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Autore: NyxTNeko    13/03/2022    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 132 - Ciò che non giova all'alveare non giova neppure all'ape -

29 marzo

In appena due giorni dal suo arrivo, il generale Bonaparte stava riorganizzando lo stato dell'Armata d'Italia da cima a fondo; niente e nessuno veniva tralasciato. Sapeva di avere poche risorse, soltanto 40.000 franchi da distribuire come paga per i soldati e per rifornire i ranghi: una miseria, meno del suo stipendio annuale. Ma se per una persona singola una simile cifra poteva bastare e avanzare se adoperata con parsimonia, come poteva essere possibile fare lo stesso con quasi quaranta mila uomini?

Per prima cosa, dopo aver visto nuovamente lo stato miserevole dei suoi uomini e sforzandosi di non perdere la calma, in modo che fosse lucido e non agisse in maniera avventata, aveva richiamato il quartiermastro a cui era stato affidato l'incarico di gestire il commissariato, Meynier e gli annunciò, senza mezzi termini e quasi freddamente, che sarebbe stato destituito e sostituito da uno dei suoi uomini di fiducia, Chauvet.

Immediatamente si era messo all'opera con tutta la sua buona volontà ed energia, sperando che anche questa volta, Bonaparte avrebbe compiuto nuovamente il miracolo di Tolone, tuttavia c'era uno degli ostacoli più difficili da superare, ossia i fornitori, che, controllando i documenti, le cifre, avevano rubato molto e godevano di grande merito. Bisognava trovare del denaro in fretta, altrimenti sarebbero rimasti in quella condizione di stallo ancora per molto. L'aveva comunicato immediatamente al comandante.

Per prima cosa, sotto dettatura, il corso aveva deciso di scrivere al Direttorio per riferirgli della situazione, pur sapendo che non avrebbe avuto la giusta attenzione da parte dei membri più influenti, ossia Barras, ma soltanto per continuare a mostrare la sua facciata di ufficiale servizievole. Questo fino al momento in cui avrebbe ottenuto tutto ciò che gli serviva per condurre la propria battaglia personale contro i nemici stanziati in Italia, intenzionati ad opporsi ai suoi piani di conquista.

- Probabilmente non otterremo una risposta, comandante - sospirò sconsolato Chauvet, guardando quella figura sottile in perenne movimento, dalla barba leggermente incolta e i capelli spettinati - Per il Direttorio sono altri i fronti più importanti e altri i comandanti che meritano attenzione

- Ne sono consapevole amico - rispose il giovanissimo generale, cercando di mettere in ordine le innumerevoli scartoffie che occupavano la scrivania; aveva dovuto usare i candelabri e alcuni pesanti libri per tenerli fermi, assieme agli strumenti per misurare le cartine e le mappe stesse - Per questo lo sto facendo, pensano di mettermi all'angolo così facilmente? Fanno bene a sottovalutarmi, perché così sarà più appagante stupirli, inizieranno a rendersi conto di cosa sono realmente capace e del progetto che voglio realizzare, per fortuna che voi lo sapete e vi mostrate fiducioso - aveva aggiunto con calma e determinazione, per un attimo gli sembrava che avesse sorriso nel riferire le ultime parole.

- Dopo aver visto le vostre qualità a Tolone e a Parigi non posso non avere fiducia in voi, comandante, sono convinto che stupirete tutti quanti anche questa volta - si era sentito rincuorato nel pronunciare tali parole. Da come aveva parlato poi, era sicuro che avesse già in mente cosa fare e in che direzione muoversi. Non aveva atteso molto prima di ricevere il suo ordine.

- Insistete con i fornitori, non badate a mezzi termini o a timori reverenziali perché è a nome mio che parlate, non del Direttorio o di altri, metteteli sotto pressione, intimorite e minacciate ancora, dobbiamo riappropriarci di ciò che ci spetta di diritto - aveva riferito con durezza, i suoi occhi erano infuocati.

Chauvet sapeva di non poter disobbedire, né voleva farlo. Era rapito dall'indiscutibile carisma, dalla sua straordinaria capacità di attirare a sé le persone di Bonaparte, che aveva mostrato fin da subito, infatti, aveva ridotto all'obbedienza i suoi sottoposti senza il minimo sforzo. Era nato per il comando - Agli ordini - era stata la sua pronta risposta ed era uscito per eseguire ciò che gli era stato comandato di fare.

"Forse sarebbe il caso di mettermi in contatto con quell'uomo" aveva riflettuto Napoleone, massaggiandosi il mento "Sì, credo proprio di dover informare il plenipotenziario francese a Genova, il cittadino Faipoult per sollecitare, ovviamente in modo discreto e senza baccano, un prestito di qualche milione di franchi ai finanziatori, banchieri ebrei della zona, loro non avranno sicuramente problemi a procurarseli" tamburellò le dita sul tavolo, era l'idea più sensata e logica che gli era venuta in mente. Non che gli importasse davvero dell'origine, dell'etnia o della religione come criterio di scelta, al contrario, per il generale qualsiasi individuo poteva essere utile ai propri scopi, se possedeva le qualità che ricercava e in questo caso l'efficenza era la priorità.

Non poteva concepire e quanto meno sopportare che una parte dell'esercito francese fosse ridotto in quello stato miserevole, era una sensazione umiliante e disonorevole che aveva già conosciuto molto bene e toccato con mano a Tolone.

Da una parte era insoddisfatto dalla totale indiffirenza del Direttorio, il quale aveva deciso di puntare ogni sua carta sulle due armate principali, guidate da Moreau, ossia quella del Reno e della Mosella e quella di Jourdan, che invece guidava quella Sambre e della Mosa, a scapito di quella d'Italia; dall'altra però era contento di non averli tra i piedi e di conseguenza, potessero frenarlo; da quel giorno avrebbe preso decisioni e si sarebbe mosso come voleva lui, la farsa con loro era finita o probabilmente, non era mai realmente cominciata. Il generale Bonaparte non aveva mai chinato il capo a loro, le parole mostravano fedeltà, il cuore invece, era rivolto soltanto a sé stesso e a quelle poche persone per il quale provava amore e affetto sincero.

Seppur ancora breve, non aveva neppure 27 anni, la sua vita era stata già piena di esperienze che gli avevano fatto comprendere, a sua spese e con non poca sofferenza, che il mondo era egoista, basato sull'apparenza e il doppiogioco; nulla era veritiero, tutto era falso, i sentimenti procuravano soltanto brevissimi istanti di gioia e appagamento, mentre il dolore era continuo. L'unico modo per andare avanti era, dunque, lasciarsi tutto alle spalle, lavorare sodo, impegnarsi, mettercela tutta per raggiungere la meta prefissata e affidarsi alla dea ragione, l'unica in grado di condurre l'uomo alle vette più sublimi della gloria, della perfezione e della felicità.

Quella sua incessante attività e maniacale cura per ogni singolo dettaglio, che in solo due giorni aveva portato un ordine e una disciplina che non si vedeva in quei ranghi praticamente da sempre, suscitava sempre più ammirazione, stupore, meraviglia nei generali di divisione che erano sotto di lui, i quali si sentivano, per la prima volta dopo tanti mesi di stallo, davvero motivati a scendere in campo e combattere, oltre a mettersi a sua disposizione per qualsiasi cosa. Ormai non dovevano più preoccuparsi di quei problemi che li avevano assillati fino a 48 ore prima.

Erano contagiati dal flusso di energia pulsante che proveniva da quel giovane uomo, venuto praticamente dal nulla, non era sconosciuto, conoscevano le sue imprese passate, anche se la sua esperienza era minima se paragonata alla loro. Ciò che trovavano decisamente strano era il suo studio continuo, accanto ai libri militari, delle carte geografiche dell'Italia, era la prima volta che effettivamente un comandante le scrutava in quel modo, passandoci ore intere, ripiendole di calcoli, formule, segni, nomi, città, disegni.

- Dopo il comandante che ci ha affidato il Governo - esordì Sérurier, seduto a cavalcioni sulla sedia - Ho deciso di restare nell'esercito, la pensione può aspettare, quell'uomo mi ha ridato un motivo per combattere nuovamente, non ho mai visto un ufficiale come quello lì, inarrestabile - era rimasto più che colpito e tremava al solo pensiero di poter dare ancora una volta se stesso in una battaglia vera e propria, seria.

- È una splendida notizia questa - fece Masséna accanto a lui - Più siamo e più ci divertiamo contro quei bastardi - ridacchiò il nizzardo con aria beffarda e fissò Augereau, colui che era rimasto più abbagliato, affascinato, spaventato da quel piccolo generale, come lo chiamava lui - Penso che siamo agli ultimi preparativi, da quel che ho inteso, Bonaparte ha intenzione di farci mettere in marcia il prima possibile, lui stesso è desideroso di scendere in campo!

- Tuttavia non ho ben capito il perché della dedizione che rivolge alle mappe e ai libri sull'Italia - fece Augereau, poggiando la schiena sulla sedia, a braccia conserte, quel suo atteggiamento quasi intellettuale non lo comprendeva appieno, ma non perché fosse uno stupido, lo trovava semplicemente inutile, era sufficiente osservare direttamente il campo anziché sprecare le ore così... - Sembra un matematico o un visionario

- Credo che sia perché si sia specializzato nell'ambito dell'artiglieria - tentò di rispondere Masséna, perché era convinto di conoscerlo un po' meglio rispetto agli altri - Quindi le carte per lui sono fondamentali per far muovere le batterie, non credo sia un problema per la riuscita della Campagna - chiuse i piccoli occhi marroni e li riaprì, si era ricordato di un dettaglio di cui era venuto a conoscenza parlando con Junot e i suoi colleghi, che erano giunti al seguito del comandante - Inoltre da come mi hanno riferito i suoi aiutanti di campo ha lavorato per un po' all'agenzia topografica di Parigi, per cui non dovremmo dubitare della sua preparazione, potrebbe riservarci delle grandi sorprese - emise divertito, rivolgendo lo sguardo in direzione della tenda del comandante.

- Agenzia topografica di Parigi? - chiese Berthier, che era rimasto in silenzio come al suo solito, ma quel nome gli aveva fatto spalancare gli occhi - È dove lavora mio fratello César - precisò subito, vedendo gli sguardi rivolti verso di lui, un po' preoccupati per via della sua intromissione. Ricordava che in alcune lettere suo fratello aveva accennato ad un suo collega giovanissimo che era stato assunto da poco e aveva mostrato grande talento, che però era ancora grezzo e doveva essere smussato, inizialmente non era stato bene accolto in effetti "Probabilmente era lui" pensò il generale quarantaduenne. Pure lui era rimasto sbalordito dalla forza di volontà di quel ragazzo e avrebbe voluto mettere a disposizione le sue abilità organizzative e la sua esperienza di ex capo di stato maggiore e del genio.

- Generale Berthier - esordì una guardia che proveniva dalla tenda del generale Bonaparte - Il comandante in capo desidera parlarvi e ci tiene a far presente di volervi il più presto possibile

Louis Alexandre si alzò in piedi immediatamente - Sono pronto anche ora - lo informò tranquillamente.

- Oh chissà che vi dirà - ridacchiò Massèna nel vederlo raggiungere l'uscita della tenda - Speriamo non sia un rimprovero...

- Già, ricordo ancora come ha cacciato via quel Meynier, senza nemmeno pensarci due volte! - ricordò Augereau, tremando un po', quel piccoletto sapeva proprio come imporsi - Anche se siete più grande di noi e di lui soprattutto, non si fa troppi scrupoli nelle sgridate...

- Accetterò anche quelle con dignità se è giusto - rispose stoicamente, senza scomporsi. Aveva il suo orgoglio e il suo carattere da uomo di guerra, proveniva da una famiglia di militari che aveva servito il re, era nato a Versailles, fin da bambino, accanto ai fratelli più piccoli, aveva imparato la disciplina, il rispetto per la gerarchia, l'ordine e quando aveva avuto un superiore, anche quell'autorità. Non si sarebbe permesso di andare contro il volere di qualcuno se non fosse stato necessario. Aveva sempre vissuto in una posizione privilegiata, lo sapeva, non aveva faticato per ottenere quei gradi, pur avendo rischiato qualche volta, soprattutto dopo la tentata fuga del re. Eppure non ne aveva mai abusato e così avrebbe fatto con il comandante, qualsiasi cosa gli avrebbe ordinato di fare.

- Giusto, dimentico che a differenza mia non siete un plebeo, eravate uno degli uomini di Luigi Capeto - sogghignò Augereau sarcastico, quel ghigno beffardo rese il suo volto ancora più ridicolo di quanto non fosse già di natura - Per fortuna che siamo allo stesso livello adesso, caro Berthier! La rivoluzione ha portato all'uguaglianza, siamo tutti figli di cani! - Louis Alexandre lo guardò velocemente, giusto per prestargli attenzione ed uscì. Non si era mai vantato della sua ascendenza, al contrario, non poche volte fu un problema, ma se era il suo collega ad alludere a ciò, significava che quel suo passato non sarebbe stato mai cancellato.

Allontanò questo pensiero dalla mente e si concentrò sul comandante, era un po' emozionato nell'incontarlo in privato, a parte le visite di quei giorni, quando vi era il richiamo o qualche precisazione su quanto avrebbe fatto da lì a poco non avevano avuto molte possibilità di parlare da soli, sperava che lo avesse chiamato per i suoi meriti passati e non i suoi errori o mancanze. Ancora quello sguardo che incrociò la prima volta, così profondo e così penetrante, gli ritornò nella mente... "Oh eccola, sono arrivato, sarà meglio farsi annunciare come si deve..."

- Generale Berthier! - disse Bonaparte nel vedere la sua figura di uomo maturo, dalla grande esperienza e dall'aria ligia presentarsi al suo cospetto

- Comandante Bonaparte, sono ai vostri ordini - emise il sottoposto eseguendo un rispettoso e profondo inchino, aveva compreso quanto per il comandante la gerarchia fosse importante all'interno dell'esercito. E condivideva questo suo pensiero. Poi si rimise ritto e notò il disordine della sua scrivania, oltre alla posizione decisamente insolita con cui stava seduto il generale, teneva appoggiata una gamba sull'altro ginocchio ed era curvo sulla grande cartina.

- Finalmente ho il piacere di conoscere da vicino il fratello di César, il famoso Louis Alexandre Berthier - rispose Napoleone sorridendo leggermente, emozionato nel trovarsi davanti uno degli uomini più esperti dell'intera Francia - gli indicò la sedia davanti a lui - Accomodatevi prego, non è educato restare in piedi

Berthier eseguì e si accomodò, aspettando che gli rivolgesse nuovamente la parola. A quanto aveva indovinato, era lui l'uomo di cui suo fratello parlava con tanta simpatia e stima. Dalla sua espressione poté capire che non fosse intenzionato a rimproverarlo, anzi gli sembrava quasi eccitato.

- Avrei potuto aspettare la lettura dell'ordine del giorno - riprese il corso, sedendosi composto - Ma desidero riferirvelo di persona, anche per avere occasione di conoscerci meglio, è importante che ci sia coesione e stima reciproca tra superiore e i suoi subordinati, al pari del rispetto

Berthier annuì convinto, approvando ancora una volta la sua mentalità aperta e rispettosa - Sono d'accordo con voi comandante...

- César mi aveva riferito del vostro carattere silenzioso e ligio - rise Bonaparte, stavolta mostrando un ampio sorriso - Mi ha spesso parlato di voi e della vostra carriera, quando eravate ancora insieme a Versailles, siete stato fortunato a vivere in un simile posto per un po' di tempo... - lo scrutava curioso attraverso i suoi grandi occhi grigi, soffermandosi sulla capigliatura ordinata e incipriata.

- È passato del tempo da allora, comandante - la voce calda e profonda del generale risuonava un po' nostalgica, abbassò lo sguardò - Ma non ho frequentato molto la corte, seguivo principalmente mio padre, che era più vicino al re, poi mi dedicavo al mio mestiere...il dovere viene prima di ogni altra cosa... - rialzò la fronte e ricambiò il sorriso.

- Per questo ho pensato di riconfermare, più che nominarvi, lo eravate già qualche anno fa, capo di stato maggiore dell'Armata d'Italia, sono convinto che nessun altro meglio di voi possa ricoprire questo ruolo fondamentale - gli consegnò la carta con la nomina e la firma tutta scarabocchiata - Ho letto alcuni vostri rapporti fatti nei mesi scorsi, ed erano molto puntuali, chiari, metodici - poggiò il mento sulle mani intrecciate - Mi hanno dato la conferma che cercavo...

Berthier era a bocca aperta, da una parte aveva desiderato ardentemente di riottenere quell'incarico perché era uno dei pochi in cui si sentiva realizzato pienamente, rispecchiava il suo carattere razionale, preciso, mai fuori dalle righe; dall'altra non ci sperava più e tale smentita lo fece sentire nuovamente vivo e pronto - Vi ringrazio, comandante, farò in modo da non deludere la fiducia risposta nei miei confronti...

- Perfetto! - esclamò il ventiseienne, animato sempre un'inesauribile energia e vitalità, balzando dalla sedia - Allora mettetevi subito all'opera, ho bisogno di voi per compilare le ultime comunicazioni per quanto riguarda l'ordine del giorno, spero che siate abbastanza veloce da starmi dietro, fino ad ora quasi nessuno ci è riuscito

- Ci proverò con tutto me stesso, comandante - rispose senza troppi giri di parole, Berthier. Stava per alzarsi e andare a sistemare una delle scrivanie abbandonate ma il comandante gli diede il permesso di occupare la propria.

- Mi riesce meglio dettare mentre cammino, da seduto mi risulta estremamente difficile, mi distraggo - si giustificò Bonaparte, grattandosi la testa. A Berthier quella sua spontanea ed ingenua stranezza cominciava a piacere, metteva in luce un aspetto della sua personalità che lo rendeva senza dubbio più affabile e simpatico. In fondo era pur sempre un ragazzo che aveva poco meno di trent'anni.





 

 

   
 
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