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Autore: moganoix    15/03/2022    1 recensioni
Felix, Changbin, Chan:
Un minuto semidio, un alchimista perso nelle nuvole, un soldato senza macchia e senza paura (forse).
A causa di un'arcana profezia, al secondo tocca uccidere il primo sotto la supervisione del terzo, ma non tutto andrà per il verso giusto...
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["Affinché nostra Madre Terra fiorisca
Felicità, ogni cent'anni, appassisca."]
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!!Chanlix/Changlix!!
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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A Changbin avevano presto insegnato, durante i suoi primi anni da novizio, che l’uomo è composto da tre elementi fondamentali: la Materia, ovvero il corpo fisico, lo Spirito o Anima, ovvero il compendio di intelletto e sentimenti, e l’Energia, il motore immobile dello Spirito. Lui stesso, in seguito, pur essendo più ferrato sull’alchimia, ovvero sulla manipolazione della Materia, spesso aveva tentato di indagare a fondo il proprio Spirito nella speranza di trovarvi la chiave che gli permettesse di aprire la porta del mondo e, quando aveva iniziato a conoscere meglio Felix, si era illuso di esservi finalmente riuscito. Pensava di essere giunto in capo al mistero grazie al quale la Terra si reggeva in piedi, l’interrogativo la cui risposta semplicemente era ‘Istinto di sopravvivenza’, o, ancora meglio ‘Amore’.
Lo stesso Amore che non aveva mai provato in vita sua, ma da cui era stato violentemente invaso quando Felix aveva incastrato per la prima volta il viso nel suo petto, l’unico sentimento che, anche in quel momento, sotto una pioggia di avide scintille e famelici lapilli, non osava soccombere nemmeno al terrore e alla brutale consapevolezza di essere stato ingannato. Era come se avesse preso vita, le lucciole che gli invadevano lo stomaco si erano trasformate in terrificanti mostri che tentavano di divorarlo dall’interno, prima gli bucavano il ventre, deglutivano le sue stesse viscere, vomitavano sul suo cuore martoriato quelle tossiche scorie ormai avvelenate dall’ossessione di cui erano lo sporco simbolo. Cercavano di fargli distogliere lo sguardo dal viso disperato di Chan che aveva appena terminato di parlare, volevano che guardasse ancora Felix, il suo amante e, forse, il suo amato. L’Amore, le lucciole, entrambi lo inducevano a raggiungerlo, volevano arrivare ad infestare anche il suo cervello per fargli dimenticare l’ammissione di colpa del piccolo dio.
Una breve lingua di fuoco schizzò fuori dalla bocca del vulcano, si infranse con uno rumoroso sfrigolio sul lungo mantello del novizio, abradendo uno dei lembi. Changbin voltò un momento lo sguardo verso il basso per cercare l’origine dello schioppo e Chan, che aveva fretta di terminare quel teatrino, approfittò del fatto che sembrasse uscito dal suo stato di trance per correre verso di lui e trascinarlo via con sé, ma il piccolo dio fu più rapido. Estrasse da sotto il lungo manto il pugnale che il soldato gli aveva lasciato per difendersi, agguantò Changbin da dietro e glielo puntò dritto alla gola, per poi esordire con un gelido: “Chan, so che pensi che Changbin mi serve e non avrei mai il coraggio di ucciderlo, ma sai… piuttosto che morire per mano tua preferisco gettarmi nel vulcano da solo.”
Il piccolo dio gli rivolse un sorriso di scherno prima di continuare: “E poi… Ti rendi conto che se muoio senza che Changbin abbia recitato la mia orazione funebre non avrete più una Fonte della Felicità, vero? Tutta la mia energia divina verrà dispersa per sempre. Oh, e, per favore, metti giù quel gingillo.”
Non appena Changbin, immobile tra le braccia di Felix, troppo spaesato per provare davvero a dimenarsi e a liberarsi dalla sua stretta, era stato preso in ostaggio, Chan aveva estratto lo spadone dal fodero sulla sua schiena. Non lo avrebbe mai posato, lo teneva ben ritto in posizione di attacco e, nonostante le provocazioni dell’altro e malgrado questi si divertisse a scalfirne la tremula, morbidissima, pelle della gola del novizio, rimase fermo, pronto per sferrare la propria offensiva.
“Come se fosse possibile! Tu stesso hai impedito che i soldati trovassero la nuova Fonte!” gridò con disprezzo.
“Come se fosse una cosa così impressionante” lo schernì il semidio, rinvigorendo la presa sul novizio inerme “Non sai per quante volte la Fonte è rimasta sopita o è andata perduta, quante volte i Filosofi della Capitale hanno inventato di averla trovata per accontentare il popolo? Anzi, nel corso dei secoli forse sono state scoperte meno della metà delle vere Fonti della Felicità. Gli altri erano fantocci manovrati dai rispettivi quattro Saggi, semplici ragazzi strappati alle loro famiglie quando ancora giacevano inermi in fasce e cresciuti con il solo scopo di esercitare la bontà, la gentilezza e la misericordia. Se hanno fatto dei miracoli, non erano altro che rari incantesimi. I Saggi pregavano ogni notte che al popolo bastasse un po’ vile oratoria per convincerli di trovarsi di fronte al loro amato dio!”
Felix era su di giri, nulla della sua espressione da vipera, occhi spalancati, ghigno piegato in una stretta curva di inquietante tormento, ricordava il dolce sorriso con cui li aveva accolti quando lui e Changbin erano giunti alla Capitale per iniziare quel viaggio con lui. Lo avevano scoperto, ma non era chissà che problema finché poteva ancora governare le menti del soldato e del novizio. Changbin stava lottando strenuamente dentro di sé, ma era ancora sotto il suo controllo, desideroso, in fondo, di potersi immergere ancora nell’abbraccio di quel tipo di amore che non avrebbe mai potuto provare in vita sua. Chan invece, lo sapeva perfettamente, non avrebbe mai avuto il coraggio di attaccarlo davvero. Era bravo a sbraitare e a fare paura con quei suoi occhi infernali, ma anche lui, come il moro, non era in grado di tenergli testa. Non aveva bisogno di prendere il controllo del suo cuore, ci pensavano già i suoi reali sentimenti a renderlo fin troppo vulnerabile.
“Non importa che cosa facciano i Filosofi a corte! Tu hai comunque azzerato la possibilità di trovare la Fonte e hai ucciso decine di soldati! Gli stessi soldati che hai seppellito un mese fa!” Chan cominciò a gesticolare visibilmente “Quello che vuoi fare è una pazzia, non stai salvando il tuo popolo, lo hai sacrificato!”
In tutta risposta, senza nemmeno scomporsi, il semidio lacerò superficialmente la gola del novizio, che sussultò tra le sue braccia, incapace di ribellarsi a quella tortura: “Sì, ho dovuto sacrificare qualcuno per la salvezza di tanti, Chan… Ma perché andare alla ricerca di altri tramiti se sai perfettamente che qui ci sono già io, io che sono forte e perfettamente capace di gestire i miei poteri! Lo sai quanto ci vuole almeno per imparare davvero? Almeno… Almeno un dannato decennio! Io invece lo so già fare, non c’è bisogno che qualcun altro venga dopo di me e ricominci tutto da capo! La gente mi ama già, lo hai visto anche tu come ci hanno accolti in ogni villaggio o città che abbiamo visitato! Perché dovrebbero mai volere qualcun altro al di fuori di me e soltanto me?!”
Non soltanto le brucianti parole di Felix sortirono l’effetto di una profonda stilettata, lo stesso vulcano parve seguirne l’angoscioso climax ed esplose in una miriade di mortali schizzi di lava, da cui il soldato fu costretto a ripararsi con lo spadone. Il terreno aveva preso a traballare ancora di più, profonde crepe andavano a formarsi tra la roccia, e da esse si poteva già ben vedere il rosso acceso del magma bollente che gorgogliava allegro sotto di loro. Non restavano molti minuti, Chan continuava a calcolare quanto tempo sarebbe servito per recuperare Changbin – possibilmente evitando di farlo secco nel frattempo – per poi riuscire a gettare Felix nel cratere e andare incontro al Cantastorie, che aveva lasciato legato al carapace di Miss Binnie e, anche nella migliore delle prospettive – quella in cui Felix si arrendeva spontaneamente ad una sua ultima richiesta di farla finita –, si rendeva conto che avrebbe potuto benissimo fare testamento seduta stante, appollaiarsi sbuffando con le gambe a penzoloni sul cratere e attendere in pace che un mare di lava gli mangiasse le ossa e gli sbriciolasse anche l’anima. Non vedeva vie di fuga se non Changbin, avrebbe potuto tentare il tutto per tutto e gettarsi davvero contro Felix, sperando che quest’ultimo, troppo convinto che non avrebbe mai osato attaccarlo, non riuscisse a contrattaccare in tempo, ma se c’era qualcuno che poteva davvero salvare la situazione quello era solo il novizio che, con espressione attonita, lo squadrava fisso con occhi ricolmi di vergognosa afflizione. Avrebbe potuto risolvere tutto con un incantesimo soltanto, quell’orazione funebre che gli aveva sentito pronunciare tante volte durante la marcia, ma di certo il soldato non voleva fare affidamento sulla possibilità che si sarebbe improvvisamente ridestato all’ultimo secondo come un degno eroe da poema cavalleresco. Doveva agire lui per primo, forse allora lo avrebbe imitato. Serrò i denti, strinse la presa con entrambe le mani sull’elsa dello spadone e caricò il suo attacco, fece quindi un passo indietro, prese una brevissima rincorsa e scattò in avanti pronto a colpire il semidio dritto alla testa.
Non gli parve di inciampare, né di essere colpito da un grosso lapillo o qualcosa di simile, ma si ritrovò a terra nel giro di nemmeno un secondo, ancora terribilmente lontano dal suo obiettivo, che incombeva ora dall’alto su di lui. Avvertiva le membra appesantirsi, come se fossero state di carta, sotto la pioggia incessante, il sangue scorreva lento e già le estremità delle dita cominciavano a formicolare in un’ultima ribellione prima di incancrenirsi. Aveva scordato che, sebbene fossero ridotti al minimo, Felix possedeva ancora il potere di controllare almeno due persone nello stesso momento. Fino a solamente un anno prima sarebbe stato in grado di fermare addirittura la stessa eruzione vulcanica. Aveva provato a sfidare un semidio nonostante fosse soltanto un mezzo soldato alla ricerca di una maniera per chiudere i propri conti in sospeso, e stava finendo come avrebbe dovuto finire sin dall’inizio, sin da quando, giunto al Nord per completare l’apprendistato come cadetto, aveva osato macchiarsi del peccato più grande di tutti. Era sempre stato bravo ad andare avanti, gli suggerivano spesso di credere in se stesso, ma ora, fradicio, con i lapilli che gli ghermivano la schiena ed il suolo bollente che gli cuoceva lo stomaco, arrendersi non sembrava una scelta così infelice o poco saggia. Volse in ultimo lo sguardo a Changbin, che lo stava scrutando a sua volta, pallidissimo in viso. Sorrise tra sé e sé ripensando che l’unico vero motivo per cui non erano mai riusciti ad andare d’accordo era quell’essere divino che li stava uccidendo.
Forse proprio quell’ultimo sorriso fece scattare qualcosa nella testa di Changbin, il quale, sebbene indifeso, voltò senza pensarci il viso verso il semidio e, con le lacrime agli occhi, mormorò: “Il popolo vuole qualcun altro perché sei egoista, Felix…”
Nonostante la lama del pugnale premesse ancora contro la sua gola, sollevò una mano per stropicciarsi gli occhi: “Mi sembra di aver dormito per così tanto… Eppure insieme alla natura mi sono svegliato anche io…”
Sospirò, avvertiva chiaramente gli ingranaggi nella sua testa scrostarsi e combattere contro lo spesso strato di ruggine che li stava corrodendo: “Felix, non ti rendi conto di dove siamo? Non vedi che è la natura stessa che ti reclama? Il vulcano…” poggiò quindi lo sguardo sulla lava che, lenta, assumeva astruse sagome vermiforme, formava serpi incandescenti, poi insetti, piccoli mammiferi, pesci che fluttuavano in aria e andavano a schiantarsi sul mantello del piccolo dio con l’intento di trascinarlo via con loro “… Il vulcano vuole che tu vada. Ho sempre pensato che avrei dovuto spingerti io, invece guarda che spettacolo…”
E, se non fosse stato per il tonfo con cui Felix lo scaraventò a terra, o per la lama con cui lo stava ormai pugnalando, o per le grida del semidio, Changbin si sarebbe davvero goduto lo spettacolo. Le lingue di fuoco rilucevano e sfrigolavano a contatto con le gocce di pioggia mentre fuoriuscivano dal ventre del vulcano interi branchi di lupi, orsi, cinghiali, cerbiatti, famigliole di coniglietti, farfalle luminescenti, falchi, delfini e delicati pesci rossi. Un’intera foresta, un intero mare di fuoco lambiva il corpo del folle semidio che, troppo orgoglioso per abbandonarsi alla terrificante idea della propria morte, continuava a sbraitare e ad accanirsi sul corpo martoriato del novizio. Anche lui era debole, non riusciva a penetrare a fondo il petto di Changbin come avrebbe desiderato, e, dalle stesse labbra con cui una volta si era addirittura sforzato di pronunciare un autentico ‘Ti amo’, ora non poteva che far fuoriuscire serie infinite di mezzo singhiozzati: “Inutile… Sei stato inutile… Sei una persona inutile, Changbin…”
Changbin gli sorrise teneramente in risposta: “Tu invece no, Felix.”
Avrebbe potuto dargli una spinta e il biondo sarebbe caduto indietro, ma voleva attendere il gran momento di Felix che moriva, quell’istante in cui probabilmente anche per lui sarebbe finito tutto. Non desiderava più dargli una lunga vita, ma forse – era davvero troppo buono – poteva dargli una morte serena sacrificando anche se stesso. Lo vedeva invecchiare velocemente, la pelle si sgretolava rapida a contatto con il ribollire della lava, ma non si aspettava che il vulcano avrebbe avuto la meglio su di lui tanto presto.
Felix era a cavalcioni sul corpo di Changbin quando una grossa sagoma lo investì all’improvviso, impedendogli di arrecare ulteriore danno al novizio che, ancora convinto di stare per morire, non appena aveva sentito il corpo del piccolo dio venir sbalzato via si era chiuso su se stesso per la paura. Solo quando avvertì il roboante verso di Miss Binnie osò posare di nuovo lo sguardo sulla scena. Chan rantolava in un angolo, ancora soggetto al potere del semidio, mentre su quest’ultimo incombeva invece la Tarantola che teneva a bordo nient’altri che il Cantastorie. Fu un attimo, non riuscì nemmeno a realizzarlo immediatamente, non ebbe neanche il tempo di chiamare il nome dell’animale che l’anziano Veggente, moribondo, ancora legato stretto al guscio dell’animale, con un breve scarto di un mano, indicò a Miss Binnie di gettarsi ancora sul semidio. La Tarantola, fiera nella sua ardente gioventù, si voltò ancora per un solo istante verso Changbin e grugnì – era sempre stato il suo modo di salutarlo quando, alla sera, il novizio era costretto a lasciarla sola nel suo recinto – per poi puntare Felix e, senza dargli il tempo di reagire all’attacco, lanciarsi direttamente su di lui. Ne afferrò il corpo magro, già mezzo consumato dalle fiamme, con le zanne affilate e, guardando in faccia la morte, con la Morte sulle spalle, si gettò assieme a lui all’interno del Cratere.
Fu allora che Changbin terminò di mettere in ordine i pensieri, dimenticò se stesso, scordò il dolore e si rese conto di tutti coloro che, assieme a lui, combattevano per sopravvivere e, a volte, al contrario di lui, avevano il coraggio di essere generosi. Scattò dritto verso la bocca del vulcano e, a pieni polmoni, gridò il nome del suo vero primo amore: “Miss Binnie! MISS BINNIE!”
Il drago dorato planò a sua volta all’interno del gigantesco Cratere e, prima che fosse troppo tardi, recuperò il minuto corpo del suo padrone, il Cantastorie, per poi schizzare via in volo, eppure nemmeno a questo Changbin riuscì a prestare attenzione. Tremolava visibilmente, aveva la gola impastata, lo stomaco sottosopra, ma la sua testa era finalmente ritornata al suo caotico ordine naturale fatto di perché, e non di risposte fittizie. Sapeva che Miss Binnie si era sacrificata per lui affinché potesse portare a compimento la sua missione, e perché, in fondo, nessuno dei suoi confratelli avrebbe davvero potuto prendersi cura di lei al meglio se lui non fosse sopravvissuto. Piantò le mani nel terreno incandescente e, in un soffio, pronunciò le parole del rito funebre:
 
“… E, Cielo, ci diedi
Terra come rifugio
Acqua per nutrirci
Aria, cagione di vita
Così infine, nel Fuoco
Fortuna ti consacriamo
Nel Fuoco, Fortuna nostra,
Ricordaci.”
 
Sperò con tutto il cuore che non fosse troppo tardi, pregò a fondo, la ripeté più e più volte tra le lacrime, finché non si rese conto che la pelle non gli bruciava più a causa delle continue scintille. I branchi di lava si stavano ritirando all’interno del cuore del mondo, l’eruzione andava placandosi e la pioggia benevola rabboniva gli ultimi incendi.
Changbin aveva il fiatone, ma ogni volta che cercava di prendere aria per calmarsi finiva per strangolarsi con il fatale mix di pioggia e acri lacrime, e forse solo per puro caso posò lo sguardo su Chan che, libero anche lui dai vincoli del potere del semidio, ora singhiozzava sommessamente chiuso in posizione fetale. Il novizio si rese conto che piangeva per Felix, entrambi quel giorno avevano perso qualcuno di importante e non lo avrebbero mai riavuto indietro. Cominciò a sentirsi terribilmente in colpa per poi esplodere nell’istante in cui il soldato puntò gli occhi stremati nei suoi.
“Mi dispiace!” gridò allora “Mi dispiace tanto, Chan! Te l’ho ammazzato!”
   
 
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