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Autore: AleeraRedwoods    04/03/2022    3 recensioni
Prima one shot legata alla long La Stella dei Valar!
Dal testo:
-Nessuno ti vuole qui, non servi a niente, ci penso io, è mio compito e mio dovere-
-Anche io sono terribilmente felice di rivederti, mio Principe.- Sorrise l’altro, senza curarsi di averlo interrotto bruscamente a metà discorso. Godette dell’espressione furiosa che il giovane elfo allampanato gli rivolse, sentendo già sulla punta della lingua tutte le frecciatine che aveva assolutamente intenzione di lanciargli durante la sua permanenza.
Dopo la guerra -e il sesso- stuzzicare Legolas era decisamente il suo passatempo preferito.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Glorfindel, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti amici!

Eccoci con la prima one shot legata alla long
La Stella dei Valar.
Premetto che non è necessario aver letto la storia sopracitata per capire cosa accade in questo episodio, credo. In caso contrario, fatemi sapere! Lascio comunque di seguito delle indicazioni per aiutarvi a contestualizzare il tutto.

Rating: Arancione (ma solo per qualche scena un po’ al limite della decenza e per la presenza di scene di combattimento, seppur brevi)

Ambientazione: ci troviamo nel passato, un millennio e mezzo prima degli avvenimenti narrati nel Signore degli Anelli. Quindi mooolto prima della Stella dei Valar! Precisamente, siamo a Bosco Verde (quello che poi sarà ribattezzato Bosco Atro). Nella zona meridionale si è da qualche tempo insediata una presenza oscura, che alimenta creature maligne e nasconde qualcosa di terribile: è Sauron che, nel tentativo di rafforzarsi dopo la sua caduta, si cela nella vecchia fortezza di Dol Guldur, da quasi cinquant’anni. Questo si scoprirà solo secoli più tardi, dunque i nostri personaggi, in questa storia, si confronteranno solo con i primi effetti del male su Bosco Verde.

Personaggi:
-Legolas, Principe del Reame Boscoso. Egli, presumibilmente, è nato prima dell’anno 1000 T.E e in questa mia storia è giovanissimo, poco più che adolescente -dal punto di vista degli elfi-
[1]
-Thranduil, Re del Reame Boscoso e padre di Legolas; Sindar della Prima Era.
-Glorfindel, allora Capitano delle guardie del Reame Boscoso; Vanyar.
-Felon, guardia elfica del Reame Boscoso; elfo silvano.
-Emlinel, dama delle Sale di Thranduil e balia di Legolas.

Nota per chi ha letto la long: ricordate i vari rimandi ad un certo giovane Legolas vessato dalle irritanti attenzioni di Glorfindel? Ecco, questa breve parentesi fa luce su uno di quei momenti!

Tutte queste precisazioni sono più lunghe della one shot stessa, okay? XD

Basta, vi auguro una buona lettura e sparisco!

Baci,
la vostra Aleera

 


 
 -Di quella volta che Glorfindel e Legolas litigarono sul serio-




Un giorno qualunque, Inverno, 1090 T.E

L’aria nella stanza sapeva di vino, di incenso e di sudore. Il grande letto era sfatto e le coperte giacevano umide e stropicciate sul pavimento, così come le vesti verdi della guardia elfica dei due ospiti. Glorfindel si portò alle labbra il calice freddo, infastidito dal sudore che andava asciugandosi sulla sua pelle ma troppo pigro per cercare qualcosa con cui coprirsi.
Sospirò, ripensando alle settimane appena trascorse: cacciare quei maledetti ragni dai confini settentrionali era noioso, ripetitivo e snervante, tanto che il Vanyar non disdegnava più l’idea di abbandonare il Reame Boscoso per accettare ancora una volta l’ospitalità di Re Elrond. Gran Burrone era certamente un luogo più tranquillo in cui spendere il suo tempo. Un luogo dove allenare il suo autocontrollo, piuttosto che le sue abilità nella caccia ai mostri.[2]
Rimuginando sulla questione, guardò la mano affusolata dell’elfo steso al suo fianco, che tracciava con delicatezza dei disegni invisibili sul suo petto solido: di certo quella distrazione lo aiutava a calmare i bollenti spiriti.
-I tuoi occhi sembrano tristi.- Sussurrò il giovane elfo castano, curioso, sollevando il mento per osservarlo in viso. Glorfindel scosse la testa, accarezzandogli lo zigomo delicato: -Non sono triste. Sono pensieroso.- E si scostò lentamente, lasciando controvoglia quelle coltri accoglienti. L’aria fredda della notte lo fece quasi rabbrividire, mentre ravvivava il fuoco nel camino elegante.
-E a cosa stai pensando?- Chiese allora l’elfo dagli occhi gentili, puntellandosi sui gomiti per seguirlo con lo sguardo.
-Credo di aver bisogno di un po’ di riposo, sai?- Rispose il Vanyar, trasparente: -Sono davvero stanco, Felon.- A quelle parole, l’altro sorrise, portandosi una mano davanti alle labbra piene in un gesto grazioso: -Non credevo di stremarti fino a questo punto.-
Glorfindel ghignò a sua volta, tornando a guardarlo con gli occhi dorati ridotti a due fessure infuocate.
Che piccolo sfacciato.
-Non fraintendere. Questa notte non ho ancora minimamente iniziato con te.-
-Eppure sei laggiù, mentre io sono qui.- Si accarezzò distrattamente la pelle liscia, il più giovane, senza distogliere lo sguardo dal viso marmoreo dell’altro. Questi piegò appena la testa, seguendo quei gesti con attenzione: -Ti ho abituato troppo bene. E non credo di pentirmene quanto dovrei.- Mormorò, deglutendo. Felon rise, una risata leggera, spensierata, che scivolò come una colata di miele bollente dritta nel ventre del Vanyar. Si avvicinò nuovamente al grande letto, arrampicandosi con lo sguardo sull’invitante figura davanti a sé, senza fretta.
Il silvano soffiò un sospiro tremante quando le lunghe dita dell’elfo dorato si chiusero attorno alla sua caviglia, trascinandolo verso di sé tra le lenzuola sfatte. Subito dopo, fu il turno delle onde bionde del compagno, che gli solleticarono il petto e il collo, precedendo il tocco piacevole delle sue mani calde. Ricambiò un bacio esigente, eppure diverso da quelli affamati che aveva ricevuto poco prima, e accarezzò il viso d’alabastro dell’elfo dorato sopra di lui, con tenerezza: -Lo so che sei spento, qui nel profondo Nord, lontano dal sole. Il Reame Boscoso non fa per te, heruamin. (mio signore)-
L’altro affondò il viso nell’incavo del suo collo sottile, attento a non pesargli addosso: -Mhm, tu fai per me.- Concluse, con voce bassa e melodiosa, sostituendo la sua stessa insofferenza con il profumo di miele e caprifoglio del compagno.
-Se un po’ di serenità è quello che posso darti, prendila, heruamin.- Gli sorrise questi, arrossendo lievemente per l’audacia delle sue parole. Glorfindel sollevò le sopracciglia, piacevolmente sorpreso, poi il suo sorriso si fece più ferino, la voce roca: -Di questo passo, mi farai diventare matto, ragazzino.- E quando il Vanyar catturò nuovamente le sue labbra, Felon intuì all’istante che il tempo del riposo non sarebbe arrivato tanto presto.


Alle prime luci dell’alba, Glorfindel sentì i familiari colpetti giungere dalla porta: giusto, doveva andare dal Re. Con un sonoro sospiro, l’ennesimo, si alzò dal letto ormai vuoto e freddo e, coperto solo dai lunghi capelli dorati, si gettò una secchiata d’acqua addosso, incurante di bagnare tutto ciò che aveva attorno. Aprì la porta, accogliendo la solita, povera guardia che, puntualmente, voltò il viso dall’altra parte: -Il Re vuole-
-Vedermi, lo so.- Sorrise il Vanyar, interrompendo la sua voce lievemente nasale. Il suo sguardo nemmeno si posò su ciò che l’elfo teneva tra le mani: -Porta via quel vassoio, non ho intenzione di mangiare roba tanto insipida una mattina di più.- Ordinò, con tono teatralmente seccato.
La guardia si inchinò brevemente, facendo ciò che l’antico e venerando elfo aveva comandato.
Non c’era alcun divertimento, in quel falso servilismo. Glorfindel avrebbe preferito un’occhiataccia, una mezza parola di troppo, giusto per potersi arrabbiare o infastidire un poco. Invece, tutti gli elfi silvani si guardavano bene dal disturbarlo. Lo temevano, lo rispettavano, ma ancor di più non erano intenzionati a trasgredire alle parole del loro Re: Thranduil, infatti, aveva espressamente ordinato che tutti stessero alla larga dal potente Vanyar, se non per faccende di routine, e la furia del Re di Bosco Verde, per loro, era di gran lunga più temibile della drammatica insofferenza di Glorfindel.
Questo indossò la divisa della guardia elfica, che portava ricamato il simbolo dei Capitani, e si incamminò nel corridoio semibuio. Passò quasi inosservato, tanto gli elfi del Reame Boscoso erano abituati alla sua presenza. Solo i più giovani fissavano straniti i suoi capelli dorati e umidi, che bagnavano la casacca verde: poco male, ancora qualche decennio e anche loro si sarebbero stancati di esserne sorpresi. Sempre che Glorfindel riuscisse a rimanere lì tanto a lungo.
Salì svogliatamente le scale a chiocciola, lungo il tronco imponente che portava al Trono di Thranduil e, una volta in cima, si prodigò in una lunga serie di inchini volutamente esagerati: -Oh magnifico, giovane Re degli Elfi, cosa comandi al tuo umile servitore senza onore?- Sorrise, la voce seducente tinta di una sfumatura canzonatoria.
Thranduil nemmeno si scompose, comodamente stravaccato sul suo trono maestoso: -Senza onore. Mai verità più innegabile è uscita dalla tua bocca sfrontata, Glorfindel.- L’altro alzò le spalle, divertito: -Voglio regalarti anche qualche gioia Aran nín, non solo delusioni, sai? (mio Re)-
-Ti ringrazio per il pensiero. Ora vorrei che ti concentrassi, però. Ti è possibile o l’alcool e il testosterone ti hanno dato alla testa?-
Glorfindel accusò le frecciate dell’amico, ghignando: -Mhm, invidia o gelosia?-
Thranduil non si scomodò a rispondere: -Devi raggiungere i confini Sud. Hanno riportato degli strani movimenti, nelle colonie dei Ragni Neri. Puoi occupartene?-
Era una domanda.
Per quanto Glorfindel si fosse volontariamente messo al suo servizio -e nonostante l’amicizia profonda che li legava- Thranduil non poteva trattarlo come uno dei suoi sudditi, non del tutto: doveva ricordare la loro ancestrale gerarchia.
Non che fosse difficile, data l’imponente stazza e i singolari capelli dorati del Vanyar.
Quest’ultimo aggrottò le sopracciglia definite: -A Sud? Ad Amon Lanc. Legolas si occupa di quella zona.-
Il Re annuì: -Infatti avrà da ridire. Vedi di non provocarlo, dovrete collaborare.-
A quelle parole allusive, Glorfindel si inchinò, questa volta con un pizzico di serietà in più: -Sarà fatto, dunque. Ti farò rapporto quando mi sarà possibile.- Fece per scendere le scale quando, con un sibilo freddo, Thranduil lo richiamò: -Glorfindel?- Questi incontrò il suo sguardo di ghiaccio, un sopracciglio alzato.
-Lascerai qui Felon.-
Con un sorrisetto soddisfatto, l’elfo dorato strinse gli occhi a due fessure lucenti: -Perché?-
-Perché desidero la tua completa attenzione, in questa missione. Hai insistito perché ti rendessi un mio capitano della guardia, quindi comportati come tale.- L’altro annuì, con fare compiaciuto: -Sei un Re saggio. Ho fatto bene a scegliere di servire il tuo Regno, fratello.- Poi si voltò, agitando una mano in segno di saluto: -Vorrà dire che ti lascerò il mio carissimo amico. Vedi di non sciuparmelo, mentre sono lontano.-
Thranduil sospirò, senza nemmeno guardarlo andare via: -Sfacciato.-


Quando nel campo di Amon Lanc si sparse la voce dell’arrivo del Vanyar, Legolas accusò un mal di testa tale da irritarlo oltre ogni razionale misura.
Non di nuovo lui, tutti ma non lui.
Non perse tempo, mandando a dire a suo padre che un tradimento peggiore non avrebbe potuto architettarlo nemmeno il suo peggior nemico. Certo, aveva personalmente notato gli insoliti spostamenti dei Ragni, nei dintorni di Dol Guldur, ma non avrebbe mai e poi mai richiesto l’intervento di Glorfindel.
Tutti ma non lui.
Dunque, quando la sprezzante e maliziosa espressione dell’elfo dorato gli si profilò dinnanzi, il mattino dopo la notizia del suo arrivo, il Principe di Bosco Verde si assicurò di elencargli le proprie ragioni: -Nessuno ti vuole qui, non servi a niente, ci penso io, è mio compito e mio dovere-
-Anche io sono terribilmente felice di rivederti, mio Principe.- Sorrise, l’altro, senza curarsi di averlo interrotto bruscamente a metà discorso. Godette dell’espressione furiosa che il giovane elfo allampanato gli rivolse, sentendo già sulla punta della lingua tutte le frecciatine che aveva assolutamente intenzione di lanciargli durante la sua permanenza.
Dopo la guerra -e il sesso- stuzzicare Legolas era decisamente il suo passatempo preferito.
-Quale sarebbe questo complesso problema che mi ha costretto a trascurare i miei impegni per correre in tuo soccorso?- Rincarò, cercando di nascondere il proprio divertimento.
-Impegni? Quali impegni?- Si ritrovò a ringhiare, Legolas: -Sono sicuro che sei stato tutto l’inverno a fare la civetta con le guardie e le dame di corte, razza di inutile libertino!-
Ecco, di tutti gli abitanti del Reame Boscoso, Legolas era l’unico e il solo a poter trattare il potente Vanyar come una pezza.
Ed era poco più che un bambino dispettoso, quando aveva cominciato a farlo.
Quelle sono il tipo di abitudini duro a morire, anche dopo decenni.
Glorfindel sondò il giovane dalla testa ai piedi, in tutta la sua gracile, familiare, nervosa figura: -Adesso sono qui, tutto per te, mio Principe. E avrai la mia completa attenzione, te lo assicuro.-
A quello sguardo insistente, unito al tono ambiguo del Vanyar, Legolas si sentì avvampare.
Maledetto.
Suo malgrado, dovette impegnarsi per frenare il pudico tremore nella sua voce: -Taci un po’!-
Gli diede le spalle, incamminandosi a passi veloci verso le tende grigie.
Glorfindel tossicchiò per dissimulare una risata e gli tenne dietro: -Dicevo sul serio, cosa sta succedendo qui? Tuo padre mi ha parlato di movimenti insoliti nelle colonie di quelle bestiacce piene di zampe.- Lo raggiunse, con tono conciliante.
Legolas annuì, entrando nella tenda più grande per raggiungere le mappe dispiegate sul tavolo: -Si sono mosse tutte insieme, spostando i loro centri più a Nord. Sono ormai alle pendici di Amon Lanc.-
-Forse il cibo scarseggiava, più a Sud.- Ipotizzò il Vanyar, osservando le carte: -Avevano già compiuto uno spostamento simile.-
Vide il Principe incupirsi e, finalmente, tornare a guardarlo in viso: -Non così improvviso. E di certo non in modo così organizzato e omogeneo. È come se stessero cercando di coprire tutta questa zona, impedendoci ogni accesso alla fortezza.- Fece, indicando con la mano lo spazio attorno alle rovine di Dol Guldur.
L’elfo dorato strinse gli occhi, concentrato: -Come se volessero circondarla…-
Legolas sistemò il proprio mantello elfico, scostando i capelli biondissimi: -Ad ogni modo, non starò qui a fare congetture. Se c’è qualcosa che attira il loro interesse, ad Amon Lanc, lo scoprirò.-
Glorfindel incrociò le braccia sopra la divisa, osservandolo prepararsi: -Non devi andare tu. Manda dei ricognitori.-
-Certo, come un codardo! Sono il più veloce e il più silenzioso tra i soldati del Regno, è mio dovere andare.-
-Tuo padre non sarebbe d’accordo.-
Legolas strinse i pugni, alzando la testa per puntare le iridi verdi sul viso dell’altro: -Questo è il mio primo vero incarico, Glorfindel! Non chiederò aiuto a mio padre come un bambino, so quello che faccio!- Il Vanyar, per un poco, sostenne quello sguardo con espressione contrariata ma Legolas non dava segni di cedimento.
Non c’era proprio niente da fare, con quel ragazzino viziato.
-Ah, voi giovani e la vostra incoscienza.- Si arrese infine, sciogliendo le braccia: -Va bene, fai come vuoi.-
Trionfante, il Principe gli concesse un sorriso smagliante. Riprese a sistemare la faretra e le frecce, quasi gongolando per la contentezza.
-Dopotutto, non potrà succederti niente.-
-Esatto.-
-Conosci bene la foresta.-
-Proprio così.-
-Sei veloce e silenzioso.-
-Giusto, lo sono.-
-E poi verrò con te, quindi nessun problema.-
-Certo.-

-Aspetta, cosa?! Assolutamente no!-
-Io prendo la mappa.-
-Questo è un ordine del tuo Principe, Glorfindel: io ti proibisco di venire con me!-


Più si avvicinavano alla vecchia fortezza, più l’atmosfera attorno a loro cambiava. Il sottobosco rigoglioso si faceva più rado, secco, il terreno più freddo. La luce dorata e soffusa che penetrava dalle fronde rosse si attenuava gradualmente, soffocata da una nebbia sottile e irritante, che appesantiva i polmoni ad ogni respiro.
Per non parlare delle ragnatele.
-Che schifo, mi si è attaccata dappertutto.- Si lamentò Glorfindel, tentando di districarsi tra i fili sottili e appiccicosi. Legolas ne tranciò un paio con il pugnale elfico: -Cerca di non tirarla o segnalerai la nostra presenza a quelle creature. Tagliala e basta.-
Il Vanyar storse la bocca, più infastidito dal fatto che il moccioso avesse ragione che dalle ragnatele stesse. -Ormai si sono estesi per cento miglia almeno. L’intero sud di Bosco Verde verrà contaminato, di questo passo.-
-E ogni giorno la situazione peggiora. La gente ha cominciato a chiamarlo Bosco Atro.- Si intristì, il Principe. Accarezzò distrattamente la corteccia malata di un povero albero, con un peso sul petto: -Questa oscurità ci soffocherà. E mio padre ancora non si è deciso a fare niente. Non potremo limitarci a contenere queste creature per sempre…-
Glorfindel strinse le labbra, incapace di trovare una qualche consolazione da offrire al giovane: obbiettivamente, era un vero e proprio disastro, quel posto.
Poco dopo, la voce di Legolas, più squillante e sprezzante di prima, attirò nuovamente la sua attenzione: -Sentiamo.-
-Sentiamo cosa?-
-Chi è?-
Glorfindel inarcò un sopracciglio elegante, guardandolo di sbieco.
Che cosa gli stava chiedendo, esattamente?
Poi, il rossore malcelato sulle guance dell’elfo fece capolino da sotto la cascata di capelli biondi e il Vanyar si ritrovò a sorridere pericolosamente.
La conversazione in proposito non si era ancora chiusa, dunque.
-Perché? Sei geloso, mio Principe?-
Questi sollevò il mento, altezzoso: -Neanche se fossi l’ultimo sulla faccia della terra.-
-Da piccolo giurasti che mi avresti sposato, una volta cresciuto. Ero il tuo eroe. Che bei tempi, quelli.- Si pavoneggiò, l’altro, ricordando un piccolo, paffuto Legolas tendergli le manine per salirgli in braccio, “in alto in alto!” diceva. Il Legolas allampanato al suo fianco, invece, inorridì: -Quella fase è finita presto, vorrei ricordartelo! Non avevo nemmeno tutti i denti, ero ancora innocente.-
-Oh, adesso sei un venerando elfo vissuto, invece.-
-Va bene, tieniti i tuoi segreti, tanto non mi interessava davvero saperlo.- Lo sbuffo annoiato del Sindar era ancora meno credibile della sua millantata esperienza.
Glorfindel guardò le fronde sopra di sé, sospirando: -Felon. E ora smettila di fare il principino curioso.-
Il silenzio assordante da parte del giovane lo preoccupò all’istante.
Si voltò verso di lui e, con sua somma soddisfazione, lesse un profondo sgomento sul suo viso fresco.
-F-Felon? Il mio Felon?-
-Tuo? Ci hai messo la firma sopra?-
-Non intendevo quello! Nel senso, Felon il mio compagno d’armi? Quel Felon timido, silenzioso e gentile che non fa mai niente di sconveniente o sconsiderato?-
-Ne conosci un altro, per caso?-
Legolas affondò il viso nelle mani chiare, gemendo per lo sconforto: -Sei un ingannatore spietato. Non è così tanto più vecchio di me, nemmeno mezzo secolo, sei pure un pervertito!-
Glorfindel sollevò un angolo della bella bocca: -A dirla tutta, sono stato sedotto. Non il contrario.-
Legolas tese svelto una mano, agitandola tra loro: -Ahhh non voglio sentire niente, sono troppo sconvolto!-
Per un po’, camminarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Quelli di Glorfindel era pure meglio che rimanessero tali.
Fu di nuovo Legolas a parlare, dopo qualche miglio: -E com’è?-
Il Vanyar si riscosse: -Felon? Parecchio bravo.-
-NON INTENDEVO- Legolas sospirò, schiaffandosi una mano in faccia per calmarsi: -Non ti sto chiedendo com’è lui. Ma… com’è essere in una relazione.- Buttò lì, puntando lo sguardo altrove.
Glorfindel sentì una dolcezza disarmante afferrargli il petto. Quel Principe scontroso possedeva ancora un animo romantico, lo stesso di quando era un bambino.
-Diciamo che è piacevole avere qualcuno accanto. Però, se è di amore che vuoi parlare, non credo di essere la persona giusta.-
Legolas azzardò un’occhiata verso di lui: -Non sei innamorato di Felon?- Chiese, con innocenza.
L’altro scrollò le spalle: -Ci tengo. Mi piace. Ma non è il primo. Probabilmente nemmeno l’ultimo. Non credo di essermi mai innamorato in vita mia, sai?-
Legolas rimase a fissarlo, dopo quella frase sincera. Il verde dei suoi occhi quasi brillava sul suo incarnato pallido.
Glorfindel rise: -Allora? Perché mi guardi così? Il mio fascino ti ha rallentato il cervello?-
-Idiota!- Arrossì di nuovo, il più giovane. Si torturò il mantello, abbassando lo sguardo: -Sono solo confuso. Come si fa a capire se si è innamorati o meno?-
Il Vanyar aggrottò le sopracciglia. Tutte quelle domande lo insospettivano. Legolas era una delle persone più care della sua esistenza e, dopotutto, non era la prima volta che chiedeva consiglio proprio a lui. Tuttavia, era la prima volta in assoluto che si apriva in quel modo su una questione intima come l’amore. E Glorfindel, lui stesso ne era consapevole, non poteva certo dirsi l’esempio più calzante di una gloriosa e nobile storia d’amore.
-Immagino che tuo padre non te ne abbia mai parlato.- Iniziò, mesto.
L’altro si strinse nelle spalle: -Farlo implicherebbe parlare della mamma e sai com’è fatto. Emlinel mi ha spiegato qualcosa ma non ci ho capito molto. Ha parlato di battito accelerato, fiato corto, mal di stomaco.-
-Praticamente ha diagnosticato una malattia.-
-Dai, non ridere.- Si lamentò, il giovane, seriamente avvilito. L’elfo dorato lo guardò più attentamente, studiando la sua reazione: -Mi stai facendo queste domande perché c’è qualcuno che ti interessa?-
L’altro scosse la testa: -No, in realtà no. È proprio questo il problema. Vorrei che succedesse, prima o poi. Insomma, ho quasi un secolo di vita…-
Glorfindel lo spinse giocosamente, nascondendo la piega triste della propria espressione: -Come tutti i giovani elfi, davvero non hai idea di cosa voglia dire essere immortali. Cento anni non sono niente, mio Principe. Hai tempo. Io sono nato prima del Sole e della Luna, ne ho visti di amori nascere. Ritieniti fortunato se ancora sei libero da una simile rottura di scatole.-
Legolas quasi inciampò, schiudendo le labbra con fare contrariato.
Rottura di scatole? L’amore?
-Essere legato ad un’altra persona in quel modo è solo un fardello, buono solo a portare paure e desideri irrazionali, sai? Tutto per sentirsi “appartenere” a qualcuno. Francamente, non ritengo che ne valga la pena. Io sono di me stesso.- Continuò, il Vanyar. Avrebbe dovuto aggiungere “di me stesso e di questo maledetto destino che non mi sono assolutamente scelto” ma decise di tacere quella parte.
Dal canto suo, Legolas era senza parole. E arrabbiato.
Decisamente arrabbiato.
-Questo conferma solo quanto sei superficiale e arrogante.- Sbottò, fermandosi di colpo. L’altro lo imitò, voltandosi verso di lui con un sopracciglio inarcato: -Sto solo dicendo la verità.-
-No, stai cercando di spiegare a te stesso perché ti senti così tanto solo da desiderare la compagnia e il calore di perfetti sconosciuti senza valore. Questa è la verità.-
Glorfindel trattenne il respiro. Il tempo parve fermarsi e il sangue prese a scorrergli vorticosamente nelle orecchie.
Quel ragazzino.
Non sapeva nemmeno cosa volesse dire stare al mondo, dannazione! Piccolo presuntuoso.
E, adesso, il Vanyar non riusciva a togliersi dalla testa quelle stupide parole.
Prima ancora di poter pensare all’immane stronzata che gli era appena passata per la testa, parlò: -Davvero? Hai visto com’è ridotto il tuo caro paparino, o no?- E desiderò sprofondare nel terreno seduta stante.
L’espressione colpita, ferita di Legolas era una risposta più che sufficiente: -Finisce sempre così con te.- Mormorò questi, storcendo le labbra delicate per nascondere la sofferenza. -Non so nemmeno perché mi ostino a provarci. Sei davvero il peggiore.-
Glorfindel sentì lo stomaco serrarsi, vedendo gli occhi lucidi del principe rifuggire i suoi. Sollevò una mano e fece per parlare quando, con la coda dell’occhio, riuscì a captare un movimento stonato, che non poteva appartenere alle fronde degli alberi attorno a loro.
Istintivamente, si slanciò per afferrare il più giovane e tirarlo verso di sé, giusto un attimo prima che qualcosa di grosso e scuro piombasse dall’alto proprio su di loro.
Legolas, appeso al braccio solido dell’elfo dorato, si voltò di scatto, fissando con orrore il gigantesco ragno nero apparso come un incubo di fronte a loro: -Oh cielo che schifo!- Esclamò, mentre Glorfindel lo rimetteva in piedi.
-Ce ne sono altri, almeno quattro.- Sibilò questi, stringendo la spada elfica.
Lanciò in fretta uno sguardo tra le fronde: come pensava, poco più avanti si ergevano le prime, isolate rovine della vecchia fortezza di Dol Guldur.
Si erano avvicinati troppo.
Legolas balzò su una roccia poco distante, incoccando due frecce al proprio arco: -Ti copro, cerchiamo di avanzare ancora.- Il Vanyar scattò di lato, per abbattere una di quelle creature in avvicinamento: -Non pensarci neanche, torniamo indietro.-
-Saremmo venuti qui inutilmente!-
Glorfindel sollevò gli occhi al cielo, schivando un nuovo attacco. Adesso, doveva solo pensare a sbarazzarsi di quei ragni sentinella e portare Legolas lontano da lì prima che ne arrivassero altri.
Impiegò poco a liberare la via, suo malgrado anche grazie alle precise e veloci frecce del più giovane.
-Andiamo, approfittiamone ti dico.- Lo prese per il mantello, trascinandolo con sé da dov’erano venuti. Legolas, invece, lo strattonò: -Ho detto di no, dobbiamo almeno provarci!-
-Più avanti c’è il loro nido. Anzi, mi correggo, i loro nidi. Se vuoi affrontarli servirà l’intera guardia del Reame Boscoso.-
Come se non l’avesse nemmeno sentito, il Principe gli strappò il proprio mantello di mano e si incamminò verso le rovine. Glorfindel si sentì ribollire di rabbia.
Legolas poteva anche non ascoltarlo in veste di Capitano della guardia reale, va bene.
Ma dannazione, avrebbe ascoltato il Vanyar.
Afferrò saldamente il braccio sottile del giovane, costringendolo a voltarsi verso di lui, pronto a mostrarsi in tutta la sua ancestrale autorità, quando uno schiocco sinistro li raggiunse dall’alto.
Legolas si girò di scatto verso di lui, gli occhi sgranati: -Ma che cosa-
E una serie di rami cominciò a piovere dal cielo.
Glorfindel tirò il Principe contro di sé, sollevando un braccio per frantumare i rami che cadevano troppo vicini a loro: -Sono sopra di noi. E sono tanti.- Poi sbuffò, pizzicando il fianco dell’altro: -Che ti dicevo, moccioso! Non mi dai mai retta.-
-Non è il momento per farmi la predica!- Si lamentò Legolas, stringendosi sotto la sua figura protettiva. Glorfindel, senza idee migliori, si avvicinò alle rovine, trascinandolo con sé. Se volevano evitare i Ragni, era rimasta un’unica cosa da fare.
E proprio non ne aveva voglia.
Con un calcio, sfondò una porzione di muro, già reso fragile dai secoli passati privi di manutenzione e, senza tanti complimenti, spinse Legolas all’interno.
Il gridolino terrorizzato del più giovane continuò nel vuoto, sempre più flebile, per qualche secondo, poi ecco il suono sordo del suo corpo che impattava a terra.
Glorfindel a stento trattenne una risata sguaiata: non aveva pensato che, magari, potevano trovarsi a svariati metri dal pavimento della struttura.
-Ben ti sta, piccolo viziato.-
I ragni cominciavano a scendere a manciate dagli alberi sopra di loro e, alla svelta, anche il Vanyar si lanciò dentro le rovine, nascondendosi alla loro vista.
Come programmato, piombò direttamente sul giovane che, dopo un lamento soffocato, imprecò sonoramente. Glorfindel resse il proprio peso sulle braccia, lanciando uno sguardo sotto di sé per incontrare gli occhi verdi del Sindar: -Un po’ di decoro, mio Principe.-
Non fece in tempo a ridere che la scarsa luce del luogo tradì il volto tremendamente arrossato del più giovane, gli occhi sgranati e le labbra serrate. Solo allora il Vanyar si accorse della situazione lievemente equivoca.
L’ultima cosa che gli serviva era un moccioso in iperventilazione.
Però quando gli sarebbe capitata una situazione tanto divertente?
-Ora non fare quella faccia, potrei eccitarmi. E in queste circostanze lo sconsiglio vivamente.-
Legolas prese ad agitarsi come un’anguilla, sotto di lui: -Levati immediatamente o ti taglio la testa, non scherzo!-
Glorfindel si alzò con grazia, tendendo una mano verso di lui con una risata: -Ti sto prendendo in giro, Legolas.- Questi si lasciò tirare in piedi, mentre tentava di sistemare i capelli scompigliati: -Come sempre…-
Si guardarono attorno, cercando un passaggio: -Questo corridoio sembra proseguire verso l’interno.- Fece il più giovane, indicando alla propria destra. Glorfindel annuì, precedendolo per assicurarsi che la strada fosse libera.
Proseguirono per chissà quanto, ormai decisi a controllare con i propri occhi cosa si celasse all’interno della fortezza.
Eppure, più giravano, più si faceva strada in loro la consapevolezza che lì non ci fosse assolutamente niente.
Nessun rumore. Nessuna traccia.
-Forse avevi ragione tu. Si saranno spostati per mancanza di cibo.- Convenne, Legolas, dopo l’ennesima sala vuota e silenziosa. Glorfindel si grattò la testa: -Forse. Però non riesco a spiegarmelo, sai? Non c’è assolutamente niente qui, eppure mi sento come osservato. È una strana sensazione.- Tenne per sé il pensiero che irruppe prepotentemente nella sua mente in quell’istante. Qualcosa che lo lasciò perplesso e inquieto ma che si riservò di tenere segreto fino a quando non avesse raggiunto il Re degli Elfi.
Non aveva intenzione di spaventare tanto il Principe, non con una notizia oscura come quella.
-Beh, resta il fatto che non possiamo fare niente qui. Non c’è nulla che possiamo toccare con mano. Sarà meglio uscire e tornare al campo.-
Legolas annuì, abbassando gli occhi.
Glorfindel sapeva che era deluso.
Deluso dal fatto di non poter essere stato utile. Di non aver compiuto una missione risolutiva.
-La priorità, adesso, è respingere i ragni e mantenerli qui a Sud.- Gli fece, con tono più gentile.
L’altro strinse i pugni ma si voltò per dirigersi verso l’uscita più riparata: -Lo so. Torniamo a Palazzo, ne ho abbastanza di questo posto.-


I due si presentarono nella Sala del Trono il giorno successivo, ripuliti ma cupi come i loro pensieri.
Chiusi nei propri silenzi senza possibilità di comunicare.
Glorfindel non aveva dimenticato il suo piccolo litigio con il Principe. Non gli aveva chiesto scusa ma sapeva di averlo ferito.
Tuttavia, non era il suo perdono che voleva, adesso.
A dirla tutta, si sentiva la prima tra le vittime, ingiusto bersaglio dell’astio del Principe che con tanta sincerità aveva cercato di consigliare.
Avrebbe voluto precisarlo. Lui non si sentiva solo.
Affatto.
Il loro rimuginare venne interrotto dall’arrivo del Re, che li superò lentamente: -Siete già di ritorno. E, a giudicare dalle vostre facce, senza alcun risultato.-
Legolas avanzò di un passo: -Ada (padre), abbiamo esplorato le rovine ma non abbiamo trovato niente. Non c’è una spiegazione all’oscurità che si è insediata a Sud…- Abbassò lo sguardo, a disagio sotto il cipiglio indagatore di suo padre.
Thranduil intrecciò le mani dietro la schiena, con un cenno: -Per adesso, limitati a coordinare le incursioni per ricacciare i ragni dov’erano. Non possono avanzare a questa velocità o gli alberi si ammaleranno.- La sua voce era ferma ma non lo stava riprendendo.
Non era deluso. Né contrariato.
Legolas parve capirlo perché i suoi occhi si accesero un poco. Non avrebbe sentito suo padre complimentarsi apertamente con lui, lo sapeva. Quella era la dimostrazione di consenso più evidente che potesse desiderare da lui: -Hannon le, ada. Sarà fatto.-
Si inchinò brevemente, una mano sul cuore, poi superò il Vanyar senza degnarlo di uno sguardo e lasciò i due elfi da soli.
Thranduil osservò la scena e sollevò un sopracciglio: -Avevo detto di non infastidirlo.-
Glorfindel incrociò le braccia al petto, con un broncio infantile: -È tuo figlio ad essere fastidioso.-
Il Re scosse la testa, andando a sedere sull’imponente trono: -Non voglio sapere.- Scandì: -Piuttosto, davvero non avete trovato nulla, Glorfindel?-
L’elfo dorato sospirò, sciogliendo la posa e camminando piano avanti e indietro: -Non lo so. C’è qualcosa di strano. Una sensazione.-
L’altro si accigliò: -Che genere di sensazione?-
-Qualcosa che non mi è sconosciuto, purtroppo. Un’eco non troppo lontana.-
Thranduil si abbandonò sullo schienale intarsiato, il mento sorretto dalle dita inanellate: -Non dirmi che è quello che credo…-
-Sarebbe avventato. E, ad ogni modo, se una traccia dell’Oscuro Signore è davvero lì da qualche parte, è ancora debole come un pensiero.- Sussurrò, lapidario.
Nessuno dei due aggiunse altro, a quella rivelazione senza fondamento.
Con un gesto nervoso, il Re si limitò a troncare la conversazione: -Stai sbagliando. È evidente, non ne sei convinto nemmeno tu. Il problema sono i Ragni, è la loro presenza a confonderti.-
Glorfindel storse la bocca ma non volle contraddirlo: ecco la natura chiusa e ritrosa del Re di Bosco Verde. Di Bosco Atro.
Che facesse quello che voleva, non spettava a lui dirgli come regnare.
-Con il tuo permesso, Aran nìn.- Con un cenno educato, Glorfindel lasciò la sala a sua volta, comunque troppo teso e stanco per sorbirsi le irrazionali prese di posizione dell’altro.
Si incamminò nei corridoi e nelle Sale, rimuginando.
Forse doveva solo chiudersi nelle proprie stanze e farsi portare una bottiglia di vino del Dorwinion.[3] O forse due.
L’unica cosa che lo tratteneva dal farlo era il fatto che avrebbe dovuto superare le stanze del Principe, per arrivarvi. E non aveva alcuna voglia di sentire le sue risate, di quelle sincere e assordanti che solo la dolce Emlinel era in grado di suscitargli.
No, meglio continuare a girovagare per il Palazzo senza meta.
Dopotutto, stava benissimo da solo.
Meravigliosamente.

Merda.
Non era vero.
Giusto, Glorfindel sapeva di mentire a sé stesso: ce l’aveva eccome una meta e, a questo punto, la stava cercando da ormai mezz’ora.
Ma dove diamine si era cacciato quell’elfo?
Trovò Felon parecchi corridoi più tardi, prima di giungere nelle armerie.
Stava diligentemente archiviando dei preziosi volumi rilegati, nella Sala delle Riunioni, dando la schiena alla porta. Doveva essersi tenuta una di quelle infinite riunioni proprio quel giorno, notò Glorfindel, poiché le sedie erano disordinate e il lungo tavolo ancora ingombro di materiale. Si prese tutto il tempo per osservare la figura sottile dell’elfo che sistemava con grazia fogli e calamai, le ciocche castane screziate di rame ad incorniciargli il viso affilato.
Era bello, Felon.
Gentile, premuroso, affidabile. Intelligente, anche. Ed era divertente, ironico, e acuto quando meno lo si poteva aspettare.
Per accorgersi di tratti simili, era necessario conoscerlo bene. Glorfindel poteva dire di conoscerlo meglio di tanti altri.
Voleva conoscerlo meglio degli altri.
Il Vanyar fece qualche passo nella Sala, richiudendosi la porta alle spalle. Il suono secco spaventò Felon, che lasciò cadere il volume che aveva tra le mani. Si rilassò automaticamente subito dopo, quando riconobbe l’imponente figura dell’elfo dorato. 
Sì, Glorfindel non aveva mai cercato con tanta impazienza i suoi amanti. In Felon aveva trovato qualcosa di più.
O, forse, voleva che fosse così.
“No, stai cercando di spiegare a te stesso perché ti senti così tanto solo da desiderare la compagnia e il calore di perfetti sconosciuti senza valore. Questa è la verità.”
-Heruamin, sei tornato.- Sorrise il silvano, dolcemente. Glorfindel si beò di quella voce sincera, amorevole, rivolta solo a lui.
Voleva che fosse tutto per lui, solo ed esclusivamente per lui. Ogni pensiero, ogni gesto, ogni sorriso, ogni lacrima. Dalla tristezza più profonda al gemito più indecente.
Tutto.
-Ti sono mancato?- Ghignò, affilando lo sguardo. Felon arrossì appena, senza però distogliere lo sguardo. Era temprato, oramai, dalla sfrontatezza del compagno. Sorrise a sua volta, rendendogli la stessa moneta: -Mi sei mancato tantissimo.-
Se avesse saputo farlo, persino Glorfindel sarebbe arrossito. Invece, lasciò che il sangue si scaldasse nelle vene, avvicinandosi con passi misurati.
-È stata una notte molto fredda, senza le mie mani a scaldarti?-
Felon sollevò la testa, le iridi color cioccolato tanto grandi da riflettere la luce delle torce: -Non mi metterò a svelare tutti i miei pensieri proprio a te, heruamin. Li lascio alla tua immaginazione.- Rise, godendosi la carezza dell’altro sulla propria guancia.
Una carezza familiare, resa lievemente ruvida dai piccoli calli sulle dita dell’elfo dorato, segnate da secoli passati a tendere un arco.
Si sottrasse a quel contatto troppo presto, per i gusti del Vanyar. E ciò che disse di seguito fu ancor meno gradito. -Devo finire questo lavoro. Ho promesso al Principe che sarei passato a salutarlo, al suo ritorno dal campo di Amon Lanc.- Sorrise Felon, con tenerezza.
Lanciò uno sguardo veloce a mo’ di scusa, ma si ritrovò a notare un guizzo sul volto dell’altro. La mascella appena contratta, le sopracciglia tese e gli occhi stretti a due fessure dorate: -Preferisci far visita al principino viziato piuttosto che restare con me?-
Felon schiuse le labbra, attonito: -C-come? Cosa c’entra Legolas con questo?-
Il corpo statuario dell’altro lo sovrastava, impedendogli di vedere altro che lui. Non gli era mai dispiaciuto che fosse il Vanyar a detenere il controllo ma, questa volta, c’era qualcosa di diverso.
Una prepotenza che trascendeva il gioco.
-Non ti sono mancato tantissimo, Felon?-
Questi annuì, deglutendo a vuoto.
C’era una calma propria del dominio, nella voce dell’elfo dorato. E aveva paura di scoprire dove questa l’avrebbe portato.
-Allora baciami.- Quasi ordinò, Glorfindel.
Felon non avrebbe potuto negare quei brividi folli, che gli corsero addosso con la stessa tagliente forza delle parole dell’elfo. E sapeva che anche l’altro lo aveva notato, scritto chiaro nei suoi stessi occhi liquidi e pesanti.
Lentamente, esaurì ogni distanza, sollevandosi e aggrappandosi alle spalle ampie dell’elfo dorato per raggiungere le sue labbra serrate. Questi non si scomodò ad aiutarlo, né si chinò: voleva che si tendesse per lui, che si concentrasse su ciò che lui aveva preteso.
Si lasciò baciare con dolcezza, quella che tanto contraddistingueva il giovane silvano.
Voleva essere adorato.
Non passò molto prima che il più giovane gli rivolgesse un lieve lamento infastidito, tirandogli i capelli dorati per spingerlo a ricambiare.
-Non andrai da nessuna parte.- Sibilò allora il Vanyar, sollevando una mano per tenere fermo il viso arrossato dell’altro. Felon quasi tremò dal sollievo quando, finalmente, sentì il compagno reagire.
-Dimmelo.-
-Non andrò da nessuna parte.- Il sussurrò del giovane, per lo meno, fu sufficiente.
Glorfindel lo strinse senza gentilezza, affondandogli una mano tra i capelli così meravigliosamente scuri e profumati.
C’era qualcosa, nei suoi stessi pensieri, che lo mandava fuori di testa.
Qualcosa che aveva a che fare con la gelosia ma in una forma subdola, malsana, ingiusta.
Per minuti interi non lasciò la presa, impedendo al giovane di allontanarsi, impadronendosi di ogni respiro con un’avidità sbagliata.
Solo quando sentì ogni senso pregno e vacillante, si stacco da quelle labbra, lasciandovi un morso indelicato. Con lo sguardo, che non aveva intenzione di abbandonare il viso sconvolto del giovane elfo, accarezzò i suoi capelli bruni e scompigliati, gli zigomi sanguigni, soffermandosi infine sulle iridi esauste, inghiottite da un nero affamato e bagnato.
Ecco, quello che voleva.
Adorazione, desiderio, supplica. Tutto.
-Dimmi che mi ami.-
Amore. Per sé, per una volta.
Per un secondo, il viso di Felon parve smarrito, sconvolto quasi.
Ma egli non ebbe il tempo di dire niente.
Con più smania di quando aveva smesso, Glorfindel tornò a baciarlo.
Felon si sentì sollevare di colpo, prima di ritrovarsi violentemente costretto contro il muro freddo. Strinse le spalle del Vanyar, spingendolo appena per staccare le labbra dalle sue e riprendere fiato. Ci riuscì a malapena, voltando la testa quel tanto che bastava per sottrarsi a quell’assalto senza fine.
Cosa gli aveva appena chiesto? Voleva che lui dicesse…
Ansimante, scostò i capelli scuri dal viso, cercando lo sguardo del compagno per assicurarsi che stesse bene, che fosse tutto come sempre.
E si ritrovò ad irrigidirsi, le labbra schiuse a cercare l’ossigeno che pareva mancare sempre di più.
Qualcosa lo scosse, dentro, a partire dallo stomaco. Una sensazione troppo netta per essere ignorata: -H-Heruamin…?-
Qualcosa che aveva a che fare con il modo in cui gli occhi dorati dell’altro lo fissavano.
Lo sbranavano.
Seppe di dover reagire, istintivamente, perché istintiva è la consapevolezza di una preda che sa di star per essere divorata viva.
Perché era così che quello sguardo lo faceva sentire: non desiderato ma impotente, inquieto.
Consumato.
L’altro scese a divorargli il collo, le clavicole, laddove la pelle lattea si faceva più sottile per svelare la trama bluastra delle vene. Morse senza ritegno, affondando con i denti candidi con la stessa forza con cui le dita ruvide segnavano la carne tesa delle cosce.
Felon sgranò gli occhi, annaspando: -Aspetta- Posò le mani sugli avambracci dell’elfo, cercando di allentare la sua presa per tornare con i piedi per terra.
Ma era come spingere su colonne di marmo sperando di spostarle: inutile.
Per tutta risposta, Glorfindel tolse una mano dal fianco del più giovane, solo per rinchiudervi i polsi in una morsa ferrea, inchiodandoli sopra la sua testa.  
-Dimmi che mi ami.- Ripeté, quasi ringhiando, spingendo quel corpo sottile contro il muro.
Felon cercò di rimanere lucido, scrollando la testa e ignorando il tremito incontrollato del suo corpo traditore: -Io- Io non posso-
-Dillo.- Qualcosa che si incrina.
Una richiesta così disperata da non potersi più nascondere dietro quei modi ferali.
E Felon aveva imparato a conoscere le sfumature di quella voce seducente.
-Glorfindel, aspetta. Ti prego, fermati.- Deglutì, cercando di fare presa su quell’attimo di debolezza. Ci riuscì. Seppe di esserci riuscito quando la stretta dell’altro si allentò appena, il corpo imponente che smetteva di premerlo contro la pietra fredda.
-Perché non me lo dici?-
Felon sentì gli occhi inumidirsi a quella domanda sussurrata. -Lasciami le mani, per favore. Voglio toccarti.- Lo pregò, con voce però ferma.
Il Vanyar rimase immobile per qualche secondo, poi respirò più a fondo. Lasciò andare i polsi sottile del più giovane, pallidi a causa della sua stretta.
Questi passò le braccia attorno a lui, stringendolo a sé. Accarezzò le sue spalle, il suo viso, i suoi lunghi capelli dorati, con delicatezza, quasi temesse di romperlo. -Va tutto bene, shh.- Lo tranquillizzò, materno.
Glorfindel chiuse gli occhi, posando la fronte contro l’incavo del collo dell’altro, ormai ridotto ad una distesa di segni scuri e arrossati.
Doveva chiedere scusa.
Non aveva le forze per farlo.
-Vuoi dirmi cosa succede?- Chiese Felon, paziente.
Il Vanyar respirò a fondo, isolando qualunque cosa non fossero le dita sottili del compagno che gli accarezzavano dolcemente la cute.
-Non vuoi dirmi che mi amai perché tu non mi ami.- Chiarì, più per spiegarlo a sé stesso che all’altro. Questi sospirò: -Tengo a te più che a chiunque altro, heruamin. Però…-
-Però non sono io la persona con cui vorrai condividere la vita.- Concluse per lui, Glorfindel.
-Stiamo bene insieme.- Gli fece notare, l’altro. -Ci divertiamo tanto, ridiamo, facciamo l’amore.-
Il Vanyar annuì. -Ma non ti basta.- E annuì di nuovo.
Felon lo accarezzò finché non riuscì a guardarlo di nuovo negli occhi. Si fece mettere giù, con riluttanza da parte dell’altro, poi lo fece sedere davanti a lui: -Cos’è successo ad Amon Lanc?-
E Glorfindel raccontò tutto.
Delle parole di Legolas, dell’offesa che lui gli aveva rivolto subito dopo.
Dei suoi pensieri, della sua tristezza, della sua solitudine.
Persino del destino che non poteva controllare.
E Felon ascoltò con attenzione, paziente e comprensivo come solo un vero amico poteva essere.
-Non posso nemmeno lontanamente capire cosa provi, heruamin.- Ammise, tristemente. -Però una cosa l’ho capita: stare qui non ti aiuta. Stai soffocando, hai bisogno di luce, di pace.-
Glorfindel aveva cercato di rimandare quel problema.
-Tu sei qui. Dove altro dovrei andare?-
Felon sorrise, un sorriso genuino, lusingato: -Sono sicuro che anche ad Imladris ci sia qualcuno smanioso di ricevere le tue attenzioni. E se anche non ci fosse, tu non ne hai bisogno, Glorfindel.-
-Non lo fai mai ma mi piace, sai?-
Felon piegò la testa da un lato: -Cosa?-
-Quando mi chiami per nome. Mi piace quando lo fai. E non poco.-
Il silvano arrossì violentemente. Scrollò la testa e si alzò con un sospiro. Glorfindel lo seguì con lo sguardo, osservando le sue lunghe gambe condurlo fino al tavolo al centro della stanza.
Lo vide sedersi con grazia sopra di esso, sfilandosi con un gesto morbido l’ordinata casacca della divisa: -Ora smettila di dire cose tanto imbarazzanti e vieni a finire quello che hai cominciato.-


Quella sera, Glorfindel si presentò nelle stanze del Re con una sacca in mano, vestito con i vecchi abiti da viaggio. Thranduil non impiegò che qualche secondo a capire ciò che il Vanyar stava per fare: -Da cosa staresti scappando adesso, di grazia?-
L’altro ignorò il sibilo contrariato, sorridendo come un gatto sornione: -Scappo dal tuo pessimo umore.- Posò la sacca a terra, aggirandosi nello studio dell’amico con una luce triste negli occhi.
Thranduil abbandonò il proprio peso contro la scrivania, sospirando: -Legolas ha raccontato tutto ciò che è accaduto ad Emlinel.-
-E Emlinel l’ha raccontato a te.-
Il Re assunse un’espressione più severa: -Sei stato pessimo, nel gestire la situazione. Ed eri un generale senza precedenti, Glorfindel. Che diamine ti aspettavi da un elfo così giovane come Legolas? Comprensione?-
-Dovresti dirgli le cose come stanno.- Lo rimproverò il Vanyar, con supponenza.
-E come stanno? Crede nell’amore perché esiste. Si innamorerà un giorno.- E strinse gli occhi di ghiaccio, trafiggendo l’elfo dorato senza pietà: -E lo farai anche tu.-
-Certo, non è successo per Ere. Deve essere un altro regalino dei Valar, dimenticarsi di me in questo frangente.- Tagliò corto, Glorfindel. -Non esiste una persona per me.-
-La troverai. E rimpiangerai di averla desiderata, mellon nìn.-
Quelle parole, e il tono sfinito e straziato con cui il Re degli Elfi le pronunciò, colpì l’animo del Vanyar, che ricambiò infine lo sguardo.
Rifletté per un po’, perso in sé stesso. Poi afferrò nuovamente la sacca, sospirando.
-Se cerchi Legolas, è nei campi d’addestramento.- Lo informò, Thranduil. -Suppongo che non voglia vederti ma non ti perdonerebbe se te ne andassi senza salutare.-
Glorfindel gli rivolse il solito sorriso sghembo, colmo di gratitudine: -Mi mancherai così tanto che non riesco neanche a pensarci, sai?-
L’altro non si scompose: -Io festeggerò per i prossimi tre decenni.-
-Oh, tornerò a trovarvi ben prima di allora.- Quasi lo minacciò, il Vanyar. Si avvicinò con calma, più tranquillo e rilassato. Posò appena la fronte contro quella dell’altro, un gesto affettuoso che non aspettò venisse ricambiato.
Non accadde, infatti, ma il Re degli Elfi lo lasciò così, vicino a sé, senza scostarsi.
-Prenditi cura di te, fratello.-
Thranduil annuì, guardandolo poi andare via con un peso sul petto.
Tra loro era così.
C’erano tempi in cui si consideravano davvero fratelli.
Altri, in cui rimanevano estranei, correnti opposte, contrarie, incapaci di comunicare.
Incapaci di aiutarsi.
Rimaneva la nostalgia. Forse un po’ di rabbia.
E anche un po’ di amore.


Legolas stava distruggendo l’ennesimo bersaglio, scagliando frecce su frecce, una dietro l’altra, senza sosta. Era nervoso.
Come sempre, pensò Glorfindel.
-Quel lome, moccioso. (buona sera)-
Legolas sobbalzò, l’arco ancora teso. Quasi cedette all’impulso di girarsi e bersagliare il Vanyar: -Che cosa vuoi?-
-Niente, niente. Ero preoccupato per te, sai? Pensavo che, dopo l’incontro ravvicinato con quei mostri, fossi ancora tutto tremante, nascosto sotto le gonne profumate di Emlinel.- Ghignò, malefico.
Il Principe ribollì, pronto ad investirlo con tutti gli insulti che gli venivano in mente. Però, si accorse che qualcosa stonava, nella figura dell’altro. Una sacca da viaggio, abiti già visiti.
-Devi andare da qualche parte?- Chiese, innocente, spazzando via ogni ostilità come se non fosse mai esistita. Glorfindel sentì il cuore scaldarsi, a quella domanda.
-Andrò per un po’ da Sire Elrond, a Imladris. Non posso rifiutare un invito tanto cortese, non credi?- Vide gli occhi verdi dell’elfo intristirsi: -Oh, capisco.-
Il Principe giocherellò con la corda dell’arco, abbassando lo sguardo: -Un po’ è un sollievo. Cominciavo a non sopportarti più.-
Glorfindel rimase per un attimo interdetto: -Scusami? Sono io quello che non ti sopportava più.-
-Tu non mi sopporti solo perché sono intelligente e ti faccio sentire un idiota.-
Ahia. Questo era un colpo basso.
-E tu non mi sopporti perché sono così dannatamente bello da farti dimenticare come ti chiami.- Sorrise, affascinante come una divinità.
Legolas assunse il colore di un pomodoro: -Vantati meno, vecchiaccio.-
Glorfindel si avvicinò, il viso alla sua altezza e i nasi che quasi si sfioravano: -Allenati, mentre sono via. Sogna ad occhi aperti il giorno in cui tornerò. Fatti trovare più forte e più bello, fammi cadere ai tuoi piedi.- Ad ogni parola, al Sindar pareva uscire fumo dalle orecchie, la pelle tanto arrossata da sembrare sul punto di sciogliersi.
-Non negarlo, so che non vedi l’ora che accada.- Ridacchiò, il Vanyar.
Legolas lo spinse via con una smorfia esasperata: -Non sei nemmeno il mio tipo, toglitelo dalla testa!-
-Sono curioso, quale sarebbe il tuo tipo?-
-Non tu!-
-Avanti, sono perfetto, sono praticamente il tipo di tutti.-
-Basso, il mio tipo è basso! E di certo non biondo!- Gridò il Principe, senza preoccuparsi di attirare l’attenzione.
Glorfindel rise di gusto, felice di poter portare con sé quei ricordi: -Cormamin niuve tenna’ ta elea lle au’, heru en amin. (il mio cuore non avrà pace fino a quando non ti rivedrò, mio signore)-
Legolas volse lo sguardo lontano, torcendosi i capelli biondi: -Ma sparisci…-


Glorfindel non sapeva che sarebbe tornato tante altre volte, solo per litigare ancora e ancora con il Principino, che sarebbe diventato sempre più forte e più bello.
Non sapeva che avrebbe sofferto per lo sguardo vuoto e selvaggio del Re degli Elfi, ogni volta più in profondità. Ogni volta più distanti.
Non sapeva che avrebbe ritrovato le braccia accoglienti di un silvano dagli occhi gentili ancora per molto tempo, tutte le volte che si fosse fermato nelle Sale del Reame Boscoso.
Non sapeva che, un giorno, si sarebbe innamorato davvero.
E che avrebbe perso. La prima e l’ultima sconfitta delle sue due, lunghissime vite.
Non sapeva che Thranduil sarebbe guarito un poco alla volta. Mai davvero, ma abbastanza.
Non sapeva che, alla fine, le cose sarebbero state diverse.
Diverse. Ma nemmeno così tanto.




 

[1] Peter Jeckson, per qualche motivo, ha deciso di collocare la nascita di Legolas tra l’80 e il 90 T.E., per esempio, ma in realtà nessuno ha idea di quanto l’elfo sia nato, dato che Tolkien non l’ha mai specificato.
 
[2] Glorfindel, dopo il suo ritorno dalla morte nel 1600 S.E, si era già trasferito a Imladris con Sire Elrond. Essendo un Vanyar, il nostro elfo dorato deve costantemente fare i conti con il suo antico potere dalle tendenze bellicose eheh E a Imladris le principali attività sono decisamente più rilassanti della caccia ai Ragni, è vero.
 
[3] Il Dorwinion è una regione ad Est della Terra di Mezzo. Famosa per i suoi grandi giardini e per i vini pregiati. È menzionata ne Lo Hobbit come l’esportatrice del vino presente nelle Cantine del Reame Boscoso. I barili sono spediti indietro attraverso il Taurduin, il Fiume della Foresta, fino a Esgaroth, da cui probabilmente parte la rotta commerciale per l’oriente.
 



N.D.A

Note finali veloci veloci, perché vi ho già ammorbato prima XD

Spero si siano colti i vari riferimenti alla long! Dall’insofferenza di Glorfindel ad un Legolas che ha per tipo ideale una persona bassa e non bionda >.> RIDO

Non c’è stato molto spazio per Thranduil ma, semplicemente, non era il suo momento. Ora soffre, è il Thranduil un po’ sociopatico e un po’ testadic***o che romperà le scatole a Thorin Scudodiquercia e la sua compagnia.

Fatemi sapere se ho lasciato qualcosa di non spiegato o di insensato!

Grazie per aver seguito anche questo “breve” episodio autoconclusivo, sono felice di aver reso in parola scritta anche questi aspetti dei miei personaggi.

Amo Glorfindel, ormai si sarà capito benissimo, però ci tenevo a sottolineare ogni sua contraddizione ancora una volta. Perché non è perfetto, è rotto e vecchio e stanco e senza un posto nel mondo. E merita un po’ di attenzioni XD

Fine sclero, ora mi ritiro di nuovo nella mia tana, ci vediamo nella prossima one shot!


Un bacio,
Aleera
 
P.S e poi scusate ma era il momento che Glorfy sfogasse un briciolo di carica erotica. It is what it is.


 
   
 
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