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Autore: ClodiaSpirit_    04/03/2022    3 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dentro il piccolo soggiorno si trovavano tutti e tre, in attesa che il ragazzo leggesse il referto che teneva in mano. Senza esitazione Simone si schiarì la voce e cominciò a dire cosa ci fosse scritto sul foglio in questione.

« Abbiamo riscontrato nei recenti esami di risonanza della TAC che la paziente, presenta un adenoma che non ha invaso i tessuti » il suo sorriso si fece enorme mentre leggeva, Simone alzò lo sguardo su sua madre poi sul suo ragazzo ancora vicino a lei, le stringeva le spalle sereno « Tuttavia, per evitare l’insorgere della massa ghiandolare, si consiglia di fissare un piccolo intervento per asportarla, in data da confermare su appuntamento, al fine di evitare che causi squilibri all’organismo » finì di leggere il rapporto medico, il foglio tremava fra le sue mani. Floriana si portava una mano alla bocca, sollevata. Sorrise di felicità poco dopo.

« Che fai, non te ne stare fermo lì, Simone! Vieni qua! »

Il ragazzo si mosse dal posto, per correre ad abbracciarla più forte che poteva, la carta si raggrinzì tra le sue dita, il sorriso di sollievo lo riempì calmandogli il petto. Floriana coinvolse anche Manuel nella stretta, lo strattonò incurante e li abbracciò entrambi forte. Quel gruppetto di tre sembrava un perfetto quadretto famigliare, pronto ad essere incorniciato e appeso. Il respiro di quei corpi premuti l’uno contro l’altro, riempì la stanza, l’amore si diffondeva a largo spettro toccando ogni oggetto inanimato e presente lì dentro.

« Ma quindi devi comunque operarti? » mormorò Simone contro la spalla di sua madre. Floriana gli accarezzò la schiena con la mano destra, la sinistra al contrario, stritolava Manuel dal lato opposto. Era come se avesse di nuovo due figli in casa, ma si tenne quel piccolo pensiero tutto per sè.

« Sarà una cosa da nulla, Simone. Stasera contatto l’oncologo e chiedo informazioni. Adesso però, » liberò la presa di poco e guardò entrambi i due ragazzi « qua bisogna festeggiare! Che ne dite, pizza per tutti stasera? »

Floriana disse raggiante, sentendosi come liberata da un peso fin troppo gravoso e pesante che le scendeva dalle spalle, dal corpo. I due ragazzi annuirono, visibilmente sollevati quanto lei.

« Va bene mamma, la prendiamo dal solito posto » Simone le scoccò un bacio sulla guancia, avvertendo la pace prendere il posto della preoccupazione continua di quei giorni, da quando aveva saputo della situazione, fino a pochi istanti prima. Il sorriso andava da un orecchio all'altro.

« Manuel, ti senti bene? »

Floriana si voltò a guardare il ragazzo, percependo il suo strano silenzio. Non aveva parlato da quando erano arrivati, anzi, le era stato vicino, ma ora il suo viso era come assente. Simone si preparò per coprirlo, la mano si poggiava su sua madre.

« E’ solo un po’ stanco, è tutta una giornata che camminiamo » si morse il labbro inferiore, alzando gli occhi sul suo ragazzo « è il caso che adesso ci riposiamo un po’, verso le sette chiamo la pizzeria » Simone si prolungò a dare un altro bacio a sua madre, che gli accarezzò subito la guancia. « Tu rilassati un po’ mamma »

Manuel si sganciò da Floriana, riservandole uno sguardo felice che durò il tempo di sparire dalla sua visuale, visto che sentiva sempre la testa vagare da un’altra direzione che non fosse tutto tranne che pianeggiante. La stanza vorticava ancora attorno a lui, facendolo sentire spaesato ad ogni passo. Simone stava passando oltre il corridoio, andando in camera e controllò che l’altro sapesse ancora mettere un piede dopo l’altro. Si girò in tempo prima di vederlo.

« Simone-»

Manuel si mosse appena per seguirlo, poi in un gesto scattante, le gambe giravano, la mano si piazzò alla bocca dello stomaco, l’altra si copriva il viso e Simone lo vide scomparire e correre in bagno.
Il ragazzo si trovò a seguirlo di conseguenza, richiuse di riflesso la porta alle sue spalle e vide Manuel attaccarsi alla tazza del gabinetto. Simone si inginocchiò di fronte, gli sorresse la testa indietro e gli toccò piano la schiena, passandogli ogni tanto le dita sulla spalla. Cercava di infondergli tranquillità, ma il rumore gutturale di Manuel era più presente che mai. Simone sviò lo sguardo, sapendo che quell’immagine non gli era piacevole nemmeno quando qualche volta era capitata a lui la stessa cosa. Tanto per citarne una, la "famosa larva umana", il tanto simaptico appellativo originale che aveva coniato suo padre.

« Alla fine non sei arrivato nemmeno a prenderlo il caffè » mormorò Simone, sentendo il ragazzo rimettere l’alcool della giornata.
Lo sentì svuotarsi per una decina di minuti buoni, la stanchezza gli si leggeva in faccia. Completamente sbiancato, Manuel se ne stava contro la tavola del sanitario, immobile.
Com’è giusto che fosse, la casa non era insonorizzata e quando Simone sentì bussare alla porta del bagno, capì subito che poteva essere solo sua madre. « Mamma, non preoccuparti, sta tranquilla, ci penso io! » alzò un po’ la voce, per poi calmarsi.

« Manuel, dopo ti faccio un intruglio disintossicante, » replicò lei da dietro la porta « a Simone hanno sempre fatto effetto quando tornava ubriaco »

Manuel appoggiava la mano saldamente alla tavola del sanitario, sentendo la gola rilassarsi anche se un odore acido gli pungeva il palato, diffondendosi in modo orrendo. La voce di Floriana dietro la porta lo calmò un po’, ma subito realizzò l’idea che la donna aveva capito tutto. Arricciò il naso disgustato, gli occhi si strizzavano, la bocca ridotta a una smorfia.

« Grazie Floriana » disse stancamente, provato e quasi stanco. Con la coda dell’occhio osservò Simone, presente, ancora lì a reggergli la fronte. Lo guardò preoccupato e sfinito, i ricci risultavano stremati, tirati quasi tutti indietro « Se tu madre non mi uccide, ricordamelo, la faccio santa »

« Non lo farà, » lo rassicurò « la hai sentita, no? »

« Me sento come se avessi inghiottito della spazzatura, Simò » sospirò ridendo sommando l’amaro del riso all’amaro che sentiva in bocca « ma almeno ora mi sento un po’ meno da schifo »

« Possiamo anche non ordinarla la pizza stasera eh, » gli accarezzò lentamente la schiena premuroso « se stai così, non ha molto senso »

« Non se ne parla Simone, » ribatté Manuel, alzò il capo riccio dal sanitario, seduto sulle mattonelle del bagno « tua madre è fuori da ogni pericolo e dobbiamo celebrare la cosa. Non me va de fa il guastafeste, sono già un ospite, non vorrei rovinare tutto. Me riprendo, ho solo bisogno di… » serrò gli occhi, cercando di respirare ma sentendo solo l'odore dei conati appena rigettati, che gli otturava le narici « di aria »

Simone aspettò un’altra risposta, ma Manuel se ne stava così, fermo, respirando anche troppo lentamente per capire se si fosse ripreso davvero. Dunque si tirò in piedi e aprì la finestrella del bagno, in alto alle loro teste. La prima cosa che avvertì fu il rumore di tanti piccoli spilli filiformi d’acqua battere sulla strada: stava piovendo e anche forte.

« Forse ora dovrebbe andare meglio » spalancò un po’ l’anta, mentre l’aria di terra bagnata si diffondeva per la piccola stanza del bagno « Come va adesso, meglio? »

Manuel annuì un poco, gli occhi serrati, la testa contro il muro. Le narici si aprirono, inalò un sentore di umido provenire da fuori.

« Ma che fa, piove? »

Manuel si toccò la gola, il collo gettato indietro, per guardare la lunga figura di Simone in piedi dietro di lui. Simone annuì, le mani si poggiavano per terra, mettendosi a sedere di nuovo, accanto al malcapitato.

« Siamo stati fortunati, se fossimo rincasati, ora saremmo completamente zuppi »

Quell’attimo si colorò di silenzio, col solo battito frenetico della pioggia ritmico che cadeva da sottofondo. Distesi sulle mattonelle del bagno, contro la parete liscia delle piastrelle azzurrine, la luce nella stanza che si andava via via spegnendo per via del mal tempo fuori. Manuel andava a ritroso, a quelle giornate d’inverno che erano passate in un lampo, Simone portava sempre quei maglioni sopra le camicie che lo facevano un po’ più maturo di quanto in realtà non fosse, sua madre gli gridava di vestirsi meno leggero, Dante spiegava l’ennesimo filosofo in programma, l’acqua che batteva sulle finestre fuori dall’aula.

« Questa cosa me manca, » indicò la finestra sopra di loro « ritornare fradicio da scuola fino a casa, il motorino che si ingolfa nel fango, mi madre che me dice che non devo entrà sporco dentro casa » sospirò sogghignando, offrendo la mano a Simone.

Il ragazzo arricciò il naso, vedendosi tra i corridoi di scuola, l’ansia nel vedere il professore di latino che gira con quegli sguardi furtivi e accusatori, poi le verifiche di matematica – seppur le sue preferite – a sorpresa.

« A me la scuola non manca poi tanto, » mormorò guardandolo sinceramente, Manuel poggiava la testa sulla sua spalla, i ricci sudati si posavano in intricati rami ondulati « mi mancano gli allenamenti di rugby, quelli sì… però sai, ora che ci penso, mi piace un po’ di più, » la maglia ocra si spegneva assomigliando più a un giallo spento « la pioggia intendo »

« Non te piaceva prima? » lo guardò curioso, dal basso verso l’alto.

Simone si ritrovò senza neanche sforzarsi troppo di tirare fuori quella notte in tempesta, un venerdì sera qualunque, una casa diroccata, il cellulare senza campo, la porta bloccata, un appuntamento.

« Mi ricorda troppo quella notte alla casetta di legno, sai quand’è successo » risultò già rosso in viso, solo che la penombra del bagno lo aiutava a renderlo meno palese.

Manuel si voltò verso Simone, un sorriso indecifrabile sulle labbra, gli occhi pieni.

« Se non avessi l’alito che puzza de morte, » la mano si stringeva forte, il respiro era regolare « te bacerei in questo momento Simone. La pioggia mi ha regalato te, mi ha regalato quella sera » concluse, baciando le loro le nocche intrecciate.
Simone lo guardò serio, nonostante l’odore di terra bagnata che lavava via la pestilenza improvvisa del bagno, gli sembrava di essersi ritrovato dentro una sorta di romcom fissa su un loro canale personale.

« Ma sei reale tu? »

Manuel era serio, strofinò il naso sul tessuto della maglia del suo ragazzo.

« Certo che so’ reale, Simò »

« Certe volte non me ne capacito proprio, » mormorò, guardò davanti a lui il tappetino sotto il lavandino « l’idea di te, di noi, mi lascia sempre un po’ incredulo. Mi mancherà tutto questo quando torneremo a Roma »

« Simone, » Manuel alzò il capo, puntandogli quelle iridi piccole e scure, bisognose « ce saranno altri momenti così, da qualunque parte, » il pollice gli accarezzava la pelle « certo magari, la prossima volta me metto a bere meno e magari evitiamo ‘sto mezzo casino, » l’altro ragazzo rise appena « però ne avremo tanti altri. Che siano a casa, o no, qua in Scozia o a Roma. A me non importa dove e quando, basta che ce stiamo insieme »

« Quello che voglio è non perderti »

Il cuore di Simone fece un salto in avanti, le labbra venivano morse, lo sguardo si faceva subito ansioso come se si aspettasse la risposta sul teorema dell’universo spiegata in due parole da Manuel.
Manuel fu abbastanza chiaro, sorrise leggermente.

« Questo è impossibile, Simò »

« Che ne sai tu, parliamo di adesso, ma tra qualche anno forse ti sarai già stancato, finiremo la scuola, le cose cambieranno »

« Simone Balestra, » Manuel suonò imperioso, le mani si poggiavano sulla mandibola del ragazzo, lo sguardo era acceso come un fuocherello caldo ma non invadente « c’hai la testa più dura de me. Se c’è una cosa di cui so’ sicuro è questa: noi due. Non me la toglierà nessuno, neanche se me porti gli schemini sulle probabilità e statistiche, stiamo qui, in un bagno pieno di vomito – il luogo meno romantico di tutti – eppure, a me piace lo stesso, perché me tieni la mano e mi piaci anche quando dici ‘ste fregnacce. »

Simone poggiò un bacio sulla fronte del suo ragazzo, un sorriso piccolo gli contornò le labbra.

« Ripeto: non sei reale » mormorò in un sussurro.

Manuel si fece piccolo contro il viso di quello, le labbra sigillate nel desiderio di volerlo disperatamente baciare e Simone se ne accorse. Aveva la tendenza alla prevedibilità: conosceva tutti quei segnali a memoria. « E coroniamolo questo momento nel posto meno romantico di tutti »

Simone si sporse per baciarlo delicatamente, il dito sulla punta del mento di Manuel. Si aspettò che il contatto fosse pessimo e invece il sentore fu solo un po’ aspro, crearono un sapore inaspettato. La lingua non si evitò di uscire fuori, nel momento preciso in cui Manuel si diede la libertà di invadere il palato del suo ragazzo.

« Me dispiace de non profumà de rose, Simò » rise amaramente.

« Sta zitto »

Un bagno in mattonelle si era appena trasformato – a loro insaputa - in un piccolo angolo di cielo privato, la pioggia batteva ancora fuori dalla finestrella rarefacendo l’aria all’interno dello spazio, il sole scendeva sempre più giù. Le figure di due ragazzi contro il muro, si teneva per mano, le teste si muovevano confondendosi in uno scontro di chiome confuse, quando gli occhi non vedevano, si lasciavano i baci a parlare.








Quella sera mangiarono davvero la pizza, tutti e tre seduti sul divano, con i cartoni sul tavolino del soggiorno. Floriana era riuscita nel suo intento di far bere uno strano miscuglio di acqua, limone e miele a Manuel. Aveva esitato inizialmente a inghiottire il composto, ma dopo quell’ora passata al bagno, avrebbe ingurgitato di tutto pur di sentirsi meglio. Qualche ora dopo, in effetti, il colorito di Manuel era ritornato, non sudava più freddo e con aria tranquilla, si stendeva sul divano.
Simone evitò di concedersi una birra con la cena, preferendo condividere una coca cola, in dovuta compassione con Manuel. L’aria quotidiana, semplice, in quel gesto condiviso portò il ragazzo a pensare a tutte le volte che avrebbe voluto ci fosse anche suo padre con loro. Era così bello essere tra sua madre e Manuel, e Dante – commenti imbarazzanti a parte – avrebbe completato il quadretto famigliare. Simone gli aveva inviato un messaggio poco prima, ricevendo subito una risposta.

« Mamma, ti va se chiamo papà? » il pezzo di pizza veniva posato sul cartone.

« Certo, » Floriana beveva la sua birra, mettendosi comoda sullo schienale del divano « fai una videochiamata, così ci vede tutti »

Simone annuì, aprì la rubrica e selezionò l’opzione videochiamata. Il cellulare fu posizionato contro un piccolo vaso decorato sul tavolo, come supporto. L’apparecchio squillò un poco, prima di vedere comparire il viso barbuto e occhialuto di Dante sullo schermo.

« Ma buonasera a tutti! »

« Ciao papà » Simone alzò la sua lattina di coca. Floriana in risposta si avvicinò a Simone, alzando la birra. Il ragazzo girò il telefono e inquadrò anche Manuel, che stava sospirando, il palmo della mano era aperto e il bicchiere d’acqua veniva portato alla bocca.

« Buonasera professò »

« Ve la spassate senza di me, vedo » intonò ridendo.

« Manchi solo tu, papà, » Simone si strinse nelle spalle, poi sorrise « la mamma ti ha già detto delle analisi? »

Si girò verso Floriana, quella annuì, afferrando un altro pezzo di pizza.

« Mi ha detto tutto, lo sapevo che sarebbe andato tutto per il verso giusto. Tua madre, è una forza della natura, Simone, una grande donna » suonò più come un professore che come un padre, con quella sua aria sapiente e il suo fare diplomatico.

« Adulatore » lo riprese Floriana.

Manuel guardò il modo in cui Simone annuiva sollevato, come se avere presenti anche se non fisicamente entrambi, gli avesse totalmente messo a posto il cuore e lo spirito. « E poi con la pizza si festeggia sempre qualcosa, » Dante si grattò la testa, posava il cellulare in un angolo della cucina, mentre accendeva i fornelli « io invece dovrò accontentarmi di un paio di uova perché tua nonna è andata a teatro »

« Ah ecco perché ti vedevo con un’espressione sconsolata, è andata da sola? » Simone sorseggiò dalla bocca della lattina.

« E’ andata con Lombardi, una serata “educativa” e “letteraria”, come mi ha detto lei »

« Educativa non credo proprio, più che altro mostruosa co’ quell’uomo la, professò » Manuel intervenne, il morso alla pizza si fece più grande. Simone si voltò a guardarlo, cercò di trattenere una risata.

« Beh penso che tra dotti ci si capisca al volo, » stava scaldando una padella, gli ingredienti erano accanto a lui « un po’ come tu ti capisci con Simone, no? »

Simone e Manuel si guardarono per un secondo.

« Vabbè che c’entra, suo figlio non è stronzo come quel mostro de Lombardi »

Floriana alzò un sopracciglio, incuriosita dalla piega che la conversazione stava prendendo. « Io non me ce metterei mai con uno così, letterato o no. E’ ‘na serpe, mette sempre voti bassi a tutti, anche quando studiano » il tono di Manuel era acido, scocciato, come se il pensiero del latino avesse ripreso a perseguitarlo. Simone gli piazzò una mano sul ginocchio.

« Papà effettivamente la nonna non si frequenta con qualcuno da un sacco di tempo e non è proprio una scelta magnifica quella di creare continui legami con tutti i miei professori. Però devo ammettere, che se fa felice lei, va bene »

Floriana aggrottò la fronte, posò la bottiglia di birra sul tavolino e si mise seduta dritta contro il divano.

« Legami con tutti i tuoi professori? Che vuol dire, tesoro? »

Simone si morse le labbra, Dante aveva un’espressione molto vaga e colpevole, Manuel invece, se ne stava più tranquillo che mai, si puliva le mani con un tovagliolo davanti a sé.

« Professò, fossi in lei direi quello che c’è da dire, prima di creà casini »

Simone gli lanciò uno sguardo supplichevole, Manuel fece spallucce sussurrando un ‘è meglio così’.

« Niente Floriana, » sospirò Dante, riprendendo parola « c’è stato un piccolo scambio con la prof di matematica a scuola, ma è finita subito, anzi è stata una cosa proprio inesistente »

« Ah, dimenticavo il tuo lato da acchiappa-donne, » Floriana rise cristallina, come se la cosa che avesse appena sentito fosse la più normale dopo quei giorni di agonia « hai sempre avuto un radar per quello, non ce la fai proprio. Però Dante, la prossima volta se puoi usarlo anche fuori dall’aula di nostro figlio, sarebbe cosa gradita »

« Sì e la mamma di Aureliano dove la metti in questo radar? »

Manuel si chiuse la bocca bevendo la sua acqua, Simone guardò giudicante Dante dallo schermo del cellulare, Floriana, sospirava rassegnata, porgendo un altro pezzo di pizza al figlio.

« Basta così, Simone, tuo padre è stato chiamato per vederci, non per fargli il terzo grado »

Il silenzio tagliò d’improvviso il soggiorno minimale, con i suoi divani lunghi in pelle grigi, le due librerie nere che si allungavano e davano l’aria di due colossi con ombre serpentinate sotto la luce data solo dalle due lampade moderne ai lati della stanza.

« Tuo figlio ha ragione, Floriana, » sospirò l’uomo, il rumore delle uova che sfrigolavano si sentiva forte e chiaro, mentre continuava a parlarci sopra « ho fatto degli errori non di poco conto »

« Papà, » Simone lo fermò, accettando lo sguardo di Floriana da una parte e del suo ragazzo dall’altra « dai lascia stare, di tristezza ne abbiamo avuta già troppa, che programmi hai per stasera? »

Dante annuì dallo schermo del telefono, aveva un cucchiaio di legno che si muoveva sulla pentola e con la mano destra teneva ferma la padella.

« Molto probabilmente leggerò qualcosa prima di dormire, voi, cosa prevede la serata? »

« Ma in realtà pensavamo di guardare un film »

Floriana abbozzò un sorriso, gli occhi entusiasti e le mani che battevano l’una contro l’altra. Simone la fulminò con lo sguardo « Mamma, non uno di quei film che guardiamo di solito, ti prego » la supplicò a denti stretti. Manuel si fece di colpo interessato, per l’espressione del suo ragazzo improvvisamente allarmata.

« Simone hai chiamato tu la pizzeria, almeno il film, concedimelo »

Simone sbuffò sonoramente, Dante riempiva ridendo invece.

« Perché che film guardate de solito? »

Il teppistello si accovacciò meglio sul tessuto molle del divano, aveva l'angolo della bocca sporco di salsa di pizza. Simone gli aveva preso un tovagliolo, indicandogli il punto preciso.
Sinceramente a Simone l’idea che Manuel dovesse sorbirsi due orette di commedia romantica non andava per niente giù. Pensava solo a quanto lo avrebbe preso in giro soltanto per il gusto che aveva nel guardare qualcosa di leggero qualche volta. Quei film erano per le serate sue e di sua madre, appollaiati sul divano, in un sabato sera qualunque. Non era geloso, era solo… in imbarazzato. Un imbarazzo anticipato.
I film che aveva visto con Manuel erano per lo più thriller, d’azione: amava quel genere, ma ogni tanto preferiva guardare qualcosa di meno impegnato. Ecco perché, molte volte preferiva in assenza di Floriana, guardarli in solitaria.

« Solo film belli » rispose Floriana, alzando la birra.

Simone si massaggiò le tempie, guardando la figura di suo padre che si serviva le uova strapazzate su un piatto e rovesciava malamente la padella dentro il lavandino.

« Pà, per favore dissuadila » Simone mimò un aiuto che suo padre non sembrò cogliere.

« Simone se tua madre vuole vedere un film romantico, lasciala fare »

Eccoci.

Simone sentì l’impulso di stringersi le mani sui pantaloni color cachi che aveva ancora indosso da quella mattina. Sapeva che per sera avrebbe dovuto farsi una doccia risanante e purificatrice, ma quell’idea non sembrava un male anticiparla dopotutto.

« Prima che tu dica qualcosa, » si voltò verso Manuel per chiarire « è una delle tradizioni che abbiamo quando vengo qua, ci rilassiamo, commentiamo un po’, non siamo degli assidui cinefili di commedie romantiche »

« Simone, » Floriana ticchettò sulla sua spalla, l’espressione si fece confusa « cosa c’è di male nell’amare questo genere, ti è sempre piaciuto. Ora, posso magari capire se a Manuel non piacciono, magari cambiamo film, se è questo il problema-»

« No, me va benissimo, Floriana » la voce del ragazzo era tranquilla, la pizza gli scivolò sul cartone « non me fanno impazzì, però la serata è la tua e quindi dovresti decidere te »

Simone si concentrò sulla figura di entrambi, intenti a sorridersi. Cosa sta succedendo, è un complotto? Ci pensò subito, almeno fino a quando Dante non parlò di nuovo.

« E dai che non è poi una gran tragedia, d’altra parte ora Manuel è parte della famiglia, o no? »

Sul volto di Manuel si affacciò un’espressione stupita, il bicchiere gli rimase a mezz’aria, si voltò verso madre e figlio, che gli sorridevano premurosi.
Era quella allora la sensazione che si provava ad aver trovato qualcuno che ti vuole bene e ti accetta? E soprattutto in così poco tempo, senza nemmeno essere preparati a ricevere quelle attenzioni. Manuel si ammutolì, la mano si toccava i capelli e veniva portata dietro la testa. Non c’erano state proprio tante volte nella sua vita in cui la gente gli aveva davvero detto quelle cose, eccetto Simone. E ora si aggiungevano i suoi genitori. Forse non era poi così male come persona.
« Professò, non corriamo troppo, sono solo un ospite qua »

« Oh, ma la smetti? » Simone gli scombinò i capelli, perdendo l’aria tramortita assunta pochi istanti prima « Se ti viene detto, vuol dire che lo sei »

Manuel sorrise un poco, avvertendo del calore sul volto.

« Ha ragione, sono d’accordo con te Dante » si aggiunse Floriana.

« Non so che dire, » Manuel si inumidì le labbra, le parole gli uscivano a stento « il sentimento è reciproco, voglio dì siete delle persone stupende e non mi è mai capitato de stare simpatico subito a qualcuno, non ce so tanto abituato »

« Beh, dovrai farci l’abitudine, » posò la bevanda sul tavolo « qua siamo molto seri su queste cose, almeno i 2\3 di noi lo è, » Dante emise un suono di disapprovazione in sottofondo « vero mamma? »

Floriana annuì, alzandosi e scorrendo sulla una delle due librerie per scegliere il dvd da inserire. Simone la guardò per un attimo, poi sospirò, abbassando il capo.

« Mamma non sceglierne uno troppo sdolcinato, per favore » la pregò.

« Non fa na piega comunque »

« Cosa? »

« Che te piacciono le cose romantiche, dal discorso che abbiamo fatto quando stavo a rimettere pure l’anima questo pomeriggio. »

Simone scrollò le spalle, esasperandosi internamente ma dando a vedere solo una parte controllata di sé, all’altro.
« Sono pur sempre un adolescente »

« Prendi un altro nome. Che cosa c’è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo »

Aveva pronunciato i versi di Shakespeare. L’idea che in ogni circostanza provasse a smuovergli qualcosa dentro inavvertitamente, lo faceva sentire impotente. Anche se il tono di Manuel non sembrava proprio derisorio, Simone non poteva permettere a se stesso di sciogliersi, non in quel momento almeno, in cui sua madre sembrava aver adocchiato finalmente il definitivo passatempo serale.

« Mi annoierai per il resto dei giorni con queste battute al riguardo, non è così? » chiese conferma.

Manuel gli solleticò l’orecchio col naso, un bacio gli arrivò a pochi centimetri di pelle sotto di quello. Simone si girò di poco, trovandoselo a pochi centimetri dal viso: gli occhi gli stavano dicendo “c’è tua madre, ma farei volentieri altro”.
Avrebbe tanto voluto riempirlo di baci, l’espressione non diceva altro fuorché quello, ma si stava trattenendo per via di sua madre presente.

« Solo una cosa, Simò, » si fece molto serio « un’ultima curiosità: da oggi quindi te posso chiamà Romeo? » sbatté le palpebre prendendolo palesemente in giro, Simone roteò gli occhi.

« Lo sapevo, io lo sapevo » scosse la testa, la bocca assumeva una smorfia.

« Romeo » replicò.

« Ma quanto sei scemo? »

Manuel si avvicinò al suo ragazzo e dopo tante prese di potere gli stampò finalmente un bacio sulla bocca. Dopo che Floriana ebbe selezionato il dvd, salutarono tutti e tre Dante, augurandogli una buona cena.


 
- - -




Dopo la visione del film, entrambi i ragazzi avevano dato la buonanotte a Floriana, scegliendo però di non ritirarsi subito a letto. Si divisero per chi doveva prima farsi la doccia: Manuel riuscì a giocarsela – anche per via del malore pomeridiano e andò per primo. La nuvola di vapore si era appena creata nella stanza, il ragazzo ci camminò in mezzo. Quando toccò a Simone – attento a non disturbare l’altro - quello entrò in doccia quando Manuel stava ancora passandosi l’asciugamano in testa, davanti allo specchio. La felpa gli ricadeva sulla spalla, con la canotta sotto, i pantaloni erano già quelli a righe del pigiama. Simone non ci mise non molto, per togliersi il sudore di dosso, sciacquarsi ed evitare di toccare i capelli.
Al contrario dell’altro ragazzo, Simone non aveva sudato per la quale durante la giornata, i suoi capelli erano intonsi e decise sul momento e anche per noia, di prestar loro attenzione. In realtà era diventato un gesto tutto dedito alla cura di sé ma quello che desiderava era proprio farsi una sana doccia. Lo rilassava lo scroscio dell’acqua calda sulla pelle prima di stendersi tra le lenzuola.
Simone uscì dalla doccia, allacciandosi l’accappatoio blu. Di scatto, quasi come vergognandosi, con la presenza di Manuel ancora dentro la stanza, si asciugò come poteva e soprattutto, abbastanza rapidamente.
Non erano mai stati insieme nello stesso bagno e pensò fosse meglio evitare di cadere in tentazioni. Afferrò i pantaloni da tuta che usava per dormire e la biancheria e li indossò, lasciando però il torso libero.
Rivoli di goccioline gli cascavano però lungo la linea del petto, facendosi strada sotto l’elastico dei pantaloni comodi, che gli ricadevano sulle cosce. Simone adocchiò Manuel, ancora intento a strofinarsi i capelli con l’asciugamano. La sua espressione era indecifrabile, mentre muoveva la testa da tutte le parti.

« Ancora lì stai? » si avvicinò a lui, togliendogli delicatamente la stoffa dalle mani « Dovresti sbrigarti ad asciugare quella matassa » indicò i ricci da cane bagnato del suo ragazzo, davanti allo specchio del bagno.

« Di solito non uso mai il phon, me scoccia, s’asciugano soli »

Simone sospirò, mise l’asciugamano sotto il lavello, si mosse di lato afferrando il phon dentro uno dei cassettoni bianchi.

« Ora si spiega perché sono sempre sparpagliati un po’ ovunque » ridacchiò leggermente, il tono velato di interesse, Simone attaccò la spina e si armò di un piccolo pettine « Dai, te li asciugo io, sennò dopo la sbornia, ti prendi pure un raffreddore »

Per prima cosa, Simone osservò bene la matassa davanti a lui: c’erano ovviamente dei nodi tra quei ricci. Come dei serpentelli bagnati, vorticavano e si diramavano in direzioni diverse, come fossero un piccolo elogio al mito di Medusa. Sospirò e riaprì il cassetto all’angolo, tirando fuori una boccetta di districante al sandalo. Se ne versò un po’ su due dita e cominciò a toccare piano le punte e alcune ciocche.

« Che me metti? » arricciò il naso Manuel. Era molto rilassato, con le mani abbandonate lungo i fianchi.

« Lo uso per districare i nodi, » Simone si spostò piano ai lati e poi dietro la figura del ragazzo, intento a poggiare lo sguardo sul piccolo flacone sul mobiletto, accanto agli spazzolini « non voglio tirarti o spezzarti qualche capello. E’ utile. »

« Questo è incluso nel pacchetto della guida? » scherzò Manuel. Simone ondeggiò con la testa, le dita si mossero per altri pochi secondi sopra la testa del suo ragazzo.

« Non credo, è solo dolore fisico nel vedere questo scempio che ti trovi in testa »

« Simò non so’ così preciso, voglio dì so solo capelli »

« Ed è qui che ti sbagli » Simone afferrò il phon, non senza prima sciacquarsi la mano e strofinarla sulla tovaglia al alto dello specchio.

« Quindi famme capì, te faccio schifo con i capelli miei di solito-»

Simone gli stampò un bacio sulla tempia.

« No, non ho detto questo. Tu non mi fai mai schifo »

Notò come l’altro sorrise subito dopo a quell’affermazione.
Manuel spiò l’altro dallo specchio con fare curioso, Simone si metteva dietro di lui, il pettine alla mano e phon nell’altra, sembrava quasi un parrucchiere provetto. Sentì il modo in cui molto piano, gli separava le ciocche e faceva attenzione a non fargli male. Il calore dell’attrezzo e il rumore sordo che proveniva fuori, trasmetteva un po’ di brividi sul suo corpo, facendogli rizzare i peli della pelle scoperta.
Di tanto in tanto Simone si spostava per vedere un po’ come procedeva la situazione: Manuel osservava la sua concentrazione, quasi maniacale, nel provare adesso, a mettere via il pettine e proseguire solo con le mani. Gli muoveva leggermente le ciocche, accarezzandole piano, seguendone il movimento ondulato. Le dita affusolate risultavano così grandi rispetto a quelle di Manuel, immerse tra i batuffoli dei suoi ricci. Quando Simone si spostò di lato, per asciugarli all’altezza della piccola frangia che andavano a creare sulla fonte di Manuel, quello arpionò le sue braccia lungo il bacino di Simone, coperto appena dall’elastico della tuta. Sorrideva, col vento creato dal phon che gli veniva sparato addosso, sentendo le mani del ragazzo che gli spostavano ancora il cuoio capelluto. Quando Simone cercò fargli abbassare la testa in avanti, Manuel ne approfittò per monopolizzare la spalla scoperta del ragazzo depositandoci sopra dei baci piccoli.

« Dai, Manuel » mormorò Simone, la mano posizionata sulla nuca del suo ragazzo.

« Me piace sta così e poi non c’hai la maglia Simò, » soffiò sopra la pelle chiara « il caldo me lo sto a prende tutto io »
Manuel si avvinghiò letteralmente alla vita del suo ragazzo, il naso gli solleticava la clavicola, la barbetta che pungeva. Il rumore del phon continuava imperterrito, così come il calore che si espandeva sempre più tra le loro due figure. « Sai che ‘ste piccole cose non le aveva fatte mai nessuno ‘pe me? » mormorò in tono così basso che quasi Simone dovette ricostruire metà della frase perché questa riscontrasse un senso logico alle sue orecchie.

« Tua madre non te li asciugava da piccolo? »

« Beh sì, però non è con mi madre potevo fa così » si mise in punta di piedi per un secondo, baciando Simone sulla bocca. L’aria calda del phon sollevò le ciocche dei capelli di Manuel, dietro, dalla parte opposta, sembravano aver preso vita « Dove potevo ho sempre fatto per conto mio, ‘pe non crearle impicci e cose così »

« Mi fa solo piacere farlo »

Simone se ne stava lì, radioso e premuroso, il petto ampio, il sorriso spontaneo che copriva quella nudità abbracciandola. Ci fu un po’ di silenzio scaturito dagli ultimi tocchi di calore, il vapore condensato sul vetro ora pian piano se ne andava via del tutto, abbandonando l’appannatura e rendendo le loro due immagini a fuoco, nitide.

« Ma in generale Simone, » soffiò baciandolo di nuovo « non c’ha mai pensato nessuno a fa ste cose, c’ho sempre dovuto pensà da solo alle cose mie »

Simone gli diede un buffetto sulla spalla, si limitò a sorridergli, poi spense il phon. I ricci di Manuel erano più che asciutti e apparivano anche più curati.

« Ora non sei più da solo »


 
- - -





« E comunque il film era caruccio, la fine molto realistica »

Manuel svoltò il lenzuolo, ormai la parte destra del letto era la sua, non gli piaceva tanto dormire accanto alla finestra.

« Io e mia madre lo avremo visto almeno una decina di volte » Simone si nascose le mani dentro la maglia del pigiama « e ogni volta, mi innervosisce il finale »

« Ma è finto bene, anzi » Manuel era già dentro il letto, le coperte però distanti di poco, le gambe incrociate e le mani ferme sui talloni « Alla fine per lui c'è speranza no? Cioè se capisce che la tipa non era quella giusta e infatti c'è un finale positivo »
Simone storse il naso, la coperta gli ricadde sopra la pancia, il cuscino dietro la schiena.

« È vero ma se pensi a tutti quello che lei ha fatto a lui, » mormorò critico « lo ha preso in giro, lo ha illuso per poi fare cosa, dire loro che non poteva esserci niente? »

Manuel si tirò su le coperte, il viso che restava fuori dall'ammasso del tessuto ambrato.

« C'hai ragione, ma è proprio questa la cosa realistica, » fece notare, gesticolando « lui ha dovuto capire che lei era sbagliata per andare avanti. Ha dovuto passà le pene dell'inferno per rendersi conto che poteva avere de meglio »

La piccola luce della lampada oscurava una parte della stanza, quella dal lato di Simone creandogli leggere ombre striate sul viso. Manuel non capì se stava annuendo o semplicemente riflettendo.
« In ogni caso lo ha trattato da schifo, come minimo io mi sarei vendicato, in qualche modo » sottolineò metodico.
Manuel abbassò lo sguardo, le mani di Simone erano ferme sulla federa del cuscino, grandi e lisce. Sospirò.

« Simò se magari te contattava, te sei un esperto di sfascio di macchine »

Simone scoppiò a ridere, un sorriso era visibile sul viso, rispetto alle ombre che giocavano ancora con la sua immagine.

« Ecco perché mi rivedo in quel personaggio, » riempì i polmoni, modulando la voce « perché so cosa si passa, cosa si prova nel costruirsi dei castelli di carta, un appiglio immaginario. Quando lui la idealizza, » cominciò a spiegare « percepisco ogni cosa. In quel momento ci crede perché sta vivendo qualcosa di nuovo, di bello e non ha paura di rimanere scottato. È questo che mi fa stare male per lui, mi fa entrare in empatia. »

Manuel annuì. Simone era sempre stato molto chiaro con le parole, suo malgrado. Non era mai sbagliato o quando lo era, era perché non voleva essere troppo diretto e allora addolciva la pillola. Gli piaceva quel suo lato, attento, di arrivare alle cose senza farle esplodere, cosa invece in cui Manuel sembrava essere un maestro di prima categoria.
La mano si mosse sopra il materasso, raggiungendo quella di Simone. Ci giocò piano, le dita si intrecciavano lente, nel silenzio totale. Forse era pure quella una parola chiara. Manuel stava implicitamente dicendo: io ti capisco, ma preferisco dirlo così. Oppure quando si distraeva a osservarlo fin troppo e quelle erano già due parole ben note.

« Simone, posso farti una domanda? »

« Vai, spara »

« Quando hai capito che te piacevo? »

La testa di Simone ricadde in avanti.

« Ah, così, a bruciapelo, proprio? »

« Beh, io te l'ho detto più o meno, tutta la storia la sai già »

Simone annuì. Le dita si toccavano ancora, si fermò a guardarle.

« Non so bene proprio con esattezza. Ma so per certo che quando mi trovavo con Laura, quello che sentivo era di volerle bene, ma mancava qualcosa. Mancava lo svegliarmi col suo pensiero, mancava anche solo volerla rivedere il giorno dopo. Tutt'ora se ci penso, i segnali c'erano tutti, solo che non pensavo fossero giusti » deglutì piano, gli occhi si alzarono sul ragazzo di fronte a sé « Quando stai tanto tempo con qualcuno, arriva l'abitudine a fregarti, la monotonia. Pensavo mi fosse successa una cosa simile, ma non era così. Poi ti vedevo a scuola, vedevo come ti sedevi, come ridevi alle battute di quel coglione di un nostro compagno di classe o come ti portavi la matita alla bocca, come rispondevi ai prof…» Simone sembrò sgombrare tutti quei piccoli lucchetti della memoria uno ad uno, aprendo la serratura che li teneva custoditi « Erano cose banali, me ne rendo conto, ma era quanto bastava. Bastava per capire che ero già dentro qualcosa più grande. E la cosa peggiore è che ero totalmente invisibile per te, Manuel. Potevo immaginarmi ogni cosa, ma restava comunque nella mia testa. »

Manuel si avvicinò piano, il peso sul materasso fece gracchiare le molle, il suo viso era così vicino a Simone, che sentì quasi il suo respiro mozzarsi in gola.

« Quando l'ho capito è stata una liberazione, ma mi sentivo anche incasinato da morire » sospirò riguardando ancora la presa delle loro mani unite « insomma, mi ero scelto il tipo più ambito, più popolare se non discusso della classe, la solita fortuna » un riso amaro venne fuori come un'onda sonora fuori tempo « Sì, diciamo che la macchina sfasciata è stata una vendetta ma anche una realizzazione totale, anche se era cresciuta già prima. »

Manuel avvertì il silenzio improvviso di Simone, l'idea era quella di riuscire a rispondergli qualcosa, ma non gli veniva niente da dire. Tutte quelle parole erano scivolate come burro, come una lama e al contempo del miele che arrivava dopo una nota amara. La sensazione fu subito di colpa, poi però analizzandola meglio, non era quello che doveva ripetersi. Erano mesi che continuava a ripetersi che avrebbe potuto fare di più, per entrambi. Adesso, trovandosi lontani km da Roma, dopo aver conosciuto Floriana, aver passato ancora più tempo insieme, Manuel sapeva di non doversi rimproverare nulla: stava rimediando a quel muro invisibile che aveva posto tra lui e Simone, prima di tutti quei mesi di relazione, prima del realizzare che si fosse innamorato di lui.

« C'era Chicca che piangeva » imitò o almeno provò a farlo, la voce dell'altro.

Simone rise un poco, la mano si allungava sulla schiena di Manuel sganciando la presa.

« Per favore, non sapevo come cazzo uscirne e ho detto la prima cosa che pensavo »

« E c'era Manuel che non capiva un cazzo » mormorò piano.

Ritornava il silenzio, le fronti si toccavano, i nasi si sfioravano. Quando Simone si aggrappò ancora di più alla schiena di Manuel, quello lo baciò pieno di impeto. Le bocche si mossero con calma, lentamente, dandosi tutto il tempo per studiarsi. Un piccolo mugolio si levò dalla bocca di uno quando si staccarono bisognosi di aria e quando le mani cominciarono a muoversi un po' ovunque. Tutto prese più ritmo quando la figura di Manuel si portò sopra Simone, le mani a coppa sulla mandibola, la presa sulle labbra salda più di prima. Simone vagava per la schiena del ragazzo, toccando il lembo dei pantaloni del pigiama, passandoci attorno con le dita. Già premuti l'uno sull'altro, un altro gesto portò Simone a sentirsi totalmente vulnerabile sotto la presa di Manuel: la mano di quello era finita dentro i pantaloni della tuta e vagava libera, fermandosi sull'interno coscia, salendo per l'inguine coperto dalla biancheria.

« Manuel dobbiamo fare piano » soffocò una voce già andata a farsi benedire dal contatto che gli scatenava ora il salire e scendere di Manuel lungo il suo collo.

« Non se muoverà una foglia qua dentro, » mormorò rocamente « parola di lupetto » notò le due dita libere col segno della pace tirate su, vicino alla faccia.

Simone lo riprese sopra di sè, le mani gli sfilavano veloci la canotta, lasciandolo a petto nudo. La sua figura si trovava adesso a cavalcioni sopra di lui. La luce giocava con l'inchiostro del serpente sulla pelle e i ricci sembravano una corona perfetta sopra la sua testa. Manuel fece lo stesso, eseguendo una manovra alquanto sprecisa, data la differenza d'altezza e la lunghezza del suo ragazzo.La maglia si intrappolò sulle braccia di Simone, provocando in lui una risata.

« Aspetta, aspetta »

« Questo è perché sei un gigante Simò » riuscì a sfilargli l'indumento poco dopo, buttandolo senza troppo cura a terra.

« Sei tu che sei troppo secco »

Prese a baciarlo di nuovo e questa volta il suo peso finì sopra il più piccolo, invertendo le posizioni. Manuel non sembrò lamentarsi troppo, la mano vagava già ad abbassargli la tuta, mentre Simone avvertiva alle narici l'odore del suo stesso balsamo che aveva usato per i suoi capelli ricci.
I pantaloni rimasero bloccati a metà e Simone si aiutò come poteva per scalciarli via dalle gambe. Ci riuscì, ma poco dopo Manuel si arpionò letteralmente, al suo sedere, come se fosse una cosa su cui mettere il proprio marchio personale. Simone allora caricò tutta la forza, le mani si misero in azione e quando abbassò anche i pantaloni di Manuel, quelli vennero via subito invece, con due gesti secco e veloci. Quando si trovarono entrambi in boxer, il passo successivo fu cercare la protezione. Simone frugò in uno dei cassetti in camera e uscì un preservativo, lo aprì tirando la linguetta. Si stava abbassando l'ultimo indumento rimasto, quando Manuel lo colpì con uno sguardo accigliato, forse bastonato.

« Mica c'hai fatto roba con qualcuno per caso su sto letto? »

Simone si intenerì all'istante. C'era stata una volta sola in cui avrebbe voluto fare altro e agire cancellando il ragazzo, ma non c'era proprio riuscito. Neanche se si fosse trovato in una situazione di vantaggio, Simone avrebbe rinunciato a rimanere fedele a se stesso.

« Sì, un po' di ragazzi in effetti, facevano la fila dietro la porta » lo prese in giro. Manuel restava comunque serio. Simone si piegò in avanti sopra di lui, un bacio sul naso « Non c'ha dormito nessuno prima di te, scemo »

« Oh meno male »

Il sollievo di Manuel lo incoraggiò a riprendere quello che aveva fermato prima del suo intervento di chiara gelosia.

« Avevi dubbi per caso? »

« Che ne so, so sei stato co' Christian »

« Non c'ho fatto niente con lui, nè con nessun'altro » Dopo fu tutto molto veloce. I boxer di Simone furono tolti, infilò la protezione su di sè e con uno sguardo rapido, notò Manuel che lo guardava di sottecchi: puntati addosso come due insegne che lampeggiavo, eccoli, che ritornavano, prepotenti.

« Manuel »

« Certo però, che coglioni, è toccata solo a me la fortuna de sta visione »

Manuel fece tutto da solo, non c'era neanche stato bisogno dell'intervento del ragazzo. Anche lui libero da costrizioni di tessuto, il cuore che pompava contro il petto. Lo tirava giù baciandolo, schiacciandogli il naso.
Quando Simone si spinse dentro di lui, le sue gambe erano già avvinghiate contro il suo bacino, la presa era artigliata lungo le sue scapole, il respiro si spezzava.
Il respiro si mischiò al sudore e in poche battute, Simone si ritrovò a sostenere il ritmo, con i gemiti di Manuel che spacciava per lo stridio di una sirena. Mischiare le due cose era sempre un po' denso, un po' dolce, un po' tante cose assieme. Simone capiva di sentirsi integro soltanto quando osservava Manuel presente anche con gli occhi socchiusi, la bocca semiaperta, il petto che veniva intrappolato dal suo.
Quando Manuel gli morse la pelle sopra la spalla, capì che si stava trattenendo. Soffrì a non sentirlo chiamare il suo nome nella notte. Nell'altra stanza c'era pur sempre Floriana che sveglia o no, poteva benissimo immaginare cosa stesse succedendo in camera sua. L'immagine svanì subito dopo perchè con un'altra spinta, Simone sembrò toccare un punto ancora ignoto e fu proprio in quel momento che Manuel non si trattenne più.

« Simone! » il suo suonò come un urlo spezzato contro il suo orecchio, il viso era nascosto nell'incavo del suo collo, minuscolo, come rattrappito in cerca di protezione. Simone riuscì a trovare il suo naso, a tentoni, lo sfiorò con la bocca. Questa si spalancò in un bacio sporco, disordinato, bisognoso, mentre ancora una volta si prendeva spazio dentro il suo ragazzo, che non smetteva adesso, di prounciare le sei lettere del suo nome « S-simone » la mano gli stringeva la pelle, l'altra se lo tirava per il mento.

« Manuel » sussurrò « cerca di fare piano » lo baciò all'angolo della bocca.

« S-simone non me dì quello che devo fare, sta zitto e muoviti! » mormorò incalzandolo, ma non era intimidatorio così, senza fiato, i ciuffi di ricci già incollati alla fronte. Manuel lo stringeva di più.

Simone non si lasciò più dire nient'altro. Continuò a fare l'amore con il suo ragazzo, sentendolo gemere contro di lui, trovando ogni tanto qualche risposta ripetendo il suo nome, totalmente coinvolto in quel vortice di sudore, concitazione, perdizione. Raggiunto l'apice, Simone si slegò da Manuel, arrivando poco dopo ricadendo a lato del letto, le braccia larghe sul materasso, il fiato che veniva recuperato. La sua posizione non durò poi tanto, perché Manuel lo raggiunse poco dopo, la testa venne accolta e gli finì sotto il braccio.

« Credevo di morire »

Simone si girò a guardarlo.

« Esagerato » riprendeva fiato, ancora.

« Forse tu non lo sai, » Manuel gli metteva un dito dritto in pieno petto « ma ogni volta me fai annà in paradiso »

« È un modo carino per dirmi che faccio crepare la gente? » arricciò il naso, confuso.

Manuel sorrise sornione, le labbra gli baciarono il petto, una volta spostato il dito.

« È un modo carino 'pe dirte che sei na bomba a letto » concluse.

Simone si ritrovò a ridere fragorosamente, i denti venivano fuori, il tono di voce non riuscì ad abbassarsi, nemmeno quando l'altro gli intimò di farlo. Manuel arrivò addirittura a tappargli la bocca.

« Ma che te ridi, Simò? Ho detto na cosa bella. Poi dicevi a me de fà silenzio! »

« È che sei un comico, Manuel » gli accarezzò il fianco tatuato con la mano.

« Però te piace questo comico, eh » la bocca gli stuzzicò il collo, la mandibola « eccome se te piace »

Tra il braccio e il petto del suo ragazzo, il braccio ancora steso attorno, si addormentò così, con quell'odore che ora sapeva di umido ed essenza di sandalo in mezzo. Simone risentì nella sua testa quelle parole tanto vere adesso, prima di raggiungere Manuel nel sonno: ora non sei più solo.





Clo's: questo phon mi ha creato più scompensi di quanto non doveva.
Come rovinarmi un altro oggetto quotidiano: fatto.
Romeo Simone + momento Manuelico introspettivo: fatto
Volevo ringraziare - non farò nomi - una nuova aggiunta che mi ha scritto delle parole stupende, arrivata oggi a casa dall'uni ho trovato una tempesta di recensioni piene di parole - solo belle, augurandomi di non smettere di scrivere.
Grazie, anche a te, queste cose mi fanno sempre bene.

 
   
 
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