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Autore: MercuryGirl93    14/03/2022    3 recensioni
*LA STORIA VERRA' A BREVE ELIMINATA*
Federico, ragazzo introverso e apatico, subisce la sua vita con passività, insoddisfatto della famiglia e delle sue amicizie. Sarà l'incontro con Emma, vivace quanto misteriosa, a spronarlo a cambiare e ad accendere in lui la curiosità di guardare il mondo con occhi diversi.
Ma chi è Emma? Una favola vissuta da Federico ad occhi aperti o una persona vera, in carne ed ossa?
Mentre il mistero di questa figura quasi fiabesca vi accompagnerà tra le righe di questo racconto, l'amore sarà il garante di una crescita personale e di un introspezione sempre più profonda di un ragazzo smarrito.
Dalla storia:
"Emma sbuffò esasperata. –Mi baci o no?
Federico la osservò: aveva le guance tinte di rosso, anche se la cosa poteva passare inosservata dato il buio. La trovò irresistibile, quell’insistenza quasi infantile che aveva nel volerlo baciare era deliziosa e inaspettata. - No.
-E perché? - domandò indispettita, sfoggiando la sua migliore espressione contrariata: le labbra arricciate, gli occhi verdi taglienti.
-Perché il tuo chiederlo mi ha fatto passare la voglia –
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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VIII Orchidea
 
Viveva un tempo assai lontano un giovane bello, aitante e focoso, Orchis, figlio di una ninfa e di un satiro.
Dalla madre aveva ereditato l'eterea bellezza, dal padre una libido irresistibile.
Durante una festa in onore di Dioniso, il giovine tentò di amare una sacerdotessa, certo che i suoi natali lo avrebbero reso impunibile anche agli occhi delle divinità.
Ma così non fu e Dioniso lo condannò, facendolo sbranare dalle sue belve.
Gli dèi impietositisi per la terribile fine di quel giovane bellissimo, vollero perpetuare la memoria di Orchis.
Dai suoi resti mortali fecero nascere una pianta di raro splendore che nelle radici conserva ancora il simbolo della virilità che fu fatale al giovinetto. Nacque così l'orchidea*
 
 
Le cinque di pomeriggio non erano l’ora più indicata per farsi una birra al Bangladesh, ma quella sera Simona aveva il turno serale e toccava a lui badare ad Alberta. Bere una birra con una bambina di sei anni non lo allettava per niente.
Quando spinse la porta del locale, si pentì persino di aver solo pensato ‘Ho voglia di una birra’. Era sabato, il che voleva dire serata a tema: Hawaii, quella sera. Le cameriere indossavano lunghi gonnellini di paglia mentre appendevano decorazioni floreali tra i tavoli e donavano a chi beveva collane di orchidee colorate.
Federico schivò abilmente qualsiasi tentativo di coinvolgimento. Voleva la sua birra: l’avrebbe bevuta e sarebbe tornato a casa con la stessa rapidità di un fulmine pur di evitare quella pagliacciata.
-Mi dai una birra? - chiese alla cameriera al bancone, dopo essersi seduto in uno degli sgabelli.
La ragazza fece ondeggiare i lunghi capelli neri come la pece, intrecciati tra boccioli di fiori delicati. Gli allungò la birra in un attimo e Federico prese a sorseggiarla.
-Federico!
Marco era al tavolo proprio accanto al bancone, fin troppo in tema per la serata con la sua camicia a fiori colorati.
Non lo vedeva da quella sera in cui gli aveva fatto la sfuriata, arrabbiato com’era per la storia con Emma. Marco lo aveva chiamato nei giorni successivi, ma Federico era più che certo che la motivazione non fosse quello che gli aveva detto; conoscendo il biondo, era più che sicuro che si era dimenticato qualsiasi tipo di diverbio, noncurante com’era della sensibilità altrui non si sarebbe mai speso in scuse, spiegazioni, introspezioni. No, a Marco piaceva lasciare il mondo così come lo trovava e affrontarlo con il massimo della superficialità.
Federico non lo aveva mai giudicato per quel suo modo di fare, anzi per un periodo gli aveva fatto persino comodo avere a che fare con qualcuno così poco attento ai sentimenti altrui e così proiettato su sé stesso. Tuttavia, qualcosa era cambiato, e ormai la compagnia di Marco non gli era più gradita: sentiva il bisogno di ricercare una maggiore profondità nelle persone che lo circondavano; profondità che in Marco non vedeva, che sicuramente Emma aveva, che Annamaria stava rivelando di possedere.
Nonostante la sua scarsa voglia di interloquire con il biondo, Federico si dimostrò accomodante nei suoi confronti, per quanto gli fosse possibile. Non era mai stato uno da moine con la gente, e di certo non poteva snaturarsi per far contento quel pallone gonfiato del suo amico.
-Ciao – ricambiò il saluto raggiungendolo al tavolo, dopo aver preso e pagato la birra che aveva ordinato.
-Fratello! – fece allegramente Marco. -In questi giorni sei sparito!
Gli mise un braccio sulle spalle affettuosamente, ma Federico rimase impassibile al gesto. Non gli andava di ricambiare.
-Ho avuto da fare.
Era vero solo in parte, e Marco pur sapendolo pareva non importargli che gli avesse rifilato una menzogna.
-Piuttosto – ribatté, abbassando il tono della voce. -Da quando il tuo onore lo fai difendere alle donne?
-Che? – borbottò Federico riscuotendosi dall’apatia in cui era sprofondato, come se avesse preso la scossa. -Di che diavolo parli?
Marco aveva un’espressione fintamente severa in viso: lo stava davvero rimproverando, senza però far leva sulla faccenda con la giusta serietà. -Lo sai.
Scosse la testa, spazientito. -No che non lo so, di che parli?
-Parlo di quella tipa – iniziò a schioccare le dita, come se con quel gesto potesse richiamare alla memoria il nome della ragazza. Federico temette per un attimo nominasse Emma. -Anna! Quella che ti porti a letto, lei!
Tirò un sospiro di sollievo nel non sentirsi fare il nome della sua Emma. Era come se volesse preservare il segreto di lei a Marco, così rozzo e pragmatico, così poco sentimentale: Emma era una favola che camminava sulla terra, solo il pensiero che due mondi così diversi potessero anche solo idealmente scontrarsi lo faceva rabbrividire. Voleva tenere il suo folletto spensierato e puro più lontano possibile da uno come Marco.
Tuttavia, il sollievo provato per pochi secondi si trasformò rapidamente in confusione. -Cosa c’entra Annamaria?
Il biondo rise. -Ma va – gli spintonò bruscamente una spalla. Anche se il gesto doveva apparire giocoso per Federico fu tutt’altro che gradito. -Quella sera in cui eri tutto incazzato…
Si sentì quasi preso in giro dall’amico.
Tipico di Marco sminuire le emozioni altrui a suo favore, non voleva dargli troppo peso, era più concentrato sul capire di che cosa stesse parlando. Annamaria e Marco non parlavano, non si salutavano quasi. Per quanto ne sapeva Federico, il biondo aveva così poca considerazione per la ragazza da non ricordare neanche il suo nome.
Tuttavia, in quel momento, colse una nuova consapevolezza negli occhi di Marco, un bagliore lussurioso, ma anche dello sdegno giocoso.
Quando si accorse che Federico non lo avrebbe incalzato ulteriormente, proseguì. -È venuta da me tutta seria, dicendomi che ero un pessimo amico e che mi sarei dovuto assolutamente scusare con te perché mi ero comportato di merda – spiegò, strofinandosi il mento al ricordo. Prese un sorso dal suo drink prima di andare avanti. -Insomma, mi ha fatto una ramanzina con i fiocchi, arrivando a concludere che sei il mio unico amico sincero e che forse non ti merito.
Sorpreso, Federico pensò ad Annamaria, così timida e delicata, eppure così coraggiosa da affrontare la sua cotta di sempre per difenderlo. Non che lui si fosse mai sentito bisognoso di difese, tutt’altro, ma il gesto così spontaneo di lei era comunque gradito. Dopotutto, lui era finito nei guai a causa del caos provocato da Marco e l’unica che si era interessata alle conseguenze era proprio Annamaria.
Se la figurò mentre faceva la predica al suo amico non-curante, al quale non importava di nessuno se non di sé stesso. Era stata carina, gentile, coinvolta, una vera amica come Federico non si aspettava di trovarne.
Lo scherno negli occhi di Marco gli fece intuire che il discorso di Anna aveva sortito, tuttavia, solo l’effetto di renderlo debole.
Tuttavia, a Federico non era mai importato della sua opinione.
-Mica me lo aspettavo che fosse così agguerrita, quella – proseguì Marco, giocando con la cannuccia nel suo bicchiere. -Se avessi saputo che era così, non ci avrei pensato due volte a farmela invece di…
Venne interrotto nel bel mezzo del discorso. -Marco!
Due ragazze si avvicinarono con fare malizioso al tavolo. Erano le stesse che gli erano state presentate durante la festa, a casa sua, entrambe con un finto reggiseno di noci di cocco che lasciava scoperto il ventre piatto e il bacino stretto, i lunghi capelli ricci sciolti sulle spalle, una collana di orchidee al collo. Erano identiche, quasi indistinguibili.
Federico si rese conto di non ricordare neanche come si chiamassero, né aveva idea di quale delle due ci avesse spudoratamente provato con lui.
-Ragazze, che piacere- fece Marco, esternando un entusiasmo senza fine. I suoi occhi maliziosi correvano prima su una e poi sull’altra ragazza, sulle loro gambe lunghe, sui loro seni esibiti con eccessiva ostentazione.
-Venite qui con noi! – le invitò, poi.
Federico si disse di non avere nessuna voglia di stare al tavolo con loro. Non aveva idea di che genere di conversazione ci potesse essere con due come quelle, e non aveva la curiosità di scoprirlo. Ne aveva già subite a sufficienza, di avance.
Il biondo si scostò dal divanetto per poter permettere alle due ragazze di accomodarsi.
-Marco non ci avevi detto che c’era anche il tenebroso…- disse una delle due, scoccandosi un’occhiata piena di sottintesi. Dallo sguardo con cui lo squadrò, Federico intuì che si trattava della ragazza che ci aveva provato con lui: aveva un’aria disinvolta e confidenziale.
-Sono qui per una birretta rapida, ho da fare stasera – allungò una mano verso la sua birra e ne bevve dei gran sorsi, sperando che finisse il prima possibile così da potersene andare.
Con uno schiocco di dita che aveva tutta l’aria di una cafoneria, Marco fece cenno al barista di portare da bere alle due ragazze insieme a loro. Ci vollero pochi minuti e due drink colorati fecero subito capolino.
-Ma quale tenebroso, è un coglione – rise Marco, rifilando una gomitata all’amico. Federico non si scompose minimamente davanti a quel gesto.
La ragazza che si era accomodata accanto a lui rise sguaiatamente, mettendogli la mano sul petto in una carezza sensuale.
-Da fare? – sorrise l’altra. Le labbra, come sempre tinte di rosso, erano arricciate in un’espressione divertita. -E cosa devi fare?
-Avanti Amelia, convincilo – insisté il biondo. -Se ti metti di impegno, puoi convincerlo.
Ancora una volta, Marco lo conosceva davvero poco se credeva davvero possibile che Amelia potesse convincerlo a restare con loro. Non si sarebbe divertito, avrebbe passato una serata terribile dietro a conversazioni frivole e vuote.
Non che lui fosse chissà quale grande interlocutore, ma di recente si stava sciogliendo, era diventato più esigente.
La ragazza al suo fianco gli mise una mano sulla coscia, accennando una carezza che aveva tutta l’aria di voler terminare sul cavallo dei suoi pantaloni. Federico si ritrasse, non per imbarazzo, quanto più per lo sdegno.
-Hai da fare davvero? – fece Amelia, seducente, probabilmente convinta che il motivo per cui si era tirato indietro fosse la timidezza e non il disprezzo.
-Come ho detto, sì- concluse lui, annoiato.
-Te l’ho detto, Marco! - cinguettò Amelia, sguaiatamente. –Ha una ragazza da cui andare.
Il biondo parve annoiato a quella affermazione, come se non potesse essere in alcun modo possibile.
Entrambi avevano tutta l’aria di aver parlato di Federico alle sue spalle.
Ripesò a quando da piccolo i compagni di scuola lo prendevano in giro per la sua maglietta di Cars bucata e sgualcita. Giancarlo, in quell’occasione, con il figlio in lacrime per le troppe cattiverie, gli disse che la gente parla degli altri quando non ha niente da dire di sé stesso.
Allora, quella frase gli sembrò una stupidaggine, aveva solo otto anni dopotutto. Quando però riuscì a comprenderne il significato, divenne una filosofia di vita.
Quello che diceva la gente, a Federico, non importava. Amelia poteva aver detto qualunque cosa a Marco sulla loro chiacchierata di qualche giorno prima, era irrilevante.
-Ma quale ragazza – fece il biondo, prendendolo in giro – è un’ameba!
Federico sorrise, diplomatico, annuendo come se l’amico avesse appena detto una grande verità.
Le apparenze lo salvavano sempre, perché in quel momento, dietro quel sorriso controllato, c’era il dubbio. Emma non era la sua ragazza, e comunque non aveva parlato di lei con nessuno se non con Annamaria e suo padre. Certamente, nessuno da cui Marco poteva acquisire informazioni.
-Ma sì! Sono sicura che hai qualcuna – insisté Amelia, come se questa potesse essere l’unica spiegazione per cui Federico la stesse rifiutando.
Anche in altre circostanze, anche senza Emma, tuttavia, il rifiuto sarebbe stato analogo.
Federico la osservò: il viso truccato accuratamente, l’espressione sicura, il corpo teso verso Marco, come a venerarlo.
Scelse di rispondere con l’ironia: -Beccato, dai, hai ragione tu.
Amelia aveva gli occhi che brillavano di una compiaciuta malizia.
-Allora non sei gay come pensavo, amico! Perché non la porti? - lo invitò esultando Marco, bevendo un sorso alla sua salute. Si asciugò le labbra con il dorso della mano. –Un’uscita a cinque, che dite? - propose, mettendo il braccio sulle spalle della sorella di Amelia.
-Oh sì, certo, porterò Alberta con noi molto volentieri – annuì Federico.
Amelia rise, alzandosi dal divanetto. –È così che si chiama? Alberta?
A quel punto Marco si lasciò andare ad un sonoro sbuffo, più plateale ed esagerato di quel che era necessario. -No, tesoro. Alberta è sua sorella. Ha sei anni.
-Ovviamente niente alcolici- ammiccò Federico.
-Allora l’uscita la facciamo a quattro! – cinguettò la sorella di Amelia, che probabilmente non aveva capito un bel nulla della loro conversazione.
Marco le mise un braccio sulle spalle, lasciandosi venerare dalla ragazza. Pareva non importargli che lei non fosse minimamente in grado di seguire i loro discorsi, o che fosse troppo stupida per farlo. -Potremmo fare quello che volete, se questo represso del mio amico ci stesse.  
-Represso? - ripeté Amelia scioccamente. –Sciocchezze, l’altro giorno c’era un tale feeling.
La ragazza gli mise le mani sulle spalle larghe, così vicina che i boccioli di orchidea blu erano a contatto con la sua maglia nera. Gli occhi scuri lo osservavano maliziosa.
-Sono questi i tuoi assi nella manica? - le sussurrò annoiato Federico, osservando i centimetri di pelle nuda lasciati scoperti dall’abbigliamento inadeguato.
Amelia arricciò le labbra. Federico glielo aveva visto fare così tante volte che quel gesto, che doveva essere sensuale, iniziava ad infastidirlo.
-Non hai visto niente.
Con uno slancio inaspettato lo baciò, la bocca aperta e la lingua prepotente. Aveva un odore nauseabondo, misto tra l’alcol e la sigaretta.
L’audacia che stava dimostrando nell’orchestrare la situazione sarebbe stata apprezzata da tantissimi altri ragazzi, Marco compreso, ma non da Federico. Non c’era niente di eccitante, di accattivante, niente che gliene ne facesse desiderare ancora, niente che lo spronasse a spingersi oltre.
Viscido, ecco l’aggettivo più adeguato a descrivere quel momento, si disse Federico.
Rimase passivo davanti a quel gesto, lo subì - come molte altre cose nella sua vita – avendo la forza di tollerarlo solo per una manciata di secondi prima che il suo corpo gli mandasse segnali di allarme, desideroso di scostarsi.
L’allontanò bruscamente, a tal punto che la collana di orchidee che aveva al collo perdette qualche fiore. Non voleva essere più scortese di quanto non fosse abitualmente, ma l’insistenza, il contesto, le prese in giro, erano davvero troppo.
Non si sentiva arrabbiato, solo stanco, seccato, desideroso di andarsene il prima possibile. E di non vederli più, per almeno una settimana.
Si pulì la bocca con il dorso della mano e finì la birra che gli restava in due sorsi. Bere non gli fu sufficiente a cancellare il sapore nauseabondo dalla bocca di lei.
Aver bevuto velocemente gli scombussolò il cervello, ma non esitò un attimo: si alzò dignitosamente e senza spendere spiegazioni ulteriori si congedò.
-Ci si vede- disse, inespressivo, mentre alle sue spalle si lanciavano nei commenti. Non fu abbastanza abile da decifrarli, e neanche gli importava.
Calpestò i fiorellini azzurri sul pavimento, nel tragitto verso l’uscita.
 
-Cantano di continuo- constatò Federico. –Perché?
Alberta era ipnotizzata dal cartone che stavano guardando a tal punto che rinunciò a rispondere al fratello. D’altronde, una risposta non sapeva dargliela nemmeno lei che quei cartoni li aveva visti un centinaio di volte, o forse di più.
-Guarda che bel vestito! - Alberta indicò entusiasta lo sgargiante vestito rosa che sfoggiava la protagonista. –Me lo compri?
Gli occhi della bambina brillavano di sogni, saltellava sul posto tutta emozionata.
-Certo tesoro- rise Federico. –E se non lo trovo nei migliori negozi di abbigliamento, lo faccio cucire ad una sarta.
Si lasciò sfuggire quel commento ironico quasi senza pensarci, ma senza malizia. La sorellina, che probabilmente non avrebbe colto il suo sarcasmo in ogni caso, pareva non averlo neanche ascoltato. La sua attenzione, piuttosto, fu attirata dal suono del campanello.
Quando Federico aprì la porta si aspettava qualsiasi cosa: da Marco con le sue due sgualdrine, venuto per mettere i puntini sulle i dopo il discorso di qualche ora prima, alla madre, tornata prima da lavoro, passando per la vicina, la signora Averna, mandata da Simona per supervisionare l’operato di Federico come babysitter dopo i disastri delle settimane prima.
Di certo, tra tutte quelle opzioni plausibili, non si aspettava di vedere Emma.
Era addirittura più bella del solito: i capelli corti totalmente spettinati, le guance arrossate, la camicetta blu sgualcita che le dava quasi un aspetto selvatico, stranamente sensuale. Le sue labbra erano tinte di color fragola, ancora una volta, come se avesse preso l’abitudine di indossare quel dettaglio appositamente per conquistarsi l’attenzione di Federico.
-Disturbo? - chiese discreta.
-No – le sorrise lui, facendole segno di entrare. In nessun caso la presenza di Emma lo avrebbe mai disturbato.
-Un bacio posso averlo? – sorrise lei, una volta chiusasi la porta alle spalle. Quella richiesta suonò così dolce e infantile, ma al contempo così sincera, che Federico si lasciò andare ad una risata.
Poi, in un attimo, ripensò a quel pomeriggio e al fatto che avesse baciato Amelia; o meglio, aveva subito un bacio di Amelia, ma non aveva comunque fatto nulla per fermarla.
Emma non gli aveva mai parlato di un’esclusività del loro rapporto ma guardandola in quel momento si rese conto che probabilmente lei non aveva interesse per nessun altro se non per lui.
Non conosceva abbastanza di lei, non sapeva come poteva prenderla se solo gli avesse raccontato di quello che era successo. Eppure, si convinse che era la cosa più giusta da fare, perché a lei non aveva niente da nascondere. C’era solo Emma, per lui, dopotutto.
Alberta, tuttavia, aveva deciso che non era il momento giusto per lasciarsi andare. -Emma! – gridò felice, raggiungendoli alla porta d’ingresso.  
La bambina iniziò a fare un balletto entusiasta, prendendo la ragazza per mano e cercando di condurla in salotto, dove i cartoni erano ancora a tutto volume.
-Ero con Alberta – spiegò lui quando Emma gli scoccò un’occhiata divertita, trascinata dalla forza di quel tornado di sei anni.
Lei agitò il sacchetto che aveva tra le mani. –Ho portato il gelato.
-Gelato! – esultò ancora la bambina, saltellando affinchè Emma si sentisse accolta con le migliori feste. –A me piace al cioccolato e alla fragola!
-Li ho entrambi! - sorrise Emma e la piccola riprese a trascinarla, questa volta verso la cucina.
Federico si appoggiò con la spalla allo stipite della porta e osservò la scena: Alberta che si leccava le labbra, pregustando già il sapore del suo gelato preferito, ed Emma, che si muoveva in quella cucina come se fosse quella di casa sua, che sorrideva dolce alla piccola, riempiendole in abbondanza la coppetta con panna e cioccolatini.
-Ma tu hai un cellulare?
-Certo che ce l’ho- rispose sbrigativa lei, leccandosi l’indice sporco di gelato. –Che domande mi fai?
-Già, che domande le fai? – ripeté Alberta, con il tipico atteggiamento da soldatino ubbidiente che di solito sfoderava solo per sostenere Simona.
Ridacchiò da sola e si incamminò di nuovo verso il salotto, la coppa gelato stracolma.
-Magari potresti usarlo per farmi sapere quando hai voglia di vedermi.
Emma rise. –Perché hai questa smania di concordare i nostri appuntamenti?
Federico fece spallucce, ancora appoggiato alla porta della cucina, a braccia conserte. -Forse perché è così che le persone normali fanno, abitualmente?
-Così viene meno l’effetto sorpresa, non trovi? – rispose lei, mettendosi in bocca un bel cucchiaio di gelato al cioccolato. Si impiastricciò tutto il viso nel farlo ed iniziò a dimenare la lingua nel tentativo di pulirsi.
-E chi è che ti ha chiesto l’effetto sorpresa?
Emma gli fece l’occhiolino, con un fare seducente che di solito non le vedeva addosso ma che in quel momento gli fece sentire improvvisamente caldo. -Ti piaccio proprio perché ti sorprendo.
Federico fece roteare gli occhi al cielo e la prese in giro: -Sciocchezze.
-Ti senti attratto da me perché non sai che cosa aspettarti – proseguì lei, continuando a mangiare il suo gelato innocentemente.  
-Anche queste sono sciocchezze – mentì lui.
-Sarà- mugugnò lei, il gelato ancora tra le labbra. –Cioccolato?
-Preferisco la fragola.
 
Mezz’ora dopo, Alberta dormiva come un sasso sulla poltrona: la coppetta ormai vuota abbandonata sul tavolino da caffè e la bocca ancora sporca di panna e cioccolato. Russava fin troppo forte per essere una bambina di sei anni.
-Forse dovresti pulirla e metterla a letto- suggerì Emma, spegnendo il televisore.
Federico raschiò i residui di gelato dal fondo della coppetta. –Magari dopo.
-E perché stai procrastinando? – fece Emma, maliziosa.
Strisciò più vicino a lui sul divano, pronta a prendersi quello che gli aveva chiesto poco prima, facendo il suo ingresso nella casa, ma anche il giorno prima, in spiaggia, quando lui per prenderla in giro si era rifiutato di baciarla.
Federico la trovò così spontanea e bella che si sentì lusingato e deliziato che lei desiderasse a tal punto un contatto intimo con lui. Poggiò anche lui la sua coppetta sul tavolino da caffè e le accarezzò il viso, la guancia fresca e morbida punteggiata di lentiggini nocciola.
Fu in quel momento, mentre la guardava dritto negli occhi verdi, che si rese conto che non poteva permettersi di procrastinare tutto, doveva dirle la verità subito. Se c’era una cosa che aveva imparato era che rimandare i discorsi li ingigantiva e lui non voleva discutere con Emma, voleva solo viverla.
-Ho baciato una ragazza- le disse, di punto in bianco, quando lei stava per accostare la bocca a quella di lui.
Emma ebbe un tremolio agli occhi, una vibrazione impercettibile di pochi secondi che non lasciò trapelare fino in fondo che cosa realmente pensasse. Rimase zitta qualche istante e lo osservò, dritto negli occhi nocciola, senza proferire parola.
–Figo – disse infine, con un leggero imbarazzo nella voce - Come è stato? – aggiunse poi, con una disinvoltura che sapeva di falso. Non voleva farsi vedere dispiaciuta da lui evidentemente.
Federico, che non ci aveva mai capito nulla delle emozioni altrui, riusciva a leggerla come se fosse un libro aperto. Non era stata una cosa immediata, ma più tempo passava con lei più le pieghe della sua anima diventavano chiare, nitide, ai suoi occhi. Sapeva che ci era rimasta male.
–Viscido, disgustoso in un certo senso – le sorrise, leggero, nel tentativo di farle capire che per lui non aveva significato niente. In un certo senso avrebbe potuto dirglielo, ma lo metteva in imbarazzo esporsi in quel modo. -Era un’amica di Marco.
Lei si grattava il mento, pensierosa. - Buffo, credevo che Marco sapesse scegliere bene.
-Bene secondo quale standard? – rise lui.
Emma rise a sua volta, ma era evidente che dietro la risata celasse una certa delusione. Coraggiosamente e dignitosamente, cercava di mascherarla, poiché in fin dei conti non c’era nulla di ufficiale tra di loro, si stavano semplicemente conoscendo.
-Non so – fece lei, confusa. -Mi ero fatta quest’idea.
Emma tacque ancora e a quel punto Federico si chiese perché glielo avesse detto: forse celando quella piccolezza avrebbe preservato il loro momento perfetto.
E lei non aveva ragione di tacere imbarazzata eppure, contro ogni aspettativa, lo stava facendo.
-Perché me lo stai dicendo? – sbuffò alla fine. Lo guardò negli occhi di nuovo, questa volta agguerrita, come se dopo il suo attimo di alienazione avesse deciso di affrontare il fatto senza troppe cerimonie.
Federico fece spallucce. –Mi andava di dirtelo- se ne uscì, semplicemente perché non sapeva neanche lui perché lo avesse fatto. Sentiva di doverle la verità, semplicemente.
La purezza del loro rapporto doveva essere preservata e desiderava che non ci fossero bugie, era questa la ragione.
Emma incrociò le braccia al petto. - Lo sai che puoi baciare chi vuoi, vero? – fece, agguerrita, ma agli occhi di Federico suonò come una bugia.
-E lo stesso vale per te, certo- annuì lui, mentendo a sua volta. Il pensiero di lei con qualcun altro gli dava fastidio, ma non lo avrebbe mai dichiarato apertamente.
-Dico, non è che siamo vincolati- Emma iniziò a gesticolare e l’imbarazzo che aveva nascosto per pochi istanti ritornò ad emergere prepotente. Non l’aveva mai vista così in difficoltà come in quel momento. –Puoi ficcare la lingua in bocca a chi vuoi, non m’importa.
-Certo- proseguì titubante per l’espressione che aveva usato lei. –Possiamo limonare con chi ci pare.
Emma storse il nasone. –Puoi risparmiarti queste espressioni.
-Sei tu che hai detto ‘ficcare la lingua in bocca’ o sbaglio? - rise lui.
-Comunque, sì! - e lo squittì, come un topolino in trappola. –Contro il romanticismo e contro le convenzioni, puoi limonare e portarti a letto chi ti pare e quando ti pare.
Ancora una volta non era vero e, comunque, Federico non voleva nessun altro. Se Annamaria non avesse chiuso con lui, sarebbe stato lui a smettere di fare sesso con lei, perché il pensiero di Emma sovrastava qualsiasi altra ragazza avesse intorno.
Lui annuì, divertito. –Sei sicura?
-Ma certo! – continuò a squittire lei.
-Figo.  
-Figo, sì- lo imitò lei, fissando il vuoto pensierosa.
A quel punto Federico la baciò, certo che quello fosse il momento in cui lei meno se lo aspettava, al punto che prima di abbandonarsi spalancò gli occhi per la sorpresa, come la prima volta che l’aveva baciata.
Non fu come il bacio che Amelia gli aveva rubato quel pomeriggio: quello era lontano anni luce dall’essere eccitante come, in quel momento, baciare Emma, che, affamata ma lenta, si gustava il suo frutto proibito, dopo averlo desiderato e richiesto per giorni.
Ecco, se avesse dovuto descriverlo, Federico avrebbe risposto che Emma baciava allo stesso modo in cui si mangia una mela, assaporando ogni boccone mentre il succo dolce ti scivola tra le labbra.
E se non c’era stato niente di inebriante nel baciare Amelia, sentire Emma sedersi a cavalcioni su di lui mentre gli stringeva i capelli lo stordì a sufficienza, eccitandolo in ogni fibra del suo corpo.
Sentirla sospirare dentro la sua bocca lo fece sorridere e lo spinse a stringerla ancora di più a sé.
Non avevano più bisogno di discutere di quello che era successo perché quel gesto spiegava tutto con grande chiarezza: si desideravano reciprocamente, sia mentalmente sia fisicamente, e non sarebbe stato un bacio rubato da un’altra a dissuadere Emma da quello che stavano intraprendendo.
-Federico…- cinguettò Albertina, quando lui era dedito a baciare il collo di lei.
E in un attimo Emma era stesa sul divano, da sola, senza fiato e con gli occhi verdi sbarrati, mentre Federico, già in piedi, controllava che la sorellina dormisse ancora e che non avesse visto niente.
-La metto a letto- disse, prendendo in braccio la sorellina, senza aspettare che lei gli rispondesse.
Emma sembrava aver preso una scossa: aveva i capelli più spettinati di quando era arrivata, gli occhi ancora spalancati, le guance rosse per l’eccitazione.
Lo osservò senza fiato, ansimante, mentre lui saliva le scale con la bambina tra le braccia.
 
Quando aprì la porta della sua camera la luce era accesa. Emma era sul suo letto, con una delle sue magliette addosso, le gambe nude accavallate, mentre osservava il suo blocco da disegno. I suoi vestiti erano ammucchiati per terra, nell’angolo accanto alla porta.
Quando dieci minuti prima era sceso al piano di sotto, dopo aver provveduto ad Alberta, aveva pensato che fosse andata via. Non si aspettava di certo di trovarla nel suo letto, ma probabilmente da lei doveva aspettarselo.
Emma lo guardò con un sorriso allegro ma malizioso, probabilmente ripensando a poco prima, sul divano. Sembrava desiderosa di proseguire qualsiasi cosa avessero iniziato.
-Quella è la mia maglietta- le disse divertito, indicando la T-shirt verde militare che indossava la ragazza.
E lei smise di sorridere. –Sul serio? È la prima cosa che hai pensato, entrando?
Federico, noncurante, si sfilò i jeans scuri e li sostituì con una tuta grigia. Mentre si sfilava la maglietta a maniche corte, si accorse che Emma lo osservava: gli occhi verdi di una tonalità più scura rispetto al solito, le labbra sottili schiuse e le guance più rosse del solito, sembravano due pomodori.
-E che cosa dovrei pensare? – ridacchiò lui, mentre riponeva ordinatamente i suoi vestiti nell’armadio.
-Ho la sensazione che tu mi prenda in giro – fece lei, sbuffando. Federico la guardò, un sopracciglio aggrottato: Emma indicò il suo abbigliamento e poi i suoi vestiti, riposti disordinatamente sul pavimento.
-Oh, certo - Federico mugugnò con finta sorpresa, dandogliela vinta. –Ho pensato anche che i tuoi vestiti sono per terra- aggiunse, raccogliendo da terra un paio di pantaloncini a jeans, una camicetta blu, un paio di sandali e… un reggiseno bianco.
-Cacchio che perspicace.
-E questo? - sorrise lui, agitandole il reggiseno sotto il naso.
Emma sollevò gli occhi al cielo, esasperata. –Avanti, dì che è un reggiseno e completiamo il festival dell’ovvio.
-È un reggiseno- disse, riponendo le sue cose sulla sedia accanto la scrivania, in maniera ordinata. –Vedo che non ti sei fatta troppi problemi a metterti comoda.
Lei non gli rispose, ma non gli importò.
Se voleva restare, gli andava più che bene: avevano già dormito insieme. Anche se, a giudicare dall’espressione di Emma, lei non voleva solo dormire insieme a lui.
Si riscosse con un colpetto di tosse. –Sono io- disse, indicando il disegno che le aveva fatto l’altra mattina, dopo che se n’era andata.
-Ora anche tu dici cose ovvie- le sorrise. Gattonò sul letto e le sfilò il blocco di mano, per poi infilarsi sotto le coperte. –Sì, sei tu. Spegni la luce.
-Che vuol dire? – lo incalzò lei, di nuovo esasperata.
Federico rise, voltandosi di spalle. - Vuol dire che l’interruttore è dalla tua parte del letto e che se non spegni non possiamo dormire.
Emma, come una bambina insoddisfatta lo prese per un braccio ed iniziò a scuoterlo. –E non mi baci?
Ancora una volta rise, girandosi verso di lei. Aveva le cosce candide, con qualche neo scuro a punteggiarle, le ginocchia macchiate da qualche sbiadito livido violaceo. –Perché me lo chiedi sempre?
-Perché tu mi costringi a chiedertelo- soffiò lei, facendo sollevare qualche ciuffo di capelli. –Sono sul tuo letto, ho la tua maglia, e il mio reggiseno è dall’altra parte della stanza, che stai aspettando?
Gli toccò il viso barbuto, intrecciando prepotentemente le gambe a quelle di lui, per avere un contatto più intimo. La sicurezza che aveva lei in quel momento la rendeva attraente come non mai agli occhi di lui.
-È che così mi sembra troppo facile: ti bacio, ti tolgo la maglietta… - la prese in giro.
-È facile, fallo! - lo fermò lei, ancora con quell’aria da bambina, mentre con una mano gli toccava il petto nudo. -Si può sapere perché non vuoi fare sesso con me?
Lui rabbrividì per l’eccitazione al solo pensiero di averla, ma prenderla in giro era troppo divertente, così proseguì: -Mi togli il piacere della conquista.
Emma sollevò gli occhi al cielo. –Credevo che avessimo superato questa sciocchezza mezz’ora fa, sul tuo divano.
Lui le sorrise. –Nel divano è stato diverso.
-Se vuoi torniamo sul divano.
-È stato diverso perché tu non te lo aspettavi, ti ho baciata e basta- Si fermò e scrutò il viso di lei, scettico per quel discorso. Non importava quanto fosse convincente il discorso che voleva farle, lei non lo avrebbe ascoltato. -Buonanotte Emma.
Si girò in modo da darle le spalle, ed Emma gettò la spugna.
Venti minuti dopo la luce era spenta e lei dormiva tranquillamente: aveva la bocca aperta, i seni piccoli e sodi si alzavano e abbassavano al ritmo del suo respiro, la mano abbandonata sul ventre, i capelli castani una matassa che le avvolgeva il viso tondo.
Federico pensò che in quella posizione fosse un ottimo soggetto da ritrarre, ma non aveva voglia di prendere il suo blocco. Gli piaceva solo guardarla.
Le accarezzò il braccio con le nocche e si sporse verso di lei, baciandole le labbra mentre dormiva.
In quel momento Emma schiuse un occhio, incurvando la bocca in un sorriso dispettoso. -Sei un coglione- gli sussurrò, mettendogli entrambe le braccia attorno al collo e attirandolo a sé.
Federico rise piano e la baciò con più ardore, giocando con la lingua di lei e sfilandole la maglietta così come lei aveva desiderato fin dall’inizio. Emma a quel gesto mugolò di piacere, soddisfatta per aver ottenuto ciò che bramava. Si lasciò scrutare da lui i seni ed il corpo candido e minuto, coperto soltanto da un paio di slip azzurro mare.
Emma, intraprendente e sensuale, prese una mano di lui e se la posò sul seno, mentre con l’altra lo incoraggiava a sfilarsi la tuta grigia.
-Sei frettolosa – le bisbigliò lui roco, mentre le stringeva la pelle morbida e le baciava il collo.
-Sei lento – ribatté lei eccitata, circondandogli con le gambe il bacino per cercare un contatto più intimo con il corpo di lui. Quando il centro di lei si scontrò con la sua erezione entrambi gemettero.
-Mi piaci – bisbigliò lei, come a giustificare la fretta che aveva, la sua voglia di bruciare le tappe. In un gesto inaspettato afferrò i lembi dei boxer di lui con le dita dei piedi e li tirò giù.
Iniziò a trafficare febbrilmente con i suoi slip, pronta a tirarseli giù, ma Federico la fermò, riservandosi il piacere di spogliarla definitivamente: fu lui a toglierle l’ultimo strato di tessuto che le impediva di avvinghiarsi nuda a lui.
-E tu piaci a me – rispose lui, baciandole le labbra l’ultima volta e chinandosi verso il centro di lei per darle piacere.
Emma soffocò un piccolo urletto quando la lingua di lui la esplorò, languida, e non protestò più per il suo essere lento, anzi sembrò quasi piacerle.
 
Nel linguaggio dei fiori, il significato del fiore di Orchidea equivale ad eleganza e sensualità ma, grazie alla sua bellezza, non sarebbe possibile non regalarla ad una donna bellissima ed affascinante, tale da suscitare un’autentica ammirazione e una conseguente totale dedizione. L'Orchidea non vuole semplicemente indicare la sensualità ma anche lusso, fascino e passione.
[www.ilgiardinodegliilluminati.it]
 
Il fiore dell’orchidea ha un fascino particolare ed una bellezza unica, esteticamente perfetto tanto che ha simboleggiato da secoli la raffinatezza, l’eleganza, l’armonia, la bellezza ma anche e soprattutto la passione, la sensualità e l’amore.
[www.giardinaggio.it]
 
*Fonte: www.treviambiente.it

 
Buongiorno a tutt* i lettori che si sono spinti fino a qui. Vi ringrazio molto per il sostegno, per le belle recensioni e per aver messo la storia tra le seguite. 
Questo è uno dei capitoli che ho preferito maggiormente scrivere, spero che per voi sia stato altrettanto bello leggerlo. 
A giovedì! 
   
 
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