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Autore: FluffyHobbit    12/03/2022    1 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]Sequel di "Tu non innamorarti di un uomo che non sono io"
Dal testo:
"Non vedo l'ora che arrivi stasera, 'o sai?"
[...]
"Ma se siamo svegli da tipo cinque minuti…"
[...]
"Sì, ma oggi è una giornata speciale e stasera lo sarà ancora di più."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Pronto?”

Finalmente era arrivato il momento di andare da Sbarra, dopo una giornata che sembrava non volerne sapere di finire, e anche se Manuel era terrorizzato all’idea di mandare tutto all’aria, finalmente avrebbe potuto fare qualcosa per aiutare Simone. Quindi sì, era pronto, e annuì con decisione in risposta a Claudio.

“È Sbarra che nun è pronto a incontrarme.”

L’avvocato accennò una risatina alla battutina del ragazzo.

“Ah, questo è poco ma sicuro.”

Tornò serio e fissò gli occhi nei suoi, incoraggiante.

“Resta concentrato e andrà tutto bene. Io ti aspetto qui, ma se ti dovesse succedere qualcosa, chiamami subito.”

Manuel annuì ancora e lo ringraziò con lo sguardo, poi si infilò al volo una felpa, prese le chiavi della moto e uscì, ripetendosi mentalmente per tutto il tragitto quanto fosse fondamentale mantenere la calma. Claudio gli aveva spiegato che Sbarra avrebbe fatto di tutto per intimidirlo e anche se lui aveva tutto il diritto di spaventarsi, non doveva darlo a vedere. Doveva riuscirci.

Si fermò poco prima dell’ingresso dello sfascio, parcheggiando la moto in un punto che avrebbe potuto raggiungere facilmente nel caso di una fuga improvvisa, e fece l’ultimo breve tratto a piedi. Tutto taceva vista l’ora tarda, ma già dal cancello poteva vedere che c’era la luce accesa in quella specie di baracca che fungeva da ufficio di Sbarra, segno che fosse effettivamente lì ad aspettarlo. Fece un respiro profondo ed entrò, trovandosi quasi immediatamente fermato da Zucca, che sbucò da un lato.

“Chi nun more se rivede! O sai che pensavo non avessi le palle de venì? E invece me devo ricrede, bravo. Stupido, ma bravo.”

Zucca doveva decisamente rientrare nella categoria di persone che non amavano, pensò Manuel, cercando di concentrarsi su questo piuttosto che sull’istinto di tirargli un pugno. Non sarebbe servito a niente se non a peggiorare le cose e poi, a ben vedere, qualcuno -che Manuel ringraziò mentalmente- doveva averci già pensato, a giudicare dal suo occhio nero. Sostenne il suo sguardo, cercando di non far capire quanto la paura gli stesse mordendo lo stomaco.

“Beh, mo però sto qua, me fai passare o no?”

“Che, vai de fretta? Prima devo vede’ se c’hai qualcosa, forza.”

Gli fece cenno di allargare le braccia e le gambe e Manuel obbedì, pur scuotendo il capo.

“Ma che devo tene’, è ridicolo…”

Si finse incredulo, in realtà era estremamente sollevato: aveva proposto a Claudio di farsi montare una piccola videocamera o un piccolo microfono addosso per registrare la conversazione con Sbarra e avere delle prove contro di lui, ma l’avvocato aveva bocciato la sua idea dicendogli che guardava troppi film e che un criminale vero non si sarebbe fatto fregare così. Per fortuna gli aveva dato ascolto.

“Ridicolo sarai te, guarda. Comunque questo lo prendo io.”

Agitò il cellulare di Manuel davanti ai suoi occhi e poi se lo mise in tasca.

“Annamo.”

Senza troppe cerimonie, afferrò Manuel per un braccio e lo portò con sé verso l’ufficio di Sbarra. Il vecchio era lì ad aspettarli e insieme a lui c’era quella donna che gli stava sempre intorno.

“Guarda chi c’è venuto a trova’!”

Esclamò Zucca, con finto tono cordiale. Sbarra allargò le mani, sorpreso.

“T’o dicevo io che non sarebbe mancato! ‘Sto ragazzo è intelligente e non si sarebbe fatto scappare una proposta come la mia. Come stai, ragazzi’? Te trovo bene…”

Sbarra lo guardava con un sorrisetto sardonico stampato in viso e due occhi che sembravano quelli di un predatore. Manuel non aveva mai odiato tanto qualcuno in vita sua. Gli ricordava un po’ Lombardi quando lo chiamava alla cattedra, con la differenza che fare un errore durante questa interrogazione sarebbe costato molto più di un brutto voto. Accennò un sorrisetto di circostanza, imponendosi di tenere lo sguardo fisso su Sbarra e di non far vagare gli occhi alla ricerca di un posto in cui poteva essere nascosto Simone. Era uno degli errori da non commettere.

“Sto ‘na favola, grazie. Pure te me sembri messo bene.”

Odiava dover conversare con quel pezzo di merda come se fossero due amici al bar, ma quando aveva parlato con lui al telefono aveva già provato ad imporgli dei tempi e ne aveva subito le conseguenze, che erano ricadute su Simone. Meglio lasciare che fosse Sbarra a decidere tutto, motivo per il quale sopportò le inutili domande sulla scuola –neanche fosse un suo vecchio zio-, sul calcio –lui manco lo seguiva, il calcio!- e su tutta un’altra serie di argomenti di poca importanza, sforzandosi di dare risposte più o meno credibili, come se fosse davvero interessato a quello scambio di opinioni.

Ad un tratto, però, udì una cosa che lo fece gelare sul posto: si sentì chiamare, più di una volta, da una voce rotta e spezzata che si sforzava di gridare e che lui avrebbe riconosciuto tra mille. Simone era lì, da qualche parte in quella stanza, e Manuel non poteva andare da lui.

Non erano mai stati così vicini, eppure così lontani.

Gli ci volle tutto il suo autocontrollo per non scattare in piedi e correre nella direzione di quella voce, o anche solo per non risponderle, mentre sentiva il proprio cuore andare in mille pezzi.

Simo, che cazzo ti hanno fatto?, fu l’unico pensiero che riuscì a formulare.

Anche Sbarra aveva sentito Simone gridare, per forza di cose, quindi la domanda che gli fece subito dopo non fu casuale.

“E senti, dimme ‘npo’, ma te la sei trovata ‘na donna? O quella che ha mannato er fratello a sfascia’ la mia macchina t’ha traumatizzato?”

L’uomo fece una risatina alla sua stessa battuta e Manuel si sforzò di ridacchiare a sua volta. Era tutto più difficile, ora che le urla di Simone rimbombavano nella stanza. Era una follia dover far finta di niente mentre il suo ragazzo, la persona che amava, si sgolava in quel modo. Immaginò quanto si sentisse solo e anche abbandonato. Probabilmente si chiedeva perché non fosse ancora andato a prenderlo, a salvarlo, pur essendo lì. Si sforzò di mandare giù il doloroso magone che sentiva in gola e poi rispose.

“No, non ce l’ho la ragazza…”

Che poi, in fin dei conti, non era neanche una bugia.

Sbarra ridacchiò, un po’ troppo a lungo per il sesto senso di Manuel. Sospettava che in qualche modo sapesse di lui e Simone e del loro rapporto non esattamente d’amicizia. La sua paura si centuplicò all’idea e pregò che fosse soltanto una sua sensazione.

“Vabbè, per fortuna sei ancora giovane! Mo vieni con me, che te la presento io una signorina…”

Si alzò, facendo cenno di seguirlo. Manuel non aveva proprio voglia di lasciare quella stanza, ma non poteva fare diversamente e quindi, ancora una volta trascinato da Zucca, attraversò lo sfascio fino ad arrivare alla zona dedicata alle motociclette, una zona che lui conosceva meglio delle sue tasche per tutte le volte che era stato lì a cercare pezzi di ricambio. Si fermarono davanti ad una Vespa bianca, o meglio, a quella che una volta era  stata una Vespa bianca.

“Come vedi è proprio messa male, me l’ha portata uno che ha fatto un incidente de quelli brutti, eh, però dacce n’occhiata, sei te l’esperto. Non essere timido, vai.”

Zucca mollò la presa sul suo braccio e Manuel poté avvicinarsi all’ammasso di ferraglia che una volta era –non ebbe dubbi-  il motorino di Simone. Non era salvabile, lo si capiva subito, ma fece comunque finta di esaminarlo con attenzione perché, esattamente come aveva fatto prima, doveva continuare a recitare il copione di Sbarra. Gli tornò in mente la frase che Virginia gli aveva detto il giorno precedente, che non sempre un attore può scegliersi il ruolo. Adesso capiva come ci si sentisse.

“Sbarra, senti, ‘sta Vespa non è messa male, peggio. Io sarò pure er mago delle moto, ma qua ci vorrebbe un miracolo. Te la posso smonta’ per i pezzi de ricambio, però, qualcosa ce ricavi.”

Spiegò mentre si puliva le mani sulla felpa lasciata aperta a mo’ di giubbino, cercando di sembrare il più naturale possibile. Sbarra annuì, mettendo su una faccia piena di rammarico. Lui era decisamente un attore che aveva potuto scegliersi il ruolo da interpretare.

“Me sa che c’hai ragione, sì. Però me dispiace, t’avevo promesso un po’ de soldi, so che te servono…”

“No, ma davvero, non fa niente. Nun te preoccupa’, io m’arrangio…”

Sbarra era irremovibile e scosse il capo, poi poggiò una mano sulla spalla di Manuel e prese a camminare insieme a lui.

“E no, invece me preoccupo, perché lo so che te vuoi aiuta’ mamma tua co le bollette e tutto er resto. Famo così, te ricordi le caramelle che t’avevo dato? Dimmi la verità, ce le hai ancora o le hai vendute per conto tuo, mh?”

Manuel fece un profondo respiro. Era un lavoro che dopotutto poteva accettare, non era la prima volta che spacciava per Sbarra, e avrebbe potuto rifarlo se Claudio non avesse trovato un’alternativa sicura per Simone. Su questo non avrebbe accettato compromessi.

“No, no, ce le ho ancora. Anzi, scusami se…”

Sbarra lo interruppe con un cenno della mano.

“Nun te preoccupa’, quella è acqua passata. Se me le vai a venne e me porti cinquemila euro, il resto te lo puoi tene’ per te. Che ne dici?”

Manuel annuì immediatamente, senza esitare.

“Quanto tempo c’ho?”

L’altro fece spallucce, come se la cosa non avesse importanza.

“M’hai fatto aspetta’ tre settimane, diciamo che il tempo non è poi così importante per me. Però diciamo pure che meno ce metti e meglio è, mh?”

Manuel annuì ancora, aveva recepito il messaggio sotteso. Il tempo che avrebbe impiegato a portare quei soldi a Sbarra sarebbe stato del tempo che Simone avrebbe trascorso ancora alla sua mercé e se soltanto due giorni lo avevano portato a gridare nel modo in cui aveva sentito poco prima, non poteva farne passare molti altri.

“Va bene, allora me faccio sentire io. Grazie, Sbarra, non me ne dimenticherò.”

Gli faceva schifo ringraziare Sbarra anche solo per finta, si faceva schifo solo per aver pronunciato quella parola, ma doveva essere credibile.

C'era anche del vero in quella frase, però, e cioè che non avrebbe dimenticato il modo in cui aveva osato far del male alla persona a cui più teneva al mondo. Si sarebbe vendicato, per una via o per un'altra.

“Bravo, sarà meglio pe’ te. Mo vattene a casa, che c’ho ancora un po’ da fare qua. Zucca, accompagnalo che non voglio se perda.”

Manuel non se lo fece ripetere due volte e non appena Zucca gli restituì il cellulare, all’ingresso dello sfascio, saltò in sella alla sua moto per tornare da Claudio. Soltanto quando fu abbastanza lontano si concesse il lusso di piangere, lasciando libero sfogo alla paura, alla rabbia e alla frustrazione.
 
                                                                                     *****
 
"Manuel! Sono qui!"

Ogni parola che urlava era l'ennesima fiamma nella sua gola che già andava a fuoco da ore, ma il dolore non era abbastanza per convincerlo a tacere, non con Manuel a pochi passi da lui.

Doveva fargli sapere che era lì, che tutto sommato stava bene perché era ancora vivo, e che era pronto a tornare a casa. Sì, perché se Manuel era andato da Sbarra, doveva sicuramente averlo fatto con un piano per salvarlo e di lì a breve si sarebbero riabbracciati, ne era certo.

Eppure la porta dello stanzino non si aprì, Manuel non diede segni di averlo sentito -forse non aveva gridato abbastanza?- e presto le voci tacquero. Sospirò rassegnato, tornando ad appoggiarsi al muro.

Che si fosse immaginato tutto? O forse si era addormentato e quello era un sogno? Entrambe le opzioni erano plausibili, del resto non sarebbe stata la prima volta che la realtà si confondeva con la fantasia, eppure stavolta c'era qualcosa di diverso dalle altre, perché almeno nei suoi sogni -e momenti di incoscienza in generale- Manuel era sempre presente, non si limitava a sentirne soltanto la voce. In più, le fitte che gli mozzavano il fiato erano decisamente reali, preso dall'euforia si era agitato troppo e il suo corpo ne stava pagando il prezzo.

Era quindi abbastanza sicuro che Manuel fosse davvero andato lì, ma se non era andato a prenderlo allora cosa era successo? Cominciò a temere che Sbarra gli avesse fatto del male o che lo avesse ucciso così, a sangue freddo, e Simone urlò di nuovo il suo nome, stavolta per la paura. Tanto valeva che Sbarra ammazzasse anche lui, allora, perché vivere una vita senza Manuel non aveva senso.

I suoi pensieri furono interrotti dalla luce che praticamente lo accecò, facendogli chiudere gli occhi. Li riaprì lentamente, trovandosi i suoi aguzzini davanti.

"Ah, meno male che sei vivo! Dalla puzza che c'è qua dentro, pensavo de trovarme davanti a un cadavere!"

Esclamò divertito Sbarra e Zucca ridacchiò.

"E per forza! Guarda, s'è pisciato addosso come un marmocchio!"

Simone si sentì montare dalla vergogna, ma fu abbastanza forte da non lasciarla vincere e tenne lo sguardo in alto, non lo abbassò.

"Dov'è Manuel?"

Chiese subito, con la poca voce che la sua gola martoriata e assetata poteva permettersi.

"Io fossi in te nun me preoccuperei de lui, ragazzi’. Io una cosa t'avevo chiesto de non fare, e te che fai? Te metti a strillare come un matto! Te mo capisci che devo prendere provvedimenti, vero?"

Simone non rispose, troppo impegnato a pregare il Cielo che Manuel fosse al sicuro. In un istante Zucca gli fu accanto e gli mollò un ceffone, poi gli tirò su il capo afferrandolo per i capelli.

"Oh, svejate, t'ha fatto una domanda. Lo capisci o no?"

Simone fece una smorfia di dolore che avrebbe preferito nascondere.

"Sì, sì, lo capisco, ma non m'importa, va bene? "

Rispose, tenendo lo sguardo fisso in quello di Zucca. Entrambi gli uomini ridacchiarono.

"Ah, nun te 'mporta? Quindi se io adesso chiedo a Zucca de spezzarte na gamba, a te non importa? Nun ce credo manco se lo vedo."

Simone spostò lo sguardo su Sbarra, carico d'odio.

"Non è un problema mio se non ci credi."

Non era impazzito, né certamente era felice all'idea di farsi spezzare una gamba -anzi, aveva una paura fottuta-, ma se Sbarra si era messo in testa di punirlo in qualche modo, lui non avrebbe potuto in ogni caso fargli cambiare idea, quindi era meglio affrontare la cosa con dignità, per quanto possibile. Non si sarebbe messo ad implorare.
Zucca gli diede un ceffone che gli fece vedere le stelle e poi si preparò a dargliene un secondo, ma Sbarra lo fermò prima.

"Certo che te c'hai le palle, ragazzi’, è un peccato che mi tocchi lavora’ co quell'altro. Pe stavolta lascio corre, me sento generoso, però te nun tira’ troppo la corda."

Lo avvertì, poi fece segno a Zucca di allontanarsi. Simone era decisamente sorpreso, ma lo fu ancora di più, qualche minuto dopo, quando vide una donna entrare nello stanzino con una bottiglia d'acqua in mano. Fu quello il dettaglio che catturò tutta la sua attenzione.

"Sì, è per te, sta' tranquillo. T'aiuto io, però devi bere piano, altrimenti vomiti."

Simone annuì senza dire nulla, lasciò che l'altra gli avvicinasse il beccuccio alle labbra e bevve avidamente qualche sorso. Non era abbastanza, ma già si sentiva meglio.

Quando si vide privare di quell'acqua, istintivamente si spinse in avanti per avvicinarsi alla bottiglia.

"Oh ma sei de coccio, t'ho detto che devi bere piano! Aspetta un attimo, no?"

La donna sospirò pazientemente e lo aiutò a bere un altro po', poi come prima si fermò.

"Com'è che te chiami, ragazzi’?"

Simone non aveva voglia di fare conversazione, ma aveva sete e tutta l'intenzione di finire quella bottiglia, quindi era meglio non far andare via quella tizia. Si schiarì la voce prima di rispondere.

"Simone."

Mormorò lui e lei annuì.

"Sei stato coraggioso, lo sai, Simone? Non te lo dovrei dire, ma Sbarra è rimasto sorpreso da come gli hai tenuto testa. Ho visto uomini ben più adulti de te piangere come agnelli per molto meno, sai?"

A Simone non importava un cazzo di cosa Sbarra pensasse di lui, era solo contento di essersi risparmiato una gamba rotta.

"E se non me lo dovresti dire, allora perché l'hai fatto?"

Domandò pungente e la donna ridacchiò, avvicinandogli di nuovo l'acqua alla bocca.

"Perché m'andava, va bene?"

Simone bevve, svuotando totalmente la bottiglietta. La donna stava già per andarsene, ma la chiamò prima che uscisse.

"Aspetta! Aspetta un attimo! Mi puoi dire un'altra cosa?"

Lei si voltò a guardarlo e gli tornò vicino. Era incuriosita.

"Dipende da cosa vuoi sapere."

"Il ragazzo che prima è venuto qui, adesso dov'è? Sbarra gli ha fatto qualcosa?"

Gli occhioni di Simone tradivano i due grandi sentimenti che provava per il suo Manuel, amore e paura, per quanto non avrebbe dovuto mostrarsi così coinvolto. Tutte le sue difese però crollavano, se c'entrava Manuel. La donna gli rivolse un sorriso intenerito.

"Nun te preoccupà, sta bene. Sbarra gli ha fatto vede' qualcosa nello sfascio e poi l'ha mannato a casa. Se te posso da' un consiglio, però, non metterte a gridare di nuovo come hai fatto prima. Se Sbarra s'incazza, se la prende con te e con lui."

Simone sospirò sollevato, si sentiva come se gli avessero tolto un peso dal petto. Perfino il buio e la solitudine in cui la stanza era ripiombata sembravano un po' meno opprimenti. Manuel stava bene e lui tutto sommato era vivo, c'era ancora speranza. Doveva solo essere paziente e resistere.
 
                                                                                             *****
 
Manuel rientrò in casa con gli occhi arrossati dalle lacrime e lo sguardo preoccupato. Simone non era con lui, ma del resto Claudio non si aspettava diversamente. Subito il ragazzo si gettò sul divano, portandosi il viso tra le mani. Quando le abbassò, a Claudio sembrò di vedere in faccia un adulto divenuto tale troppo in fretta.

"Allora? Che è successo?"

Le labbra di Manuel si curvarono in un sorriso amaro.

"In teoria è andato tutto bene, ma Sbarra è un cazzo de sadico, Claudio."

Sospirò profondamente, prendendosi un attimo per organizzare un discorso coerente. Non aveva chissà cosa da raccontare, ma la sua testa era ancora piena delle urla di Simone e gli veniva difficile concentrarsi.

"Appena so arrivato s'è messo a parlare del più e del meno e lo so che l'ha fatto per infastidirmi, però non gliel'ho data vinta. Ho risposto alle sue domande del cazzo come se me ne fosse interessato davvero, sono stato calmissimo, ma ti giuro, Claudio, c'è mancato poco. È successa una cosa che…"

Mentre parlava, le sue mani non stavano ferme un attimo, continuava a farle toccare in qualche modo per scaricare la tensione. Da Sbarra non si era concesso nemmeno questo, per non mostrarsi agitato. Scosse il capo, sospirando di nuovo.

"Ad un certo punto ho sentito Simone gridare. Mi chiamava, era disperato, io...io non l'ho mai sentito così, anzi non ho proprio mai sentito nessuno gridare così, mi devi credere. Non so cosa gli abbiano fatto, ma non possiamo lasciarlo lì ancora per molto."

Claudio annuì preoccupato, adesso capiva perché Manuel fosse così devastato. Non era difficile immaginare quanto fosse stato duro per lui sopportare una cosa del genere.

"E poi che è successo?"

"Niente, nel senso che io non ho fatto niente, ho solo continuato a parlare con Sbarra."

Accennò una risatina amara.

"Sai cosa m'ha chiesto, il bastardo, mentre Simone urlava ancora? Se avessi la ragazza!"

Il viso di Claudio si contrasse in una smorfia di puro disgusto, ma purtroppo non era sorpreso da un comportamento del genere.

"Sbarra è un infame e su questo non si discute, tu però sei stato bravo, davvero. Puoi essere fiero di te stesso."

Manuel scrollò le spalle, non aveva né il tempo né la voglia di crogiolarsi in se stesso. C'era altro a cui pensare.

"Sarò fiero di me stesso quando Simone smetterà di soffrire a causa mia."

"Sei sulla buona strada, concediti almeno questo. C'è altro?"

Manuel annuì.

"M'ha portato a vede' la Vespa che voleva farmi riparare ed era quella de Simone, ne sono sicuro. Era tutta sfasciata, distrutta, e Sbarra mi ha detto che il proprietario aveva fatto un incidente. Un incidente, capito lo stronzo?"

Fece un respiro profondo, quel racconto non gli stava facendo bene. Era giusto che Claudio sapesse tutto, naturalmente, ma ogni parola era come una piccola scheggia di vetro che andava ad infilarsi nelle ferite che quella notte gli aveva lasciato.

"Poi ha fatto come hai detto tu, mi ha chiesto di spacciare quelle pillole che mi aveva dato tempo fa. Devo portargli cinquemila euro."

Claudio annuì, aveva immaginato che come primo incarico gli avrebbe affidato questo.

"Quanto tempo hai?"

"Nun me l'ha detto, ma è meglio sbrigarse. Anzi, è meglio che inizi adesso…"

Claudio lo interruppe con un gesto della mano.

"No, tu quella roba non vai a venderla, non per davvero. Ti do io i soldi, tu fatti solo vedere in giro, mettiti nei soliti posti, ma spostati continuamente. Sbarra ti terrà d'occhio."

Manuel scosse il capo, non gli piaceva quel piano.

"Un motivo in più pe non fa cazzate, no? Che facciamo se si accorge che la roba sua non sta circolando?"

Claudio sospirò profondamente. Era un rischio che aveva calcolato.

"Lo so, Manuel, ma non puoi vendere quelle pillole. La gente ci muore per queste cose."

Manuel alzò gli occhi al cielo, facendo uno sbuffo sarcastico. Tornò poi a guardare l'altro dritto dritto nei suoi occhi di ghiaccio.

"E sai quanto me ne sbatto er cazzo della gente, Claudio? Non li obbligo io a drogarsi, è una scelta che fanno loro. Se è per tenere al sicuro Simone, per me possono anche morire tutti quanti."

Replicò duro, irremovibile. Simone era la persona più importante del mondo per lui, non aveva scelto di mettersi in quella situazione, e aveva bisogno di aiuto. Se Claudio avesse ascoltato le sue urla, se le sue ossa avessero tremato come le proprie, sarebbe stato d'accordo con lui.

"Dici così perché non hai mai avuto un morto sulla coscienza."

Gli fece notare l'avvocato, preoccupato per il ragazzo.

"È vero, ma non vorrei cominciare proprio da Simone."

Claudio, negli occhi scuri di Manuel, vide tanta, tantissima determinazione, ma in fondo erano sempre quelli di un ragazzino spaventato. Lo capiva.

"D'accordo, facciamo come dici tu. Sta' attento però, mi raccomando."

Manuel non attese oltre, filò in quella che provvisoriamente era diventata la sua stanza e si mise lo zaino in spalla. Si era portato dietro quella roba, sia per non lasciarla a casa di Dante, sia perché immaginava che Sbarra l'avrebbe rivoluta indietro o cose del genere.

Cominciò a vendere quelle pillole quella notte stessa e andò avanti così per quasi una settimana. Di giorno dormiva, per quanto possibile, e di notte si fermava nelle strade più nascoste di Roma, quelle a cui i turisti non si avvicinavano, ma che erano comunque piene di gente. Era una specie di supereroe, insomma, ma il suo obiettivo era salvare una sola persona.

"Sbarra, so' Manuel. Ho fatto quella cosa."

Spiegò al telefono, qualche ora dopo aver venduto l'ultima pillola. Aveva preferito aspettare che fosse mattina inoltrata per chiamare Sbarra, non voleva rischiare di disturbarlo di notte. Non era riuscito minimamente a chiudere occhio, nell'attesa, pensando a cosa sarebbe successo dopo: probabilmente Sbarra gli avrebbe affidato un nuovo incarico, come gli aveva spiegato Claudio, ma Manuel si chiedeva soprattutto se stavolta gli sarebbe stato possibile vedere Simone. Purtroppo, la decisione era in mano a quello stronzo.

"Ah, ma che bravo! Passa stasera, allora, al solito orario, 'o sai."

Senza aspettare una risposta, l'uomo chiuse la telefonata e Manuel rivolse un insulto all'indirizzo dei suoi antenati che per fortuna non avrebbe lasciato la camera degli ospiti di Claudio. Si concesse allora di dormire un po', per quanto tutte le sue ore di sonno sembrassero non contare niente al risveglio, e riaprì gli occhi soltanto quando sentì l'avvocato entrare in camera, portando un vassoio con sé. Il ragazzo si accigliò perplesso, ancora non del tutto lucido.

"Ma no, Claudio, dai! M'hai portato la colazione in camera? Non dovevi…"

Biascicò, stropicciandosi un occhio. Claudio accennò una risatina.

"Pranzo, a dire il vero, hai dormito un bel po’. E poi così sono sicuro che mangi, non ti sei fermato un attimo in questi giorni."

Nell'ultima settimana, infatti, Manuel aveva spesso saltato i pasti, o perché doveva andare in giro a spacciare per Sbarra o perché, al ritorno, era troppo stanco per mangiare e crollava a letto. L'altro si tirò su a sedere, prendendo il vassoio e mettendoselo sulle gambe. Nel farlo, notò che erano le tre di pomeriggio passate, aveva dormito davvero tanto. Peccato che non fosse servito a niente, si sentiva più stanco di prima.

"Quindi...non ce l'hai con me per non aver voluto fare come dicevi tu?"

Domandò dopo qualche istante di silenzio, mentre mangiava. Claudio sorrise comprensivo e scosse il capo.

"No, perché dovrei? Hai semplicemente fatto la tua scelta e col senno di poi credo anch'io che sia stata quella migliore. Adesso però non pensare al passato, concentrati sul presente. Hai avvisato Sbarra?"

"Sì, l'ho chiamato prima. Devo anna’ là stasera…"

Buttò giù un altro boccone prima di chiedere una cosa a Claudio, una cosa che gli premeva molto. Lui se ne intendeva di queste situazioni, del resto, e forse avrebbe saputo dargli una risposta.

"Secondo te stasera me farà vedere Simone? Lo so che non devo chiederlo e non lo farò, te lo giuro, però...ho bisogno di vedere come sta."

Gli occhi di Manuel erano spenti, tristi e non era giusto per un ragazzo della sua età, come del resto non era giusta la situazione che lui e Simone stavano affrontando. Per questi motivi, Claudio si sentì un po' in colpa a dargli la risposta che gli diede, si rendeva conto quanto potesse sembrare da stronzi.

"Sì, potrebbe, ma sarebbe meglio che non lo facesse. Ogni cosa che dirai o farai vedendo Simone, o che Simone dirà o farà vedendo te, sarà un'altra arma che Sbarra potrà usare contro di voi. Lo capisci, questo?"

Manuel annuì, perché la sua testa lo capiva, ma il suo cuore non voleva sentire ragioni.

"Io me sento impazzi', Claudio. 'Sta pasta sicuramente è bona, ma in bocca mia sa di cartone, e questo letto senz'altro è comodissimo, eppure a me sembra de stendermi in mezzo alle spine."

Allontanò il vassoio, gli era passato l'appetito, e poi poggiò il capo contro la testata del letto, mantenendo lo sguardo fisso in quello di Claudio.

"Me sento di vivere in un mondo senza colori, senza odori, senza sapori, senza niente. Non è vita, questa, non è vita senza Simone. Tu dici che devo restare lucido, e hai ragione, ma sta diventando sempre più difficile. E lo so che sono passati solo pochi giorni, ma ogni giorno pesa come un'eternità e se per me è così, immagina per Simone."

Fece un respiro profondo, che gli sembrò costargli una fatica immensa. Anche l'aria era diventata irrespirabile.

"Dobbiamo pensare ad un modo per tirarlo fuori da lì, non possiamo aspettare che Sbarra commetta un errore."
Manuel aveva le sue ragioni e aveva ragione, Claudio lo sapeva, ma non era il momento di lasciarsi prendere dalla fretta. Gli riavvicinò il vassoio, dato che il ragazzo aveva lasciato quasi tutto.

"Adesso finisci di mangiare, ne hai bisogno, altrimenti come credi di poter pensare ad una soluzione efficace?"
Disse con un sorriso accennato, comprensivo del dolore dell'altro, e Manuel si lasciò convincere, ma soltanto perché quella sera doveva tornare da Sbarra, o meglio, dal suo Simone.
   
 
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