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Autore: ValePeach_    03/03/2022    1 recensioni
Inghilterra, 1826
Quando la sorella maggiore ed il marito decidono di partire per una stravagante quanto inaspettata luna di miele in Italia e di mandare la giovane Camille al nord per tenere compagnia ad un suocero che odia qualsiasi tipo di contatto con la società ed una zia bisbetica molto più affezionata ai suoi amati gatti che alle persone, con grande sconforto inizierà a pensare che la sua vita sia finita.
Stare lontana da Londra e dal ton è quanto di peggio le potesse capitare e tutto ciò che spera è di tornare presto alla normalità. Ancora non sa, però, che anche la tranquilla e monotona vita di campagna può riservare svolte inaspettate… e fra l’arrivo dell’insopportabile quanto affascinante John Mortain e l’accadimento di un omicidio che la vedrà inaspettatamente coinvolta, inizierà a pensare che, forse, una vita anonima non era poi tanto male.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO 7

 



 
«Devo ammetterlo, venire qui è stata un’idea magnifica» esclamò Phoebe contenta, mentre teneva in braccio uno degli otto cuccioli di labrador del signor Smith. Era un fittavolo del visconte che abitava a solo mezz’ora a piedi dall’immenso e seicentesco palazzo della duchessa e dato il tè pomeridiano stava diventando alquanto noioso ed essendo quella una bellissima e calda giornata primaverile, aveva proposto quell’uscita improvvisata.
«Sono felice che vi piaccia… questi cuccioli dopotutto sono dei veri tesori, impossibile non rimanerne incantate» disse Camille, mentre il piccolo che aveva in braccio le leccava e mordicchiava le dita della mano. «Vorrei tanto portarne a casa uno.»
«Perché non lo fate?»
«Perché a Lodgewood ci sono già i levrieri di zio Vincent… sono cani terribilmente territoriali che non hanno mai avuto a che fare con altri animali in tutta la loro vita, per cui non ho idea di come possano reagire alla presenza di un altro cane. Non voglio che ad uno di questi piccoli venga fatto del male, non lo sopporterei.»
«Vi capisco… la duchessa invece li detesta, non sopporta quando abbaiano per cui temo che prenderne uno sarebbe oltremodo disdicevole.»
«Siamo entrambe sfortunate» sospirò Camille. «Ma grazie al cielo al signor Smith non dispiace se veniamo qui di tanto in tanto.»
«Ci siete già stata spesso?»
«Solo una volta, per caso. Stavo tornando da uno dei miei soliti pomeriggi con zia Shaw e passando di qua ho visto che c’era la carrozza di zio Vincent, così mi sono fermata. Era presente anche John insieme a lui. Sai gli Smith sono loro fittavoli da anni e anni e così nel mentre loro discutevano di affari, la signora Smith mi ha mostrato i cuccioli… una tenerissima scoperta, non convenite?» cinguettò.
«Assolutamente! E se posso permettermi, mi è parso di capire che voi e lord Mortain andiate finalmente d’accordo… quando siamo stati in città sembravate detestarvi a vicenda.»
Camille si permise di arrossire, ripensando alla conversazione che avevano avuto ormai più di due settimane addietro.
Era stato inaspettato.
Mai avrebbe pensato che il motivo per cui John era stato lontano da casa e dagli affetti per tanti anni fosse a causa dell’indifferenza del ton nei confronti della guerra. Sarebbe stato molto più logico se fosse stato per via di qualche trauma subito, dei brutti ricordi o, perché no, di un cuore spezzato. In fondo non sarebbe stata una novità: l’amata fidanzata che decide di sposare un altro gentiluomo perché lui era lontano e con l’incertezza del ritorno. Un cuore infranto lo si poteva sanare, ma un odio così profondo le pareva impossibile.
Si era vergognata come il peggiore dei ladri quando glie lo aveva detto, soprattutto perché se in quel periodo fosse stata grande abbastanza da frequentare i salotti mondani di Londra, si sarebbe comportata esattamente come gli altri nobili. Certo non lo avrebbe fatto apposta, guerra e battaglie non erano gli argomenti più gettonati durante le feste, ma le parole dure di John le erano servite per farle aprire gli occhi e per farle capire quanto realmente fosse viziata e superficiale.
Non era stato facile ammetterlo.
Ci aveva messo ben tre pomeriggi solitari più altrettante notti in bianco, arrivando alla conclusione che purtroppo a parte sé stessa non si era mai curata troppo degli altri. L’unica eccezione era stata Heather e anche in quel caso avrebbe potuto sforzarsi molto di più.
La verità era che non aveva mai dovuto preoccuparsi di nulla. Dopo la morte dei genitori era stata la sorella ad accudirla e consolarla, a trasmetterle tutto quell’amore genuino e materno che dei lontani cugini ereditari non avrebbero mai potuto fare e a lei andava bene così. Le era sempre stato permesso fare tutto quello che voleva e fintanto che le cose andavano in quel modo non c’erano problemi… era quando qualcuno le si metteva per traverso che iniziava a fare capricci e lagnarsi come la peggiore delle debuttanti.
Era successo con Heather e la sua luna di miele; con Heather e il desiderio di sposare Jamie e sempre con Heather quando l’aveva implorata di portarla ad Hollybrook con sé per non lasciarla sola insieme al cugino Anthony e famiglia. La sorella sempre l’aveva accontentata con un sorriso e senza chiedere nulla in cambio, ma evidentemente alla fine si era stufata. Ecco perché non aveva alcuna intenzione di lasciare l’Italia. Non per via delle bellezze di Napoli o della gravidanza, ma perché tornare voleva dire riaverla con sé… un fardello che era ben felice di lasciare al suocero e al cognato.
«Abbiamo chiarito le nostre posizioni» disse, tornando a concentrarsi sulla sua amica e cercando di mettere da parte quei tristi pensieri. «Vi chiedo scusa, immagino vi siate sentita a disagio.»
«Niente affatto» affermò Phoebe. «Anzi, direi piuttosto che mi avete fatta sorridere… sembravate più una vecchia coppia sposata che semplici conoscenti.»
«Come avete fatto a dedurre una cosa tanto assurda!» quasi urlò Camille, spaventando i poveri cagnolini.
«Non lo so… forse perché i vicini di casa di mia zia si comportavano esattamente come voi e lord Mortain. Lui era sempre scontroso e polemico, mentre lei esuberante e sorridente. Bisticciavano tutti i giorni eppure anche dopo trent’anni di matrimonio non potevano fare a meno di amarsi incondizionatamente.»
«Vi assicuro che le vostre supposizioni sono del tutto errate.»
«Davvero?» fece pensierosa. «Però dovete ammettere che sia un uomo attraente. Nel piccolo villaggio dove sono cresciuta, uomini come lui non sapevamo nemmeno che esistessero» disse, arrossendo in un attimo.
«Phoebe!» la rimproverò Camille. «Non ditemi che vi siete presa una cotta per lord Mortain!»
«Perché, voi no?»
«Assolutamente no!» esclamò convinta, ma Phoebe scoppiò ugualmente a ridere. Lei invece rimase turbata. Forse erano preoccupazioni inutili, ma aveva avuto l’impressione che l’amica avesse preso il suo diniego come un tacito assenso. E se così fosse, sarebbe stato un enorme problema, perché con la duchessa che ficcava il naso negli affari altrui e l’incapacità di mentire di Phoebe c’era il rischio che scoppiasse un pettegolezzo di proporzioni mondiali.
Forse doveva dire qualcos’altro… ma cosa?
La signora Carson le ripeteva sempre che era meglio troncare sul nascere determinate insinuazioni. Se le avesse lasciate andare infatti, potevano diventare reali e non andava affatto bene. Anche se dovette concordare con Phoebe riguardo il commento sulla bellezza di John. Non era una stupida e grazie al cielo i suoi occhi ci vedevano benissimo. Da lì però a pensare di potersene innamorare… no, non sarebbe stato possibile. Erano troppo diversi e non le andava di passare la vita costantemente sotto giudizio perché voleva andare ad un ballo, perché amava seguire la moda e fare folli acquisti o perché desiderava passare gran parte del suo tempo a Londra e nei salotti. Sarebbe stato orribile. E poi c’era da dire che non c’era alcun presupposto che le facesse pensare di poter essersi invaghita di John: nessun sfarfallio allo stomaco, nessuna palpitazione o arrossamento improvvisi… insomma, niente di niente. Non che sapesse realmente cosa voleva dire essere innamorati, ma i romanzi parlavano chiaro. Soprattutto aveva parlato chiaro sua sorella, che durante il corteggiamento di Jamie se ne era stata tutto il tempo a sospirare e a rileggere le lettere che le scriveva.
Camille ad ogni modo era dell’idea che sospiri e arrossamenti non facevano parte del suo carattere. Era convinta che nel momento in cui si fosse innamorata, la sensazione sarebbe stata più simile ad un pugno sulla testa. Si sarebbe sentita mancare totalmente il fiato e sarebbe svenuta per lo shock, altro che sospiri.
«Le signorine gradiscono un tè?» chiese la signora Smith, ponendo fine ai suoi ragionamenti.
«No grazie, signora Smith… temo sia ormai tempo di tornare a palazzo.»
«Concordo» disse Phoebe. «Si è fatto più tardi del previsto e la duchessa potrebbe preoccuparsi.»
«Grazie per averci dato la possibilità di stare con i cuccioli.»
«È stato un vero piacere… e naturalmente siete libere di tornare quando volete.»
«Siete molto gentile» e detto quello, dopo una serie di inchini e saluti, si incamminarono verso Southlake Castle.
Era un vero toccasana poter tornare a passeggiare dopo i lunghi e desolati mesi invernali. Più di tutto però, era bello farlo a braccetto con un’amica.
Era felice di riuscire ad andare d’accordo con Phoebe. All’inizio, e di quello ancora se ne rammaricava, l’aveva usata solo per la sua vendetta contro John, credendola troppo timida ed introversa per riuscire a suscitarle un qualche interesse. Aveva invece poi con piacere scoperto che quel lato del suo carattere si palesava solo in presenza di altre persone, sconosciuti per lo più e per lo più uomini, mentre quando erano sole si lasciava andare a battute e risate… oltre che a strambe supposizioni.
Ed ecco che ripensava di nuovo a John.
Insomma! Possibile che la sua mente non preferisse altro? Le centinaia di fiori che stavano sbocciando ad esempio, o il cinguettio degli uccelli… o, perché no, lo scampanellio dei greggi di pecore in lontananza, anche se a lei personalmente non interessavano né i greggi né le pecore. A quanto pareva no. Adorava sbatterle davanti agli occhi la figura di John: John che sorrideva, John che stava concentrato a leggere i libri mastri, le spalle di John e le braccia in bella mostra per via delle maniche della camicia tirate su fino a gomiti, le gambe di John… santo cielo! Guance arrossate a parte, se il suo cuore non stesse continuando a battere ad un ritmo regolare avrebbe dovuto dar ragione a Phoebe e contraddirsi per l’ennesima volta. E chi l’avrebbe sentito allora John, se gli avesse detto che il suo intuito si era sbagliato di nuovo? Già immaginava la sua aria tronfia e i suoi giudiziosi occhi grigi che la guardavano consapevoli del fatto che si era sbagliata perché del tutto inesperta di esperienze di vita.
Con un brontolio e uno sbuffo scosse la testa, mentre da lontano si iniziava a sentire il classico rumore di zoccoli sul terreno.
Cercando di non farlo notare a Phoebe le strinse più forte il braccio ed ecco che cavallo e cavaliere fecero capolino da dietro la collina. Un gigantesco cavallo nero che galoppava a tutta velocità e il cui cavaliere non sembrava avere la minima intenzione di frenarlo.
«Ma guarda che impudente» disse sovrappensiero, mentre con disappunto vedeva che l’uomo in questione si accorgeva della loro presenza e girava verso la loro direzione. Almeno ebbe la decenza di rallentare la corsa.
«Ma è il signor Sterling!» esclamò Phoebe sorridente, sollevando il braccio in segno di saluto mentre questi si avvicinava sempre di più.
«Lo conoscete?»
«Sì… sir Thomas Sterling, un baronetto, nipote della signora Beckett.»
«Non sapevo che la signora Beckett avesse un nipote… a dire la verità vista la scarsa presenza di persone al suo funerale il mese scorso, credevo fosse completamente sola.»
«È un lontano parente, almeno per quanto detto dalla duchessa. È venuto qui per ereditare.»
«Ma non mi dire» disse Camille con asprezza.
Ecco un altro cosiddetto gentiluomo che veniva a prendersi ciò che non era suo, esattamente come il cugino Anthony. Era da tutti considerato un modesto gentiluomo di campagna eppure, non appena aveva ricevuto notizia dell’eredità di suo padre, si era catapultato a South Hams atteggiandosi da gran signore e avendo addirittura l’ardire di contestare il testamento che lasciava a lei e ad Heather dote e mantenimento annuale. Lo aveva detestato fin da subito. Sia lui che la moglie Margareth e le figlie Dorothy ed Esther. L’unico con cui andava d’accordo era il figlio George, per poi scoprire che si mostrava gentile solo perché Anthony sperava che sposasse o lei od Heather e riavere così almeno una delle due doti.
Approfittatori, ecco cos’erano realmente.
«Non giudicatelo male» disse invece Phoebe. «Da quanto ha detto la piccola tenuta della signora Beckett è in decadimento, è venuto qui solo su suggerimento del suo amministratore: vuole valutare se vale la pena sistemarla oppure venderla. In più è un baronetto che ha una rendita di oltre cinquemila sterline, non se ne farebbe di nulla. Contando poi che la signora Beckett non aveva alcun parente stretto qui, non ha avuto altra scelta.»
«Può darsi… ma voi come fate a sapere tutte queste cose?»
«Due pomeriggi fa la duchessa lo ha invitato per un tè e in quell’occasione ci siamo conosciuti. Certo posso anche sbagliarmi, ma non mi ha dato l’idea di essere in malafede… è stato molto gentile e cordiale ed era molto rammaricato per non aver saputo prima delle condizioni della zia, altrimenti sarebbe venuto ad assisterla durante i suoi ultimi giorni.»
«Se lo dite voi… ma mi riservo il giudizio per quando lo avrò conosciuto meglio.»
«Avrete la possibilità di farlo proprio adesso» disse l’amica arrossendo, mentre il signor Sterling si fermava esattamente di fronte a loro.
Camille si morse la lingua per tacere la sua esclamazione. Perché in quel breve dibattito Phoebe le aveva detto tutto, tranne che quel Thomas Sterling tanto era bello sembrava esattamente il principe azzurro delle favole.
Alto, slanciato e anche atletico a giudicare da come era sceso da cavallo, biondo e con gli occhi azzurri. Aveva un buonissimo profumo di muschio e indossava un completo blu scuro che metteva in risalto le spalle ampie e le gambe muscolose. Zigomi alti, labbra sottili e un sorriso che sarebbe stato in grado di sciogliere il ghiaccio.
Lo stomaco di Camille fece una capriola quando lui si tolse il cilindro per porgere i saluti, liberando i riccioli che gli caddero sbarazzini sulla fronte. Veniva voglia di infilarci dentro le mani.
«Signorina Simmons… è davvero un piacere rivedervi così presto.»
«Lo è anche per me, signor Sterling… spero che la cavalcata sia stata gradevole.»
«Molto, soprattutto grazie a questo clima mite… una vostra amica?» chiese poi, spostando lo sguardo su Camille.
Lei deglutì a vuoto.
«Oh sì, che maleducata… signor Sterling, lasciate che vi presenti la signorina Camille Grey.»
«Signorina Grey» disse lui inchinandosi e sfoderando un sorriso micidiale.
«S-Signor Sterling» rispose lei, cercando di ricomporsi. Si sentiva le guance andare a fuoco. Non si aspettava di vedere un uomo del genere lì nel South Lakeland. Uno come lui doveva essere a Londra circondato da corteggiatrici, che ci faceva lì?
Ah, giusto, la zia Beckett e l’eredità.
Sveglia, Camille! Vuoi che ti creda una tonta?
«Fate una passeggiata?»
«Stiamo rientrando a palazzo proprio ora» disse Phoebe.
«Allora permettetemi di accompagnarvi.»
«Non è necessario che vi scomodiate tanto, siamo quasi arrivate» disse Camille, forse con un po’ troppa enfasi.
«Cosa si direbbe di me se mi rifiutassi di accompagnare due signorine a casa sane e salve? Prego, dopo di voi» disse gentile, prendendo le briglie del cavallo e affiancandole.
Diamine, non era abituata a tanta cortesia… se ad esempio al suo posto ci fosse stato John non solo avrebbe proseguito la sua corsa senza avere l’accortezza di rallentare, ma sicuro le avrebbe anche sporcato il vestito di fango.
«È da molto che siete qui, signorina Grey?»
«Quasi un anno… da quando mia sorella ed il marito hanno deciso di partire per la luna di miele.»
«Una luna di miele piuttosto lunga» disse sorridendo. «Ma se non altro è il segno di quanto amino stare l’uno insieme all’altra.»
«Probabilmente è così, sì. A quanto pare si sono innamorati della città di Napoli e così hanno acquistato una villa sul mare… nel frattempo mia sorella è rimasta incinta e non volendo rischiare sulla salute mettendosi in viaggio, temo che dovrò stare qui ancora per un po’.»
«Capisco… e immagino siate ospite di qualcuno.»
«Sì, del visconte di Lodgewood, lord Vincent Mortain… è il padre del marito di mia sorella.»
«È stato molto gentile ad ospitarvi nel mentre vostra sorella è via. Avrei voluto che anche la mia visita qui fosse dovuta a circostanze ben diverse, ma purtroppo così non è.»
«Sì, Phoebe mi ha detto che siete il nipote della signora Beckett… mi dispiace molto.»
«Non sapevo nemmeno della sua esistenza. È stato il mio amministratore a farmelo presente, dopo essere stato contattato dall’avvocato di mia zia. Vorrei averlo saputo, sarei potuto arrivare prima.»
«Non dovete farvene una colpa, di sicuro la signora Beckett sarebbe stata felice di sapere che la sua piccola tenuta non andrà perduta e in rovina» intervenne Phoebe con convinzione.
«Lo spero… ma non parliamo di questo triste argomento» disse, tornando a sorridere cordiale. I suoi occhi azzurri brillarono alla luce del sole che stava iniziando a tramontare dietro alle colline e i capelli biondi assunsero sfumature ramate.
Quello sarebbe stato il momento migliore per lasciarsi andare ad un sospiro, ma si impose di cercare di non rimanere troppo affascinata. Perché anche se quell’uomo era bello come un sogno e gli era parso sinceramente rammaricato per le sorti della povera zia Beckett, ancora non era del tutto convinta della sua buona fede. Mille sterline l’anno non erano molte, almeno non per chi al contrario di lei doveva mandare avanti una tenuta, ma avrebbero permesso a chiunque di vivere dignitosamente.
«Ditemi sarete al ballo, il prossimo venerdì?» le chiese, mentre si avvicinavano al palazzo.
La mezz’ora più veloce di tutta la sua vita.
«Certamente… a quanto predetto sarà l’evento dell’anno e in più non è possibile mancare ad un ballo indetto dalla duchessa di Southlake. Tutta la buona società di Windermere parteciperà… il che, immagino, comprenda anche voi.»
«Sono stato invitato, sì… ma ho alcuni affari urgenti da sbrigare che mi richiamano a Londra e non sono sicuro di riuscire a parteciparvi.»
«Oh… che peccato» disse, cercando di non lasciare intendere la sua delusione.
«Davvero non riuscite a rimandare?» domandò Phoebe, mentre arrivavano davanti all’enorme cancello che segnava l’ingresso della proprietà.
«Purtroppo temo di no… ma prometto che farò il possibile per tornare in tempo, se non altro per non perdere l’occasione di ballare con voi, signorina Simmons, o temo altrimenti di entrare a far parte della lista nera della vostra patrocinatrice» disse e Phoebe si lasciò sfuggire una risatina nervosa, prima di diventare rossa come un pomodoro. «Naturalmente spero nel caso di poter danzare anche con voi, signorina Grey» continuò, ma Camille non si lasciò confondere.
«Non amo vivere nella speranza che qualcosa accada, signor Sterling, sono più una che bada alle certezze della vita» rispose sorridendo. Il signor Sterling sgranò per un momento gli occhi, chiaro segno che non si aspettava una risposta del genere, ma si riprese subito.
«Come darvi torto, signorina Grey… e se la mettete su questo piano temo di non avere altra scelta: dovrò certamente partecipare al ballo» disse inchinandosi, dopodiché con un piccolo balzò salì in sella al cavallo. «È stato davvero un piacere conoscervi… a presto» e come era apparso, in un attimo scomparve di nuovo nella brughiera.
Camille ebbe la sensazione di tornare a respirare dopo ore di apnea.
«È davvero affascinante, non credete?» disse Phoebe sognante.
«Mmh non lo so… un po’ troppo civettuolo per i miei gusti e soprattutto consapevole della sua bellezza.»
«Consapevole o meno, qualunque ragazza perderebbe il cuore per uno come lui.»
«Phoebe! Ma non eravate infatuata di John?» scherzò Camille.
«Oh suvvia non giudicatemi così!» ma stavano già ridendo. «La duchessa dice che è del tutto normale e che lei alla mia età si innamorava ogni minuto di un uomo diverso. E poi non ditemi che non lo trovate bello.»
«Mia cara Phoebe non lo trovo solo bello, lo trovo dannatamente e insopportabilmente bello!» esclamò tornando a prendere a braccetto l’amica, continuando a parlare fitto fitto del signor Sterling e ridacchiando.
Una volta poi tornata al castello evitò prontamente di dire del suo infatuante ed incredibile incontro del pomeriggio. Non tanto perché voleva tenerlo nascosto, ma semplicemente perché se si fosse lasciata sfuggire un commento di troppo, temeva che John iniziasse a giudicarla riguardo le sue capacità di resistere e capitolare alle lusinghe degli uomini. Avrebbero finito col litigare e dato che avevano trovato un certo equilibrio, non voleva perdere il sonno per colpa sua.
Solo prima di addormentarsi si permise di ripensare agli occhi azzurri e al caldo sorriso del signor Thomas Sterling. Non voleva ammetterlo, ma in realtà ci sperava davvero che riuscisse a partecipare al ballo. Vedere una faccia nuova era sempre piacevole, soprattutto se la faccia era come la sua, e in più ballare con lui voleva dire toccare quelle magnifiche braccia e spalle.
Come una ragazzina nascose il viso sotto alle coperte ridacchiando fra sé e sé, lasciando andare quel sospiro che aveva trattenuto per tutta la giornata.
Quella notte sognò occhi azzurri, ma anche capelli neri. Ghiaccio grigio intenso e un sole splendente. Sognò anche un sorriso, ma al risveglio non seppe dire a chi appartenesse… e quello la lasciò particolarmente turbata.
   
 
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