmente vorrà ancora farmi notare quanto è bello Kuroo, io lo assecondo comunque. Non riesco a non farlo.

Ma invece, quando pensavo che non mi avrebbe più risposto, e che avrebbe continuato a fissare il soffitto con una espressione vuota, mi rifà la domanda di mezz’ora fa.

– I tuoi occhi… sono verdi o sono blu? – e me lo chiede in un sussurro.

– Tutti e due, – gli rispondo serio – dipende dalla luce. –

Una sensazione di calore si sta spandendo nel mio stomaco, nel rendermi conto che stava pensando a me e non a Kuroo.

Ma mi ripeto che non mi devo lasciare andare a pensieri inutili, anche se lui continua a fare di tutto per confondermi, perché conclude.

– Beh, non importa se sono verdi o blu. Sono belli. I tuoi occhi sono davvero belli, Akashi. – e mi guarda con i suoi grandi occhi dorati, ruotando un po’ la testa verso le mie ginocchia per poter fissare bene i suoi occhi nei miei.

Mi sorride, e io gli sorrido di rimando. E il mio cuore comincia ad accelerare.

Ma che cazzo sto pensando?! Bokuto è ubriaco. È sempre un po’ strano. In questo momento ancora di più. Devo smetterla di leggere del sottotesto dove non c’è.

Ma poi Bokuto mi dà il colpo di grazia.

– Keiji… mi fai i grattini? – e il mio autocontrollo capitola definitivamente.

Ok, forse non è il solito Bokuto strano. Ci sta davvero provando con me?

Con la bocca asciutta, poggio la mano sinistra sulla sua fronte, e comincio a tracciare dei piccoli cerchi sopra il naso. Kōtarō chiude gli occhi e io continuo ad accarezzargli la fronte. Provo ad infilare le dita tra i suoi capelli, e anche se qualche ciocca piena di gel fa resistenza, le mie dita riescono ad entrare nella sua chioma e a massaggiare lievemente il cuoio capelluto, mentre col pollice lo accarezzo ancora in cima al naso, tra le sopracciglia.

Bokuto sospira e sorride, e a tentoni cerca la mia mano destra poggiata sul divano, solleva il bordo della sua maglia fin sopra l’ombelico e posa la mia mano sul suo addome.

– Anche qui, ti prego… – sussurra sempre senza aprire gli occhi. Ed io sono grato di questo perché credo che la mia espressione, in questo momento, tradisca tutto il turbamento che questa situazione sta ingenerando in me.

Sento la faccia che bolle, devo essere davvero paonazzo, il cuore che da qualche minuto corre all’impazzata ed ho quasi paura che mi possa venire un infarto.

Perché per quanto mi possano piacere i capelli di Bokuto, la mia mano sui suoi addominali è una delle mie fantasie erotiche più ricorrenti.

Adoro il fisico di Kōtarō, le sue spalle larghe, i suoi muscoli definiti che trasmettono un’aura di potenza e grazia insieme. E i suoi addominali sono davvero da paura; quando eravamo in squadra insieme mi sforzavo sempre di voltarmi quando toglieva la maglia, di non guardarlo, perché temevo che mi si sarebbero letti in faccia tutti i miei pensieri peccaminosi.

E adesso sono qui, a tracciare con le dita della mano destra il profilo perfetto di questi muscoli, ancora forti e definiti visto che Bokuto non ha comunque smesso di giocare a pallavolo.

Sorride sornione e sento che si muove appena per accomodarsi sul divano in una posizione più comoda.

Ok, a questo punto spero che si addormenti e che domani non ricordi nulla di tutto questo. Ed è con questo pensiero che io stesso mi lascio andare un pochino, e cerco di godermi le sensazioni che la sua pelle rovente trasmette ai miei polpastrelli.

Muovo la mano in cerchi via via più ampi, e sento che rabbrividisce quando arrivo verso i fianchi, quindi torno verso il centro e poggio tutta la mano al posto dei soli polpastrelli.

La sinistra ormai dimenticata che si muove piano tra i suoi capelli, concentro la mia attenzione alla mano destra, e mi insinuo ancora più su, sollevando la maglia fino ad arrivare ai suoi pettorali. Copro con la mano una zona sempre più ampia, deciso ormai a prendermi tutto quello che questa folle serata mi può dare, senza pensare ad altro che al momento presente.

Kōtarō non mi ferma, lascia che la mia mano spazi per tutto il suo torace, la maglietta ormai raccolta sotto al collo, un’espressione beata e serafica sul suo volto.

Mi chiedo cosa devo fare ora, se mi devo fermare o continuare, ma la risposta alla mia domanda arriva da Kōtarō, che prende la mia mano con le sue, grandi e forti.
Penso per un attimo che sia rinsavito, che mi voglia fermare, che si metta a ridere per lo scherzo che mi sta facendo. Ma invece tira la mia mano più giù, sempre più giù e la infila appena sotto all’elastico dei boxer che spunta dal bordo dei jeans.

Sgrano gli occhi per lo stupore e lo guardo, cerco di leggere sul suo viso una spiegazione a questo gesto. Mi accorgo che anche Kōtarō è arrossito, si vede nonostante la penombra, e si morde il labbro inferiore mentre si sbottona i jeans per agevolare la mia mano.

Non mi guarda, tiene gli occhi ancora chiusi, e riesco a percepire il suo imbarazzo, che è anche il mio.

Kōtarō vuole che infili la mia mano nei suoi boxer.

Mi paralizzo, con solo la punta delle dita infilate sotto l’elastico dei suoi boxer.

Sono dilaniato dall’indecisione.

La parte di me più istintiva, quella guidata dagli ormoni, diciamo, vuole infilare le dita sotto a quell’elastico, in fondo è lui che me lo sta chiedendo. Mi prendo tutto, ho pensato prima, sia quel che sia.

Ma la parte di me più sentimentale, quella che è davvero innamorata di Bokuto, mi dice che non lo posso fare. Non è quello che voglio. Non così.
Non voglio del sesso con Bokuto ubriaco, che domani non ricorderà niente. Non voglio una notte e basta.

Io voglio tutto. Voglio dirgli che lo amo. Voglio che anche lui mi ami. Voglio fare sesso con lui, se anche lui lo vuole, e che se lo ricordi il giorno dopo.

Sfilo piano la mano dai suoi capelli e sollevo l’altra dal suo addome.

– Meglio che vada ora, è davvero tardi. – riesco solo a dire con la voce spezzata.

Scosto la testa di Bokuto per alzarmi e lui apre gli occhi.

– No, ‘Kashi, resta con me. – dice di getto.

Non lo ascolto e mi alzo dal divano. Lui cerca di mettersi seduto ma io non lo guardo, lo ignoro volutamente, devo assolutamente andarmene da questa stanza.

Arrivo alla porta e apro la maniglia. Mi fermo un istante.

– Dimmi solo che stai bene e che riesci ad andare a letto da solo. – gli dico brusco senza nemmeno girarmi.

– No. – mi risponde.

Ruoto la testa per guardarlo. È seduto sul divano, con la testa tra le mani, i gomiti poggiati sulle ginocchia. Forse sta male davvero.

– No cosa? – gli chiedo più dolcemente.

Alza lo sguardo verso di me e posa le mani sul divano ai suoi lati per stabilizzarsi.

– No. Non sto bene. E no. Non voglio andare a letto da solo. – parla lentamente, ma distinguo quello che dice, e realizzo che la mia domanda era leggermente diversa; e infatti lui continua.

– Akaashi. Voglio che vieni a letto con me. – sussurra, ora così piano che penso che forse me lo sono immaginato.

Richiudo la porta e mi volto completamente verso di lui. Non posso ignorare quello che sta dicendo, non posso andarmene e basta. Anche se è ubriaco. Soprattutto perché è ubriaco.

– Kōtarō, sei ubriaco. Non sai quello che dici. – faccio un passo verso di lui.

– Keiji, sì sono ubriaco. Ma so perfettamente quello che dico. – mi risponde a tono tirandosi in piedi a fatica.

Ondeggia un attimo ma resiste, non cade, e con due passi incerti si avvicina a me, che sono ancora in piedi a un metro dalla porta di casa.

– Keiji, hai ragione, ho bevuto. Ma non riuscivo a trovare il coraggio, da sobrio. – non riesce a guardarmi negli occhi, fissa la mia maglietta, lo stemma del brand stampato in rilievo sul mio petto.

Conosco Bokuto. Lo conosco da anni e mi rendo conto che vuole dirmi qualcosa, che vuole spiegarmi cosa sta succedendo, ma fa fatica, non trova il coraggio, non trova le parole.

E come ho sempre fatto, cerco di aiutarlo, anche perché mi rendo conto che, io per primo, ho bisogno di capire cosa sta succedendo.

– Il coraggio per cosa, Kō? – gli dico piano.

Lui allunga una mano e prende la mia, intreccia le sue dita alle mie e ancora non riesce a parlare. Metto l’altra mano sulle nostre intrecciate e lo incalzo.

– Dimmelo. – insisto.

Tentenna un attimo e continua a fissare la mia maglietta con i suoi occhi gialli illuminati di sbieco dai lampioni del parco.

E poi finalmente lo dice.

– Voglio stare con te Keiji. Resta con me, ti prego. – le parole pronunciate lentamente, con pause tra una e l’altra. La fatica di dirle palpabile, evidente nel suo tono di voce e nella sua espressione imbarazzata.

– Ok, se hai bisogno, stasera mi fermo a dormire qui. – gli rispondo.

Non sono certo di aver compreso quello che intende, anche se una vampata di calore mi sta avvolgendo, ma è pur sempre ubriaco ed ho ancora paura di illudermi, e quindi resto neutro, per poter sempre fare marcia indietro.

Ma Bokuto mi risponde alzando finalmente lo sguardo e fissando i suoi grandi occhi emozionati nei miei.

– Non stasera. Intendo sempre. Voglio che ci mettiamo insieme, Keiji.  – mi dice lentamente.

– Ma… e Kuroo…? – mi esce di getto, il mio cervello che formula la domanda prima ancora che me ne renda conto.

– Kuroo? Che cazzo c’entra Kuroo? – mi fissa, ora davvero stupito.

– Non fai che parlare di lui, di quanto è bello, di quanto è stronzo per averti lasciato solo… – rispondo di getto dicendogli finalmente tutto quello che mi pesa sul cuore.

Bokuto scoppia a ridere, ride per qualche secondo con le lacrime agli occhi, e io ammetto che mi sento infastidito e ritiro le mie mani dalla sua. Smette immediatamente di ridere e mi guarda di nuovo serio e solenne, anche se ha ancora gli occhi umidi.

E poi avvicina il suo viso e mi bacia, mi dà un bacio rapido e impacciato sulle labbra e poi si scosta e mi guarda negli occhi.

– Non mi piace Kuroo. Mi piaci tu.  – dice piano.

E finalmente sento un’ondata di pace e calore che mi pervade, ora so che non sono io a farmi illusioni su qualcosa che non c’è. Lo ha detto chiaramente.
Ancora non capisco però come ho fatto a fraintendere, ma come io conosco Bokuto anche lui conosce me, sa che mi deve spiegare, e quindi aggiunge prendendo di nuovo le mie mani tra le sue.

– Nelle ultime settimane ho stressato Kuroo parlandogli di te, chiedendogli consigli. Avevo bisogno di lui per questo…. perché mi sentivo perso, non sapevo cosa fare con te, come dirtelo. – fa una pausa, credo gli costi fatica fare un discorso così lungo e coerente. E poi continua.

– Ma il bastardo, mai che mi abbia dato un consiglio! “Ascolta il tuo cuore” mi diceva… Eh ma, cazzo, io non lo so fare. Non sono capace. E infatti ho quasi fatto un mezzo casino con te… forse perché non è proprio il cuore quello che stavo ascoltando… – conclude abbassando di nuovo lo sguardo imbarazzato.

Sento un sorriso aprirsi sul mio volto mentre lo guardo, questo ragazzo massiccio e dall’aspetto minaccioso, che si imbarazza perché non sa ammettere i suoi sentimenti.

Ora sono io che mi avvicino e accosto le mie labbra alle sue. Le sfioro piano, mentre allaccio le braccia attorno al suo collo e mi preparo a prendermi finalmente quel bacio che ho tanto sognato.

Kōtarō mi stringe per la vita e mi bacia, apre le sue labbra e intreccia subito la lingua con la mia. Sento ancora una volta il suo corpo caldo e massiccio, ma so che adesso posso spalmarmici contro, posso sentirlo come si deve, posso assaporare ogni centimetro di muscoli.

Il bacio è intenso, vorace, i nostri corpi si sfregano e si spingono come se volessero unirsi, fondersi, come stanno facendo le nostre lingue.

Il corpo di Kōtarō ondeggia piano, instabile, e sento che mi spinge indietro fino a sbattere la schiena contro la porta di casa. Continua a baciarmi, mi prende il viso tra le mani, il suo corpo caldo e possente completamente addosso al mio.

Le mie mani si insinuano sotto la sua maglietta; stuzzicate dalle carezze di pochi minuti fa, cercano ancora i suoi muscoli, la sua pelle calda, la sua schiena massiccia.

Kōtarō si appoggia alla porta con le mani di fianco alla mia testa, e mi spinge ancora, si struscia, sento la sua erezione che spinge forte contro la mia. Dopo un istante, non pago, allunga una mano tra di noi, e sbottona i miei jeans, per insinuarsi sotto l’elastico dei boxer.

La sua mano mi avvolge e un gemito esce mio malgrado dalla mia bocca direttamente dentro la sua. Mi sento inondare da una marea di fuoco, ardo, e spingo ancora più a fondo la lingua nella sua bocca.

Scendo anch’io con le mani nei suoi boxer, e stringo i suoi glutei perfetti, li strizzo fino a ficcarci dentro le unghie. E poi con la mano destra mi sposto davanti, e lo avvolgo a fatica con le dita. Grande. Kōtarō è davvero grosso. Lo stringo forte e lo muovo come lui sta facendo con me.

Ed è una tortura immane, spiaccicati contro la porta di casa a baciarci e toccarci reciprocamente come se fossimo due ragazzini. Ma probabilmente è anche troppo per le sue condizioni, perché Kōtarō abbandona presto la mia intimità per poggiare di nuovo entrambe le mani alla porta.

Senza smettere di darmi questi baci irruenti, continua a spingere il suo bacino verso di me ma capisco anche che si sta appoggiando in cerca di un sostegno per non cadere.

Ammetto che per quanto non abbia bevuto tantissimo, anche a me gira la testa ora, forse a causa dell’emozione e del battito accelerato per l’eccitazione del momento.

Ci stacchiamo dal bacio, ansimando e fissandoci di nuovo negli occhi.

Gli accarezzo il viso con le mani e gli sorrido. Non riesco a non sorridere, sono felice, mi sento leggero ed euforico.

Bokuto ansima ancora, e prende un respiro profondo.

– Sei bello quando sorridi. – mi dice con il respiro ancora affannato – non lo fai spesso… E adesso i tuoi occhi sono blu. Blu scuro. Sono davvero belli, almeno questo ero riuscito a dirtelo. – adorabile Kō, che mi fa i complimenti con candore e imbarazzo, come se non avesse avuto il mio membro tra le mani fino a un minuto fa.

– Anche io ero sincero quando ho detto che sei più bello di Kuroo. – gli dico di slancio accarezzandogli il viso, e lo vedo sorridere contento e compiaciuto.

Perché in fondo le sue debolezze sono sempre in agguato, ma credo di aver guadagnato ora una posizione ancor più di privilegio nella vita di Bokuto.

E mi rendo conto in un istante che la debolezza n.38 di Bokuto non era quindi Kuroo, ma ero io!

Adorabile gufo imbranato, che non riesce a dichiararsi.

Bokuto si stacca un po’ dal mio corpo ma continua a sorreggersi alla porta. Chiude gli occhi, immagino, per una vertigine.

– Kōtarō, stai bene? – gli chiedo preoccupato.

– Sì, sì, gira un po’ tutto ma sto bene. Andiamo a letto? – e li riapre per lanciarmi uno sguardo ammiccante.

– Sì, andiamo a dormire. – gli rispondo prendendolo per mano e avviandomi piano verso la camera da letto.

 – Ma… veramente… – sento che balbetta dietro di me mentre barcolla un po’.

Ci sediamo sul suo letto e Bokuto conclude la frase, come se ce ne fosse stato bisogno.

– Veramente non era quello che intendevo. – mi dice e poi avvicina il suo visto al mio collo e comincia a baciarmi lentamente. – Non ho mai parlato di dormire… – sussurra.

Mi scosto dal suo bacio e lo guardo negli occhi.

– Kō, non voglio fare l’amore con te. – gli dico con estrema serietà.

Bokuto sgrana gli occhi, e vedo già almeno tre debolezze emergere e litigare per chi deve predominare.

– Non voglio farlo stasera, – preciso – non con te ubriaco. Voglio che sia bello, voglio che sia memorabile. E io non sono sicuro di quanto tu ora sia in te, e domani potresti addirittura non ricordartelo. –

Bokuto riflette un attimo sulle mie parole prima di rispondere.

– Ti assicuro che sono in me, sono assolutamente padrone dei me stesso. E ti voglio da morire. – conclude riprendendo a baciarmi il collo e spingendomi semisdraiato sul letto, mentre allunga di nuovo una mano alla mia erezione.

Non riesco a sottrarmi alle sue labbra che mi sfiorano, ai suoi denti che mi mordono piano, alle sue mani grandi e forti che risalgono sul mio corpo e sollevano la maglietta cercando la mia pelle.

Mi sovrasta e in un attimo è sopra di me, che si impossessa di nuovo della mia bocca e mi divora, mentre col bacino spinge la sua erezione, impaziente, sulla mia che lo è altrettanto.

Sento che sto vacillando, i miei propositi diventano sempre più nebulosi nella mia mente. Ma mi ci aggrappo con un ultimo sforzo di volontà. Lo spingo via con fatica, e mi rimetto seduto sul bordo del suo minuscolo letto singolo.

– No. – il mio tono è deciso. Anche Kōtarō si rimette seduto, ansima e mi guarda implorante.

Proseguo quindi con dolcezza e guardandolo negli occhi; voglio spiegargli, anche perché lui si è dichiarato, prima, a modo suo. Io ancora no.

– Kōtarō, io ti amo. Da tanto tempo. E non voglio che la nostra prima volta sia così. Con te ubriaco. Voglio che sia speciale. Aspetto da così tanto tempo che qualche ora in più non mi fa la differenza. –

Leggo la rassegnazione nel suo volto, insieme ad altre emozioni mischiate e confuse. È felice della mia dichiarazione d’amore. Non gli ho detto che mi piace, gli ho detto che lo amo.
Tanto ormai che senso ha tacere? È la verità.

E credo che in fondo anche lui voglia che sia speciale.

– Va bene Keiji – capitola alla fine – Tutto quello che vuoi. – e mi dà un ultimo bacio a fior di labbra.

Si alza in piedi e vedo ancora che ondeggia. Lui mi guarda, ma comunque non dico nulla. Ha già accettato il mio rifiuto, non ha senso infierire.

Sfila i jeans e li butta sulla sedia, quindi mi porge la mano e mi fa alzare dal letto. Anche io tolgo i jeans, e ci sdraiamo in maglietta e boxer.

Il letto è davvero piccolo, piccolo per Bokuto da solo, figuriamoci in due. Possiamo solo metterci a cucchiaio, e devo dire che è bellissimo sentire il suo braccio attorno alla mia vita, il suo petto contro la mia schiena, le sue labbra sul mio collo che non smettono comunque di baciarmi.
E la sua erezione impertinente che spinge dietro di me e mi ricorda a cosa ho detto di no…

Intreccio le mie dita alle sue, e pian piano mi rilasso, sento il mio respiro che torna di nuovo calmo, ed una meravigliosa sensazione di pace che mi invade. Mi sento protetto, anche se il più delle volte sono io a proteggere lui.

– Keiji – sussurra al mio orecchio – ma quindi anche io ti piacevo… Perché non me lo hai detto? –

– Perché siamo amici, Kō, perché sei davvero un amico speciale, e non avevo idea che anche tu provassi qualcosa per me.  Non volevo rovinare tutto. E poi pensavo che fossi etero, comunque, ti ho sempre visto circondato da ragazze… – confesso.

Bokuto ha avuto delle ragazze in passato, nulla di importante; anzi, meglio dire che è stato con delle ragazze, visto che da quel che so io, non si è mai fidanzato con nessuna. Ma non ne parlava con me, ne parlava con Kuroo. Magari un giorno chiederò a Kenma di indagare per me.

Bokuto ridacchia e si sente in dovere di spiegarmi.

– Sempre colpa di Kuroo… Lui era convinto che dovessimo approfittarci di questa nostra, diciamo, popolarità… Peccato che poi da quando si è messo con Kenma non ha più nemmeno guardato una ragazza. – mi racconta, e mi rendo conto che è la prima volta che mi dice cose così intime del suo rapporto con Kuroo.

– E comunque nemmeno io. – continua – Da quando ho iniziato a pensare a te, le ragazze non mi interessavano davvero più. –

Provo a voltarmi, voglio guardarlo in faccia mentre mi dice cose così importanti. Distendiamo entrambi le gambe e le intrecciamo sul letto, mentre Kō tiene sempre la sua mano sui miei fianchi e intreccia le dita dell’altra alle mie.

Ci guardiamo per un po’ nella penombra della stanza. Avremmo mille altre cose da dirci, da raccontarci, ma nessuna in questo momento sembra così importante come tornare a baciarci.

Ci avviciniamo insieme, Bokuto solleva un po’ la testa dal cuscino per incontrare le mie labbra e baciarmi lentamente mentre mi avvolge piano con le sue braccia.

– E comunque con te è meglio. Molto molto meglio. – mi dice dopo un po’.

Gli sorrido, e devo fare un ultimo sforzo di volontà per staccarmi dai suoi baci e voltarmi di nuovo tra le sue braccia, prima di rischiare di mandare all’aria tutti i miei buoni propositi.

– Buonanotte Kōtarō. –

– Notte ‘Kashi –


⊛˜°•°˜⊛

Apro gli occhi alla luce del mattino che filtra tra gli alberi del parco.

Sono solo nel letto di Bokuto. Ieri sera lui è crollato subito dopo che ci siamo dati la buona notte, ed io sono rimasto per un po’ sveglio, ascoltavo il suo respiro, sentivo il suo cuore battere contro la mia schiena. Ero troppo emozionato per dormire, dovevo elaborare quello che era successo, ma dopo un po’ comunque sono crollato anch’io.

Sento l’acqua della doccia che scroscia per qualche minuto, poi smette. E dopo un po’ Kōtarō entra dalla porta in calzoncini e maglietta, e i capelli ancora umidi che gli ricadono sul viso.

Non posso fare a meno di notare ancora una volta come gli stiano bene i capelli sulla fronte; cioè, per me è sempre bellissimo, ma così gli danno un’aria più dolce. O forse è il suo sorriso, il modo in cui sta guardando me, ancora disteso nel suo letto.

– Buongiorno Akaashi. – mi dice sedendosi sul bordo del letto – Finalmente sei sveglio. –

– Buongiorno. – rispondo ma non faccio in tempo ad aggiungere altro che Kōtarō prosegue.

– Così finalmente mi puoi spiegare che cazzo ci fai nel mio letto… – e mi guarda con espressione interrogativa.

No.

Cazzo.

No.

Lo sapevo…

Devo essere sbiancato all’idea che Kōtarō non ricordi nulla di ieri sera, perché interviene di nuovo.

– No, ‘Kashi, scusami, sto scherzando. Mi ricordo tutto. Scusa. Scherzo di merda. – e si sporge su di me per baciarmi. Finalmente.

Resto un attimo interdetto, mi godo il bacio e realizzo che scherzava. Kōtarō si stacca da me sorridendo e io gli do un pugno nello stomaco con tutte le mie forze. Che al mattino appena sveglio non sono molte, ma non ci vado comunque leggero.

Faccio per alzarmi, sono incazzato. Kōtarō lo vede, e mi avvolge con le braccia, mi placca col suo corpo e ci ritroviamo di nuovo abbracciati sul letto.

– Keiji mi hai fatto male, davvero! – si lamenta.

– Ma vaffanculo! Te lo meriti. Che scherzo del cazzo! – ma intanto mi accorgo che mi sto sciogliendo, stare tra le braccia di Bokuto, prendermi i suoi baci, mi mette comunque in pace col mondo.

Poi, aggiungo piano.

– Ma ti ricordi tutto? –

– Sì, tutto. – mi dice annuendo.

– Proprio tutto? Come fai ad esserne sicuro? – gli chiedo.

– Fammi delle domande, allora. – mi provoca, sicuro di sé.

– Ricordi che ci siamo baciati? – chiedo. Parto con una facile, non mi avrebbe baciato, ora, se non fosse così….

– Sì. In soggiorno e poi qui a letto, mi ricordo. – gongola per la sua risposta esatta.

– E ricordi che mi hai detto che mi ami? – lo provoco un po’.

– No. Ricordo che ti ho detto che mi piaci, non ti ho detto che ti amo. Ma te lo dico adesso. – e mi guarda negli occhi posando una mano sul mio viso.

– Ti amo Keiji. – mi sussurra.

Gli sorrido, e lui continua.

– E ricordo che non hai voluto fare l’amore con me per paura che non me lo ricordassi, ma come vedi avevo ragione io, mi ricordo tutto. – gongola ancora, contento di aver avuto ragione.

– Bene, allora visto che ti ricordi tutto e stai bene, io posso andare a casa – e faccio per alzarmi di nuovo dal letto, ma Kōtarō mi prende per un braccio e mi trascina di nuovo sdraiato, mi inchioda col suo corpo e posso sentire la sua erezione che spinge forte sul mio bacino.

– Tu non vai da nessuna parte, abbiamo ancora un discorso in sospeso noi due! – e riprende a baciarmi con foga.

E in un attimo anch’io sono preda della sua stessa passione. Il suo corpo caldo e profumato di sandalo mi attira e mi eccita. Infilo le dita tra i suoi capelli morbidi, ancora senza gel, e godo della loro setosità.

Ci baciamo ancora, su questo piccolo letto nel quale abbiamo dormito abbracciati.

I nostri vestiti spariscono in un attimo e con la luce del mattino che filtra dalla finestra, posso finalmente vivere quello che fino ad oggi avevo solo sognato.

Posso stare accanto a Kōtarō non più solo come amico, ma in un modo più completo, totale. Posso essere me stesso, con lui.

Anche io posso avere il mio lieto fine.

Che poi, realizzo con l’ultimo pezzettino del mio cervello che ancora non è stato travolto dalla passione, che il “lieto fine” è sopravvalutato; è decisamente più emozionante un “lieto inizio”, il principio di un qualcosa che è ancora tutto da vivere, da scoprire, da assaporare.


⊛˜°•°˜⊛

Ti ringrazio di cuore per aver letto la mia storia. Spero che ti sia piaciuta e che vorrai lasciarmi le tue impressioni.

   
 
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