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Autore: Eje    05/09/2009    1 recensioni
Paul Gauguin e Vincent van Gogh. Un amicizia soffocante di cui è rimasto solo il ricordo.
Una notte senza stelle il cui segreto, forse, non verrà mai svelato. Mentre il confine tra realtà e follia si stempera nel giallo dei "Girasoli".
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Capitolo I:

VINCENT






“Credo che la salvezza sia solo nell’estremo.”
Paul Gauguin






Era stato tutto tremendamente spento.
Spento il viaggio di ritorno, spente le onde che si infrangevano contro la prua della nave. Spento il cielo di quei giorni passati per mare, che andava a sfiorare le acque all'orizzonte, lambendole con inerti, opache, angoscianti carezze grigie.
Era stato spento anche il cielo del giorno di sbarco, quello dell'arrivo a Parigi
Si aspettava almeno li, tra le speculazioni folgoranti di contrasti simultanei, all'ombra del Salon des Indipendens dove il colore era quasi un imposizione, che l'insolito grigiore lasciasse spazio ad altro.
Tutto, invece, agognava quell'opacità deprimente, dotata di una forza tale, da imporsi su qualunque altro tono.
Emile sosteneva che fosse colpa sua.
- Ora che sei tornato dalla Bretagna il tempo ti sta punendo... Saresti dovuto venire prima, Paul!-
E se avesse avuto ragione sapeva bene che la soluzione migliore -per tutti- sarebbe stata di partire il più presto possibile per le sue adorate isole.
Ma quell'ofuscamento bigio sembrava sfidarlo a restare. Rideva di lui, cantando una litania senza suono. Rinfacciandogli il passato.
Il grigiore sciatto, a cui nemmeno i nuovi e sfavillanti mostri di fabbrica potevano aspirare, regnava incontrastato ovunque, facendolo da padrone.
Con un gesto lento e soppesato -uno dei suoi-, si portò il sigaro alle labbra. Inspirò piano, sempre controllato, lasciando che il fumo lo invadesse completamente. Così blando, così spento.
- Si, direi che il termine noioso sia il più appropriato per descrivere il mio viaggio....- Le cadenze pompose e sempre eleganti del suo parlare, così lontane dallo spirito sintetista che animava la sua arte, erano quanto di più romantico si potesse trovare nella sua persona. Lo avevano sempre constatato tutti; tutti tranne uno. Ma per lui Paul non aveva mai avuto difetti umani.
- E ora, amico mio, posso essere preda della frenesia di questo nuovo mondo di industria e macchine che tanto i miei scarsi acquirenti amano.-
Emile storse la bocca, ma non disse nulla. Era felice che lo sterile patetismo dell'amico non si riflettesse nei suoi quadri, le vendite avrebbero avuto cali ancor più vertiginosi. Ovviamente si guardò bene dall'esternare tale considerazione.
- Oh, avanti, sei a Parigi! Qui ci sono state molte novità, non sei curioso?-
- Mio caro Emile, sanno tutti come ormai questa vecchia città stia esaurendo le sue sorprese. È al Mezzogiorno che si guarda ora! I pittori contadini, dediti alla meditazione campagnola sono la nuova moda!- E lo disse con una disinvoltura tale dal risultare ancora più intangibile del fumo che scivolava via da sotto i suoi baffi, conquistando l'aria nella stanza.
-Ora non fare il cinico! Non sei forse anche tu parte di questi artisti, che preferiscono la pace della natura alla città?Senza contare che come molti di loro sei stato ad Arles...- L'ultima frase, ad Emile, uscì in un sussurro studiato, sfumato di una tacita accusa.
Non si aspettava che Paul toccasse con tale tranquillità un argomento simile. Certo, quello era il fulcro a cui sperava di arrivare; ma non credeva che sarebbe stato proprio l'altro a spianargli la strada.
- Avrei dovuto evitare difatti. Partire subito. Ed ora dovrei andarmene a Tahiti...- Il sigaro raggiunse ancora la bocca ed i suoi occhi si persero oltre la sericità del fumo, oltre il vetro appannato della finestra, oltre Parigi; cercava il sole del sud ed i suoi campi di grano.
- In realtà è di questo che volevo parlarti...- Il più giovane si sporse verso di lui, appena in tempo per intravedere nello sguardo dell'amico il riflesso lontano di una Casa Gialla, di Girasoli.
- Lo so. Lo immaginavo. Tutto questo grigiore...- Paul si strinse nelle spalle, scrollandosi di dosso quei ricordi, che a volte avrebbe voluto si perdessero assieme al fumo.
- Non sei venuto neanche al funerale... Avresti dovuto tornare. Almeno per quello.-
- E perchè mai? Forse per assecondare un gruppo di conoscenti riuniti per circostanza più che per volere? O magari per lasciarmi abbattere da rimbecchi neanche troppo velati?-
Emile non rispose subito. Era raro vedere l'amico lamentarsi di qualcosa che non fosse la società moderna, i suoi debiti infiniti o la famiglia che si vedeva costretto a mantenere, ma quella frase meritava un' attenzione particolare per ciò che implicava. Il senso di colpa.
Un soffuso senso di colpa, mascherato, appena accennato eppure vivo.
- Nessuno ti ha mai rimbeccato nulla... Forse è solo quello che avverti tu.- Il giovane pittore non aveva mai rinunciato a dire ciò che pensava, ma spesso doveva ricordasi di prendere le misure con la superbia dichiarata di Paul.
- Avverto solo quello che è. Se c'è proprio una materia in cui eccello è quella della percezione dei sentimenti altrui.-
-Pensavo fosse il sintetismo delle forme, la materia che più ti era congeniale!-
Infondo anche Emile era un artista. Ed ancora prima, quindi, un uomo molto suscettibile.
Troppo spesso i suoi buoni propositi si sgretolavano se messi sullo stesso piano di quella innegabile, ma sottile competizione che lo legava a Paul.
- Sembrerebbero essere due, dunque.-
Emile inarcò un sopracciglio, si lasciò sfuggire un sospiro debole, perfetto in quell'atmosfera spenta, tanto flebile e grigio da sfumarsi in una tristezza sterile.
Si alzò dalla sedia, qualche passo verso la finestra, una mano tra i capelli ed un altro sospiro. - Saresti dovuto venire almeno al funerale...- sussurrò quasi prosciugato da ogni forza. - Per la stima incondizionato che nutriva nei tuoi confronti.-
In risposta ebbe solo un lento aspirare, accompagnato da uno sguardo perso.
-Al funerale ho incontrato Thèo. Mi ha chiesto di te, sai? Non sembrava riservarti alcun rancore... Lui é sempre stato conscio dei limiti del fratello, dei suoi problemi...-
Si accorse di quanto, anche per lui, fosse difficile parlarne.
Le parole sembrarono congelarglisi in gola, troppo fragili per resistere al gelo che si faceva strada nel suo animo al ricordo di quel corpo riverso, del sangue. Della pistola.
- Non lo vedo da tempo. Immagino che ora avrà il suo daffare; tutte quelle tele di cui occuparsi, da piazzare...- Paul rabbrividì alle sue stesse parole, schierandosi la voce. - Credo... credo di avere bisogno di un goccetto...-
Il più giovane fece un cenno di capo, afferrò la bottiglia, la stappò; versò il contenuto nel calice sul tavolo scandendo il tempo con le sue stesse azioni, in un silenzio quasi primordiale. Uno di quei silenzi che tanto piacevano all'uomo che aveva di fronte.
Appena prima di voltarsi lasciò che il bicchiere scivolasse sulla superficie liscia del tavolo sino alle mani dell'altro.
Sentì, dietro di lui, un flebile “grazie” mischiarsi al deglutire scomposto.
- Paul, dimmi... Potresti farmi un regalo?-
Il fondo del bicchiere incontrò il legno del tavolo, piano. - Basta che non comporti una spesa.-
- No, no l'unica cosa che spenderai sarà un po' della tua voce! Vorrei solo che mi raccontassi un ultima volta, di quel giorno... ad Arles... Sempre che non ti sia di troppo disturbo, si intende...-
Paul sorrise impercettibile, nascosto dietro il vetro subito riempito.
- Non ho alcun problema farlo... Ma devi sapere, amico mio, che i limiti più gravi delle persone, spesso, sono quelli nascosti dalle loro capacità, dal loro genio. Questo è stato quello che ho dovuto imparare rimanendo al suo fianco.
Fin da quando ricevetti le sua proposta di trasferirmi ad Arles, ebbi la sensazione di un presagio negativo. Scartavo le sue lettere, che ogni settimana si facevano sempre vibranti di sogni ed aspettativa e leggendo quelle righe tanto appassionate, mi coglieva un senso di soffocamento.
Un' ansia pressante, che come un veleno mortale mi si annidava in corpo.
Ora lo so Emile, mi guarderai male, inarcando quel tuo insopportabile sopracciglio; ma come avresti reagito tu al mio posto? Quelle lettere erano così disperate e soffocanti insieme, da dare il capogiro a chiunque.
Eppure io, più per bontà d'animo che per serie aspettative, mi recai ugualmente ad Arles, assecondando i suoi desideri.
Per poco meno di un anno dividemmo le pareti di quella Casa Gialla, i colori del sud e i suoi sapori. Ma fu tutto uno sbaglio, un incoscientissimo sbaglio.
Dal primo istante in cui misi piede ad Arles, quando lui con tanta foga volle mostrarmi i suoi primi “Girasoli”, quel senso di soffocamento che ormai mi era amico si fece sempre più intenso, quasi nauseante.
I Girasoli, diceva di averli dipinti appositamente per me, “per abbellire la tua stanza”. Aveva amato davvero quelle tele, le aveva impregnate di tutto se stesso.
Ogni grumo di colore, quel giallo folle, che più di tutto lo rappresentava. Ogni pennellata densa, palpabile, erano imbevuti del sua affetto malsano, della sua latente pazzia. E io lo capii subito mio caro Emile, lo capii immediatamente; ma non potevo fare niente.
Credo che nei primi tempi Vincent fosse la persona più affettuosa che conobbi. Per me metteva da parte anche un briciolo della sua follia creativa, concentrandosi sul nostro rapporto come non mai.
Ma questo divenne proprio il principale problema.
Vincent studiò così bene il mio carattere, il mio modo di parlare, che credette di conoscermi meglio di chiunque altro. Quando andavamo in giro, per i campi, nelle osterie, sembrava analizzare ogni mia azione con la stessa ossessione che dedicava alle sue nature morte, ai suoi paesaggi.
Doveva “sentire” la realtà, diceva, percepirla immensa e vera attorno a sè; sentirsi colmare da essa era l'unico modo che conosceva per poi riuscire a dipingerla.
Così, alla pari dei uno dei suoi soggetti, pensava di aver esaminato anche me. Ma in realtà io, ero ben diverso da quello che lui credeva.
Come tutte le persone avevo anche altri interessi oltre alla pittura e diversamente da lui non ne ero così ossessionato. Non la vivevo come un parto incessante, come una dannata fusione di dolore e vitalità. E questo perchè, diciamocelo pure, io non sono pazzo.
Vincent, nonostante credesse di dipingere la realtà, la contaminava con i suoi sentimenti morbosi, traslandola a seconda delle sue percezioni. Di me si era fatto un idea e desiderava stupidamente che rimanesse tale.
Tutto cominciò, come anche ti scrissi, con le nostre divergenze sugli artisti del passato. Ovviamente dava per scontato che apprezzassimo gli stessi pittori; così quando fu costretto a scontrarsi con la vera realtà, la sua reazione fu tremendamente esagerata.
Non riusciva a capacitarsi di come potessi ammirare Ingres o Rapahel... Cercava in tutti i modi di farmi ricredere, ma com'è possibile cambiare le proprie attitudini per un volere estraneo?
Io, per non peggiorare la situazione, cercavo di assecondarlo, evitando di spiegargli le mie ragioni. Ma col passare del tempo i miei sforzi si fecero sempre più vani. Con quella sensibilità particolare che lo caratterizzava, aveva percepito la mia insofferenza. Il mio sentirmi perso, circondato da una realtà così piccola e stressato dalle continue discussioni con lui.
Fino a che tutta la tensione accumulata non sfociò in quell' azione sconsiderata, che fu il primo sintomo concreto della sua malattia.
Sai, Emile, ricordo come se fosse ieri quella notte; i suoi occhi simili a due oceani, profondi, così tanto da dare le vertigini. E poi la lama, quel bagliore sinistro nel buio della piazza.
Camminavo, immerso nei miei pensieri, dopo la solita discussione avuta con lui; quando sentì alle mie spalle quel rumore di passi tanto conosciuto, rapido e cadenzato.
Mi voltai; il suo sguardo sembrava puntare oltre il mio corpo, in una dimensione che io non potevo percepire. Nella mano destra, appena alzata, stringeva l'impugnatura di un rasoio.
Ebbi appena il tempo di vederlo gettarsi su di me. Inizialmente credetti che il cuore mi si sarebbe fermato, ma ben presto realizzai che sarebbe stata la rabbia ad avere la meglio nel mio animo.
Capisci Emile? Lui voleva ferire me, l'uomo che gli era stato accanto tutto quel tempo, che lo aveva appoggiato ed assecondato, per una stupida discussione!
Non so quale fu il mio sguardo in quel momento, ma doveva essere ben imperioso, perchè come colpito da un fulmine, Vincent abbassò il capo senza dire una parola, e corse verso casa.
Come ben sai, per tutta la notte stetti in un albergo non molto lontano dalla piazza Victor Hugo; ma fu la mattina seguente il vero inferno.
Sinceramente non so esattamente come lo venni a sapere, chi fu a darmi la notizia; quello che ricordo con certezza, nei minimi dettagli, è la nostra Casa Gialla, attorniata da una massa di curiosi e poi, una volta dentro, il sangue.
Vincent sul letto con una fasciatura attorno alla testa, lo stesso rasoio per terra.
Mi si serrò il cuore e quella sensazione di soffocamento sembrò farsi concreta e violenta in un solo istante. Avevo vissuto con lui, avevo mangiato, riso e litigato con lui; era in un certo senso “mio amico”, un artista che comunque stimavo, sì. E sentirmi responsabile di una sua azione così avventata, capire che data la sua follia avrei dovuto prevederla, mi faceva male al cuore, all'anima.
Com'è ovvio che sia, vedendolo in quella situazione, pensai subito male. Credetti che non avrebbe più riaperto gli occhi, che non stesse dormendo se non di un sonno eterno. Ed invece, grazie a Dio, si era accanito solo sul suo orecchio.
Com'era bravissimo a fare in pittura, aveva traslato la sua furia nei miei confronti, verso se stesso, verso la sua incapacità di rapportarsi degnamente a me.
Si era mozzato l'orecchio e in un gesto che ancora fatico a capire, lo aveva donato a una delle ragazze del bordello. Qualcuno mi disse che forse il destinatario di quel dono sarei dovuto essere stato io, ma che Vincent non ebbe il coraggio di venire a cercarmi e diede l'orecchio a quella donna di cui a volte mi aveva parlato.
Il resto, poi, lo conosci... Thèo che torna trafelato ad Arles avvisato dell'accaduto dal sottoscritto, la mia partenza... Nulla che non ti sia stato già chiarito.-
Quando anche l'ultima sillaba si perse nel fumo, Emile si voltò lentamente verso l'amico. La pelle della fronte leggermente increspata da rughe sottili, il bicchiere contro le labbra inumidite.
-Una storia davvero triste, Paul... Eppure c'è una cosa che, ogni volta, non posso fare a meno di domandarmi. Se come hai tu stesso detto, evitavi di discutere con lui, com'è successo che quel giorno venni meno ai tuoi buoni propositi?-
Paul ancora accomodato sulla sua poltrona, fece scorrere gli occhi sul volto pensieroso dell'amico, lentamente. - Beh, anche la mia pazienza ha un limite...- mormorò, portandosi il sigaro alle labbra.
Emile si voltò lentamente, dandogli le spalle. Le dita allungate verso la finestra, a tracciare un disegno umido sul vetro - Povero Vincent... Sai, a volte mi chiedo se tutto questo grigiore non derivi dalla sua morte. Infondo, andandosene, oltre della sua follia, ci ha privati dei suoi colori.-
A quella frase il pittore rispose con un gesto distratto del capo, lasciandosi sprofondare ancora di più nella poltrona. Aveva uno sguardo lontano, annegato in un mondo che solo lui poteva ancora vedere.
Emile scosse il capo, gli occhi appena lucidi, si passò con insistenza una mano sul volto. – Ormai, la vita era scivolata troppo lontana da lui.-




















BIBLIOGRAFIA:
D. Wildenstein, R. Cogniat “Gli impressionisti: Gauguin”; G. Carlo Argan “L'Ottocento”; Paolo Lecaldano “Classici dell'Arte Rizzoli: Van Gogh”; “Lettere a Theo”, Vincent van Gogh; “Avant et Eprès”, Paul Gauguin .

NOTE FINALI:
Oltre a Paul Gauguin e Vincent van Gogh, gli artisti nominati sono, nell'ordine in cui vengono menzionati:
Emile Bernard: critico e pittore promotore del movimento sintetista al fianco di Gauguin.
J.A.D. Ingres : Artista dell'800, promotore dell'esotismo, grande esteta a cavallo, per contenuti, tra classicismo e romanticismo.
Raphael: Altri non è che il conosciutissimo e italianissimo Raffaello Sanzio, su cui non c'è bisogno di dire niente ^^
Infine:
Thèo van Gogh: fratello maggiore del pittore, commerciante d'arte.


Con questa storia -assolutamente di poche pretese- vorrei mettere in luce, con semplicità, il rapporto tra van Gogh e Gauguin.

Ho cercato di riportare fedelmente il racconto dell' "episodio dell'orecchio”, come Gauguin stesso ne parla in “Avant et Après”.
Il dialogo tra Emile Bernard e Gauguin è ipotetico e mi serviva ai fini del racconto, ma nulla vieta che sia avvenuto realmente. ^^

  
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