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Autore: FluffyHobbit    06/03/2022    1 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]Sequel di "Tu non innamorarti di un uomo che non sono io"
Dal testo:
"Non vedo l'ora che arrivi stasera, 'o sai?"
[...]
"Ma se siamo svegli da tipo cinque minuti…"
[...]
"Sì, ma oggi è una giornata speciale e stasera lo sarà ancora di più."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Simone, dopo quella visita di Sbarra, venne totalmente abbandonato a se stesso. Era riuscito a dormire un po'  -più che altro gli sembrava che il suo corpo si fosse spento per poter spegnere anche il dolore- ma non poteva certo dire di essersi riposato. Senza il calore del corpo di Manuel, il profumo della sua pelle e le carezze che si scambiavano ogni sera era ormai impossibile per lui riposare davvero, anzi si chiedeva come avesse fatto tutti quegli anni senza di lui. Forse per tutta la sua vita non aveva fatto altro che spegnersi e basta.

Non appena riaprì gli occhi desiderò di non averlo fatto: il dolore che non aveva avvertito in quel periodo di sonno -breve o lungo, non lo sapeva- era tornato a farsi sentire con gli interessi e se possibile lo stanzino era piombato in un'oscurità ancora più profonda, la notte era entrata senza bisogno di passare per le finestre, che del resto lì non c'erano.

Il tempo passava lentamente, così lentamente da sembrare fermo, e l'unica cosa che ne testimoniava lo scorrere era il vociare ovattato che proveniva dall'altra parte della porta. Riconobbe la voce di Sbarra, poi forse quella di Zucca, mentre le altre per lui erano del tutto sconosciute. Da un lato desiderava sentire quella di Manuel, dall'altro sperava che il suo ragazzo non si presentasse lì, ma sapeva bene di poterlo soltanto sperare, perché era impossibile che l'altro non andasse a cercarlo, soprattutto se Sbarra gli aveva già parlato.

Ad un certo punto ogni voce si spense e Simone non ebbe neanche più quella magra compagnia a distrarlo. Come un'ombra lenta, un profondo senso d'angoscia si impadronì di lui, strisciando lentamente fino al suo cuore, che cominciò a battere all'impazzata. Si sentiva come quando da piccolo si svegliava in piena notte per un brutto sogno e nel buio della sua cameretta gli sembrava si nascondessero mostri terribili. Un po' li vedeva anche adesso, quei mostri, come se avessero dato il cambio a quelli che fino a poco prima si trovavano al di là della porta, ma lui non era più un bambino e non si trovava nella sua cameretta, non poteva chiamare la mamma per mandarli via. Doveva affrontarli da solo.

                                                                                                     *****

Manuel non aveva chiuso occhio tutta la notte e quando allo spuntare dei primi raggi di Sole si decise a lasciare quella stanza troppo vuota per lui, si rese conto che non era stato l'unico a passare la notte in bianco. Sua madre, Dante e la nonna di Simone erano seduti in soggiorno, ciascuno con una faccia da funerale che per Manuel furono come pugni nella pancia. Dante, in particolare, sembrava invecchiato di dieci anni in una sola notte.

Fece per tornare sui suoi passi, sperando di non essere stato visto, ma sentì sua madre chiamarlo e si bloccò.

"Tesoro, vieni qui. Sei già sveglio?"

Gli chiese dolcemente, con un sorriso, anche se dai suoi occhi si vedeva che era preoccupata. Manuel, tenendo lo sguardo basso per i sensi di colpa, si trascinò nella stanza.

"E chi ha dormito, ma'."

Sussurrò e Anita si alzò per abbracciarlo, stringendolo forte. La lasciò fare per qualche secondo, poi si separò da lei per andarsi a sedere al tavolo, in disparte dai tre adulti che invece erano sistemati sul divano. Si era accorto di non riuscire a sopportare neanche il contatto fisico, oltre a quello visivo. Sentiva gli occhi di Dante puntati addosso, sentiva il suo giudizio su di sé come non succedeva neanche a scuola e sapeva che era soltanto per l'affetto che provava nei confronti di sua madre che non l'aveva sbattuto fuori di casa.

"Lo so che me vuole di' qualcosa, prof. Avanti, lo faccia."

Interruppe quel silenzio assordante che non riusciva più a sopportare, trovando il coraggio di alzare gli occhi verso quelli dell' adulto. Nonostante fosse ormai il compagno di sua madre, nonché padre del suo ragazzo, non aveva smesso di considerarlo il suo professore né di chiamarlo così. Era una forma di rispetto, per lui.

"L'unica cosa che voglio dirti, Manuel, è che sei un irresponsabile! E te lo sto dicendo da padre, non da professore! Ti rendi conto del pericolo che corre Simone? Perché non mi hai dato ascolto quando ti ho detto di lasciar perdere quel criminale? E perché non ci hai parlato dei problemi che avevi con lui?"

Manuel avrebbe preferito sentirsi urlare addosso, vedersi scagliata contro tutta la rabbia che un uomo può provare e invece la voce di Dante era quasi un sussurro, incrinata, come se quell'uomo sempre energico non avesse più avuto forze in corpo. Faceva male vederlo così.

"Perché pensavo di poter gestire tutto, di essere più furbo di Sbarra...ma sono stato un coglione, lo so."

Anche la sua voce era rotta, tremava come tremavano le mani che cercava inutilmente di tenere ferme. Dante sospirò profondamente.

"Non sei stato un coglione, sei stato un ragazzino. Perché questo sei, Manuel, anche se ti piace pensare di essere già grande. Mi dispiace, ma adesso dovrai crescere in fretta, perché soltanto tu puoi aiutare Simone. Claudio ci ha consigliato di farci da parte."

Spiegò, con un certo rammarico misto a fastidio. Manuel, a dire il vero, non sapeva nulla di ciò che si erano detti.

"Vi ha detto questo, quindi?"

La nonna di Simone, rimasta ferma e in silenzio fino a quel momento come se con la testa fosse stata da un'altra parte, annuì.

"Ci ha consigliato di comportarci come se non sapessimo niente di questo mascalzone che ha rapito mio nipote, come se per noi si trattasse di una sparizione inspiegabile e ci ha dato il nome di un ispettore che conosce. Più tardi Dado andrà a fare una finta denuncia, deve essere tutto credibile. È un copione che non avrei mai voluto recitare, ma un attore non è sempre libero di scegliere i propri ruoli."

Anche in quella situazione, Virginia non aveva perso la compostezza che sempre la caratterizzava, almeno a prima vista. Manuel, nelle ultime settimane, aveva imparato a conoscerla un po' e notò il tremolio alle mani e i capelli leggermente fuori posto che tradivano tutta la sua preoccupazione. Si sentiva terribilmente in colpa anche nei suoi confronti.

"Anch'io voglio che Simone torni a casa sano e salvo e lo so che avrei dovuto pensarce prima, ma…"

Non riuscì a completare la sua stessa frase, non sapeva cosa aggiungere. Cosa avrebbe potuto dire? 'Ma ve lo riporterò a casa sano e salvo'? Una promessa che non era sicuro di poter mantenere. 'Ma vi chiedo di fidarvi di me'? Neanche lui si fidava di se stesso, come poteva chiederlo a loro? Abbassò lo sguardo, sospirando, e il soggiorno piombò di nuovo nel più totale silenzio.

                                                                                                     *****

Simone si ridestò improvvisamente, non ricordava nemmeno di essersi addormentato. Gli stava accadendo sempre più spesso e ogni volta che si svegliava si sentiva più stordito di prima. Preferiva quei momenti di sonno, se così si potevano definire, perché quelli in cui era cosciente di ciò che succedeva intorno a lui erano diventati un vero Inferno, quasi in senso letterale: se aveva interpretato bene l'alternanza di chiacchiericcio e di silenzio, erano trascorsi quasi due giorni da quando era stato portato lì e la porta era rimasta chiusa per tutto quel tempo, trasformando la piccola stanza in una sorta di grande forno e facendo di lui l'arrosto delle grandi occasioni, la portata principale. Fece una risatina a quella buffa associazione mentale -ci stava proprio bene, era anche legato come un arrosto-, subito sostituita da una scarica di colpi di tosse.

Lo stanzino, infatti, oltre ad essere caldissimo, era anche pieno di polvere e lui la stava respirando da fin troppo tempo. La tosse non fece altro che acuirgli il bruciore alla gola, che tentò inutilmente di placare deglutendo un po' di saliva. Non ricordava neanche più quando aveva bevuto l'ultimo sorso d'acqua e avrebbe dato una gamba per averne un bicchiere.

Poggiò la testa contro il tubo dietro di lui, che ormai quasi considerava una parte di sé, per cercare di darsi un po' di stabilità e di aggrapparsi a qualcosa che lo aiutasse a far passare quel senso di vertigini che lo tormentava costantemente. Le vertigini erano in buona compagnia, a tormentarlo c'era anche il sudore, che gli faceva bruciare la pelle nei punti in cui i lividi presentavano qualche graffio, e un tanfo di cui, suo malgrado, poteva incolpare soltanto se stesso.

Una buona notizia però c'era, o almeno Simone se la raccontava come tale, e cioè che i dolori in tutto il corpo sembravano essere andati via, almeno se restava fermo, sostituiti da un generale senso di torpore, che però lo aiutava a non muoversi e quindi a non soffrire.

Aveva anche imparato a fare tesoro di quei brevi attimi di passaggio tra la veglia e l'incoscienza, piccoli momenti di grazia in cui riusciva a vedere Manuel, bello come sempre, e talvolta anche a sentire anche le sue mani delicate che lo accarezzavano. Gli sussurrava sempre parole dolci che Simone custodiva nel cuore, una volta sveglio. Si trattava di allucinazioni, ne era consapevole, ma paradossalmente erano l'unica cosa che lo aiutava a non dare di matto, a resistere, nell'attesa che succedesse qualcosa.

Ecco, stava entrando in un altro di quei piccoli momenti preziosi, sentiva gli occhi che si chiudevano, ma se voleva assaggiare un briciolo di felicità doveva sforzarsi di tenerli aperti ancora per un po': Manuel era seduto accanto a lui, nel verso opposto al proprio e gli sorrideva, illuminando la stanza con la forza della sua luce. Simone gli sorrise di rimando e d'istinto si sporse verso di lui, ma le manette lo tenevano bloccato anche in quegli attimi di sogno e lui allora si mosse di nuovo, poi ancora una volta, facendo uno sforzo sovrumano nelle sue condizioni, per cercare di liberarsi ed emise un gemito di frustrazione quando non ci riuscì. L'altro ragazzo lo placò con una carezza sul ginocchio, infilando la mano poco sotto i pantaloncini della divisa.

"Non toccarli, sono sporchi. Sono sporco."

Mormorò Simone, pieno di vergogna, ma Manuel fece una risatina -il suono più bello del mondo- e si avvicinò a dargli un bacio a fior di labbra. Un istante dopo, Simone crollò.

Si risvegliò in un momento di quiete, segno che i traffici di Sbarra per quella giornata erano finiti e che per Simone era passato un altro giorno di prigionia. Doveva essersi sbagliato, però, perché dopo un po' sentì di nuovo una voce, o meglio un grugnito che corrispondeva a Zucca, poi quella di Sbarra che parlava con una terza voce, più bassa, ma che doveva appartenere ad una persona giovane. Tutto arrivava ovattato alle sue orecchie, anche a causa del suo non essere del tutto lucido, quindi impiegò un po’ di tempo a realizzare chi si trovava dall’altra parte della porta. Quando lo capì, però, non ebbe più dubbi.

"Manuel! Manuel!"

Gridò, più e più volte, cercando dentro se stesso quel poco di voce che doveva essergli rimasta. Non si trattava di un'allucinazione, stavolta.

                                                                                                      *****

Manuel non era riuscito a resistere più di mezza giornata a casa Balestra, nonostante ormai fosse anche casa sua: senza Simone ogni stanza era vuota e quel vuoto lo avvolgeva tra le sue spire, lo stritolava, lo soffocava. Sarebbe impazzito a restare lì e non poteva permetterselo, doveva restare lucido come aveva detto Claudio. Fu proprio l'avvocato a scrivergli che, se voleva, poteva andare a stare da lui per un po', e lui non esitò ad accettare.  Cominciava a capire perché Simone si fosse affidato a quell'uomo quando era stato male -per colpa mia, gli ricordò la sua testa-, era come se avesse il potere di leggere nei cuori feriti delle persone e sapeva come prendersene cura. Manuel gli era molto grato di quella gentilezza, che in fin dei conti non gli doveva, considerando che aveva anche provato a spaccargli la faccia.

"Secondo te cosa accadrà domani sera?"

Domandò all'uomo seduto accanto a lui sul divano. Era notte fonda, tra meno di ventiquattro ore sarebbe dovuto andare da Sbarra -da Simone- e nonostante si sentisse stanchissimo non riusciva minimamente a dormire.

Stringeva tra le mani una tazza di camomilla -nonostante facesse piuttosto caldo era stato Manuel a chiedere a Claudio di poter bere uno dei suoi 'intrugli', sperando che potesse fare qualcosa per distendergli i nervi- e teneva lo sguardo basso, fisso verso un punto indefinito del pavimento. Era terrorizzato dagli scenari che si affollavano nella sua mente. Claudio fece un profondo sospiro.

"Te lo dico chiaramente, Manuel, così non ti fai illusioni: non aspettarti di tornare a casa con Simone, domani."

Il ragazzo si sentì di nuovo annegare nel vuoto. Non era ingenuo, sapeva che Sbarra non gli avrebbe restituito Simone non appena si fosse presentato alle porte dello sfascio, ma un po' aveva sperato di far finire quell'incubo l'indomani. Ogni speranza morì con le parole di Claudio.

"Sarebbe troppo bello, eh? Ma troppo facile…"

Commentò con amarezza, per poi passarsi una mano sul viso stanco. Claudio sollevò un angolo delle labbra in un sorrisetto che non aveva nulla di allegro.
"Sarebbe poco conveniente per Sbarra. Rapire qualcuno ha dei rischi considerevoli, se lo si fa è perché si è certi di poter ottenere qualcosa che valga di più."
Manuel si accigliò, perplesso. Cosa poteva mai dare a Sbarra, lui? Non aveva certo i soldi per pagare un riscatto, né poteva essergli particolarmente utile per i suoi affari. Insomma, di ragazzetti da mandare in giro a spacciare o a minacciare negozianti poteva trovarne a bizzeffe.

"Ma...io pensavo me volesse solo dare una lezione, perché l'ho tradito. Ora, lo so che non se accontenterebbe de un biglietto di scuse, che me chiederà de fare qualcosa, però...non è poi tanto difficile trovare qualcun altro come me, no?"

Claudio annuì, pronto a spiegarsi meglio.

"E questo è vero, in generale, ma tu in questo momento sei molto più di una semplice pedina nei suoi loschi affari. Sei un simbolo."

Bevve un po' di camomilla, poi fece spallucce.

"Sei uno che ha provato a disobbedirgli, a ribellarsi e lui adesso, attraverso te, sta dimostrando cosa succede a chi ci prova. Sono sicuro che ti riempirà di...chiamiamoli incarichi, nei prossimi giorni, è importante che la gente veda che sei tornato a lavorare per lui. In questo c'è il tuo valore, Manuel, ed è questo il motivo per il quale terrà con sé Simone ancora per un po'. Non può dartela vinta facilmente, capisci?"

E il ragazzo annuì, mentre i sensi di colpa e il terrore gli mordevano l'anima.

"Questi lavori che mi darà, io...dovrò farli, allora? Così lascerà in pace Simone?"

Quella era la sua unica preoccupazione, il suo unico desiderio. Si sarebbe fatto arrestare, chiudere in carcere, qualsiasi cosa per salvare il suo Simone.

"Dovrai accettarli e senza fare storie, a prescindere da cosa ti proporrà, ma ciò non vuol dire che dovrai effettivamente eseguirli. Ne parleremo insieme e troveremo delle soluzioni alternative. Andrà tutto bene."

"Claudio, però qui c'è in gioco Simone. Cosa accadrebbe se Sbarra si accorgesse che lo sto prendendo in giro? Che lo voglio fregare?"

I suoi occhi sembravano ancora più scuri, presi dall'angoscia, e non trovarono conforto nemmeno in quelli di Claudio. Era una preoccupazione troppo pesante, insostenibile. Non poteva fare cazzate.

"Accadrebbe esattamente ciò che temi, perciò dobbiamo essere molto cauti. Tu, poi, devi mantenere la calma, ok? Mi devi promettere che non importa ciò che Sbarra dirà o farà, non dovrai andare in escandescenza. Anche se non ti dovesse far vedere Simone."

Claudio aveva ragione e Manuel ne era consapevole, ma come poteva mantenere la calma se già si sentiva impazzire? E poi aveva bisogno di vedere Simone, doveva capire in che condizioni si trovasse, perché la sua testa continuava a proporgli immagini sempre peggiori.

"È questo il problema, io lo so già che combinerò un casino e metterò ancora più in pericolo Simone, so fare solo danni. Dante m'ha detto che devo fare l'adulto, ma la verità è che c’ha ragione, io so' soltanto un ragazzino. Vorrei essere come te, Claudio, ma ho paura di non riuscirci. Ho paura de un sacco di cose, so' peggio de un bambino."

Disse quell'ultima cosa con gli occhi bassi e pieni di lacrime, quasi in un sussurro. Con Simone aveva imparato ad aprirsi, ma nei confronti del resto del mondo manteneva la sua diffidenza.

La situazione però era particolare, Simone non poteva ascoltarlo e lui si sentiva scoppiare, aveva bisogno di tirare fuori almeno un po' di tutto quel peso che si sentiva dentro. La diffidenza però c'era sempre ed era entrata in contrasto con il suo bisogno di urlare ed ecco perché aveva sussurrato. Ciononostante, Claudio lo aveva sentito e gli sorrise comprensivo, come un padre farebbe nei confronti del figlio. Almeno, Manuel immaginava che fosse così, dato che lui non aveva mai avuto un padre.

"Guarda che essere un ragazzino, vivere la tua età, non è una cosa sbagliata. Ti dirò di più: anche io ho paura, anche io mi domando se sarò in grado di prendere le decisioni giuste, quelle che aiuteranno Simone. Essere adulti, però, non significa non avere paura, ma prendersi le proprie responsabilità e tu lo stai facendo, perché anche tu corri dei rischi ad andare da Sbarra. Qualcun altro si sarebbe tirato indietro."

Manuel liberò un piccolo sbuffo, in un altro momento si sarebbe concesso una risatina: per lui era inconcepibile non aiutare la persona che si amava.

"Questo qualcuno, allora, non ama."

Replicò con voce un po' più alta, più ferma e sicura, così come fermo e sicuro era l'amore tra lui e il ragazzo che aveva il suo cuore accanto al proprio. Claudio annuì, concordando con lui.

"Cerca di amare anche te stesso, però. Non fare cazzate, perché possono prendersela anche con te. Ti ricordo che Sbarra ce l'ha con te, Simone è soltanto un mezzo."
"Me? Ma che me frega de me! Tu hai idea di come sta Simone, di quello che sta passando? Mi farei spezzare le gambe, pur di restituirgli la libertà!"

Nell'esclamare ciò, preso dall'impeto, Manuel aveva risollevato la testa e Claudio si accorse delle lacrime che gli rigavano le guance e arrossavano gli occhi. Oltre a questo, era anche visibilmente stanco. Scelse di non sottolineare la cosa, però, perché preferiva che Manuel si liberasse, invece di trattenersi per la vergogna.

"Allora vedila in questo modo: ama te stesso perché Simone ha bisogno di te."

Così dicendo si alzò in piedi e lo invitò a fare lo stesso con un cenno.

"E tu hai bisogno di dormire. Andiamo, dai."

Manuel scosse il capo, ostinato.

"Te se vuoi va' pure, io resto qua, tanto a dormire non ci riesco, ci ho provato anche prima, mi hai visto."

"Sì, ma adesso ti sei sfogato un po' e hai anche bevuto la camomilla, ti aiuterà a rilassarti. Dai, forza…"

Manuel sbuffò, ma si decise ad alzarsi. Dopo un paio di passi, però, si fermò di nuovo.

"Senti, Claudio...non è che potresti venire anche tu? Solo per un po', eh, magari...magari aspetti che mi addormento. Per favore."

Domandò imbarazzato, senza guardare in faccia l'avvocato. Gli sembrava di essere tornato a quando aveva cinque anni e chiedeva alla madre di dormire con lui perché pensava di avere dei mostri sotto al letto. Quelli non c'erano più, ma adesso, che era più grande, altri li avevano sostituiti: i mostri che doveva affrontare erano la solitudine e la paura. Claudio gli si avvicinò, sorridendogli comprensivo.

"Certo, non ti preoccupare. Andiamo."

Gli mise una mano sulla spalla e lo accompagnò nella camera degli ospiti, poi si distese a letto accanto a lui.

"Secondo te Simone pensa che l'abbia abbandonato?"

Sussurrò dopo qualche istante, stringendo un lembo del cuscino. Era uno dei tanti sensi di colpa che gli impedivano di dormire. Claudio scosse appena il capo.

"No, sono sicuro di no. Sa che faresti di tutto per lui e si fida di te."

"E te che ne sai de quello che pensa Simone?"

Domandò, un po' sorpreso da tutta quella sicurezza. L'avvocato fece una risatina.

"Beh, perché ogni tanto ci sentiamo e Simone non fa altro che parlarmi bene di te, quindi lo so perché me l'ha detto lui. È felice di stare con te, Manuel, non dubitarne mai."

Il ragazzo accennò un sorriso, anche se la preoccupazione non lo fece arrivare agli occhi, lucidi d'amore.

"Voglio solo essere degno di questa fiducia."

"Lo sei, anche se non te ne rendi ancora conto. Dai, adesso prova a dormire."

Manuel annuì appena, poco convinto, ma contro sua ogni aspettativa, dopo essersi girato e rigirato per un po', si spense, esausto. Il suo ultimo pensiero fu il sorriso luminoso di Simone, sperava con tutto il cuore di poterlo rivedere presto.
   
 
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