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Autore: Nao Yoshikawa    10/03/2022    14 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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[Mayuri/Nemu by me]

 
Capitolo sette

Due minuti sembravano infiniti. Orihime si era detta di non rimanerci male nel caso in cui il test fosse risultato negativo. Dopotutto era abituata.
No, era una bugia. A certe cose non ci si abituava mai. E provare a essere razionale era difficile e inutile.
Anche se ci era già passata decine di volte. L’ansia, il batticuore e infine la delusione.
Guardò il bastoncino che teneva in mano e sorrise con amarezza quando vide quella singola linea rossa.
Negativo.
Ogni volta piangeva. Era frustrante, si sentiva colpevole di un qualcosa su cui non aveva controllo.
Ma perché il mio corpo non funziona? Che c’è che non va in me?
Erano le domande più frequenti. Ora le lacrime le rigavano il viso, ma sapeva che sarebbe passato. Avrebbe pianto e non sarebbe stata abbastanza saggia da smettere di provarci.
«Mamma, mamma! Devo andare in bagno!»
Sussultò. Kiyoko si era svegliata e non poteva permettersi di farsi vedere così.
«Sì, apro subito.»
Si asciugò le lacrime e sperò che Kiyoko non notasse i suoi occhi e il naso arrossato. Sperò invano, perché quella bambina era capace di osservare tutto. E quando si ritrovarono l’uno di fronte all’altra, capì che qualcosa aveva spezzato l’equilibrio della sua mamma.
«Stai bene?» domandò, dondolandosi.
E Orihime sorrise come faceva sempre, ma questa volta non aveva trovato la forza di trattenere le lacrime, che erano tornate a scorrere copiose sulle sue guance.
«Sì, sto bene…» mentì, con un filo di voce, consapevole di quanto fosse inutile. Kiyoko si fece attenta. Allora aveva sempre avuto ragione, c’era qualcosa che faceva soffrire la sua mamma. E se questo qualcosa la faceva addirittura piangere così, come poteva lei non preoccuparsi?
«Ma tu piangi.»
Che sciocca, non riesco nemmeno a fingere di essere forte.
Cercò di parlare, ma ne uscirono solo singhiozzi. Abbracciò Kiyoko la quale, anche se turbata, non si allontanò, ma anzi cercò di farla stare meglio.
Anche se non sapeva cosa potesse farla soffrire così.
«Mamma, ti prego, non piangere…»
«Mi dispiace, tesoro. Vorrei essere più forte di così.»
Ulquiorra si era appena svegliato e quando le vide, così strette l’una all’altra, rimase per qualche attimo fermo e, allo stesso modo in cui Orihime si odiava, si odiò anche lui.
Perché non c’è niente che posso fare?
 
Orihime si calmò pian piano dal suo pianto convulso. A mente lucida si era già pentita di essersi lasciata andare davanti a Kiyoko. Se ne stava sul divano, le gambe strette al petto, Ulquiorra le aveva preparato una camomilla. Preferiva tenere la tazza in mano per scaldarsi piuttosto che berla.
«Era negativo, vero?» le domandò. Lei annuì, un po’ in imbarazzo.
«Non fa niente, è già successo. Mi passerà.»
Ulquiorra però sapeva bene che non sarebbe passata. Sarebbe solo peggiorata e temeva che Orihime potesse ammalarsi, aveva sentito tanto parlare della depressione e non voleva vederla ridursi in quello stato.
«Hime, ascolta… so che quello che sto per dire non ti piacerà» disse, cauto. «Però io credo che dovremmo smettere di provarci.»
Orihime tornò a guardarlo, si scottò con la tazza bollente. Aveva forse fatto qualcosa di sbagliato?
«Ma… ma io pensavo che… lo volessimo entrambi.»
«E infatti è così. Ma questa situazione ti sta facendo ammalare. Potrebbe diventare deleterio per te, per noi due e per Kiyoko» strinse i pugni. «Lei è molto preoccupata per te. Ha bisogno che sua madre stia bene e… ne ho bisogno anche io.»
Ulquiorra non sapeva se avesse usato le parole giuste. Non era da lui essere insensibile e l’ultima cosa che voleva era diventarlo.
Ma si sentiva esasperato.
Orihime non rispose subito, per qualche attimo se n’era rimasta in silenzio a pensare. A cosa serviva farsi del male?
Ma allo stesso tempo, come si faceva a rassegnarsi?
«E dire che volevo solo un altro figlio, ma forse era chiedere troppo» disse, e per la prima volta Ulquiorra si accorse di una nota di rabbia nella sua voce. E non poteva darle torto.
«Non abbiamo controllo su questo, Hime…» le sfiorò i capelli ma lei rimase impassibile. Non avrebbe insistito, non era da lui. Anche se quello era un dolore che condividevano in due.
Dietro un muro, Kiyoko aveva sentito la loro conversazione ed era rimasta a fissare il vuoto. Adesso aveva tutto senso. Ecco perché la sua mamma da qualche tempo non rideva più con gli occhi, ecco perché era scoppiata a piangere: voleva avere un bambino e non riusciva ad averlo. Si chiese il perché e poi si fece un’altra domanda, che la terrorizzò e interessò di più: forse lei non bastava più? Ma certo, se fosse bastata i suoi genitori non avrebbero cercato con tutte le forze di avere un altro bambino. Lasciò cadere le braccia lungo il corpo, con addosso un’espressione quasi inconsolabile. Quello era eccome un motivo per preoccuparsi.
Quando Ulquiorra la vide un po’ scossa, pensò che fosse perché aveva visto Orihime piangere e allora aveva cercato di tranquillizzarla, anche se in modo un po’ distratto.
La mamma non sta bene per ora. È un po’ giù di corda, ma le passerà.
Kiyoko sapeva benissimo che quella era una bugia, ma era troppo concentrata sulle proprie paure per arrabbiarsi.
Forse io non basto più
 
Nnoitra non si era mai definito un paranoico, eccetto per alcuni argomenti in particolare. Tra questi argomenti in particolare c’era Neliel e la gelosia che provava nei suoi confronti. Orgoglioso per com’era, non gli era mai passato per la testa di ammetterlo chiaramente, ma non ci sarebbe stato bisogno: i suoi fatti parlavano chiaro e per lui aveva perfettamente senso essere sospettoso. Neliel era bellissima, simpatica a molta gente ed era intelligente.
Lei era troppo. Ed era troppo anche per lui, ma nemmeno questo lo avrebbe mai ammesso, perché in fondo a cosa sarebbe servito?
Neliel quella mattina si stava concedendo una doccia prima di andare al lavoro e aveva lasciato il cellulare a caricare in camera da letto. E Nnoitra, che aveva da sempre la fissazione che un qualche suo collega le avesse messo gli occhi addosso, non aveva potuto fare a meno di controllare da sé. Tra le varia chat, in mezzo alla sua, quella con Hime e il suo gruppo di amiche, una aveva attirato subito la sua attenzione sotto il nome di Szayel Aporro Gantz. Aprendo la chat si era reso conto che i due parlavano molto, di lavoro e, in generale, come se fossero amici.
«E questo chi cavolo sarebbe?» sibilò.
Non era il matrimonio con Nel a dargli sicurezza, non erano le sue parole. Nnoitra si era chiesto tante volte se esistesse qualcosa in grado di dargli una sicurezza effettiva.
«Nnoitra, puoi andare a svegliare Naoko o ci penso io?»
Nel lo guardava, già vestita e con i capelli umidi. La sua espressione mutò immediatamente.
«Che stai facendo?»
«Chi è questo con cui parli?» domandò lui, subito sull’attacco. «Non me ne hai parlato.»
«Oh mio Dio, non ci posso credere, di nuovo!» esclamò. «Non te ne ho parlato perché non c’è niente da dire. La devi smettere di invadere la mia privacy, noi siamo sposati, ma siamo due persone distinte e separate. Non mi pare io mi comporti allo stesso modo con te.»
«Tsk, come se io ti dessi motivo di preoccupazione.»
Neliel si riprese il telefono, affranta. Quando litigavano non sembravano nemmeno più loro e ogni litigio nasceva sempre dallo stesso punto: la gelosia di Nnoitra, i suoi pensieri ossessivi.
«Io non faccio niente per farti preoccupare! Alle volte sembra proprio che non ti fidi di me e questa cosa mi sta stufando.»
«Certo che mi fido di te. Ma non mi fido degli altri, mi pare chiaro. Non sono certo pazzo. Sai quanti vorrebbero mettere le mani su una donna come te?» domandò, iniziando ad agitarsi. Nel inarcò le sopracciglia. Ne avevano parlato tante volte, lei poteva anche essere attraente e intelligente, ma non era interessata alle avances altrui. Ma questo Nnoitra non sembrava capirlo.
«E tu lo sai che a me gli altri non interessano, vero? E poi te l’ho detto, Szayel è un mio collega di lavoro, non c’è niente di strano o di male, ma questo tu non sembri capirlo.»
Nnoitra fece per dire qualcosa, ma si morse la lingua per trattenersi. Non avrebbe cominciato la giornata così e poi era inutile, finiva sempre allo stesso modo. Lei si offendeva e poi se ne dimenticava e la volta successiva erano punto e da capo.
«Vado a svegliare Naoko, piuttosto» disse passandole accanto.
 
Nnoitra di solito se ne andava in giro borbottando, ma quella mattina era in silenzio mentre portava Naoko sulle spalle.
Era Naoko a parlare e a rendere il silenzio meno opprimente, parlava di tutto e ascoltarla gli permetteva di non pensare. Nel suo profondo sapeva di sbagliare i modi, ma ciò che pensava e diceva era vero, profondamente radicato in lui.
Lasciò Naoko di fronte scuola, fingendo per quegli attimi che fosse tutto a posto.
«Ti vengo a prendere più tardi. Fatti valere ma comportati bene.»
«Certo, non ti preoccupare. Anche tu, eh! Ti voglio tanto bene. Mi compri il gelato quando mi viene a prendere?»
«Ah, è così? Allora sei una ruffiana» Nnoitra l’abbracciò stretta e sentendola ridere per qualche attimo si sentì più quieto. Osservò sua figlia allontanarsi e per fare ciò non si era accorto che nell’auto accostata accanto a lui, Sosuke Aizen lo stava osservando con interesse.
«Ma tu pensa, guarda chi si vede. Nnoitra.»
Nel sentire la sua voce, Nnoitra divenne subito nervoso. Non aveva problemi a guardare negli occhi nessuno, ma con lui era impossibile.
«Aizen. Già, è passata una vita» disse in tono neutro. Dannazione, ma che ci faceva lì? Era raro che venisse a lasciare il figlio a scuola.
«Fin troppo direi. E dire che i nostri figli frequentano la stessa scuola» Aizen si avvicinò. «Naoko è cresciuta, sembra una bambina adorabile.»
«Lo è, infatti» disse stringendo i pugni. «Scusa, ma adesso devo andare.»
«Che fretta c’è? Non parliamo da anni, dopo tutto quello che abbiamo condiviso mi sembra il minimo scambiare due parole.»
Nnoitra fu attraversato da un brivido. Se era venuto lì per rivangare il suo passato e i suoi errori, non voleva nemmeno starlo a sentire, non ne aveva bisogno.
«Non c’è niente da dire, ho sempre rigato dritto da allora» si sentì in diritto di dire. Sosuke Aizen gli aveva forse impedito la prigione, ma allo stesso tempo non c’era nessuno che più di lui poteva farlo sentire un fallito, una persona orribile. Anche se oramai cercava di comportarsi bene. Era più facile ricordare gli errori di una persona rispetto agli atti nobili. Dopotutto, Nnoitra si giudicava così duramente a sua volta.
«Non avevo avuto dubbi» Aizen sorrise, ma nei suoi occhi c’era sempre la luce di chi sapeva di averti in pugno, perché quelli come Nnoitra nei suoi confronti dovevano provare gratitudine, se non sentirsi in debito addirittura. Quelli come loro erano feccia.
«Bene, appunto. Ora però devo andare davvero. Ciao, eh» Nnoitra gli passò accanto, quasi urtandolo. Dannazione, se lo odiava, se odiava tutti quelli che osavano guardarlo dall’alto in basso solo perché nella sua vita non era sempre stato perfetto. Ma questo, anche se lo pensava, non l’avrebbe detto a nessuno.
Si sentiva già abbastanza patetico anche solo così.
 
«Così ieri il mio papà e la mia mamma hanno parlato, ma non so cosa si sono detti. Accidenti, vorrei tanto saperlo! Tu pensi che loro torneranno insieme?» domandò Yuichi, piuttosto eccitato. Masato non sapeva cosa dire, non voleva certo mentirgli e poi non aveva idea di come funzionasse l’amore. O almeno credeva.
«Ecco, non lo so, però lo spero. L’amore è molto strano…» rispose timidamente.
«E come fai a saperlo? Ti sei mai innamorato?»
Masato arrossì. Come poteva saperlo? Lui l’amore l’aveva visto in certi film in televisione e soprattutto nei suoi genitori, nei baci e nei gesti teneri che si scambiavano. Ma non era sicuro che fosse la stessa cosa.
«È che io non lo so. Come faccio a sapere se sono mai stato innamorato o no? Non capisco.»
Naoko, che aveva tirato subito su la testa nel sentire i suoi amici parlare d’amore, non era riuscita a resistere.
«Oh, miei cari amichetti, è così facile!» disse con l’aria di chi sapeva il fatto suo. «L’amore è come…è come quando ci sono le vacanze di Natale e fuori nevica, ma più forte. Come quando ricevi il regalo che hai sempre volito, ma più forte. E allora ti inizia a battere il cuore forte quando sei vicino alla persona che ti piace. Hai anche le vertigini e…beh, ti si blocca il cervello. Proprio così.»
Yuichi fece una smorfia.
«Sembra brutto.»
Yami intervenne in favore dell’amica.
«Ma che dici? È magnifico invece ed è così facile capirlo. Guarda per esempio Kiyoko e Kaien o Hikaru e Ai. Loro sono sicuramente innamorati.»
Kiyoko aveva la testa poggiata sul banco, preda di una tristezza senza eguali, mentre Kaien era saltato su chiedendo lui cosa c’entrasse con quel discorso. Hikaru e Ai si erano guardati, a disagio e in imbarazzo.
«Ma io cosa c’entro?» chiese Ai.
«Beh! Mi sorprende che una che si chiami Ai, amore, si imbarazzi!» Yami la tirò a sé. «Quanto sei amabile per chiamarti così, Ai?»
Il discorso morì lì, con Yami troppo impegnata a tormentare la sua amica. Ma a Masato era rimasto ben impresso quanto detto. Quand’era che lui si era sentito così? Non c’era nessuna persona in grado di provocargli quel tumulto. Fatta eccezione per Yuichi. Quando avevano giocato al gioco della bottiglia e si erano baciati, gli era sembrato di cadere. E anche quando lo aveva abbracciato. E poi gli piaceva tantissimo passare il suo tempo con lui, ma questo in effetti si poteva dire anche per gli altri suoi amici. E se si fosse scoperto innamorato di Yuichi? Sarebbe stato terribile per la loro amicizia.
Scosse la testa. No, di sicuro non voleva avere niente a che fare con quelle strane cose da adulti.  Naoko si fece spazio tra i suoi scatenati amici e andò a sedersi, Rin la fissava.
«Che c’è adesso?» chiese sulla difensiva. «Non posso tirarti di nuovo i capelli, sennò stavolta vengo punita davvero»
Rin però sembrava piuttosto assente.
«No, non c’è nulla.»
Per Naoko fu sconvolgente. Di solito Rin trovava sempre una scusa per darle fastidio, invece quel giorno era silenziosa. Tanto meglio per lei, si disse.
Però rimaneva comunque una cosa strana.
 
 
Gli studenti di Yoruichi non erano stati molto felici di quel compito a sorpresa, ma la loro insegnante non aveva voluto sentire ragioni. E poi era una faticaccia anche per lei, altra roba da correggere!
Durante l’intervallo si era concessa qualcosa di dolce, una cioccolata al distributore. E la sua allieva che tanto la stimava si stava avvicinando a lei con fare timido, ma seria. Soi Fon Zhui era una delle sue studentesse migliori, anche se a volte un po’ scorbutica e difficile. Era bravissima a scrivere, oltre ad avere un interesse smodato per la sua insegnante.
«Prof Shihoin» la chiamò.
«Oh, Soi Fon. Cosa posso fare per te?» domandò lei, sempre a suo agio. La ragazza era arrossita e teneva in mano un foglio. 
«Volevo solo dirle che mi fa piacere abbia apprezzato il mio tema. Solo che mi ero preposta degli obiettivi e sono un po' delusa dal voto.»
«Non fartene una colpa, Soi Fon. Devi soltanto migliorare la forma, è del tutto normale. Sei ancora una studentessa delle superiori e sei anche una delle più promettenti» Yoruichi finì di bere la sua cioccolata e poi la guardò, seria. «Comunque, cos’è quel biglietto che mi hai lasciato?» 
Soi Fon desiderò scomparire. Ci aveva pensato a lungo se compiere quello stupido gesto, non si poteva dire che fosse un’impulsiva. Ma era pur sempre una ragazzina e alla fine aveva ceduto a quel gesto sciocco. 
«Mi spiace. È stata una cosa infantile» mormorò. L'ultima cosa che voleva era perdere la sua stima. 
«Soi Fon, non fraintendermi, non c'è niente di male in questa tua cotta. Ma io sono la tua insegnante. E soprattutto sono sposata, certe cose sono inopportune. E so che sei abbastanza sveglia da capirlo.» 
Soi Fon abbassò lo sguardo, era difficile reggere il suo sguardo color dell'oro. 
«Certo, capisco perfettamente» sussurrò. Si diceva che sarebbe passata, ma in realtà non passava mai. Ma dopotutto cosa poteva sperare? Che la sua insegnante, una donna fatta e finita e sposata, si interessasse a lei? Non era nemmeno sicura che fosse interessata alle donne. 
«Benissimo. L'importante è essere chiari» concluse Yoruichi. Era difficile badare anche a quell'aspetto nella sua vita, era fin troppo preoccupata del proprio matrimonio. Com'era possibile che avesse un blocco dal punto di vista sessuale?
Non aveva mai avuto problemi, ma da qualche mese era il vuoto. Lei è Kisuke non riuscivano a fare sesso e oramai aveva capito bene che il problema dipendeva da lei. Ma perché?  Si era interrogata a lungo sentendosi in colpa e di recente aveva accarezzato l'idea di andare da un terapista, perché era una sensazione che non riusciva proprio a sopportare. E Kisuke non la pressava. Né si arrabbiava, ma lui non si arrabbiava mai. In un certo senso questo rendeva tutto più difficile. 
"Adesso rientro a fare lezione. Dopodiché prendo Yami e Hikaru. Passa una buona giornata" aveva digitato sul cellulare, prima di rientrare in classe e dirsi mentalmente forza e coraggio. 
 
 
"Buona giornata anche a te, mia cara Yoruichi" digitò Kisuke. 
Lui era il primario Kisuke Urahara, sempre allegro, positivo e pronto a risolvere ogni problema. Nessuno si soffermava a pensare - e dopotutto non avrebbero avuto motivo - che anche lui potesse avere dei problemi. C'era un modo di approcciarsi ai medici strano, in molti li paragonavano ai supereroi e si dimenticavano che erano esseri umani. Anche lui lo era e anche lui si chiedeva cosa potesse fare. Se il suo compito era anche quello di risolvere i problemi, cosa poteva fare per Yoruichi? Per il loro rapporto che sembrava star affrontando un momento difficile? 
Oh, se solo avesse avuto un amico con cui parlare.
Beh, si accontentava anche di un non amico. 
«Oh, buongiorno Kurotsuchi» Urahara si voltò e lo salutò subito quando lo vide. 
«Lo era fino a qualche secondo fa» disse lui, sembrava impegnato a controllare alcuni documenti. 
Kurotsuchi non era definibile amico, ma forse poteva provare a parlare con lui.
«Ah, ah, senti Kurotsuchi, posso farti una domanda?» 
«Se proprio devi» rispose lui, indaffarato 
Kisuke si si schiarì la voce. Al massimo gli avrebbe urlato contro. 
«Hai mai avuto problemi… A livello sessuale con tua moglie?» 
Mayuri si fermò e lo guardò come se avesse avuto davanti un pazzo. 
«Ti sei forse drogato?» 
«Ah! Su, su, non è il caso di imbarazzarsi, alla nostra età possiamo anche parlare di queste cose!» 
Kisuke fu attento a non avvicinarsi troppo. 
«Tsé, figurati se mi imbarazzo. Se proprio ci tieni a saperlo, non ho mai avuto problemi di questo tipo.»
«Quindi hai una vita sessuale attiva?» domandò avvicinandosi all'improvviso. 
«Urahara, non intendo rispondere alle tue domande!» si lamentò. Ma che diamine gli era preso?
«Beh» Kisuke fece spallucce. «Posso sempre chiedere all'infermiera Kurotsuchi.»
Maledetto Urahara, che fosse dannato! Si divertiva proprio a farlo impazzire e a molestarlo in modo così spregiudicato. 
«Tu fallo e giuro che il posto di primario rimarrà vacante!» Mayuri sospirò. «Che vuoi sapere?!» 
Urahara gli raccontò dei suoi problemi con Yoruichi, del fatto che ultimamente le cose andassero male dal punto di vista sessuale. 
E lui che lo stava anche ascoltando, si era già pentito. 
«Quindi il tuo cruccio è che tua moglie non riesce a lasciarsi andare? Chiaramente ti tradisce.»
«Oh, la mia Yoruichi non lo farebbe mai!» disse convinto. «Però so che c'è un problema di fondo che non capisco. Forse ho fatto qualcosa che non dovevo.»
Già, sarebbe stato plausibile. Ma quanto meno adesso era certo che anche Kisuke Urahara aveva i suoi problemi, anche quando se ne andava in giro tutto allegro. 
«O magari il problema ce l'ha lei e non da sa come dirtelo. Mi pare piuttosto chiaro che vi servirebbe un terapista di coppia. Cosa che io, per mia fortuna, non sono!» concluse. 
Urahara però sembrava rincuorato e aveva ritrovato il suo solito buon umore, almeno per il momento. 
«A questo non avevo pensato, ancora! Oh beh, grazie, avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno di questo mio tormento. Ovviamente se hai qualche problema, non esitare a parlarmene» 
Mayuri posò la mano sul muro, impedendogli di passare. 
«Questo non ci rende amici, non scordartelo.»
Urahara rise, un po’ intimorito ma più sollevato. E chi lo avrebbe mai detto?
 
Ishida non sapeva come si sentiva. Di sicuro era contento di aver agito – il consiglio di Ichigo per certi versi si era rivelato utile – ma dall’altro lato non aveva idea di cosa sarebbe successo da quel momento in avanti. La prospettiva più plausibile era che Tatsuki lo mandasse definitivamente al diavolo, amore o non amore.
Non avrebbe dimenticato il suo sguardo sconvolto e lucido dopo il loro bacio, la sua voce che mormorava “Uryu, forse è meglio… se vai, adesso”.
Forse non c’erano poi tante interpretazioni da dare e lui era un idiota che voleva solo illudersi.
«Così sei andato lì e…?» domandò Ichigo.
«E l’ho baciata» sussurrò, arrossendo.
«Oh, oh. Sei diventato intraprendente, Ishida. Complimenti!» gli diede una pacca su una spalla e a Ishida cadde la cartella che teneva in mano. Borbottò mentre si chinava a raccoglierla.
«Oh, ti prego. Non so se ho fatto bene. Non si è espressa più di tanto, non sono sicuro che le sia piaciuto. Cioè… penso di sì. Ma io come faccio a saperlo? Sono un pazzo e un irresponsabile, accidenti.»
Forse era anche un po’ pentito. Le sue intenzioni oramai erano chiare, cristalline: non voleva il divorzio, voleva una seconda possibilità. Anche se insieme sembravano un disastro, voleva provare a farla funzionare. Se poi avesse fallito di nuovo si sarebbe arreso. Adesso però stava a Tatsuki decidere, era lei ad avere in mano la situazione e questo lo innervosiva perché conosceva bene sua moglie e sapeva che lei non tornava mai sui suoi passi.
«Oh, avanti Ishida, non fare così. Al massimo ti dirà di no» Ichigo cercò di buttarla sul ridere, peggiorando solo le cose. Ishida sospirò, si tolse un attimo gli occhiali. Era stanco, ma più per i problemi d’amore che per i turni a lavoro.
«Già, che vuoi che sia? E tu invece? Tu e Rukia avete risolto?»
Ichigo guardò dritto davanti a sé.
«Beh, sì. Lei probabilmente tornerà a studiare. E per quanto riguarda i bambini… chiederemo una mano a mio padre» il suo tono era esplicativo e Ishida rise.
«Sarà contento, immagino. E tu?»
«Io cosa? Non cambierà niente, vedrai» lo rassicurò e soprattutto cercò di rassicurare sé stesso. Non era poi un cambiamento così grande nella loro vita e poi ce l’avrebbero fatta. Cosa mai poteva andare storto?
«Cambiano un attimo discorso, ma Hanataro dov’è…?» Ishida si guardò intorno. Quel ragazzo si stava dimostrando volenteroso, ma era anche maldestro e timido. Chissà se sarebbe riuscito a sopravvivere a quel mondo infernale?
«Emh… pensavo lo sapessi tu» disse Ichigo.
«Merda» imprecò Ishida.
 
Hanataro non era morto, anche se c’era andato molto vicino. Steso su una barella, era scivolato sul pavimento bagnato e aveva battuto la testa. Niente di grave, ma si ritrovava a piagnucolare come un bambino, anche se l’infermiera Kurotsuchi stava cercando di prendersi cura di lui.
«Su, non c’è bisogno di piangere. Non ti sei fatto neanche un graffio, al massimo avrai un bernoccolo. Devi fare più attenzione, ora sei un membro effettivo di questo staff ospedaliero» disse lei.
«Aaaah! Io sono inutile, non so fare niente. Mi guardi, sembro un idiota» piagnucolò, aggrappato al suo braccio.
«Sei inesperto, è normale fare errori. Tutti ne fanno. Vedrai che già fra qualche mese le cose cambieranno.»
«Ah, lei è un angeloooo!» pianse più forte e proprio quel pianto fu indispensabile per Ichigo e Ishida, che lo trovarono ora seduto sua barella.
«Ah, ecco. Avevo sentito un lamento familiare. Oh Hanataro, sei divertente» sospirò Ichigo.
«Come posso essere divertente? Mi sono spaccato la testa e sono anche inutile!»
«Oh ragazzi, vi prego, lo avevo appena convinto che non è inutile» sospirò Nemu. Ishida diede una pacca su una spalla al ragazzo.
«Oh, non preoccuparti, sei solo scivolato, può capitare. Sapessi quante ne abbiamo combinate noi quando eravamo tirocinanti…»
Ishida sarebbe stato a parlare dei bei tempi andati per ore, ma Kurotsuchi si era liberato di Urahara e nel vederli lì a perdere tempo si era dimostrato molto contrariato.
«Che cosa state facendo tutti qui?! È forse una festa? E perché questo qui se ne sta a poltrire?»
Nemu arrossì.
«Si è fatto male» bisbigliò, indicando Hanataro con lo sguardo, ancorato al suo braccio.
«M-mi dispiace» singhiozzò. «Non so cosa ne sarebbe stato di me senza l’infermiera Kurotsuchi. Sa dottore, sua moglie è un vero angelo.»
Ichigo si trattenne dal ridere, non voleva ritrovarsi in mezzo. Kurostuchi chiamò a raccolta tutto il suo autocontrollo per non esplodere.
«Gli angeli li vedrai davvero se non ti alzi e non la smetti di essere inutile. E voi due, che avreste dovuto tenerlo d’occhio, meglio che andate altrimenti vedrete che vi succederà!»
Hanataro, bernoccolo a parte, fu perfettamente in grado di alzarsi, anche perché non avrebbe avuto altra scelta.
«Ragazzini scansafatiche» sussurrò Mayuri, guardando poi sua moglie e irrigidendosi. «A più tardi.»
Lei annuì. Era una fortuna che in ospedale talvolta l’atmosfera fosse così allegra, il che sembrava assurdo. Perché era quando tornava a casa che tutto diventava teso.
E difficile. E neanche sapeva il perché.
 
   
 
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