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Autore: FreddyOllow    11/03/2022    1 recensioni
La storia è ambientata prima e dopo gli eventi di Raccoon City. Vedremo come Marvin Branagh e gli altri agenti di polizia hanno affrontato l'epidemia di zombie. La trama potrebbe accostarsi o seguire a tratti quella di RE 2/3.
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mentre i non-morti gemevano fuori dalla finestra, Marvin e Rita s'incamminarono nel corridoio dell'ala ovest.
"Barricare le finestre è stata la miglior scelta che abbia mai preso" disse il tenente. "Se non l'avessi fatto, ora sarebbero qui dentro."
La donna non rispose.
"Qualcosa non va?"
"Stavo pensando al piano di Elliot. Possiamo mettere in atto entrambi i piani in una volta sola."
"Che vuoi dire?"
"Userò il condotto di areazione sotto alla statua per uscire e far allontanare gli zombie, poi cercherò aiuto."
Marvin scosse la testa. "No, l'hai detto tu stessa. Chi andrà al negozio di musica, non tornerà più indietro."
"Posso farcela, tenente."
"È fuori discussione. Tu cercherai solamente aiuto. Non farai nient'altro." Scegliere chi mandare non sarebbe stato affatto facile. Non tutti sarebbero stati ansiosi di sacrificare la propria vita.



 

Kevin si mise seduto sul letto.
"Dovresti riposare" disse l'agente di guardia.
"Ho già riposato abbastanza. Non mi hanno mica sparato."
"Il tenente..."
Kevin si alzò. "Il tenente può andare a farsi fottere, io faccio come voglio."
L'agente gli sbarrò la strada. "Torna a letto. Riposati."
"Levati dalle palle!"
I due si fissarono negli occhi per un momento, poi l'agente si spostò.
Quando uscì dalla stanza di riposo, si diresse verso la hall e incontrò Kate seduta da sola su una panca. "Ehi, Kate. Come stai?"
Kate gli sorrise. "Sono felice che tu ti sia ripreso."
Lui le si sedette accanto. "Stai bene?"
"Nick è stato morso."
"Cazzo..."
Restarono in silenzio per un po'.
"È morto?" chiese lui.
"No, è ancora vivo" rispose lei. "Pete gli ha dato delle foglie sminuzzate per eliminare l'infezione. Dice che funziona, ma a me non sembra."
Kevin era perplesso. Come potevano delle foglie curare l'infezione? Ma non lo disse. "Allora si riprenderà. Pete ha seguito un corso di primo soccorso, no? Sa quello che fa."
Kate lo guardò. "Anche tu mi dici quello che voglio sentirmi dire?"
Lui abbassò gli occhi. "Cosa dovrei dirti? Che morirà? Che diventerà uno zombie? Tu lo diresti se fossi al mio posto?"
La donna deviò lo sguardo.
"E poi perché ti importa così tanto di lui?" chiese Kevin. "Lo conosci appena. È qui da quanto? Nove mesi?"
"Un anno e mezzo" rispose lei, irritata.
"Appunto, perché ti dispiace così tanto? Sai quanti poliziotti sono morti nelle strade o in centrale? Tantissimi. E..."
Kate scattò in piedi. "Sei uno stronzo!" Si allontanò, battendo i piedi sul pavimento.
"Qui dentro sono l'unico ad essere sano di mente..."



 

"Devo parlarti" disse Elliot.
"Ti ascolto" rispose Pete.
Elliot lo prese per un braccio e lo condusse vicino al portone d'ingresso, bloccato da una montagnola di oggetti. "Abbiamo un problema con i superstiti. Sospetto che vogliono fare qualcosa."
Pete serrò gli occhi, turbato. "Spiegati meglio."
"Non lo so di preciso, ma ho la strana sensazione che Liah sia stata allontanata per questo."
"Non ti seguo. Parla chiaramente."
Elliot sbuffò. "Parlo di una rivolta. Forse ci si rivolteranno contro. Dobbiamo tenere gli occhi aperti. Loro sono molti di più rispetto a noi."
"E cosa c'entra Liah con questo?"
"Forse l'hanno allontanata perché non vuole farne parte" disse Elliot.
Pete corrugò la fronte, pensieroso. Non era una novità. Tirava già una strana aria da quando era arrivato qui. "Hai delle prove?"
"No."
"Tu come lo sai che è così?"
"Non lo so, ma come ti ho detto è un sospetto."
"Allora non fare niente" aggiunse Pete. "Tienili d'occhio e avvisa anche Marvin."
Elliot aggrottò le sopracciglia, infastidito. "Non mi credi?"
"Come faccio a crederti se non hai nessuna prova?"
Elliot fece per andare, ma Pete lo fermò per un braccio." Aspetta! Ascolta, anch'io ho questa sensazione da quando sono arrivato qui. I sopravvissuti sono come una pentola in ebolizione, mi capisci? Dobbiamo solo abbassare il gas."
Elliot serrò gli occhi, irritato. "Non usare le metafore con me. Non sono un idiota."
"Devi pazientare. Forse la cosa si risolverà da sola, oppure saremmo costretti a porre rimedio. In entrambi i casi, non fare niente. Tieni gli occhi aperti e informa anche gli altri agenti. Dobbiamo allineare le nostre forze, se non vogliamo che la situazione ci sfugga di mano."
Elliot lo fissò negli occhi per un momento, poi si allontanò. Pete non era sicuro che avrebbe seguito il suo consiglio. Sapeva quanto fosse testardo e attaccabrighe quando vedeva un'ingiustizia. Non voleva che per difendere Liah, facesse scoppiare una rivolta.



 

Marvin girò la chiave nella toppa, spinse la porta di ferro ed entrò nell'armeria, seguito da Rita. Posò il borsone sul tavolo e lo aprì. "Dammi una mano."
Scaricarono le armi di tutte le munizioni e adagiarono pistole e fucili a pompa negli armadietti delle armi. Poi Marvin li chiuse a chiave, si mise il borsone a tracolla e uscì dall'armeria, chiudendola a doppia mandata.
"Vado un attimo in bagno" disse Rita.
"Va bene, ti aspetto" rispose il tenente. Si sedette su una panca e aprì il borsone. C'erano novantasette proiettili. Si mise a contarli per far passare il tempo, quando udì un rumore in fondo al corridoio in cui si era diretta Rita. Fissò un punto distante per un lungo momento. Poi tornò a contare.
Arrivato a ventuno, sentì un tonfo in fondo al corridoio. Si accigliò turbato e chiuse il borsone, appoggiandolo sulla panca. "Rita?" disse. "Sei tu? Se caduta?" S'incamminò lungo il corridoio e si fermò davanti al bagno delle donne. Bussò alla porta. "Rita? Stai bene?"
Bussò di nuovo. "Rita? Sto per..."
La porta si aprì.
"Buonasera, tenente Branagh" disse Johnson con un ghigno. "L'agente Rita Phillips è indisposta, al momento."
Marvin serrò gli occhi, furioso. Quando fece per aggredirlo, quello gli puntò la pistola che teneva nascosta sotto il lungo cappotto nero.
"Non vorresti mica sporcare questo bel pavimento, no?" sorrise Johnson. "E le mura? No, certo che no. Tu non lo vuoi, giusto?"
"Se le hai fatto del male giuro che..."
"Sssh. Non fare promesse che non puoi mantenere, tenente Branagh."
Lui lo fissò con gli occhi infiammati per la rabbia.
"Ora facciamo un giro" aggiunse Johnson, agitando la pistola. "Ti piace camminare, giusto? Ricordi le nostre passeggiate nel cortile? Oggi faremo una passeggiata simile."



 

Pete entrò nella stanza di riposo. "Dov'è Kevin?"
L'agente gli si avvicinò. "Se ne è andato. Non voleva più restare a letto."
"Dovevamo aspettarmelo..." Andò via. Proseguì lungo il corridoio e si diresse verso la hall.
Quando ci arrivò, Elliot era nuovamente di fronte alla grande finestra dell'entrata. Lo raggiunse. "Hai visto Kevin?"
Quello si girò. "No, perché? Si è ripreso?"
"Sì, se lo vedi fammelo sapere." S'incamminò verso la reception e lanciò un rapido sguardo ai sopravvissuti. Non era nemmeno lì. Non sapeva perché si preoccupasse tanto, ma con una botta in testa come la sua non c'era da scherzare.
Rita entrò nell'atrio con la faccia insanguinata e l'andatura barcollante.
"Rita!" disse Pete, correndole incontro. Lei gli cadde addosso, ma si rialzò subito dopo.
Elliot e gli altri agenti la raggiunsero. I sopravvissuti osservavano preoccupati dalla reception. Tania scoppiò a piangere e affondò la testa sul fianco della madre, pensando fosse uno zombie.
"Cosa è successo?" chiese Pete.
"Johnson..." farfugliò la donna. "Mi ha colpito mentre ero in bagno. Forse... forse ha preso Marvin."
Pete si accigliò, turbato. "Preso? L'ha rapito?"
"Lo dicevo che quello stronzo va fermato" disse Kevin alle loro spalle. "Ci penserò io. Lo squarterò da parte a parte."
Pete si voltò. "Tu non farai proprio niente. Johnson può essere armato. È pericoloso."
"Ma non vedi che sta giocando con noi?" aggiunse Kevin, irritato. "È impazzito. Va' fermato. Ma ci penso io!" Si girò e lasciò l'atrio.
"Aspetta! Cazzo!" Pete guardò Elliot. "Seguilo. Stagli attaccato al culo. Quell'idiota si farà ammazzare!"
Elliot annuì e corse alla porta dell'ala ovest.
Megan si chinò su Rita e le pulì il sangue dal viso con alcuni fazzoletti. "Tranquilla, non è grave. È solo un taglio."
"Sì, è solo un taglio" disse Pete. "Presto ti riprenderai."
Rita abbozzò un debole sorriso, un poco stordita.



 

Kate sedeva accanto a Nick e gli accarezzava la guancia con il viso lacrimato.
Chung la guardava, pensieroso. "Mi ricordi mia madre."
Lei gli lanciò un'occhiata.
"Si comportava come te quando spararono a mio padre" continuò lui. "È successo in Cina, poco prima che ci trasferissimo qui. Io ero piccolo. Avrò avuto quattro anni, ma ancora me lo ricordo come fosse ieri." Fece una pausa. "Mia madre che piangeva e abbracciava mio padre, disperata. I miei zii che cercavano di confortarla. Io non capivo cos'era successo o perché piangesse. Me ne stavo seduto in un angolo e la guardavo piangere. Poi arrivò il dottore, un signore minuto e anziano. Esaminò mio padre e disse qualcosa a mia madre." Abbassò lo sguardo. "Lei smise di piangere, si ammutolì. Ricordo bene come mutò la sua espressione. Diventò di pietra. Da quel giorno non l'ho vista più piangere, nemmeno al funerale. Tre mesi dopo partimmo per gli Stati Uniti e ci sistemammo a Raccoon City. A quei tempi era in pieno sviluppo per via dei finanziamenti dell'Umbrella e c'era molto lavoro. Lei parlava bene l'inglese, quindi non ebbe difficoltà a trovare un lavoro come segretaria di una azienda di frigoriferi." Fece un'altra pausa. "Non mi ha mai più parlato di mio padre. Era come se non fosse mai esistito."
Kate aveva le lacrime agli occhi. "Mi dispiace..."
Chung le sorrise. "Non l'ho mai raccontato a nessuno. La tua premura con Nick me l'ha ricordata... Ormai non c'è più da quasi vent'anni. Un male se l'ha portata via quando avevo sei anni. Così sono cresciuto nell'orfanotrofio di Raccoon City. I miei parenti non sanno nemmeno che sono vivo, non che m'importa poi tanto di loro. Non li conosco neppure." Si alzò in piedi. "Ora vado a prendere una cosa per Pete, ma faccio subito. Rimani tu qui?"
Lei annuì.



 

Elliot corse dietro a Kevin, deciso più che mai a trovare e uccidere Johnson.
"Aspetta!" disse Elliot.
"Muovi il culo se vuoi starmi dietro!" rispose Kevin.
Elliot si fermò dopo pochi passi, la mano posata sul muro. "Ho ancora lo stomaco sottosopra..." si disse. Poi vomitò bile sul pavimento.
Kevin si arrestò, allertato dal rumore. Lo raggiunse. "Stai vomitando di nuovo? Sei infetto?"
"Che cazzo ne so..."
"Non vedo insetti nel vomito. È solo acqua."
Elliot tirò su il busto. "Ottimo... Almeno non ho quelle fottute cose nello stomaco."
"Potresti averli da altre parti" disse Kevin.
"Davvero incoraggiante."
"E poi perché mi segui?"
"Per pararti il culo."
Kevin incrociò le braccia. "Non mi serve una balia."
"Tanto ti seguirò lo stesso."
"Fai pure, ma non starmi tra i piedi!"
S'incamminarono nel corridoio e svoltarono l'angolo.
"Sei armato?" chiese Kevin. "Hai una pistola?"
"Sì, ma ho finito i proiettili. Tu?"
Kevin estrasse la Beretta che teneva nella fondina ascellare. "Che te ne pare? Bella, vero? L'ho trovata nel cortile. Non l'ho ancora usata."
"È carica?"
"Certo che è carica. Tutti i proiettili sono per quel figlio di puttana di Johnson."
"Sai dove può essere?" domandò Elliot.
"No, ma è qui da qualche parte. Dobbiamo solo trovarlo."



 

Pete condusse Rita nell'ufficio del tenente, che ormai si era trasformata in un'infermeria. La fece sedere sulla poltrona e le medicò il taglio sulla fronte.
"Cosa è successo?" chiese Kate.
"Johnson mi ha aggredita" rispose Rita. "E ha rapito Marvin."
"Rapito? Perché?"
"Non lo so."
"Credo voglia ucciderlo" aggiunse Pete, versando del disinfettante sul coton fioc. "È stato lui ad aprire il cancello, ne sono più che sicuro. Ci voleva morti." Lo posò sul taglio in fronte della donna, che smorzò un gemito di dolore.
Kate corrugò le sopracciglia, preoccupata da ciò che aveva sentito.
Restarono in silenzio per un momento.
Rita guardò Pete. "C'è un borsone di munizioni davanti all'entrata dell'armeria. Mi sono dimenticata di portarlo con me."
"Non preoccuparti. Manderò qualcuno a prenderlo." Le coprì il taglio con un cerotto, si girò verso Nick e lo fissò per un po'. "Sta guadagnando colorito."
Kate si sentì sollevata, ma non voleva sperarci troppo. Le cose potevano peggiorare da un momento all'altro. Non era la prima volta che accadeva. Era meglio essere realisti, aspettare.
Rita si alzò e le strinse una mano. "Mi ha salvata da un Licker poco prima che svenisse. Se non fosse stato per lui, sarei morta." Evitò di dirle che anche lei lo aveva salvato, ma non era riuscita a evitare che venisse morso.
Kate sorrise.
"Ho saputo che state insieme" disse Rita.
"Sì, da poco."
"Sono felice per voi."
"Dov'è andato Chung?" chiese Pete.
"Ha detto che doveva prendere una cosa per te" rispose Kate.
"Ah, sì, giusto... Vado a cercarlo."
Uscì dall'ufficio e si diresse verso lo spogliatoio. Quando svoltò l'angolo, scorse qualcuno girare l'angolo in fondo al corridoio. Si accigliò e corse in quella direzione. Non vide nessuno. C'era solo una porta chiusa a chiave che conduceva nel cortile. Girò la maniglia per esserne certo. Era chiusa. "Forse me lo sono immaginato..." si disse. Sbirciò in cortile dalla finestrella posta nella porta. Dozzine di non-morti vacillavano nel vialetto. "Sì, me lo devo essere immaginato... Devo seriamente riposare un po'. La carenza di sonno mi sta giocando brutti scherzi."



 

Elliot e Kevin si avvicinarono alla finestra sbarrata da assi di legno che dava sul cortile.
Kevin sbirciò fra le fessure. "Non può essere andato fuori. Gli zombie hanno circondato la centrale."
"Mi pare logico, no?" rispose Elliot. "Sei rimasto privo di sensi per un paio d'ore. Gli zombie hanno avuto tutto il tempo di piazzarsi in ogni angolo del cortile."
Kevin si voltò. "Che cazzo c'entra? Io parlavo di Johnson. Ho detto che..."
"Lo so cosa hai detto."
"Allora perché mi rompi i coglioni?"
Elliot lo fissò negli occhi per un po'. Poi si portò una mano sullo stomaco.
"Ti fa ancora male?" chiese Kevin.
"È più un fastidio."
"Basta che non ti trasformi davanti a me."
"In quel caso ficcami una pallottola in fronte. Non voglio diventare un cadavere ambulante."
Kevin gli sventolò la pistola davanti agli occhi con un sorriso. "Non sarà un problema."
"Muoviamoci" disse Elliot. "Abbiamo già perso tempo."
"Rilassati. Dove vuoi che vada Johnson? Praticamente è un uomo morto, solo che non lo sa ancora."
Elliot e Kevin proseguirono nel corridoio, svoltarono a destra e guardarono nella stanza degli interrogatori. Non c'era nessuno. Controllarono la stanza adiacente, poi i bagni delle donne e degli uomini. Infine, si diressero nel corridoio che portava all'armeria.
"Guarda!" disse Kevin, indicando un punto con la Beretta. "Un borsone. Prima non c'era."
Elliot si accigliò, confuso. "Prima quando?"
"Ore fa, quando sono passato da qui per uscire in cortile."
Raggiunsero il borsone.
Kevin l'aprì. "Ci sono un sacco di munizioni."
"Lo vedo anch'io, non sono mica cieco."
"Dev'essere il borsone di Marvin. Nel bagno delle donne c'era il sangue di rita. Johnson doveva essere stato qui."
Elliot batté piano le mani con un sorriso beffardo. "Sei davvero un genio. Lo Sherlock Holmes di Raccoon City."
Kevin serrò gli occhi, irritato. "Vaffanculo!"
"Rita ci ha detto già dov'era stata attaccata, ricordi? Ne ha parlato nell'atrio." Lo fissò per un momento, poi smorzò invano una risata. "E volevi pure entrare nella STARS? Non mi sorprende che ti abbiano respinto. Persino Marvin te..."
Kevin gli tirò un pugno in faccia e lo fece cadere a terra. "Sei un fottuto coglione! Non fai che rompermi le palle!" Caricò un altro pugno, ma si bloccò subito dopo e si allontanò a gran passi.
Elliot si alzò in piedi, le dita pressate sul labbro superiore spaccato. "Dove vai? Aspetta!" Gli andò dietro.



 

Quando Pete entrò nello spogliatoio che adorava di bagnoschiuma al pino, trovò Chung di fronte al suo armadietto.
Quello si girò e sussultò. "Oh, sei tu? Mi hai fatto prendere un colpo."
"Prevedibile come un procione nei cortili di Raccoon City" disse Pete. "Sapevo che ti avrei trovato qui."
Chung sorrise. "Ti sbagli, signor-so-tutto-io. Non nascondevo qui la mia roba, ma da un'altra parte. Un posto qui vicino, non molto nascosto. Anzi, era sotto gli occhi di tutti. Per questo passava inosservato." Si girò e gli mise in mano una bustina di plastica trasparente con dentro delle foglie verdi e blu. "E poi lo sai. Non potevo di certo lasciarla nel mio armadietto. Il capo Irons ispezionava ogni giorno i nostri armadietti, ricordi? Se mi avesse beccato con questa roba, addio distintivo."
Pete non lo ascoltava. Fissava le foglie sminuzzate e si chiedeva se erano quelle che le aveva dato Jill. Sembravano uguali, ma non ne era tanto sicuro. Forse avevano gli stessi colori, ma non lo stesso effetto. Cominciava a dubitare persino dei suoi ricordi.
Chung lo guardò, serio. "Qualcosa non va?"
"No, niente. Pensavo tra me a me."
"Ma mi stavi ascoltando?"
"Certo, parlavi di nascondere questa roba da Irons. Comunque ora è meglio tornare da Nick."
"Ok, tu vai pure. Io ti raggiungo tra un po'."
Mentre Pete usciva dallo spogliatoio, lanciò un'occhiata alla bustina trasparente. Il pensiero che fossero le foglie sbagliate si era ormai insinuato nella sua mente. Non sapeva perché questo pensiero gli martellava la testa, come non sapeva perché ne dubitava. Forse era dovuto alla carenza di sonno, allo stress, o al fatto di essere stato esposto all'infezione. Non lo sapeva.



 

Johnson e Marvin raggiunsero la porta di servizio del primo piano.
"Aprila" disse Johnson. "Bravo, ora esci fuori."
Marvin non si mosse.
"Non farmelo ripetere. Esci fuori."
Il tenente uscì nel pianerottolo della scala che scendeva in cortile. Si voltò.
Johnson gli puntava una pistola. "Sai, tenente Branagh, non mi sei mai piaciuto. Quando sei arrivato qui più di vent'anni fa, sapevo che avresti creato solo problemi. Te lo leggevo negli occhi. Anche Irons la pensava come me. Avevi un modo di fare troppo altruista, troppo... come dire, buono. Non andava bene. Per niente." Fece una pausa. "Irons ed io avevamo importanti progetti per il dipartimento. Volevamo controllarlo, scegliere il personale più idoneo al nostro modo di operare, avere carta bianca su come e quando licenziare qualcuno. Insomma, volevamo il controllo." Si avvicinò alla porta e si fermò sotto la soglia. "Poi sei arrivato tu e gli altri come te. Avete messo in crisi i nostri piani, messo il naso in faccende che non vi riguardavano. Lo so, per te queste parole possono suonare vuote, inutili, prive di significato. Dopotutto, non sai nulla di noi."
Marvin serrò gli occhi, minaccioso. "Ti sbagli. Sono a conoscenza del vostro legame con l'Umbrella e..."
Johnson ghignò. "Tu non sai proprio nulla, tenente. Tutti parlavano della nostra corruzione, ma solo questo. Voci di corridoio. L'unico che aveva delle prove è rinchiuso in una cella. E ora non ha nemmeno quelle." Abbozzò un sinistro sorriso. "Nessuno arriverà a domani! Nessuno!" Indietreggiò e chiuse la porta a chiave.
Marvin girò la maniglia a vuoto e la scosse con forza. "Bastardo!"
"Non agitarti troppo" disse Johnson dietro la porta. "Guarda giù. Ci sono i tuoi amici. Non te ne eri accorto, eh? Eri troppo preso dalla voglia di farmi fuori da non notare i tuoi amichetti in cortile?"
Il tenente guardò giù. Un centinaio di non-morti attorniava la scala e il cancello chiuso ai suoi piedi. Non si erano accorti di lui.
"Solo un cancello ti divide dai tuoi amici" disse Johnson con un sorriso malefico. "Non vuoi riabbracciarli? Sono qui per te. Non fare il timido, tenente Branagh. Ti aiuto io." Schiacciò un pulsante accanto alla porta. Il cancello vibrò e si aprì con uno scatto.
Gli zombie gemettero e si voltarono infastiditi verso la fonte del rumore.
Marvin scosse ripetutamente la maniglia con forza. "Cazzo!"
"Divertiti, tenente Branagh!" ghignò Johnson. "Io starò qui a godermi lo spettacolo."
"Figlio di puttana!"
"Finalmente la tigre mostra i suoi denti."
Marvin si girò verso i non-morti, che strisciavano sui gradini. Molti si ammassarono sotto il cancello. I gemiti si fecero assordanti.
Il tenente si guardò intorno. Non sapeva cosa fare. Gli zombie erano ovunque e altri ne arrivavano da entrambe le direzioni del vialetto.
Un non-morto provò ad afferrarlo per un piede, ma lui gli tirò un calcio in faccia e smise di muoversi. Gli altri zombie ci strisciarono sopra per superarlo.
"La situazione si fa più interessante" ghignò Johnson, sbirciando dalla finestrella. "Ora cosa farai?"
Il tenente si voltò verso di lui e sferrò diversi calci frontali contro la porta. Colpi disperati, pieni di violenza e rabbia.
"Non riuscirai ad abbatterla" aggiunse Johnson con un sorriso compiaciuto. "È resistente. Ci vuole ben altro per abbatterla."
Marvin lo sapeva. Stava solo perdendo tempo. Se avesse avuto una pistola, avrebbe sparato alla serratura e sarebbe entrato. In quel caso gli zombie sarebbero dilagati nel primo piano dell'ala ovest. "Ma perché sto pensando alle conseguenze?" si chiese. "Non ha senso..."
Johnson continuò a guardarlo con un sorriso trionfante.
Il tenente spostò una gamba per non farsi afferrare da uno zombie che lo aveva raggiunto e gli sferrò un calcio in faccia. Quello non accusò il colpo, ma gli altri zombie, che seguivano alle spalle, lo schiacciarono sotto il loro peso.
"Tic-tac! Tic-tac!" ridacchiò Johnson. "Siamo alla resa dei conti, tenente Branagh. La parte più bella." Avvicinò la testa alla finestrella per guardare meglio.
Marvin non lo sentiva più. I gemiti sovrastavano qualsiasi suono. Si appoggiò al parapetto del pianerottolo con la schiena e lanciò uno sguardo giù alle sue spalle. Altri zombie barcollavano in cortile. Erano più di un centinaio. Tutti attirati dall'uomo in cima alla scala, un'esca troppo ghiotta da poter ignorare.
Un non-morto si alzò in piedi e allungò le mani putride verso il tenente, che si spostò a lato. Lo zombie cascò oltre il parapetto e si schiantò contro due zombie di sotto.
"Per un pelo" disse Johnson, infastidito. "Ma ormai sei spacciato. Arrenditi! Diventerai uno di loro!"
Marvin spinse un non-morto, che ruzzolò addosso agli altri lungo la scala. Poi piantò le mani sul tubo pluviale poco oltre il parapetto e si arrampicò lungo la facciata con qualche difficoltà.
"No, no!" urlò Johnson. "Dove pensi di andare? Se non ti ammazzano loro, allora lo farò io!" Puntò la pistola contro la finestrella e sparò. Quella si ruppe in mille pezzi. Gli zombie si voltarono verso la porta di ferro.
Johnson puntò l'arma nella direzione di Marvin e sparò alla cieca. Le pallottole gli fischiarono accanto, ma lui continuò a salire imperterrito.
"Cazzo!" urlò Johnson, accecato dalla rabbia. Tirò un calcio contro la porta e cercò Marvin con lo sguardo. Non lo vide.
I non-morti si ammassarono davanti alla porta di ferro e la tartassarono di pugni.
"Dovevate ammazzarlo!" gridò con tutta la voce che aveva in corpo. "Dovevate squartarlo, farlo urlare dal dolore, teste di cazzo!" Cacciò un urlo di rabbia e sparò in testa a due zombie dietro la porta. Poi si voltò e se ne andò.
Marvin raggiunse il tetto, si sdraiò al suolo e riprese fiato. La scalata lo aveva sfinito. Non era più resistente come un tempo. Quando si alzò, sbarrò gli occhi e si abbassò subito dietro un condotto di areazione.
Una ventina di Lickers si muovevano in tondo, spaesati. Dietro di loro, un'umida e gocciolante parete organica rivestiva quella che un tempo era l'entrata sul tetto.

 

   
 
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