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Autore: ClodiaSpirit_    11/03/2022    2 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il viaggio di ritorno dalla Scozia era stato molto tranquillo. Simone aveva sentito un piccolo vuoto - come ogni volta che si separava da Floriana - mentre chiudeva la valigia, ancora sfatta la sera prima. Manuel la aveva già chiusa, tenendo fuori solo il necessario da aggiungere all'ultimo minuto. Quando aveva varcato la soglia della sua seconda casa, Floriana si era stretta forte al figlio, respirando il suo famigliare profumo, tenendogli la schiena. C'era stato un breve scambio di parole e qualche parola sussurrata. Quando toccò a Manuel, lo prese in disparte, mentre Simone si avviava già lungo la scalinata. Il ragazzo incalzava con la sua voce già a più di metà scala, sua madre stringeva Manuel e sembrava sussurrargli qualcosa all'orecchio.
Manuel ricordava quelle paroline, seduto lì sul sedile dell'aereo, mentre si preparavano al decollo.
Controlli passati, una piccola attesa prima di allontanarsi dall'aereoporto. Solo pochi giorni prima, gli veniva fatta forza per superare quella paura, ora, non vedeva l'ora di ritornare a Roma, riabbracciare Anita, riprendere le sue giornate con il suo ragazzo. Guardava verso Simone, le cuffiette dentro le orecchie, le mani rilassate lungo i braccioli del sedile in plastica scomoda. Ripensò anche allo sguardo di Floriana in verità, pregno di fiducia, verità.

Manuel, mi raccomando. Ti lascio Simone, so che sarà in ottime mani. Promettimi di tenerlo d'occhio.

E quella cosa gli suscitava dentro un bocciolo di responsabilità che per altri sarebbe sembrata pesante, eccessiva. Una persona era tante cose a cui tener conto, averne cura era una doppia promessa. Per Manuel invece, la promessa era ormai più che ovvia. Non rigida, non forzata. La cosa più spontanea che gli veniva naturale, era il pensiero dell'altro e per l'altro. Simone ora era parte della sua vita e avrebbe fatto parte chissà per quanto ancora. Si augurava, per molto. Il futuro poteva essere relativo e spaventoso, ma con quel ragazzo accanto, non c'era da temere: lo avrebbe protetto senza bisogno che glielo si chiedesse.

Tranquilla Floriana pensò, guardando come il sole si poggiava sulla figura di Simone adesso ora so quale è il mio posto. E non lo lascio.

Atterrati a Roma, la prima cosa che fecero furono vedere arrivare i loro genitori in aereoporto. Rispettivamente, Anita urlò a suo figlio perché non gli avesse risposto dopo un'intera giornata, abbracciandolo in ogni caso, malinconica, Dante, invece, diede una rapida pacca sulla spalla a Simone, accompagnandolo fuori, con un braccio intorno alle spalle.
Quando Simone e Manuel si salutarono, l'idea era quella di rivedersi il giorno dopo - cosa che sarebbe sicuramente successa - ma l'approccio istintivo di entrambi, avrebbe voluto essere più esplicito di un semplice saluto della mano o sguardo di troppo. Solo quando Anita e Dante si staccarono un attimo per andare a recuperare le macchine, i due ragazzi avevano avuto modo di scambiarsi un bacio - seppur veloce - ma comunque un bacio.

« Allora, quanto la devo pagare la guida Balestra? »

Simone restava con la valigia ancorata nella presa della mano.

« Hai già pagato quando hai deciso di venire con me. Questo vale più di tutto, Manuel. »

Manuel si voltò a guardare sua madre intenta ad aprire il portabagagli, distratta. Poi ritornò a Simone.

« Te seguirei ovunque, Simone » le mani si portarono al suo viso, il naso veniva sfiorato e il sorriso era diventato una collana di perle.

« Manuel, sbrigati, dobbiamo andare! » sentì la voce di sua madre richiamarlo da pochi metri. Dante invece era appoggiato al cofano della macchina, leggeva qualcosa al cellulare.

Manuel si voltò un attimo. Anita guardava l'orologio al polso come un ossessa, aveva un impegno di lavoro e non poteva tardare troppo.

« Mà, arrivo, ancora due minuti! » si sbrigò, poi rimise la mano sulla maniglia della valigia, lo sguardo faticava ad allontanarsi dal ragazzo alto. « Simò, domenica te va de venì a casa mia? »

« Va bene »

« Te invito per pranzo, me invento qualcosa, sicuro tanto per mi madre va bene »

Questa volta fu Dante a urlare il nome di Simone e il figlio sospirò, incamminandosi verso l'auto. Il teppistello lo seguì, fianco a fianco.

« Porto qualcosa però, non mi va di venire a mano vuote »

« Non fa cerimonie, è solo casa mia, mica na reggia » corrugò la fronte, storse il naso.

Simone assunse una smorfia, la bocca si incurvava all’ingiù.

« E che significa, reggia o no, porto qualcosa. È da persone educate »

« Mr maleducato non t'ha mai portato niente eppure non lo hai mai buttato fuori de casa tua- »

Simone lo prese per il colletto del dolcevita, gli bastò solo uno sguardo veloce e deciso per capire che lo aveva già zittito.

« Perché devi scaldarti tanto, dai, altrimenti non vengo più »

Manuel sospirò, sconfitto. Gli passava di già, immaginandolo, un dito sulle labbra di Simone e poi gli avrebbe sicuramente baciato quella porzione lì, dietro l’orecchio. Immaginava, appunto perché avvertiva lo sguardo pressante dei loro genitori uno parcheggiato davanti all'altro, su di sé.

« Va bene Simò » sentì la presa allentarsi di poco, lo sguardo intenso « niente birra però eh, ti avverto, non voglio berla per almeno due giorni »

Simone rise al disgusto disegnato sul volto di Manuel. Annuì, sistemandosi meglio lo zaino sulla spalla.

« E poi te l'ho detto, a me bastava solo che ci fossi, mia madre deve essere rimasta colpita… a proposito che ti ha detto? »
« Questi sono segreti che non si possono dire, » sentì lo sguardo curioso del suo ragazzo e l'idea di tenerlo sulle spine lo allettava parecchio « me dispiace Simone, le promesse se mantengono e poi c’hai ragione, me conviene stare calmo sennò non vieni e sarò il primo che se incazza qua. Anche perché c'ho tutto il diritto » dondolò volteggiando quasi con il bagaglio in mano.
Simone annuì, sorridendo vagamente furbo.

« Ti ha parlato di me non è vero? »

« Simò, » infilò la valigia dentro il portabagagli di sua madre, mentre Simone era già sulla fiancata della macchina di Dante « so muto come un pesce. Ci vediamo domenica, te ricordi che giorno è, no? »

Simone gli fece l'occhiolino, prima di accennare un saluto, depositare la valigia dietro e salire sul posto del passeggero.

« Ti vedo bene »

Dante sembrò assicurarsi che il signore sulle strisce pedonali, davanti a loro, avesse finito di attraversare la strada.

« Insomma, c'è stata una ripresa negli ultimi giorni, dopo i risultati di mamma... un po’ di paura generale »

« Non ci pensare più, ora mamma sta meglio. Ti sei divertito almeno un po’?»

« Sì, dai, ho fatto un po' fare il giro per il centro a Manuel, il museo, i luoghi che preferisco, cose così »

« È stato molto carino da parte sua accompagnarti » sottolineò suo padre, in fare premuroso « Come siamo organizzati quindi?» Dante proseguì dritto, cambiando la marcia.

« Papà, il programma rimane quello, ho solo bisogno di prendere e comprare alcune cose, » spiegò mettendosi comodo, le strade romane già scorrevano davanti ai suoi occhi « devo organizzare tutto bene, inoltre c'è da capire un po' i compiti. Dovrei farcela però »

« Hai bisogno di una mano? Voglio dire, ho già avvisato Anita, se posso aiutarti in qualche altro modo Simone... »

Simone osservò lo sguardo tranquillo di Dante alla guida. Un piccolo sorriso gli creava una fossetta sulla guancia.

« Sì, mi servi per una piccola cosa, in effetti. È essenziale, » mormorò, le mani poggiate sulle ginocchia « in ogni caso, mi piacerebbe riuscire a fare tutto, ci tengo »

Dante allungò una mano dal volante, coprendo quella del figlio. Quel gesto gli diede conforto.

« Tutto ciò che vuoi, Simone. Abbiamo tre giorni ancora a disposizione, ti ricordo che in tre giorni il signore è resuscitato »

« Sì, solo che io non ho i poteri divini o dello spirito santo »

Simone rise, seguito da suo padre. Si guardarono entrambi abbastanza sereni e sciolti.

« Dai, ce la facciamo » lo rassicurò.

Simone annuì, osservando come avevano ormai superato l'aereoporto, inoltrandosi tra strade famigliari. I sanpietrini, le strade con le buche, i piccoli centri abitati, il sole che batteva sui bar e le facciate degli edifici. Il mese di Giugno non era mai stato così caldo a Roma, il sole era alto in cielo e già qualcuno camminava per le piccole vie con un cono gelato in mano. Abbassò il finestrino, i capelli si muovevano poco, le narici respiravano l'afa estiva.
La cosa più bella erano le giornate, si allungavano, il sole si muoveva piano, il tempo era a sua disposizione e si poteva riempire come più si voleva. Avrebbe ricominciato gli allenamenti di rugby in tutta tranquillità a fine estate, riprendendo con i primi dolori alle gambe e il sudore. Simone ci pensava, pensava, ora, alla possibilità di andare al mare, di trovarsi a leggere libri per puro piacere, al di fuori dell’impegno scolastico, di dormire e il poter poltrire a letto fino a tardi. Pensava anche ad altro. Sarebbe stata infatti la sua prima estate fuori da Glasgow dopo tre anni e la prima con Manuel a Roma, l'inizio di una di tante.

« Ti va di prenderci qualcosa al bar? È ancora presto » Dante svoltò lungo una stradina popolata, lungo i due marciapiedi stavano piantando dei nuovi alberi.

« Si, dai. Tanto offri tu, no? »

Simone tamburellò le dita sulle ginocchia, Dante annuì.

« Non sbuffare troppo, ma mi è mancata un po' la tua presenza in casa. Anche solo per urlarmi contro, tua nonna poi... un usignolo rotto »

Simone guardò suo padre, i raggi di sole gli investirono i peli sella barba e l'inizio del naso. Sospirò.

« La nonna esagera sempre, » gli occhi di Dante erano coperti dalle lenti degli occhiali « la prossima volta dalla mamma ci andiamo insieme, che dici papà? »

Dante annuì, visibilmente sorpreso.

« La patria di Hume ed Hamilton, non vedo l'ora » era entusiasta, mentre le mani giravano il volante e gli occhi si muovevano per parcheggiare in zona.

Simone alzò gli occhi al cielo, sospirando stanco.
« Certo che per una volta potresti anche evitare di fare riferimenti filosofici »

« Chiedo scusa Simone, visto che la tua unica religione è Manuel, speravo di illuminarti su altro argomento »

Simone lo sentì quel tono sarcastico, Dante era particolarmente allegro quel giovedì mattina. Suo figlio poteva anche ribattere, ma anziché imbronciarsi, scelse di ridere insieme a suo padre. D'altro canto, non poteva che dargli ragione: ultimamente prima dell'accaduto di Floriana, non aveva fatto altro che parlare del suo ragazzo.

« Se proprio dobbiamo parlare d’altro, c’ho una fame… »

« Non preoccuparti per quello, siamo quasi arrivati »





- - -






Quella domenica mattina, Manuel si alzò, senza sapere che ore fossero esattamente.
I piedi puntarono fuori dal suo letto, scattanti. Scostò la serranda della finestra, le braccia si stiracchiavano. Manuel si mosse veloce verso il bagno, afferrò lo spazzolino al volo con la mano destra, il dentifricio venne maltrattato per essere spremuto, andato a finire per metà circa, sul lavandino. L’energia pompava addosso come se avesse fili elettrici lungo tutto il corpo, lo possedeva, vibrava dalla testa alle punte dei piedi.
12 di Giugno.
Solo diciannove anni fa, era ancora un piccolo pensiero inaspettato dentro la pancia di sua madre. Quello che Anita gli aveva raccontato lo ricordava sempre a memoria: quando aveva avuto la certezza dal dottore, era rimasta spaventata ma felice, più di ogni altra cosa. Lo aveva definito “la cosa più bella che mi sei capitata”. Su quell’espressione il ragazzo le aveva sempre detto che era di parte, lei, gli rispondeva che quando sarebbe stato padre, avrebbe provato sicuramente la stessa cosa.
Manuel era nato una domenica di mezzogiorno, come si diceva per voce popolare, il giorno che portava il significato di una persona testarda, cocciuta, accompagnata anche da un orario particolare. E insieme alla sua nascita, Anita gli aveva raccontato che nel letto accanto al suo, una signora aveva allungato il suo stato di gestazione per altre ventiquattro ore, quindi era stata più che fortunata. Manuel muoveva lo spazzolino sui denti, fino a quando non sputò. Sciaquò di nuovo e ripeteva l’azione. Fuori il tempo invogliava ad uscire, fare una passeggiata, ballare in strada. L’ultima volta che aveva fatto qualcosa, si era ritrovato da solo con sua madre, davanti a una torta già confezionata.
Il ricordo era custodito a dovere, ma l’immagine di Simone che gli cantava la tipica canzone imbarazzante davanti, gli provocava tanta sicurezza e anche sollievo. Amava sua madre, ma adesso era diverso. Non vantava – da sempre più o meno – grandi amicizie, se non si contava qualche conoscente incontrato dopo i traffici con quei delinquenti di Sbarra e Zucca. Adesso, aveva messo la testa apposto e le cose sarebbero andate diversamente, perché avrebbe avuto il suo ragazzo presente in quella giornata dedicata solo a lui.
Manuel mise a posto lo spazzolino nel bicchierino color petrolio all’angolo del lavandino e dopo essersi sciacquato il viso, si diresse in cucina.
Non ebbe neanche il tempo di aprire il frigo e afferrare il cartone del latte per fare colazione, che sua madre lo sorprese abbracciandolo da dietro. Le mani di Manuel accarezzarono quelle di Anita, ferme sul suo petto magro.

« Auguri al figlio più rompi palle, ma che amo con tutto il cuore. Diciannove anni fa, soffrivo le pene del parto, però a guardarti come sei cresciuto ora, le passerei di nuovo »

Manuel rise, la voce gli uscì impastata, bassa, l’unica porzione del suo corpo salva e che ancora dormiva. Con un gesto rapido chiuse l’anta del frigo.

« Sentimentali di prima mattina, mà? Giorno »

Anita gli scompigliò i ricci, baciandolo sulla guancia.






La giornata passò in un elenco abbastanza lungo dei compiti da fare e da dividersi come meglio poteva. Simone organizzò bene le piccole commissioni per due giornate intere. Sperava soltanto di non sbagliare qualcosa. La piccola visita al rifugio, gli aveva reso chiari: lo spazio, quanto in effetti potesse reggere il legno, se usare dei chiodi o semplicemente del nastro adesivo. Tutto gli sembrava un po’ come uno scatolone di carta, incollaggi, strumenti, che si andava piano piano a comporre nella sua testa. Gli venivano in mente quelle famose trasmissioni per bambini, mandate agli orari della merenda. Poi, Simone, uscì fuori, notò l’erba incolta. Si accovacciò sulle ginocchia, la mano toccò la terra calda e con un pollice o forse due e un occhio chiuso, misurò la distanza tra qualche ciuffo e l’altro.
, pensò, non sarà un problema.
Prese il suo blocchetto e ci appuntò sopra qualche modifica.
Si passò una mano a grattarsi la testa, sospirando un poco. Manuel se la sarebbe presa troppo? Forse non era il caso di rimuginarci così tanto, era una bella cosa. Si ripeteva in testa che era per una buona causa, tutto quel trambusto era stato messo in atto pochi giorni prima di sapere di sua madre, di allontanarsi da Roma. Niente sarebbe andato storto. Se c’era qualcosa che Simone aveva sempre amato, fin da piccolo, era festeggiare. Che fossero palloncini, colori vivaci, urla sollevate, erano momenti che amava, soprattutto se li condivideva con qualcuno.
Tutto sommato, non importava tanto con chi, era sempre stato abituato a dare affetto, attenzioni e a riceverle. L’idea era molto semplice: quella di dare tutte queste cose anche all’altro. Prima di tutto perché se le meritava e secondo, perché Simone si sentiva come in debito – anche se non sapeva bene spiegarsi perché.
Manuel era un’immagine più che solida, che era potuta risultare sgradevole agli inizi, coperta, sbiadita, ma vedendo l’intero trascorrere di quei mesi, vivendoci accanto, sentendolo vicino sempre, Simone aveva potuto conoscerlo davvero. E quell’immagine era diventata un quadro completo: con le sue macchie di sbavatura, ma anche con la scelta dei colori migliori da usare per la tela. Il cellulare vibrò, nella tasca dei suoi pantaloni.
Ecco, ora devo recitare, com’è che mi ha detto nonna? Ah sì, calma e tono solido.
Simone respirò profondamente e il dito premeva il tasto verde lì, sullo schermo.

« Ma buongiorno, » esordì, tutto sorridente, un filo d’erba venne strappato dalle dita di Simone « auguri pagliaccio » scherzò.

Sentì un leggero brontolio dall’altro capo del telefono.

« Ah, proprio belli sti auguri, Simò »

« Fammi finire, auguri a quel pagliaccio che ho come ragazzo, quello dalle battute comiche, dalla vena poetica, la persona più importante, il mio pagliaccio preferito »

Simone lo sentì felice solo nel tono di quella risata in risposta.

« Ma come devo fare con te? Mi fai degli auguri come se fosse ‘na cartolina de San Valentino che manco comprerei, eppure, » mormorò Manuel « me piace un sacco pure questa cosa. Non lo so, Simò, so diventato rincoglionito. È causa tua o sai questo, sì? »

Simone si alzò dall’erba, osservò vicino a lui la piscina grande e vuota. Scalciò con i piedi in avanti. Pensava a come fare a spegnergli l’entusiasmo senza farlo restare troppo male. Come si faceva a disinnescare una piccola bomba senza spargimenti di amarezza?

« Manuel » suonò dispiaciuto. E lo era, in fondo. Nonna Virginia gli aveva insegnato che la prima cosa era lasciare andare i veri sentimenti, poi, adottare una tecnica più sistematica. Gli aveva spiegato la tecnica conosciuta ed efficace in pochissimi atti: bisognava che pensasse a qualcosa di molto triste, che magari aveva vissuto e riportarla a galla all’istante. Poi allo stesso modo, per ritornare al sentimento inverso, doveva mutarla e concentrarsi su una cosa diversa.

« Che c’è Simò, te conosco, che succede? »

La voce del festeggiato cambiò subito umore, colore. In realtà Simone pensò di essere visto anche in quel momento – cosa non possibile – mentre si torturava le labbra e si portava una mano dietro la nuca, nervoso.

« Ti volevo dire per stasera, visto che avevamo spostato giovedì, mi sono dimenticato che avevo l’impegno con i ragazzi di rugby, » cercò di risultare credibile, camminando un po’ in avanti, senza realmente volersene andare « glielo avevo promesso prima di salire da mia madre, era da un mese che volevamo organizzarla, sai dopo la scuola »
Il silenzio dall’altra parte diede a Simone una mazzata invisibile, arrivò dritta dietro al collo come una frustata. Si inghiottì le parole che avrebbe voluto dire, urlargli che era tutta una cosa falsa, però si contenne. Il piano doveva procedere come pattuito e non si sarebbe lasciato trascinare da pochi attimi di pentimento.

« Simò, non puoi rimandare? »

Manuel emise un sussurro che fece capire il tono completamente diverso, come se si fosse spento tutto d’un tratto.

« C’ho provato, o meglio, ho spiegato anche perché, ma non li vedo da fine degli allentamenti, e ho sempre dato loro buca per le verifiche, le interrogazioni… »

Mantieni il tono, non incrinarlo altrimenti è fatta la frittata, sentì le parole di sua nonna in testa.

« Ho capito Simò, però giusto er giorno mio… la cena la potete fà sempre, io faccio gli anni solo una volta all'anno- »

« Possiamo vederci a pranzo, oggi, » fu veloce senza lasciarlo finire « al posto di stasera, non sarà la stessa cosa però almeno ci vediamo. »

« Simone oggi a pranzo non posso, mi madre ha deciso che vengono a farmi visita due zie che vengono non so manco da dove, » sospirò amareggiato « si è fissata che vuole che ci rivediamo. Ecco perché volevo che venissi stasera, con calma e senza rottura de palle »

Simone annuì, contorcendosi al pensiero di Manuel bloccato a casa con la presenza di parenti non richiesti e che non gli erano magari neanche simpatici, mentre lui si dilettava nell’artista di turno, contento e attento, per organizzargli una festa a sorpresa.

« Puoi passare nel tardo pomeriggio, » pensò che l’aiuto di suo padre sarebbe scattato proprio in quel momento, d’altra parte era a quello che gli serviva « quando ti liberi, l’uscita tanto è dopo le sette. »

« Non c’è tanto gusto così però, » il tono basso e distratto di Manuel già faceva desistere Simone, che chiuse la mano a pugno, concentrandosi sulla chioma di un albero in lontananza, all’altezza dei suoi occhi « avrei voluto che ce fossi tu, mi madre, pe’ fa na cosa diversa. C'avevo un'idea anche un'idea de uscì, insomma, hai capito, no? »

« Lo so e mi farò perdonare Manuel, » cominciò Simone, giocando la carta del dispiacere « mi sento un po’ una merda, ti giuro. Ma tra il casino di mia madre, il ritorno, non c’ho più pensato… »

« Non te preoccupà... »

E’ già triste, cazzo.
Simone si focalizzò sulla sorpresa, ancora poche ore e tutto si sarebbe spiegato. « Faccio de tutto ‘pe liberamme qua per pomeriggio, e passiamo un po’ de tempo insieme, te prenoto già, visto che sei richiesto, altrimenti me fregano pure questa cosa »

« Sei incazzato? » gli uscì di getto.

« Simone non me và di innervosirmi oggi » sbuffò pesantemente, il respiro era pesante.

Il ragazzo sapeva di cosa aveva bisogno, doveva soltanto lasciarlo sfogare. D'altra parte, aveva tutto il diritto di avercela per la situazione - fittizia - ma reale per Manuel.

« Ma lo sento, sei incazzato. »

« La verità? » la voce si scurì leggermente, come se un coltello lo avesse pungolato in un punto sensibile del copro « un po’ »

« Dai, su, sfogati pure »

« Simò

« Non ti conoscono Manuel e non lo sapranno mai da me, sfoga tutto. Se vuoi, fallo. » sorrise un poco, immaginando il suo ragazzo che scriveva su un foglio nero tutti i nomi dei suoi poveri e innocenti compagni di allenamento.

« So’ un po’ dei bastardi. Scommetto che loro co’ le loro ragazze la sera del compleanno ce la passano insieme, mentre io me devo accontentà de due orette se tutto va bene, per stare con te, Simone »

Le parole gli arrivarono dritte come un treno in corsa, la breccia che colpiva e spaccava a metà la mela. Il pensiero di Manuel invidioso lo faceva impazzire perché era come se gli dicesse in modo indiretto quanto lo amava. In realtà insieme alla gelosia era un sentimento che se gestito bene, risultava pure nobile. Era come dire non lo fare, o anche tu prova a farlo e io ritorno più combattivo e speranzoso di prima.
Simone fissò ora il blocchetto che teneva in mano: la prossima commissione lo vedeva uscire in motorino per sbrigare altre due cosette prima del pranzo. In una giornata sarebbe riuscito a fare tutto – doveva riuscirci.

« Mi faccio perdonare. Ti lascerò prendermi in giro per una settimana, argomento a tua scelta. Facciamo quello che vuoi, se vuoi non usciamo proprio, ah, e aggiungo anche delle dormite a casa mia come bonus.»

« Mi fai morire, sembra che me stai vendendo un folletto, Simò »

Simone scoppiò a ridere, e l’altro lo raggiunse poco dopo.

« Davvero, te lo prometto, tutto ciò che vuoi…»

« E’ il mio regalo de compleanno? »

Oh, se sapessi qual è il tuo regalo.

« Sì e no, » Simone si dondolò in avanti e in dietro, la testa gli vagava sulle cose che ancora doveva sbrigare, preparare in pochissime ore « posso fartene più di uno, uno per ogni volta che mi hai fatto stare bene »
Pensò che l’altro avesse chiuso la chiamata, che fosse caduta la linea o che semplicemente, avesse deciso di trincerarsi nel silenzio come modalità del suo umore offeso. Poi però, Manuel prese parola.

« Simone ringrazia che non sono lì, adesso, altrimenti non te farei più uscire dalla camera dove te trovi. Anni nuovi o no, che me frega, me le passerei delle ore solo con te, in quel modo »

Non sono in camera, ma sì, sto arrossendo lo stesso.

« Lo sai vero, che non ti è permesso dire queste cose prima di un certo orario? »

« Me ne frego della fascia protetta, » lo canzonò per bene « fà l’amore col ragazzo mio è sempre uno dei regali che preferisco »

« Guardati come ti sei ridotto, a diciott’anni odiavi le cose sentimentali e adesso…» la buttò sull’ironia, anche perché sentiva già le guance rosse presentarsi e ringraziò che Manuel non potesse vederlo in quel momento.

« E adesso amo te »

Simone sembrò sul punto di dirgli tutto, di cosa stava combinando, che non doveva restare così, appeso, che tutto ciò che voleva era che ciò che stava preparando andasse in porto.

« Se può farti stare meglio, » Simone serrò gli occhi, creando e visualizzando una foto in movimento ben precisa « prova a pensare a come stavamo giorni fa, quando abbiamo fatto le due di notte, perché non riuscivamo a dormire. Abbiamo ascoltato la musica, a letto. Ci penso spesso, e ricordi anche cosa ti ho detto? »

« Che non sono solo » ripeté Manuel.

« Esatto. Anche oggi che non ci sarò, » Simone ringraziò se stesso confortando entrambi a sua insaputa « ma io sto lì, Manuel. Anche se non mi vedi. E ti auguro davvero di passare una giornata che non dimenticherai »

Ed era vero, sperava davvero di rendergliela indimenticabile. Nel bene e nel male, il pensiero sarebbe sempre stato rivolto a quel ragazzo, anche se il terrore che potesse rovinare qualcosa, lo avrebbe portato a dare il massimo.

« Quant'è vero che ho la capoccia dura, io arrivo da te e me libero Simò. Fosse l'ultima cosa che faccio. »



 
- - -




Alle cinque e mezza in punto, Simone che stava sgranocchiando dei biscotti, trovò la figura di suo padre, intenta a mandare un’e-mail, il pc era posizionato sul tavolo da cucina, il cellulare di fianco a quello. L’orologio in alto, ticchettava sopra la mensola del muro.

« Papà, devi entrare in azione, manda un messaggio a Manuel » suonò deciso, anche se la sua figura trasmetteva uno stato di ansia quasi totale.

Dante alzò gli occhi sul figlio, gli occhiali gli ricaddero sul naso. Notò come suo figlio stesse ansiosamente cercando di fare mente locale, con le granelle di cioccolato che ricadevano tutte sul tovagliolo. Una mano era chiusa, nell’altra si stringeva il cibo.

« Bene, » afferrò l’apparecchio e aprì l’icona dei messaggi « che devo scrivere? »

Simone sospirò. Aveva pensato bene a cosa, ma non sapeva come formularla ora che ci pensava. Manuel sarebbe arrivato di lì a pochi minuti e lui doveva scomparire per un’oretta. Pensa Simone, pensa. Si inumidì le labbra, posò il biscotto sul tovagliolo e a mente sgombra, capì qual era la mossa più giusta.

« Ciao Manuel, per caso sai dov’è Simone, » cominciò a dettare, parola dopo parola « è uscito più di mezz’ora fa, non mi ha detto dove andava e da chi. Per caso è lì da te? La domenica la passate insieme di solito... »

Dante rilesse il messaggio, controllando se ci fossero errori di battitura, poi mostrò il display a Simone. Suo figlio annuì e suo padre inviò il messaggio.

« E se non dovesse abboccare? »

Simone sentiva di stare entrando in paranoia per una cosa inutile.
« Non dire gatto finché non ce l’hai nel sacco »

Simone si alzò in piedi, aveva bisogno di muoversi un poco. Agitato o no, doveva rimanere lucido, come avrebbe continuato poi se l’altro avesse risposto?
Il cellulare di Dante vibrò, una notifica nella casella dei messaggi.

17:34
Professò, se fosse venuto da me m’avrebbe avvisato e poi stavo venendo io lì, da voi.
Ha provato a chiamarlo? Magari è ‘pe strada col motorino.


« Rispondi così: ho provato già, ma il cellulare è staccato »

Simone di colpo, con la mano tremante – si sentiva uno stupido – spense il cellulare. Annuì a suo padre, che ticchettò con le dita sulla superficie lignea del tavolo. Un'altra vibrazione.

17: 35
Non famo scherzi! L'ho sentito stamattina prima de pranzo, era tutto tranquillo.
Non mi ha detto che doveva uscire. Ora provo a chiamarlo io e le faccio sapere.


Simone immaginò il tono del suo ragazzo, cadenzato. Pensò anche che lo stava facendo preoccupare. Il tono da cadenzato si tramutò in uno sguardo confuso e bastonato. Era normale accadesse, era parte del piano, si disse in mente, doveva funzionare tutto. Manuel non doveva avere il minimo sospetto.

« Aspettiamo un altro po’, se ti risponde che sta arrivando qui, » spiegò a suo padre « tu tienilo occupato, se non esce di casa, ho già avvisato Anita, il tempo di farmi una doccia e raggiungerla per prendere la torta e le altre cose. Quando arriviamo, dovete spostarvi in soggiorno o in studio »

« Ricevuto »

« La nonna ti farà un segnale quando avremo fatto, passeremo dalla finestra che da sul giardino, per non far sentire il rumore della porta »

« Sembra un film di spionaggio » azzardò Dante. Simone sorrise nervoso.

Passò un tempo che gli sembrò indefinito, ferro fuso nei suoi passi e soprattutto nel pensiero di un Manuel possibilmente in stato di panico causato da due semplici messaggi. Era così forse, che dovevano sentirsi i cattivi delle serie tv. Ma Simone era tutto fuorché quello.

17: 40
Cazzo, professò non risponde. Facciamo una cosa, io mo’ esco e vado un po’ in giro, vedo se riesco a pensà a qualche posto in particolare.
Poi me precipito a casa sua e vediamo cosa fare.


Scacco.
Simone baciò suo padre in testa, l’euforia che gli pompava in pieno petto. Sentì la risata di suo padre, mentre lo lasciava libero di rispondergli con un ‘va bene, fammi sapere’ e corse dritto su per le scale, a farsi una doccia rapida. Dopo, sarebbe uscito prendendo la moto, in modo da risultare credibile e da lì in poi, sarebbe stata solo questione di pochissime ore. Ogni cosa stava andando secondo i suoi piani.

17: 41
Sto uscendo adesso, lei mi tenga aggiornato.

Si ricordi de striglià de parole su figlio.






Segreteria telefonica.
La segreteria squillò per la quarta, poi quinta volta, avrebbe voluto rispondere alla vocina registrata mandarla tanto al diavolo e dirle che il suo ragazzo la segreteria non la lasciava parlare mai, perché rispondeva sempre. Il cellulare venne quasi sbattuto a terra, se non fosse stato per il materasso su cui rimbalzò, dopo il lancio fortunato di Manuel.

« Mannaggia a te Simò, dove te sei cacciato? »

Manuel si aggrovigliò gli elastici della felpa, fino a quando non decise di alzarsi e prendere lo zaino e le chiavi del motorino. Se gli era successo qualcosa, non se lo sarebbe perdonato. Ma poi che cosa poteva essere successo? Lo aspettava a casa sua, prima di uscire, la sera del suo stesso compleanno. Sospirò scacciando via il pensiero che potesse trovarsi in pericolo. Sicuramente aveva avuto un’emergenza ed era uscito in fretta e furia di casa.
Un’emergenza, de domenica?
Simone non aveva detto che lo aspettava nel pomeriggio? Che avrebbero passato qualche ora insieme per farsi perdonare? Il cervello di Manuel navigò l’idea che forse, forse era rimasto bloccato per strada, al durante la guida bisogna evitare di guardare il telefono. Voleva escludere l’idea di un possibile incidente, ma nell’esatto momento in cui ci pensò, non sapeva più togliersi quella macabra possibilità dalla testa. No, non era proprio il caso di crearsi una tragedia in testa, era più plausibile che stesse ritornando a casa e non poteva rispondere.
E’ il mio compleanno, signore per favore, fammi sta grazia: non oggi.

« Manu, dove vai? » Anita si affacciò dal soggiorno, una tazza di caffè in mano.

« Mà, devo fare una cosa urgente, » mormorò, cercando di non dare a vedere lo sguardo di pietra « poi te spiego, ok? »

« Tutto apposto, è successo qualcosa-»

« Sta tranquilla, la risolvo da sola, » cercò di dirlo convincendo più se stesso, che sua madre « appena ho fatto ti chiamo »
E così dicendo, uscì di fretta, chiudendosi la porta alle spalle senza far caso a come aveva sbattuto. Anita, afferrò il telefono, rapida.

« Simone, sì, » un sorriso sornione le spuntò sulla faccia « sta tranquillo, è uscito adesso, va bene, ti aspetto e ci partiamo insieme »





Parcheggiato in modo sbrigativo, Manuel si slacciò il casco in un solo gesto, poggiandolo poi sul manubrio del motorino. Incalzò il passo e bussò a casa Balestra. Non usò il campanello, ma direttamente le nocche. Dante gli aprì dopo qualche minuto, l'espressione dell'uomo era serissima. Il ragazzo si accese in un barlume di speranza.

« Professò, lo ha sentito, vero? Me dica de sì » entrò dentro subito, senza neanche togliersi il giacchetto che portava indosso. Dante chiuse la porta dietro di loro e si infilò le mani nelle tasche dei jeans. Ondeggiò con la testa.

« Mi piacerebbe dirti di sì, ma no »

Manuel chiuse gli occhi, le mani ancorate sui fianchi. Sentì l'ansia montargli dentro, la gola secca.
« Ma dove cazzo è finito, so andato per quasi tutta Roma a cercarlo! » alzò le braccia in aria esasperato « Qua dobbiamo per forza chiamare qualcuno, la polizia- »

« No no, Manuel calmiamoci un attimo » Dante lo frenò, mettendogli le mani sulle spalle « le scomparse non si denunciano se non sono passate almeno ventiquattro ore. È la prassi. Dobbiamo capire solo se può esserci qualche cosa che ti ha detto, magari qualche cosa piccola, che può farci un indizio. »

Manuel annuì, l'espressione di totale panico. Qualcosa che mi ha detto. Che cazzo mi ha raccontato Simone in questi tre giorni? « Ti prendo un bicchiere d'acqua, vedo che ne hai bisogno »

Manuel si mosse attorno all'entrata ancora, l'atmosfera era abbastanza silenziosa, anche troppo. Si guardò intorno, cercando qualcosa, qualsiasi cosa che nella sua testa potesse dargli un respiro di sollievo. Qualcosa che potesse dargli un po' più di speranza. Dante ritornò poi con il bicchiere d'acqua e il ragazzo lo afferrò, portandoselo alla bocca.

« È già un'ora e mezza che è fuori di casa, » Dante optò per un tono più basso, amareggiato « vorrei capire cosa doveva fare di così importante da non comunicarmelo »

Manuel bevve l'acqua in un sorso veloce, per poi dare il bicchiere a Dante, riportò le mani sui fianchi, in fare pensieroso che non andava per niente in armonia col ritmo frenetico dei piedi, avanti e indietro, lungo il pavimento dell'entrata.

« Magari c'entra con Floriana? Magari può essere ritornato in Scozia, senza avvisare, » ipotizzò « o qualcosa del genere »

« Potrebbe, ma sua madre mi avrebbe avvertito se la avesse contattata »

Manuel si portò le mani alla testa. Dante gli mise una mano sulla spalla, con fare premuroso. « Manuel se continui ad agitarti così non risolveremo comunque niente, » la sua voce suonò rilassante d'un tratto « ti va se ci andiamo a sedere un attimo di là, in soggiorno? »

Il ragazzo annuì, anche se avrebbe preferito che il suo cellulare squillasse da un momento all'altro. Dante accompagnò Manuel lungo la stanza, attraversando il corridoio. Si tastò nella tasca dei pantaloni, mentre il ragazzo avanzava oltre la porta.

18:46
Noi siamo quasi arrivati, stiamo svoltando l'angolo,
mi raccomando papà, come da programma.


Dante si ficcò di nuovo il cellulare in tasca, facendo finta di niente. Raggiunse Manuel sul divano, le mani giunte e la schiena un po' rigida.

« Forse doveva vedersi con qualcuno »

« Sì, come le ho già detto, se doveva vedè con me, » si grattò la nuca, con fare meccanico « non so se lo sa, ma oggi è il giorno in cui 'sto soggetto è venuto al mondo » si indicò.

Dante sorrise un poco, senza scomporsi troppo « Volevo passà qualche ora con lui, visto che stasera aveva già da fare » mormorò.

« Auguri allora. Sono diciannove, giusto? Per Simone, sono sicuro che per cena rientrerà, dobbiamo pensare questo, dobbiamo essere fiduciosi »

« Grazie, diciannove anni de sta vita complicata ...professò, o spero per lui, altrimenti finisce che - senza offesa - ma suo figlio me farà invecchiare prima del tempo »

« Siete ragazzi, » Dante si strofinò le mani sulle ginocchia « a questa età il vostro compito è quasi solo di fare salire i nervi ai vostri genitori »

« Sì, ma Simone non è sempre così, lui è diverso. In senso positivo, intendo »

Dante si distese lungo la poltrona, la schiena era sciolta, lo sguardo ritornava serio come prima.

« Non ti ho ancora ringraziato per averlo accompagnato da sua madre, è una cosa che mi ha colpito molto »

« Si figuri, prof, io non c'avevo minimamente intenzione de lasciarlo partì da solo. Penso siano queste le cose giuste che si dovrebbero fare quando se sta insieme a qualcuno, no? »

Manuel sembrò cristallino, nonostante il tono fosse basso e gli occhi gli ricadessero costantemente sullo schermo del suo cellulare messo sul tavolino in mezzo alla stanza.

Dante annuì, cogliendo subito la piccola dichiarazione del ragazzo, anche seppur velata.

« Manuel, il modo in cui tieni a Simone è bello. Non voglio essere di parte, ma mio figlio è una delle persone più buone che ci siano e non lo dico solo perché sono suo padre, è sempre stato così. Non voglio che tu possa pensare male, ma lo difenderò sempre, o almeno ci proverò. È l'indole del genitore, » rise un po', colorando il tono « anche se non sono riuscito bene a gestirla in tutti questi anni. Ma sto recuperando. Voglio che tu sappia, che qualsiasi cosa succeda, in un modo o nell'altro, Simone, al mio stesso modo, cercherà sempre di proteggerti le spalle. È fatto così, non c'è scusa che tenga »

Manuel si sentì leggermente preso in causa, ma sul viso dell'uomo non c'era ira, né collera, né un ultimatum di avvertimento. Dante parlava a cuore aperto, senza troppi giri di parole. « Mi piace e voglio pensare che da ora in poi, per te sarà lo stesso. »

« Per Simone me butterei giù da un ponte se servisse, » sussurrò, stavolta concentrandosi solo sullo sguardo dell'uomo davanti a lui, non del suo professore di scuola « io glielo giuro, non ho intenzione di andarmene dalla vita di suo figlio. Per quanto sia stata un casino la mia, 'na giostra de errori, non lo farò. Non lo voglio, e se fosse il caso non saprei neanche come farlo. Perché lui sta qua ormai, » si inumidì le labbra, si toccò il petto indicando il cuore « e non penso se ne andrà via tanto facilmente »





 
- - -






Simone scattò in avanti, scavalcò la finestra che dava sul giardino, prendendo il pacco dalle mani di Anita. Molto lentamente, la donna si portò dietro l'armamento vario: palloncini, uno striscione, dei tovaglioli abbinati ai palloncini. Quando furono entrambi dentro, all'altezza della camera di sua nonna, che adesso stava sicuramente al piano di sotto, dopo l'intero pomeriggio passato dall'estetista, con Dante e Manuel. Simone visualizzò la cucina, notando che la porta del soggiorno era chiusa. Fu sollevato nel sapere che suo padre aveva avuto la decenza di chiuderla. A passo felpato, lui e Anita cominciarono a piazzare le cose, cercando di spostare piano, i palloncini erano già gonfi quindi non ci fu neanche il rumore del fiato per riempirli di aria. L'idea di Anita era stata molto carina: lo striscione riportava l'immagine di una moto, con sopra foto-montata la faccia del suo ragazzo, che capeggiava. La scritta auguri era scritta in diagonale, sotto di quella. La appesero ai lati di due sedie, che rovesciarono sul tavolo, in modo che lo striscione ricadesse non finendo del tutto a terra e fosse ben visibile.
Organizzarono la tavola come meglio potevano, distribuendo tutto il necessario. Per finire, Simone uscì la torta dall'involucro e posizionando le candeline sopra, con un accendi gas, le accese. Il ragazzo diede il segnale ad Anita, la quale annuì, digitava sul cellulare. Simone si premurò di spegnere luci della cucina. La porta del soggiorno si apriva piano. La prima cosa che Simone vide, fu l'espressione del suo ragazzo, avanzato per primo, completamente incredula. Se ne stava fermo lì, senza sapere cosa dire. Le luci delle candeline illuminavano quel poco riquadro dove Simone si trovava.

« Tanti auguri a te » canticchiò Simone, avvicinandosi a Manuel, con la torta tra le mani. Il ragazzo si ritrovò spiazzato, le mani ferme lungo i fianchi, gli occhi fissi in quelli di Simone. La piccola fiamma sulla torta li rendeva più belli, se possibili.

« Che bastardo, » mormorò, sorridendo incredulo « avevi organizzato tutto? »

Simone scrollò le spalle, sorridendo a sua volta.

« Sono stato aiutato »

Manuel si girò a guardare tutti dentro la stanza, adesso di nuovo illuminata. Nonna Virginia, Dante dietro di lui, sua madre per ultima. Cantarono tutti quanti la canzone. La tipica canzone che sentiva da 19 anni, e da 19 anni gliela aveva cantata solo sua madre. Adesso, c'erano quattro persone a farlo per lui. Il viso di Manuel era un misto tra imbarazzo e felicità, come se l'idea di tutte quelle persone lì per lui, fosse un sogno troppo surreale perché avvenisse. Quando finirono, li guardò ancora un po', ciascuno di loro.

« Non ce credo, ma che infami, lo sapevate tutti? Eravate tutti coalizzati? »

Simone rise giusto il tempo di pungolarlo con quegli occhi ansiosi, entusiasti.

« Vuoi soffiare su questa torta o aspettiamo direttamente i vent'anni? »

Manuel lo guardò radioso, le sue labbra spensero le candeline numerate, mentre tutti nella stanza applaudivano. Osservò lo striscione sul tavolo. Rise.

« Di chi è stata l'idea di quello? » lo indicò. Sua madre alzò la mano, trepidante dall'orgoglio. Suo figlio le mimò un grazie, andò ad abbracciarla. Poi Manuel ritornò a Simone, che mentre si era già spostato al centro della stanza per posare il dolce, in modo che venisse tagliato. Le bibite erano già posizionate, tutte tranne la birra: così come il festeggiato aveva ordinato. Entrambi volevano evitare che la situazione in Scozia avesse un disgustoso continuo. Simone sembrava aver avuto un'altra variante però, perchè in verità, aveva riservato una bottiglia di spumante solo per loro due, più tardi. « Ma quindi l'idea de farmi venì quasi mezzo infarto era pure inclusa o...? » alzò un sopracciglio, anche se il tono fu scherzoso.

« Mi dispiace per quello, » alzò le mani in segno di difesa « ma non dovevi sospettare nulla »

Manuel gli cinse il volto con entrambe le mani, lo sguardo era pieno di amore. Una giornata che non dimenticherai gli riecheggiò nella testa. Il bacio fu spontaneo, davanti ai loro famigliari, con la voglia di non limitarsi solo a quello. Aveva l'impressione di stare sorridendo fino a farsi venire una paresi facciale, ma non gli importava.

« Simò, io non so che dirti, davvero... » le mani si spostarono dietro il collo « fino a pochi minuti fa pensavo fossi disperso, e ora me ritrovo 'na torta e 'na festa de compleanno. »

« È la magia dell'associazione sorprese di Balestra Junior »

« Quindi non c'avevi la cena dei rugbisti stasera- »

« Era parte del piano, stasera, » Simone sentì solo la sua voce in mezzo già al chiacchiericcio degli altri nella stanza « è dedicata solo a te. »

Poi con un semplice bacio sulla guancia e un sorriso di Manuel contro il suo viso, quello gli tagliò una fetta di torta e gliela passò.





Finito di mangiare e bere, e aperti i regali, si era creato tra il soggiorno e la cucina, un dibattito acceso tra Dante, Nonna Virginia e Anita. Non ricordava nemmeno come fosse iniziato, ma Manuel fece scorrere lo sguardo divertito tra Simone e sua madre, la quale stava ridendo su una cosa appena detta da Dante. L'aria era piena di spirito, ed era così che pensava di trascorrerla, a cuore e testa leggeri. Allontanandosi un attimo a riempire il bicchiere, Simone lo osservò con la coda dell'occhio e finì per alzarsi e seguirlo.

« Sei pronto per la seconda parte? »

« In che senso, non te seguo »

« La seconda parte della sorpresa » gli tolse il bicchiere dalle mani, senza nemmeno lasciarlo finire di bere. Simone lo prese per mano. « Scusate, noi usciamo un attimo a prendere un po' d'aria, » si affrettò « voi continuate pure » Manuel non ebbe nemmeno il tempo di salutare, che venne trascinato fuori di casa. L'insieme di voci so quietò prima che la porta venisse chiusa dietro di loro. Poi Simone si frugò nella tasca dei jeans, tirando fuori una benda nera.

« Oh, Simò aspetta, » mise la mani avanti, sorridendo cauto, il tono era velato di malizia « non sarebbe meglio entrà dentro per fà certe cose? »

« La benda non è per quello che pensi tu, » sospirò, oltrepassando il doppio senso, poi la mosse tra le mani aprendola « non devi vedere, altrimenti che sorpresa è? »

« Ah »
Simone restò fermo, mentre si sporgeva per bendargli li occhi, Manuel lo trattenne per i polsi. « Non è che me stai a vizià un po' troppo?»

« Ma quando mai » mormorò.

« A me sembra de sì invece » si morse le labbra, posando le mani sui fianchi « Posso almeno avere un indizio? »

Simone sospirò, impaziente. Le mani si annodavano sul tessuto dell'oggetto.

« Ti fidi di me? »

« Che stamo a fà Jack e Rose? No perché io voglio essere Jack tra i due, sia chiaro » le mani lo toccarono sul petto, con i palmi aperti, lo prese in giro beffardo.

Simone lo guardò sopprimendo una risata, la serietà sfuggiva al suo controllo quando Manuel tirava fuori il repertorio del comico. Il ragazzo lo guardò diversamente, col silenzio di pausa che si era creato. « Certo che me fido di te »
Manuel lo baciò veloce e si lasciò coprire gli occhi, la benda venne legata non troppo stretta e Simone lo prese per mano. Cominciarono a camminare, senza però evitare di sentire Manuel ogni tanto incespicare su qualche possibile informazione da tirargli fuori

« Ma è una cosa grande Simone? »

« Aspetta e vedrai »

« È 'na moto? »

« Ce la fai a non fare domande per qualche minuto? » rispose quasi scocciato.

Mentre procedevano, Manuel sembrò quasi cascare su un ciottolo e Simone gli evitò per riflesso, di sfracellarsi a terra. « Siamo quasi arrivati, dai »
I due ragazzi si fermarono, o meglio, Simone si fermò mentre Manuel metteva le mani dappertutto, sospese com'erano nel vuoto. Quell'immagine provocò la risata di Simone, che gli uscì contagiosa da morire, tantoché Manuel fece lo stesso.

« Sembro un coglione, sì? »

Simone tirò fuori l'accendino che usava per fumare e cominciò veloce a farne uso, quando finì, si riavvicinò al ragazzo. Gli sciolse la benda, e prima che aprisse gli occhi, glieli baciò entrambi.
Si scostò un poco, fino a quando Manuel non si accorse dov'erano.
Quello era il loro posto, la casetta di legno vicino la piscina. Il rifugio, era riempito e circondato tutto per il perimetro della facciata di fiori, sparsi qua e là, qualche rosa rossa, una serie di margherite, dei gelsomini, alternati e conficcati tra le assi di legno sottile. La composizione sembrava un grande tappeto in verticale, misto, profumato dove il bianco, il rosso e qualche tocco di giallo dava l’idea di un prato mobile o di un quadro impressionista vivente.
L'erba intorno riportava circa una ventina di candele, di media altezza, accese ai lati, ognuna correva in direzioni precise, per file ordinate, tutt'intorno al perimetro della casa. Alzando gli occhi, Manuel notò che la porta riportava una serie di lucine a contornarne la sua forma rettangolare. Simone rimase attento ad ogni sua microespressione, vedeva come Manuel si avvicinava a toccare qualche petalo, sfiorava delicatamente la base, poi si concentrava sulla visione generale.
Si sentiva un po' in ansia, ma si rilassò vedendo l’altro come incantato. Manuel pensò di non essere ancora sazio e i suoi occhi vagavano ancora su ciò che non avea notato. Stava lì, proprio sotto il suo naso, in basso, sotto la porta, un piccolo tappeto. Una nuova aggiunta di Simone, che dava quel tocco di quotidianità anche se molto semplice, dai bordi in rosso, la scritta riportava la parola ‘home’ al centro. Proprio lì, sulle lettere della M e della O, si posizionava una bottiglia di vetro con dentro un foglio arrotolato che indirizzò la sua curiosità. Manuel guardò Simone, indicandosi incerto e il più alto annuì. Raccolse l'oggetto e ne estrasse la carta. Era tutta scritta a penna.

« Se vuoi, puoi leggerla dopo, » mormorò « voglio farti vedere dentro »

Manuel non disse niente, stringeva quel piccolo pezzo di carta in una mano, come fosse una verità assoluta, posò la bottiglia al lato dei suoi piedi e si lasciò guidare da Simone senza fiatare, dentro la piccola casa.
Una volta dentro, Manuel capì che quella non era più solo una misera casa sfasciata. Al lato della stanza, c'era un nuovo oggetto, una sorta di puff - che all'apparenza sembrava usato - ma senza un buco. Le pareti lungo la branda del letto, con qualche cuscino in più, coprivano il legno con dei teli ampi, colorati, di blu, rosso, violetto, e sopra di quelli dominavano una serie di foto, ognuna percorsa da delle lucine automatiche ad intermittenza. Non sapeva quante fossero, forse una trentina. Erano tutte in formato polaroid. Si avvicinò per guardare meglio. Manuel sorrise inconsapevolmente. Riconobbe subito quando le avevano scattate, anche perché non si aveva spesso l'occasione di vederlo con un berretto e un maglioncino addosso.

« Le hai fatte sviluppare » disse meravigliato, guardandone una da più vicino.

« Sì, te lo avevo detto, solo le più belle »

In una lui e Simone stavano palesemente scherzando, un selfie sul ponte, nell'altra si vedeva Manuel di profilo, nell'altra ancora, Simone metteva una mano davanti all'obiettivo lasciando però parte del visto scoperta, con lo sfondo di un paesaggio. Un sorriso ampio quando beccò la sua foto con in mano una birra scozzese. Manuel guardò meglio l'ambiente, poi, catturando solo dopo, il pacchetto incartato nella stanza, sopra lo scaffale in alto. Simone seguì il suo sguardo.

« Oh sì, giusto, dimenticavo, il tuo regalo » si spostò per afferrarlo.

Manuel teneva ancora il foglio in mano, indeciso se leggerlo in quel momento o meno.

« Come se non avessi fatto nulla per me Simone, » prese il pacchetto dalla mano di Simone, senza nemmeno guardare, la carta finì nell'altra mano « quanto c'hai messo per fare tutto questo? »

« Quasi tutto in un solo giorno, soprattutto per i fiori, altrimenti sarebbero diventati uno schifo »

« Te sei completamente matto Simò » lo baciò attaccandosi a lui, senza freni, scambiando finalmente un contatto pieno, desiderato dall'inizio della giornata. Forse non c'era posto migliore che farlo lì, in quel posto battezzato ormai di loro proprietà. Simone si riprese poco dopo, il respiro faticò a ritornare, il naso incollato a quello di Manuel.

« O si fanno bene le cose o non si fanno proprio »

Manuel annuì piano, non riusciva ancora a capacitarsi di averlo trovato nella sua vita. Che fosse capitata a lui quella fortuna sfacciata. Simone vagò sul suo ragazzo, le dita indicarono il regalo «Beh, aprilo, no? »

Manuel sembrava come stordito, mosse la testa, la carta era ancora stretta nelle sue mani, quindi la posò un attimo sul mobiletto affianco. Passò ad aprire piano l'involucro protettivo, tolto quello, della carta da imballaggio cadde senza cura a terra. La foto che gli aveva scattato, era incorniciata: Simone, quel giorno al bar. Aveva usato il filtro bianco e nero, sapeva che i suoi lineamenti sarebbero risaltati. Le fossette, le braccia poggiate al tavolo, la visione frontale di un ragazzo che amava. L'altro aveva subito ribattuto che a colori sarebbe stata diversa. Invece il bianco e nero gli rendeva ancora più giustizia. Ed era proprio così. Manuel la osservò per bene, i pollici accarezzarono d'istinto il vetro che proteggeva l'immagine, un pizzicore leggero lo avvisò dei suoi occhi già umidi.

« Ho pensato che quando non ci sarò, potrai sempre avere questa a ricordarti, sai quello che ti ho detto oggi… magari puoi anche toglierla dalla cornice se ti sembra troppo importante »

« Non gliela tolgo, Simone, » la voce sembrava già persa, flebile « è bella così »

Simone annuì, accarezzandogli le mani, poggiate sulla cornice della foto. Il teppistello lo tirò in un abbraccio improvviso, aggrappandosi alla figura di Simone, il regalo protetto in mezzo alla stretta. « Simone, sò felice, » Manuel percepiva la sua voce sussurrata, le lacrime agli angoli dei suoi occhi, la sensazioni che non aveva mai provato prima e che adesso, stava sperimentando tutte con l'altro « tu mi fai felice »

Simone sorrise contro la sua nuca, il respiro era regolare, il battito di uno dei due era più accelerato.
« Buon compleanno, Manuel »

Il festeggiato restò incollato al suo ragazzo ancora un altro po’, sentendo il tempo congelarsi e volendolo fermare solo con la forza del pensiero. Simone si dedicò ad accarezzargli i capelli, un gesto piccolo.

« Possiamo restare qua? » mormorò piano.

« Sì, tanto ho chiesto a tua madre se potevi dormire qua, stanotte »

Manuel si staccò da Simone, scoccandogli un bacio, la foto la teneva ancora tra le mani, avviluppate in modo disordinato alle sue spalle.

« Pensavo che non t’avrei proprio visto oggi, invece me sbagliavo »

« Che fai scherzi? E poi scusa, quando mi ricapita di brindare col mio ragazzo? » gli sfiorò il naso e allentando la presa, frugò dentro il vecchio armadio diroccato nella stanza. Due bicchieri in mano e una bottiglia di spumante « Però al secondo ti fermi Manuel, non c’abbiamo il bagno qua per vomitare »

Il ragazzo scoppiò in una risatina, annuì e si ritrovò ad osservare ancora quello schermo fotografico, che sembrava fin troppo lontano adesso dall’immagine reale di Simone.

« Penso di potercela fare a reggerlo » si mosse verso lo stesso mobiletto dove aveva lasciato la famosa lettera e posò anche la foto di Simone. Fece per riprendere la carta, aprendola ai contorni « posso leggerla adesso? »

Simone stava riempiendo i due bicchieri di plastica, dall’altra parte.

« Però non ad alta voce, altrimenti prevedo altre prese in giro fino ai miei vent’anni » sospirò.

Manuel annuì piano, andò a sedersi sul letto e lesse in religioso silenzio.

In una giornata come questa, non so esattamente cosa scriverti. Non sono stato mai bravo in questo genere di cose. Amo sapere che riuscirai lo stesso a capire però. Se mi avessero detto che mi sarei ritrovato a organizzare il compleanno per la persona che amo, non ci avrei creduto. Se avessero anche provato a dirmi che quella persona, si sarebbe legata a me, quanto io a lei, mesi fa, nemmeno.
Quando si è felici, la sensazione è quella di galleggiare in una bolla, ed è proprio così che mi sento. Ed è strano, perché non immaginavo mi sarebbe successo.
Così come so che queste cose non ti piacciono ed è strano che io ci abbia provato comunque… so che avresti preferito una cosa meno alla Simone, più semplice, ma non potevo non dedicarmici e non farlo.
Mi sono chiesto cosa desiderassi, cosa volessi per questo giorno speciale. Spero siano le stesse cose che voglio io, perché se un po’ ti conosco, so che comunque ti piacerà, lo spero. Non so scrivere poesie, non so comporre, però so dirti che ti amo.
Ed è la cosa più bella che ho scoperto. Perché adesso, ci sei tu nella mia testa, ci sei tu dentro di me, ogni giorno, quando vorrei scacciarti via, quando non voglio, quando mi sveglio, quando dormo, sei dentro e non manchi più.
Auguri Manuel.


Simone si avvicinò col bicchiere in mano, riempito un po’ troppo, evitando di fare cadere il contenuto per terra. Glielo offrì.

« A te » alzò il bicchiere, una volta affianco a lui.

Manuel adesso stava piangendo, se prima era riuscito a trattenersi, adesso aveva due righe ben definite lungo gli zigomi. Avrebbe inciso dentro quelle parole, dalla prima all’ultima. Simone scacciò quelle piccole maree con il pollice, la fronte si poggiava già vicino alla sua, gli spuntava l’accenno di un sorriso « Non si piange il giorno del proprio compleanno » suonò così dolce, delicato.

« Sei te che me fai piagne. E sò lacrime felici, » mormorò, il bicchiere quasi gli scivolava dalle mani, la carta scritta sul grembo « sono lacrime perché ti amo Simone »

Simone lo baciò, così, semplice, senza nemmeno approfondire il contatto. Il festeggiato soffiò vicino al suo volto prima di fare tintinnare il bicchiere con quello del suo ragazzo « A noi »


Clo's: ragazzi è andata così, alla fine ho cambiato tre volte il titolo
non sapendo quale potesse andar meglio.
In effetti però la parola diciannove è quella che viene ripetuta
spesso e quindi chissenefrega mettiamoci quella.
La sorpresa nella casetta era d'obbligo, è mielosa da morire, stucchevole forse,
vi chiamerò un dentista, lasciate pure sul mio conto.
Simone è l'uomo delle sorprese in grande stile
è così e basta. E' semplicemente nel suo stile.
   
 
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