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Autore: The_Storyteller    01/03/2022    1 recensioni
Anche se è stato nominato Maestro Assassino, la vita di Arno Dorian non è cambiata molto: scoprire i piani dei Templari, eliminare bersagli, cercare informazioni. La solita routine, come le sue visite alla tomba di Élise.
Se non fosse che, una mattina d’inverno, uno strano incontro annuncerà un nuovo capitolo della sua vita.
Madeleine Caradec è una semplice ragazza bretone, un po’ ingenua ma di buon cuore.
Ciò che non sa, tuttavia, è che si trova in un gioco più grande di lei, pedina nell’eterna lotta fra Assassini e Templari. Cosa sarà più forte: una lealtà che dura da anni o i sentimenti nati da un nuovo incontro? Chi è il diavolo e chi l’angelo?
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Arno Dorian, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era trascorso quasi un mese da quando Madeleine era diventata la sarta personale di Arno, ma più passava il tempo e meno lei capiva cosa diamine facesse l’uomo per vivere: non risiedeva stabilmente al Café, si incontrava spesso con quegli strani uomini incappucciati e andava in giro armato (non era così strano, visti i tempi, ma per un amministratore di un café...).
Prendendosi cura dei suoi vestiti, Madeleine aveva notato numerose tasche e un segno ricorrente sulla manica sinistra delle giacche all’altezza del polso, come se Arno vi tenesse legato sempre qualcosa. Ma la cosa che più l’aveva inquietata era stato trovare sugli abiti tracce di lotta, e qualche volta addirittura di sangue.
Madame Beauchesne non aveva mentito sul fatto che il giovane potesse essere coinvolto in fatti criminosi, eppure la ragazza faticava a immaginare quell’uomo così cortese e affascinante compiere qualcosa di così grave.
 
Un pomeriggio i dubbi di Madeleine vennero finalmente chiariti.
Si trovava al mercato per alcune commissioni per conto di Babette, la cuoca del Café. Aveva appena finito di comprare qualche verdura e si stava allontanando dal banco del venditore, quando notò un uomo che la osservava: era molto alto e robusto, e una folta barba scura nascondeva a malapena una profonda cicatrice alla mandibola.
Per qualche ragione, a Madeleine sembrò di aver già visto quella persona, ma l’idea non la rassicurava per niente. E, cosa peggiore, quell’uomo ora si stava avvicinando a lei.
-Tu sei la servetta della Beauchesne, non è vero?- chiese lui con tono arrogante.
La giovane annuì a malapena, avvertendo dei brividi lungo la schiena.
-Sai chi sono io, vero?- chiese di nuovo, mentre un sorriso crudele compariva sul suo volto.
Madeleine si morse il labbro, nervosa. Pensò alle lunghe riunioni che a volte organizzava la sua padrona, nel tentativo di ricordare il nome del suo minaccioso interlocutore.
-Le... Lefevre?- balbettò timorosa, deglutendo a fatica per l’ansia.
L’uomo ridacchiò appena: -Quasi, ma vedo che hai una buona memoria. Volevo solo dirti una cosa, piccola- disse abbassando la voce, in modo che solo la bretone potesse udirlo.
-Fossi in te andrei dalla tua signora, sempre che non sia troppo impegnata a scopare Marchand, e le direi di non preoccuparsi per il posto di Gran Maestro Templare, perché presto sarà mio- aggiunse in modo tronfio, gonfiando il petto con orgoglio.
Madeleine restò basita: -Il cosa?- si lasciò scappare.
Per un attimo, Isidore Lefebvre fece un’espressione sorpresa: -Non sai nulla? Non sai di cosa ci occupiamo noi, Thérèse e gli altri?- domandò quasi incredulo.
Quando la giovane rispose in modo negativo, Isidore scrollò le spalle: -Beh, sappi che presto il Café Théâtre dovrà trovare un nuovo amministratore, perché tra poco la testa di Dorian svetterà su una picca- disse infine, dando un’ultima occhiata crudele alla giovane e andandosene poi per la sua strada.
Madeleine era sconvolta da ciò che le era appena successo. Non aveva capito un accidente di cosa intendesse Lefebvre coi Templari e con la sua padrona, ma una cosa era certa: Arno era in pericolo.
 
Stringendo il cesto con la spesa la ragazza camminò il più in fretta possibile, rallentata dalla calca di gente che riempiva le strade. In cuor suo sperava che Arno fosse ancora al Café, perché in caso contrario non avrebbe saputo cosa fare.
Mentre evitava un capannello di guardie si sentiva il cuore battere all’impazzata; da tanto, troppo tempo non si sentiva così ansiosa per qualcuno.
Aveva appena superato la cattedrale di Notre Dame quando una macchia blu attirò il suo sguardo, volse la testa e vide Arno che si stava allontanando.
-Monsieur Dorian!- lo chiamò ad alta voce, mentre correva nella sua direzione.
Arno si fermò, guardandosi intorno per vedere chi lo aveva chiamato; quando lo raggiunse lei notò il suo sguardo corrucciato, come se qualcuno lo avesse buttato giù dal letto nel cuore della notte.
-Ciao Madeleine. Scusami ma sono piuttosto di fretta, ci vediamo più tardi- disse lui riprendendo a camminare.
-Aspettate! È una cosa molto importante!- replicò la ragazza, tentando di fermarlo.
-Sono certo che madame Gouze saprà risolvere la questione. Buona giornata.-
-Ma...-
-Ho detto buona giornata!- ribatté l’uomo esasperato, rendendosi conto troppo tardi di aver spaventato la giovane.
Vedendola trasalire si pentì immediatamente della propria reazione: -Mi dispiace, ti chiedo scusa Madeleine. Purtroppo ho una faccenda urgente da sbrigare, ma ti prometto che appena torno potrai dirmi tutto quello che ti preoccupa- disse nel tentativo di tranquillizzarla.
La giovane non riuscì a rispondere, quindi Arno dovette salutarla velocemente e andarsene per le strade di Parigi. Cercò di concentrarsi sulla missione che lo attendeva, ma il peso che sentiva sullo stomaco rendeva le cose più difficili.
 
La bretone era rimasta di sasso: mai, prima di allora, Arno si era rivolto a lei in modo così brusco. Sapeva benissimo che era un uomo con molti impegni, alcuni dei quali non sembrava gradire neanche lui, ma ci era rimasta comunque male.
Ma lo sconforto venne sostituito immediatamente dall’ansia: Madeleine si sentiva gocce fredde di sudore bagnarle appena la fronte, mentre mille pensieri le invadevano la mente.
“Cosa faccio ora?” si chiedeva continuamente. Che altri mezzi aveva per avvertire Arno del pericolo? Cosa avrebbe detto madame Gouze?
Ecco la soluzione!
Madeleine corse a perdifiato verso il retro del Café Théâtre, dove una piccola porta conduceva direttamente al retro delle cucine.
-Dov’è madame Gouze?- chiese senza fiato, cogliendo di sorpresa gli inservienti della cucina.
Babette le rispose: -È impegnata alla Sala del Club. Forse tra mezz’ora sarà libera e... Ma dove corri!-
La giovane le mollò il cesto della spesa e uscì di corsa dalle cucine, diretta verso la Sala del Club: sicuramente la Gouze avrebbe potuto mettersi in contatto con gli incappucciati, e loro avrebbero potuto aiutare Arno. Non le importava di infrangere una delle regole del Café, madame Gouze avrebbe capito.
Attraversò correndo vari corridoi fino a raggiungere la scala che portava alla Sala del Club.
-Madame Gouze! Madame Gouze!- chiamò ad alta voce, mentre scendeva i gradini. Aveva appena lasciato l’ultimo gradino, quando sentì qualcuno bloccarla per il braccio. Nella penombra era nascosto un uomo, e la flebile luce delle torce faceva intravedere soltanto la parte inferiore del viso e una barba un po’ incolta.
-Di qui non si passa- disse quest’ultimo con voce ferma.
-Vi prego, devo parlare con madame Gouze!- lo implorò la ragazza, mentre cercava di liberarsi dalla sua presa d’acciaio.
L’uomo incappucciato strinse ancora di più la presa: -Ritorna più tardi. Qui non puoi stare- replicò con una punta di rabbia.
Madeleine strinse i denti per il dolore. Disperata, gridò a pieni polmoni: -MAR PLIJ, AOTROU!!!-
Finalmente l’uomo allentò la pressione sul suo braccio, e qualcuno arrivò da loro.
-Si può sapere cosa sta succedendo?- chiese la Gouze, leggermente infastidita da tutto quel baccano.
Prima che Madeleine o la misteriosa guardia potessero spiegarsi, un altro uomo incappucciato si rivolse a quest’ultimo: -Lasciala andare, Gerard. E sta tranquillo che non ti ha insultato.-
La ragazza si stupì di quelle parole, ma si riprese subito e si rivolse alla Gouze: -Arno è in pericolo, madame! Un uomo mi ha fermato dicendo che lo avrebbe ucciso, ha parlato di maestri e di templi ma io non ci ho capito nulla! Vi prego, dovete aiutarlo!- spiegò fra le lacrime, pregando di essere ancora in tempo per poterlo salvare.
L’espressione sui visi di Charlotte Gouze e dei due uomini cambiò immediatamente. Si scambiarono un cenno di assenso, quindi i due incappucciati scattarono verso un corridoio che portava in un’altra sala; prima, però, il secondo uomo si rivolse a Madeleine con affetto: -Andrà tutto bene, plac’h.-
Rimaste sole, la Gouze mise una mano sulla spalla della giovane bretone per rassicurarla: -Andrà tutto bene, cara. Gerard e Laurent riusciranno a raggiungere Arno- disse, riprendendo le parole dell’Assassino.
Madeleine si lasciò scappare un singulto, mentre le lacrime continuavano a rigarle le guance: -Non siete arrabbiata con me?- chiese preoccupata.
-No, tranquilla. Era per un’emergenza e tu hai fatto bene ad avvertirmi. Adesso vai a riprenderti, se non ti senti in grado di lavorare spiegherò io a Rose- rispose la Gouze, rassicurandola ulteriormente.
La giovane la ringraziò, e dopo essersi asciugata le ultime lacrime si diresse verso la propria camera ignorando gli sguardi confusi delle altre inservienti, accorse a vedere cosa fosse successo.
Raggiunse finalmente la stanza piccola ma accogliente, si tolse le scarpe e si lasciò cadere sul letto. Prese il cuscino e lo strinse al petto, come se fosse stato un pupazzo, per poi affondarci la faccia. Scacciò dalla mente gli scenari più drammatici, e pregò che il signor Dorian fosse ancora vivo. Ma un dubbio le si insinuò nella mente: era solo per la missione affidatale dalla sua padrona, o ci teneva veramente ad Arno?
 
Ormai era sera inoltrata e i morsi della fame si stavano facendo più insistenti. Madeleine uscì dalla sua stanza per dirigersi in cucina, dove Babette la aspettava con una scodella di zuppa calda in mano.
-Prendi cara. Mi hai fatto preoccupare un sacco prima, sai?- scherzò la cuoca porgendole la ciotola.
La ragazza accettò più che volentieri e mangiò di gusto insieme alle altre inservienti, scambiando qualche chiacchiera e pettegolezzo sulle ultime novità di Parigi.
Tutto a un tratto Célestine entrò in cucina, attirando l’attenzione dei presenti. Sul volto aveva un’espressione seria, che sembrava nascondere a fatica un sentimento di dolore.
-Hanno appena riportato il signor Dorian- annunciò.
Qualcuno si lasciò scappare un sussulto, colto di sorpresa da quella notizia così inaspettata.
-Sta bene?- domandò Ophélie, una delle cameriere.
Célestine fece un profondo respiro, quindi rispose: -È conciato male. Mi hanno detto che è già stato visitato da un dottore, ma temo che per un po’ non potrà fare molto.-
Mormorii preoccupati riempirono l’aria, dando spazio a ipotesi su cosa potesse essere successo all’amministratore del Café Théâtre. Madeleine sospirò appena, grata per quel miracolo: seppur ferito, Arno era ancora vivo.
Finito di cenare, alcune ragazze decisero di passare ancora del tempo insieme, chiacchierando davanti al grande camino della cucina; altre invece, stanche per il lavoro, preferirono andare a coricarsi, tra cui Madeleine.
Stava andando in camera sua, ma durante il tragitto incontrò madame Gouze. La donna la notò e si avvicinò a lei con un’espressione malinconica sul volto.
-Va tutto bene, Madeleine?- chiese la donna.
La ragazza annuì appena, ma cominciò ad avvertire una spiacevole sensazione all’altezza dello stomaco: era come se qualcuno le avesse appoggiato un masso enorme, impossibile da rimuovere. Cominciò a provare un senso di colpa, come se in qualche modo si sentisse responsabile dell’agguato ad Arno.
-Come sta?- domandò invece.
Charlotte Gouze sembrò capire cosa tormentasse la giovane. Le mise una mano sulla spalla e l’accompagnò al piano superiore: -Tu non hai nessuna colpa, Madeleine. Anzi, se quell’uomo non ti avesse spifferato il suo piano, a quest’ora il signor Dorian starebbe molto peggio. Forse non sarebbe più nemmeno qui fra noi.-
A quelle parole la ragazza spalancò gli occhi, incredula.
La Gouze quindi le spiegò cosa intendeva: -Quando Gerard e Laurent, gli uomini che hai incrociato al Club, sono riusciti a metterlo in salvo, gli hanno trovato nella tasca un biglietto contraffatto che imitava una persona che conosciamo noi. Una trappola, ovviamente, ma così ben fatto che ci abbiamo creduto anche noi. Senza di te, Arno sarebbe morto.-
Quella notizia avrebbe dovuto rallegrarla, e lo fece; ma allo stesso tempo le provocò un senso di inquietudine. Isidore Lefebvre le aveva accennato a un Gran Maestro di qualcosa, e anche la sua padrona sembrava coinvolta. C’entrava veramente con ciò che aveva detto l’uomo? Che senso aveva spiare Arno Dorian per assicurarlo alla giustizia, se poi un amico di madame Beauchesne aveva tentato di ucciderlo?
Mentre pensava a queste domande, Madeleine non si era resa conto di trovarsi davanti alla porta della camera personale dell’amministratore del Café. La porta era socchiusa, e poco dopo ne uscì la Gouze.
-Mi aveva detto che voleva parlare con te, ma adesso sta dormendo- spiegò la donna.
Un fremito attraversò la ragazza, improvvisamente in preda all’ansia: -Posso... Posso vederlo?-
Madame Gouze osservò la stanza che aveva appena lasciato, titubante, ma infine acconsentì: -D’accordo, ma cerca di non svegliarlo- le raccomandò.
La giovane la ringraziò, quindi la donna voltò i tacchi e se ne andò per le scale. Rimasta sola, Madeleine fece un profondo respiro, girò la maniglia ed entrò nella stanza del signor Dorian.
 
Non era la prima volta che la ragazza si recava nella camera personale di Arno per via del suo lavoro da sarta, ma ogni volta rimaneva affascinata dall’eleganza dell’arredamento, allo stesso tempo semplice e di classe.
Poiché era sera la stanza era piuttosto buia, illuminata soltanto dal caminetto e da una candela posta sul comodino vicino al letto dell’amministratore.
Soppesando ogni passo per evitare di far rumore, Madeleine attraversò la stanza, salì il gradino del soppalco e, infine, osservò l’uomo disteso sul letto.
Alla fioca luce della candela, la giovane trattenne un singulto: sullo zigomo destro di Arno si era già formato un livido violaceo, mentre il labbro inferiore era ancora gonfio a causa di un brutto colpo che aveva ricevuto; sul petto, anche se coperto dalle lenzuola, si intravedevano alcune fasciature che coprivano chissà quali ferite.
Célestine aveva ragione: era proprio conciato male.
Ritornò ad osservare il volto, notando alcuni movimenti delle sopracciglia. Per sicurezza Madeleine gli controllò la temperatura sulla fronte, sperando che non si trattasse di una febbre nascente. Si guardò intorno e vide un catino con una brocca accanto, vi si avvicinò e intinse una pezza di stoffa nel contenitore pieno di acqua fresca. Ritornò quindi da Arno e appoggiò il fazzoletto bagnato sulla sua fronte.
Mentre gli rinfrescava il volto, Madeleine osservava attentamente possibili reazioni da parte dell’uomo, ma a parte un suo sospiro non accadde nulla. Sentendosi più tranquilla, la ragazza continuò a passare il fazzoletto e a guardare il suo volto, cogliendo particolari impossibili da notare in una giornata normale: la cicatrice sotto l’occhio, dall’origine sconosciuta ai più; le labbra carnose, in quel momento appena socchiuse nel sonno; gli occhi dalle ciglia lunghe, che tanto facevano impazzire alcune inservienti.
Rimase affascinata da quegli occhi che in quel momento nascondevano due iridi scure e dolci. Come il cioccolato, oppure come...
-Menn- mormorò Madeleine. Sì, glielo ricordavano proprio.
Arrossendo appena, la giovane distolse lo sguardo dal viso di Arno. La sua attenzione cadde invece sulle mani, rimaste fuori dalla coperta. Sfiorò quella più vicina, notando dita lunghe e affusolate che contrastavano però con numerosi calli.
“Mani da artista, quasi da musicista” pensò la ragazza. Cosa che, visto cos’era accaduto, non corrispondeva alla realtà.
Ad un certo punto Madeleine si accorse che il fuoco del caminetto si era indebolito. Andò quindi a mettere qualche pezzo di legno che sistemò con l’attizzatoio. Si accomodò poi lì davanti, stendendo le mani verso le fiamme per scaldarsi.
Chiuse gli occhi e con la mente ritornò alla sua infanzia, a quando c’erano serate di festa e si accendevano grandi fuochi attorno a cui la gente ballava, mentre i musicisti suonavano e cantavano per rallegrare gli animi. Una canzone in particolare riaffiorò dai suoi ricordi:
 
Ev chistr 'ta Laou, rak chistr zo mat, loñla
Ev chistr 'ta Laou, rak chistr zo mat
Ev chistr 'ta Laou, rak chistr zo mat
Ur blank, ur blank ar chopinad loñla
Ur blank, ur blank ar chopinad.
 
Madeleine continuò a canticchiare, riassaporando la gioia di quei ricordi felici, quando ad un certo punto ebbe la sensazione di sentirsi osservata. Riaprì gli occhi di scatto e vide Arno che la guardava sorridendo.
-Hai una bella voce- mormorò l’uomo.
La ragazza rimase pietrificata: sentì il cuore battere all’impazzata, mentre l’ansia le faceva mancare il respiro. Cominciò ad agitarsi, tappandosi la bocca e nascondendosi il volto dietro le mani: -Vi prego, non volevo. Non lo farò più, vi prego. Non denunciatemi...- supplicava quasi sull’orlo delle lacrime.
Arno rimase confuso da quella reazione, non riuscendo a capire il perché di quelle parole. Con grande fatica si mise seduto e fece segno alla ragazza di raggiungerlo.
-Per cosa dovrei denunciarti?- le chiese preoccupato, una volta che Madeleine si sedette a fianco del letto.
Asciugandosi velocemente una lacrima, la giovane spiegò: -Il governo rivoluzionario vuole che si parli solo francese. Dicono che i patois, le lingue regionali, sono considerate legate alla monarchia, perché non sapendo il francese i ceti più bassi non capivano cosa stesse succedendo. Per questo non vogliono che vengano parlate, per questo le vogliono cancellare. Anche la mia vecchia padrona mi proibiva di parlare bretone, ma io non voglio rinunciare alla mia lingua. Non voglio rinunciare a una parte di me...-
Madeleine teneva lo sguardo basso, pronta ad un eventuale rimprovero. Ma non udì nessuna parola di condanna. Anzi, sentì la mano di Arno sulla propria, mentre la picchiettava con gentilezza. Alzò dunque gli occhi, vedendo un debole sorriso sul volto dell’uomo.
-Qui sei libera di parlare tutte le lingue che vuoi, Madeleine. Nessuno di noi ti denuncerà, te lo posso garantire. Io, la Gouze e gli altri facciamo di tutto affinché chiunque lavori qui sia al sicuro sia dentro che fuori il Café- la rassicurò Arno.
Se fino a prima sentiva solo lunghi brividi di paura, adesso la bretone si sentì invadere da un tenero calore rassicurante che le sciolse tutta la tensione che provava fino a prima.
-Grazie, signor Dorian. Per me significa molto- disse riconoscente.
L’Assassino le sorrise nuovamente: -È il minimo che possa fare, dopo oggi. I miei “colleghi” mi hanno detto ciò che è successo: se tu non li avessi avvertiti...- si interruppe con un sospiro, ritornando subito serio.
Madeleine strinse i lembi del suo abito, immediatamente nervosa.
Timidamente, la giovane espresse i dubbi che la attanagliavano dal tardo pomeriggio: -Perché vi hanno attaccato? Che cosa fate in realtà?-
Arno rimase a pensare qualche secondo, ponendosi parecchi interrogativi: -Hai ragione. Tuo malgrado, ti sei ritrovata invischiata in qualcosa di molto grande e pericoloso. Ti spiegherò tutto non appena mi sentirò meglio, te lo prometto- rispose in tono serio.
-Ciò che non capisco- aggiunse subito dopo -è perché il mio assalitore ti abbia spifferato il suo piano. O era molto stupido, o era molto sicuro di riuscire nel suo intento.-
Madeleine deglutì a fatica: -Non lo so.-
Odiava quella situazione, ma si vide costretta a mentire temendo che potesse essere accusata ingiustamente di complicità, visto il legame tra la sua padrona e il Templare.
Arno sospirò, per via della stanchezza: -Devo dirti un’altra cosa, Madeleine. Ti chiedo scusa per come mi sono comportato con te. Non meritavi di venire trattata così- disse dispiaciuto.
La giovane accennò a un timido sorriso: -Non fa niente, signor Dorian. L’importante è che voi siate ancora vivo.-
L’Assassino ricambiò la gentilezza della ragazza, poi aggiunse: -Un’ultima cosa. Almeno quando siamo soli, non chiamarmi signor Dorian. Mi fa sentire terribilmente vecchio- scherzò.
Madeleine ebbe l’impressione di sentirsi arrossire le guance, ma non sapeva se per l’imbarazzo o altro. Sorridendo ancora di più, rispose: -D’accordo... Arno.-

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P.S.: tradotto da wikipedia: La monarchia francese non si occupava delle lingue minoritarie della Francia, parlate dalle classi inferiori, e richiedeva l'uso del francese per gli affari del governo come parte della sua politica di unità nazionale. Durante la Rivoluzione francese, il governo introdusse politiche a favore del francese rispetto alle lingue regionali, che chiamava peggiorativamente patois. I rivoluzionari presumevano che le forze reazionarie e monarchiche preferissero le lingue regionali per cercare di mantenere le masse contadine poco informate. Nel 1794 Bertrand Barère presentò il suo "rapporto sul patois" al Comitato di Pubblica Sicurezza in cui affermava che "federalismo e superstizione parlano bretone".

P.P.S.: la canzone che canticchia Madeleine s'intitola "Son ar chistr", qui potete sentire la versione di Alan Stivell: https://www.youtube.com/watch?v=v80jZ_ZI-Ec
   
 
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