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Autore: Elis_Alike    15/03/2022    0 recensioni
Dove poniamo il limite di ciò che è giusto? Quando il male si confonde con il bene, la verità è nell'occhio di chi guarda.
A niente vale la luce più forte senza l'ombra a definirne l'essenza
La figura si voltò lentamente, sentii i suoi occhi su di me prima ancora di vederli, fece un passo avanti e un raggio di luce gli illuminò il volto. Allora lo vidi: Un uomo sulla trentina dai lineamenti delicati, i capelli neri lunghi fino alle spalle, una corta barba ben curata gli incorniciava la mascella. E poi quegli occhi, neri anch’essi, come il fondo di un pozzo, imperscrutabili come un cielo senza stelle.
Il Generale Kirigan. Capo del Secondo Esercito. L’Oscuro.
L’uomo più temuto e più potente di tutta Ravka, secondo solo al Re. Colui che aveva riscattato con le sue gesta eroiche il nome dei Grisha.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alina Starkov, Darkling, Malyen Oretsev
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Da bambina avevo paura del buio. Una volta grande ho imparato che il buio è un luogo e che è pieno di mostri. 
“È vera?”
“Certo che è vera. La Faglia ha mangiato i tuoi genitori. È per questo che qui ci sono tanti orfani. La gente l'attraversa sfidando i Santi.”
“Allora perché attraversarla? Perché non aggirarla?”
“Guarda la mappa: il Nord ci vuole morti perché difendiamo i Grisha, il Sud protegge i suoi Monti. Non sappiamo dove altro andare. Ora lavora sulle sfumature. Dai retta a me piccola peste. Tieni in mano una matita prima che qualcuno ci metta un fucile.”
Vivo a Ravka Est. Ma qui non mi hanno mai accettata perché assomiglio a mia madre e lei assomiglia al nemico. Ho passato anni a pensare che avrei trovato un modo per aggirare la Faglia d’Ombra e andare là dove a nessuno importava da dove venissi. Ma ora ho l'età per sapere che l'unico modo è attraversarla.
“Come fai a disegnare qui dentro?” Mi chiese Josh. Il volto paffuto reso pallido dalla nausea.
“Le buche danno un bell'effetto” risposi, aggiustando una sfumatura. La verità era che disegnare era l’unico modo che avevo per prepararmi a ciò che ci attendeva al nostro arrivo. 
L’avevo disegnata tante volte, senza averla mai vista di persona, rifacendomi semplicemente ai disegni di altri. Adesso l’avrei vista con i miei occhi. La Faglia d’Ombra. Non sarebbe più stata un semplice squarcio sul foglio. La linea nera che tracciavo sulla mappa a dividere in due il nostro paese sarebbe divenuta tangibile.
Ci eravamo messi in cammino una mattina di fine estate. Ci avevano caricati tutti su quel grosso carro in legno, coperto da un ampio telone sorretto da sostegni in ferro, in modo che non dovessimo soffrire le avversità del tempo.
 Da giorni viaggiavamo stretti in quel carro, fermandoci solo per svuotare la vescica. La nostra unità cartografa era stata richiamata al campo di Kribirsk, in prossimità della Faglia.
“La Faglia è diversa sulla mia. Forse mi serve una vista migliore dal tuo paese.” Bofonchiò Nikolai guardandomi con fare bellicoso. Lo ignorai.
“È cresciuta qui idiota” mi difese Alexei, squadrandolo con i suoi occhi chiari.
“Neanche a Shu Han la volevano?” replicò Nikolai, le labbra sottili arricciate in un ghigno.
“Cartografi ascoltate. - Intervenne Petya Ivanova, la nostra capo reparto, facendo capolino dalla testa del carro, dove sedevano lei e il soldato posto a scorta della nostra unità. - Siamo quasi arrivati. Prendete la vostra roba e preparatevi a scendere. Se perdete qualcosa non verrà sostituito.”
Obbedimmo. Sollevati che quel viaggio da incubo fosse giunto al termine. Cercando di trattenere la frenesia, ripiegai con cura la mappa a cui stavo lavorando e riposi i carboncini nell’astuccio. Finalmente avrei rivisto Mal. Da settimane ormai non avevo più sue notizie. Ci eravamo separati a Balkirev. I Tracciatori avevano avuto ordine di setacciare i boschi di Sikursk a sud, in cerca di possibili infiltrati. Mentre la mia unità si era diretta a Nord di Ryevost. Adesso che entrambe le nostre unità erano state chiamate a far rapporto a Kribirsk, ci saremmo riuniti. 
Il carro si fermò e finalmente i nostri piedi toccarono terra. Non avemmo il tempo di rallegrarcene. La vista di ciò che si trovava di fronte a noi ci ammutolii. Ci eravamo lasciati le dolci colline di Balkirev alle spalle. La piana desolata che ora si stendeva davanti a noi non avrebbe potuto essere più diversa. Il terreno su cui sorgeva l’accampamento era arido e polveroso e l’unica erba che vi cresceva era gialla e spenta. I boschi nelle vicinanze erano stati abbattuti per far spazio alle tende. I campi, che un tempo dovevano esser stati rigogliosi, giacevano abbandonati in balia dei corvi. Appezzamenti bruciati da cui si levavano tronchi carbonizzati. In mezzo a quella desolazione sorgeva l’accampamento di Kribirsk. Un’accozzaglia di tende e torrette di guardia malmesse. Nell’aria il silenzio era interrotto solo da un rombo cupo e sordo, che sembrava scuotere le fondamenta stessa della terra. Mi girai dando le spalle all’accampamento.
Una spessa muraglia di tenebre pulsava minacciosa davanti ai miei occhi. Nera come un abisso. Nel guardarla rimasi senza fiato. Ipnotizzata dalla sua ineluttabilità. Al suo interno ruggivano rombi di tuono senza che vi fossero lampi. Sembrava che tutta l’oscurità del mondo si fosse addensata a creare quel luogo inviolabile. Davanti alla sua immensità realizzai che nessuna mappa, nessun racconto, le rendevano giustizia. Si ergeva inesorabile a rubare l’orizzonte, espandendosi in altezza e in lunghezza fin dove l’occhio riusciva a guardare. Provai come un senso di vertigine e non potei fare a meno di sentirmi minuscola. Cos’eravamo noi se non inutili insetti davanti al suo cospetto?
“Muovetevi forza! Voglio vedere le vostre tende montate entro un’ora.” Petya ci richiamò all’ordine facendoci trasalire. Reprimendo quel senso di angoscia che mi attanagliava lo stomaco, recuperai la mia sacca dal carro e mi apprestai a seguire gli altri verso l’appezzamento di terra che ci era stato assegnato. Non era la prima volta che vedevo un accampamento, erano anni ormai che viaggiavo spostandomi da un campo all’altro di quella terra maledetta dalla guerra. Ma questo era diverso da tutti gli altri. Non vi erano mura ne barricate a proteggerne i confini, solo qualche sparuto drappello di guardie. Questo perché eravamo nell’entroterra e nessun esercito Shu o Fierdiano che fosse aveva mai raggiunto quella zona. Il nemico che qui si affrontava non era fatto di carne e non attaccava con spade o lance. In effetti, più che un accampamento militare, Kribirsk era un porto di terra. L’unico luogo da cui partivano le Velasabbia, immense navi costruite all’unico scopo di attraversare la Faglia. Il nostro unico collegamento con Ravka ovest.
 “Non la vedremo mai scomparire, eh? quell'abominio resterà qui per sempre.” Mormorò Dubrov più tardi. Lo guardai, era intento ad armeggiare con i lacci della sua tenda, il viso contratto in una smorfia di disappunto davanti a quel groviglio di nodi.  
“Un Santo che evoca la luce la distruggerà” asserì Reisa. Ma la voce le tremava ed era priva di convinzione. 
“Vorrei vedere se c'è qualcuno che non ha paura di quella cosa” borbottò Alexei piantando a terra l’ultimo picchetto e andando a dar manforte a Dubrov la cui tenda era ancora un groviglio di stoffa sul terreno. 
“Mal non ne ha - intervenni io, parlando più a me stessa che agli altri- Lui non ha paura di niente.” 
Gli altri si scambiarono uno sguardo scettico ma li ignorai e presi a sistemare il mio bagaglio nella tenda che avevo appena finito di issare. 
“Mal? Chi è lo svitato? Un altro mangiariso come te?” sussurrò maligno Nikolai alle mie spalle. 
Il mio pugno lo sorprese in pieno volto.
“Ah, bastarda. Mi hai rotto il naso!” ringhiò, cercando con le mani di arginare il fiotto di sangue che gli usciva copioso dalle narici. “Questa me la paghi…”. 
Ma prima che potesse dar seguito alle sue minacce Petya Ivanova si mise in mezzo. “Che succede qui?” 
“Questa lurida sgualdrina mi ha attaccato!”
“Modera il linguaggio Vasilich … e tu Starkov, dovresti sapere che non tollero le risse da taverna nella mia unità.”
“Se l’è meritato!” risposi a denti stretti.
“Non sentirò ragioni. Il tuo comportamento è intollerabile Starkov e non è la prima volta.”
“Ma, lui…” cercai di protestare.
“Basta! Forse una notte in cella ti schiarirà le idee.”
Cominciamo bene mi dissi, mentre venivo scortata nella parte più a sud del campo.
La guardia mi trascinò in quella che doveva essere l’unica costruzione dell’accampamento. Una semplice struttura di pietra, grande abbastanza da ospitare quattro cubicoli delimitati da sbarre. Una branda malconcia e un catino sudicio completavano l’arredo. Nell’aria aleggiava un odore di muffa e stantio. 
“Per stanotte dormirai qui” disse la guardia aprendo una cella e facendomi entrare. Guardai l’insieme con un misto di disgusto e scoramento. “Non c’è aria…” 
“Ti aspettavi una reggia?” rise quello chiudendo le sbarre a doppia mandata. “Vengo a riprenderti domani mattina all’alba.” Concluse prima di allontanarsi senza degnarmi di uno sguardo.
“Perfetto” sussurrai. L’oscurità opprimente di quel luogo mi angosciava. Mi sdraiai rassegnata sulla branda cercando una posizione comoda. Molte ore più tardi sprofondai finalmente in un sonno agitato.
La Faglia si stagliava immensa davanti a me. Forti venti contrari mi spettinavano i capelli e alzavano mulinelli di polvere dal terreno arido. Ero in preda al terrore. Mi sembrava che la cosa davanti a me pulsasse e si muovesse come fosse viva. Poi lo sentii, prima ancora di vederlo. Una presenza alle mie spalle. Una sorta di calore. Mi girai a guardarlo. Un cervo di luce si ergeva, maestoso. Il suo manto candido sembrava emanare bagliori. Camminava tranquillo verso la Faglia d’ombra, incurante del pericolo. Cercai di urlare per avvertirlo ma non parve sentirmi. O forse non avevo voce. Quando giunse in prossimità della Faglia la luce che emanava si fece più intensa e….
“Sveglia cartografa. È l’alba. Sei libera di andare.”
La voce della guardia mi riportò bruscamente alla realtà.
Sbattei gli occhi un paio di volte prima di ricordare dove mi trovavo. Allora mi alzai, massaggiandomi le membra doloranti. Quella brandina era proprio scomoda. Senza aggiungere altro la guardia aprì la serratura e si fece da parte per farmi passare. Uscendo, la debole luce del giorno mi ferii gli occhi e d’istinto mi parai il volto col braccio.
“Guarda un po’ chi si vede. Cosa hai combinato stavolta, piccola peste?” 
La voce di Mal mi raggiunse e alzai lo sguardo. Lo vidi che mi aspettava a pochi passi da me, appoggiato a un barile. Le braccia muscolose incrociate sul petto e il volto severo atteggiato a rimprovero. Non era cambiato in quei mesi che ci avevano visti lontani. Era ancora lo stesso uomo di mezza età. Alto e massiccio, la barba sfatta, i capelli brizzolati sempre in disordine. Gli sorrisi correndogli incontro e mi gettai tra le sue braccia. 
“Sei qui!” strillai, felice come non mai. 
“Ehi tu, vacci piano col tuo vecchio. È passato il tempo in cui potevi saltarmi al collo in questo modo!” Borbottò lui. Nonostante i suoi modi bruschi però sapevo che anche lui era felice di rivedermi.
Lo lasciai andare solo per osservarlo con più attenzione, in cerca di qualche nuova ferita. Ma sembrava sano e salvo.
“Quando sei arrivato?” Chiesi infine.
“Mezz’ora fa. Giusto il tempo di piantare la tenda e mi dicono che ti eri messa nei guai. Di un po’, che hai combinato stavolta?” Disse squadrandomi dall’alto in basso.
“Niente, davvero, è stato solo un malinteso.” Sorrisi innocente.
“Un malinteso eh? - sbuffò lui, cercando di trattenere una risata- Come mi giro ti metti nei guai.”
“Non capisco cosa insinua Caporale Oretsev. Sono perfettamente in grado di cavarmela da sola, del resto dovresti saperlo, me l’hai insegnato tu” dissi tirandogli un pugno scherzoso.
Per tutta risposta lui mi cinse le spalle con un braccio e prese a scompigliarmi i capelli in una rude dimostrazione d’affetto. 
                  “A quel che ho sentito pare che non sia riuscito ad insegnarti a non attaccar briga col primo che capita” Mi divincolai, sfuggendo alla sua stretta.
“Se ti riferisci a quello stronzo di Nikolai Vasilich sappi che se lo meritava. E se ti avessero informato bene, sapresti anche che ho reso onore alle tue lezioni di lotta. Non fa più tanto il furbo adesso che gli ho rotto il naso.”
“Se lo meritava eh? E valeva la pena di passare una notte in cella per questo?”
Lo guardai con occhi ingenui. “Sì”
Lui scoppiò in una sonora risata “Cosa devo fare con te, piccola peste! Muoviti dai. Stanno arrivando le assegnazioni, penso che la cartografia tornerà a sud.”
“Di già?”  mormorai imbronciata guardandomi i piedi. Non mi andava l’idea di dovermi separare da Mal dopo averlo appena ritrovato.
“Tra qualche giorno, sì, il tempo di far riposare i cavalli e organizzare la spedizione. - rispose lui camminando tranquillo al mio fianco- E pare che la mia unità tornerà con la tua cercando un passo tra i Monti”
Mi girai a guardarlo “Quindi torniamo insieme!” Il mio entusiasmo gli strappò un sorriso.
“Beh, ti serve qualcuno che si prenda la colpa dei tuoi misfatti, piccola peste.”
Continuammo a camminare, raccontandoci tra una risata e l’altra, le reciproche novità. Mi disse dei boschi di Sikursk, degli alberi immensi che la popolavano, alcuni alti come palazzi. E di come avevano scacciato una squadra di ricognizione Fierdiana al di là del confine. Io da parte mia avevo poco da raccontare, il mio viaggio era trascorso placido e privo di insidie.
“Ma dove sono le nostre tende?” chiesi a un certo punto guardandomi intorno, confusa.
“Le hanno spostate laggiù” m’informò Mal indicando un punto indefinito nelle retrovie.
“Il grande e valoroso primo esercito… sembriamo un centro di accoglienza che accetta le donazioni” sentenziai osservandomi intorno con occhio critico. 
“Parla per te, io non accetterò nessuna donazione, perché ho vinto queste in una scommessa” disse sventolandomi davanti agli occhi una banconota stropicciata.
“Ma guarda, hai vinto ben 5…Krughe? Questi non valgono qui, non siamo a Ketterdam” 
“Scommetti che invece li trasformo nella cena di stasera?”
Non feci in tempo a rispondere. Un rumore alle nostre spalle attirò la nostra attenzione. 
“Di nuovo: Inferni!” 
Là dove fino alla sera prima si trovavano le nostre tende, ora sorgeva uno spazio di addestramento dove i Grisha del Secondo Esercito si stavano allenando. Un ragazzo si impegnava per dar fuoco a un fantoccio mentre una giovane donna accanto a lui spegneva di volta in volta le fiamme, scatenando, con un fluido movimento delle dita, un potentissimo getto d’acqua.
“Ecco perché hanno spostato le tende: i Grisha volevano più spazio” Sbuffò Mal
“Di nuovo!” 
A dar ordini era un’altra giovane Grisha, dai lunghi capelli neri e lo sguardo impettito. Si muoveva per il campo avvolta da una Kefta blu e da un’aria di regale superiorità.
“Cani bastardi. Fanno gli sbruffoni quando non c'è il loro Generale a tenerli in riga. Si dimenticano che non sono nient’altro che scherzi della natura.” Ringhiò Mal osservando la scena con disgusto.
“Abbassa la voce, potrebbero sentirti” lo supplicai in un sussurro.
“E allora? Sai che ho ragione. Tutta questa situazione è colpa loro! Non scordarlo mai. Dovrebbero tornare strisciando nel buco da cui sono usciti e invece guardali: trattati con tutti gli onori perché impegnati a combattere ciò che la loro stessa razza ha creato” e così dicendo sputò per terra “A loro va il cibo migliore, le tende migliori e tutti i lussi che quest’arida terra ha da offrire. Mentre a noi non resta altro che mangiare fango e sputare sangue.”
Mentre parlava, la Grisha dai lunghi capelli neri si voltò a guardarci con disprezzo. Per fortuna era impossibile che ci avesse sentiti da quella distanza. Insultare i Grisha era ormai un crimine duramente punito, anche se questo non era sufficiente a fermare le malelingue su di loro, anzi, semmai il contrario.
“Dai vieni, cerchiamo le nostre tende” dissi prendendogli il braccio e tirandolo lontano.
Per un po’ camminammo in silenzio, la Faglia d’Ombra si stagliava coprendo l’orizzonte a pochi passi da noi. Oscura ed imponente. Rabbrividii.  Da quando, il giorno prima, l’avevo vista per la prima volta non ero riuscita a togliermela dagli occhi. Ma adesso che tornavo a guardarla mi rendevo conto che era, se possibile, ancora più minacciosa di come la ricordavo. Distolsi lo sguardo avvicinandomi a Mal, finché eravamo insieme non avevo niente di cui aver paura.
Più avanti un gruppo di soldati era intento ad equipaggiare una Velasabbia.
“Sembra nuova” dissi a Mal indicandola.
“Nuovissima. I cani Grisha la chiamano Ultraleggero. Ovviamente è opera dei loro stessi Fabbrikator, dovrebbe essere più veloce”
“Che ne è stato dell’ultima?”
“Non era abbastanza veloce. Vieni, il nostro accampamento è da questa parte.”
E senza aggiungere altro si addentrò nel labirinto di tende che si apriva alla nostra desta. 
Mentre passavamo davanti alla tenda medica notai un’infermiera che si attardava all’ingresso. Guardava a Mal con occhi sognanti e quasi scoppiai a ridere.
“Quella donna ti sta facendo gli occhi dolci, non l’hai notato?” gli chiesi tirandolo per il braccio. Mal si voltò a guardare in direzione dell’infermiera che subito arrossii e si affrettò a rientrare. 
“Mph, probabilmente le era andato qualcosa nell’occhio”
“Sei senza speranza lo sai? - replicai scuotendo la testa- Non hai mai pensato di metter su famiglia?”
Lo sentii irrigidirsi accanto a me. “Come ti vengono in mente certe cose?” borbottò allungando il passo. Mi affrettai a raggiungerlo.
“Beh è solo… vedo come ti guardano le donne e tu beh…Non sei così vecchio, no?” chiesi imbarazzata. Mal scoppiò in una fragorosa risata e prese ad arruffarmi i capelli con le sue manone callose.
“E invece sì, sono vecchio e stanco, quindi portami rispetto piccola peste!”
“Dico sul serio! - strillai divincolandomi- Insomma, cosa te lo impedisce? Sappiamo già che saresti un padre fantastico e a me piacerebbero dei fratellini o una sorellina!”
La risata gli si spense in gola e d’un tratto si incupì. Sul suo volto apparvero i segni di un dolore antico e il suo sguardo parve perdersi nei ricordi. In quel momento mi sembrò vecchio di mille anni. Ma prima che potessi chiedergli cosa avesse, lui sembrò tornare in sé. Si schiarì la voce e tirò le labbra in un sorriso.
“Fratellini eh? Mi sembra di aver già il mio bel da fare ad occuparmi di te, ragazzina” disse dandomi una sonora pacca sulle spalle.
“Ma io non sono più una bambina. L’hai detto anche tu, no?” e imitando il suo tono ruvido presi a scimmiottarlo: “Ormai sei quasi una donna, Alina.”
“Quasi, appunto. E lo dissi solo per convincerti a comprarti una stramaledetta gonna, non puoi continuare ad andare in giro vestita come un ragazzino.”
“E perché no? A me piacciono i miei vestiti, e poi le gonne sono scomode, si impigliano dappertutto e…”
“si, si okay. Come vuoi. Penso solo che non troverai mai un ragazzo se continui a vestirti come un maschiaccio.”
“Tanto non mi guarderebbero comunque.”
Per tutta risposta Mal alzò gli occhi al cielo. “Va bene, mi arrendo.” Sospirò mentre giungevamo nei pressi delle nostre tende. Vidi Reisa e Josh farmi cenno di raggiungerli qualche tenda più in là. “Ci vediamo dopo, vecchietto.” dissi a Mal avviandomi di corsa verso i miei compagni. “Vedi di non combinare altri guai, mi hai sentito?” urlò di rimando lui. Sorrisi.
Più tardi venimmo chiamati a rapporto nella tenda principale. A quanto pare l’ordine di radunarsi era stato esteso a tutte le unità del Primo Esercito, il che aveva creato non poca confusione. Nella baraonda della folla cercai Mal con lo sguardo. Se ne stava in disparte con un gruppo di suoi commilitoni. Quando mi vide mi fece cenno di raggiungerlo e così feci. 
“Allora: ascoltate!” 
La voce del Capitano tuonò nella tenda. Il brusio di voci si fece attento. “Lo so che alcuni di voi sono in marcia da una settimana quindi sarò breve. Molti di voi proseguiranno a Nord per le prime linee Fierdiane o a Sud verso il confine di Shu Han.” 
Qualcuno sbuffò. A nessuno piaceva l’idea di rimettersi in marcia così presto, ma era sempre preferibile al rimanere di stanza alla Faglia. Su quello concordavano tutti.
“Il Secondo Esercito, tuttavia, ha una nuova brillante soluzione per la carenza di cibo e salperà domani per Novokribirsk. – continuò il Capitano - Se questo nuovo modello di Velasabbia funziona significa un pasto completo per tutti in questa tenda tra una settimana. Significa munizioni per le armi e zucchero per il tè”
“E un po’ di Whisky?”  
La domanda generò uno scoppio di risa generale.
“Sì, non sarebbe male ma non contateci troppo” sentenziò con un sorriso tirato il Capitano prima di riportare la folla all’ordine. “Come stavo dicendo, è chiaro che avranno bisogno del nostro aiuto per riportare le provviste. Perciò, alcuni verranno riassegnati…” 
 Un brusio si sparse, accompagnato da un collettivo brivido di paura. Attraversare la Faglia d’Ombra era un pensiero che atterriva anche i più coraggiosi.
“La lotteria da incubo” Sussurrò scherzoso Mal al mio orecchio. Trattenni a stento una risata.
“Silenzio! Per la missione di rifornimento al di là della Faglia…Sergente: Yure Teplov. Tracciatore: Malyen Orestev. Caporale: Masyelentov…”
Il cuore mi salì in gola. Guardai Mal con gli occhi spalancati dal terrore. 
 No.
“Mal…Cosa…? Tu sei...tu sei nella nostra unità… giusto?”
Balbettai mentre sentivo il freddo gelido del panico attanagliarmi le viscere.
“Fuciliere: Valek Tapenyov…” continuava imperterrito il Capitano, ma ormai la sua voce non era che una eco lontana. Continuavo a guardare Mal, incapace di controllare il mio cuore impazzito.
“Dev’essere un errore…”
“Calmati Alina.”
“E infine, Dottore: Nolech Barenovsky. È tutto. La cena è tra un’ora. Dopo mettetevi in fila per grado. Potete andare.”
“Mal…”
“Beh, se mi va bene potrò vedere Ketterdam. Hai visto? Quelle cinque Krughe alla fine mi torneranno utili” Sorrise lui cercando di rassicurarmi.
“Non scherzare!”
“Non preoccuparti, piccola peste. Ho la pelle dura io, andrà tutto bene, vedrai.”
“Ma…”
“Ci vediamo dopo” sorrise lui, allontanandosi.
Avrei voluto replicare ma venni richiamata al mio reparto per riesaminare delle carte. Nonostante lo sguardo rassicurante di Mal, avevo un groppo in gola che quasi mi toglieva il respiro. Per tutto il tempo della riunione io rimasi distratta. Cercando, invano, di scacciare quel senso di vuoto e paura che mi attanagliava lo stomaco.
Non posso perderlo, lui non può morire. Devo fare qualcosa. Ma cosa?
Non c’era modo di contraddire all’ordine diretto di un superiore senza che venisse considerato alto tradimento. 
                  Potremmo scappare…
Ma anche quella era una pessima idea. Saremmo stati etichettati come disertori e braccati come animali. Non si sfugge alla guerra. Tuttavia, non riuscivo a rassegnarmi all’idea di perdere in quel modo l’unico straccio di figura paterna che avessi mai avuto. Il mio mondo iniziava e finiva con Mal. Senza di lui….
                  …morirei.
Immersa in quel groviglio di pensieri mi diressi verso la tenda della mensa e mi misi in fila ad aspettare il mio turno per il pasto, ignorando i brusii che mi seguivano a causa del mio aspetto.
Ero mezza Shu, come la gente non smetteva mai di ricordarmi. Ma ormai mi ero abituata alle loro occhiate sprezzanti e ai loro commenti sarcastici. 
“Alina! Eccoti, ti teniamo il posto, okay?” 
Alzai lo sguardo, a parlare era stato Josh, un collega cartografo con cui avevo stretto una specie di amicizia. Sorrisi vedendolo agitare la mano indicando il tavolo dove era seduta la mia unità. 
Reisa, Alexei, Dubrov e Josh.
Le uniche quattro persone al mondo, oltre a Mal, con cui avessi un legame. A loro non importava niente che io fossi…diversa.
“E una Shu che ci fa qui?”
La voce unticcia dell’inserviente mi riportò alla realtà. Lo osservai cercando di non lasciar trapelare alcuna emozione. 
“Sono di Ravka, al tavolo dei cartografi.” 
Qualcuno dalla fila dietro di me ridacchiò.
“Qui non c’è cibo per quelli come te. Sparisci, mangiariso” ringhiò l’inserviente prendendo il piatto al ragazzo dopo di me.
Deglutii cercando di ingoiare la rabbia che sentivo crescermi dentro.
“C’è qualche problema?” Intervenne Mal arrivando alle mie spalle.
“Nessuno Mal, lascia stare”
“E tu chi saresti eh?” bofonchiò l’inserviente 
“Qualcuno che non vorresti vedere arrabbiato” sussurrò Mal minaccioso, tirandomi da parte per fronteggiare l’oste.
“Lascia stare, ti prego” sussurrai cercando di tirarlo via.
Mi ignorò.
“La mia protetta vorrebbe mangiare. Ne ha diritto quanto chiunque altro qui dentro. Quindi, te lo chiederò di nuovo: hai qualche problema in proposito?”
“La tua protetta eh?” sibilò quello di rimando, soppesando con lo sguardo la stazza imponente dell’uomo che aveva davanti. Al confronto con Mal lui sembrava un sorcio denutrito.
“Già, è così. E ha fame.”
Con un motto di coraggio che aveva dell’ammirevole, l’omuncolo raddrizzò la schiena e sostenne lo sguardo di Mal. 
“Io non servo la feccia Shu” e così dicendo sputò per terra.
Nella sala calò un silenzio irreale.
“Risposta sbagliata” mormorò Mal. E con un gesto fulmineo gli conficcò una forchetta sul dorso della mano, inchiodandolo al bancone. L’uomo urlò cercando di liberare la mano ferita, ma Mal gli afferrò la testa e lo tenne fermo schiacciato contro il banco.
“Ti chiami Gona, vero?” chiese, la voce tremante di rabbia “Bene Gona. Dì un po', quante mani ti servono per servire la mia amica?” Un gemito di dolore fu l’unica risposta “Quante mani?!” urlò Mal minaccioso
“Due!” Piagnucolò l’uomo.
“Beh, diciamo che oggi te ne farai bastare una, si? Senti adesso che faremo: Tu chiederai scusa alla mia amica e le servirai una doppia razione, sei d’accordo vero?”
“S…sì” 
“Sì? Io però ancora non sento le tue scuse, Gona.”
Con occhi pieni di odio Gona borbottò qualche parola incomprensibile. Con la mano libera Mal afferrò allora la forchetta e diede uno strattone. Gona urlò.
“Non ti sento, Gona. E devono sentirti tutti qui dentro.”
“Mi…mi dispiace!” Urlò l’uomo disperato.
“Molto bene, molto bene. E adesso: servila.”
Con l’unica mano che gli restava Gona prese il mestolo e riempì il mio piatto con una porzione decisamente abbondante. “Sei stato bravo Gona. La prossima volta cerca di ricordarti le buone maniere. Come ho detto, non ti conviene vedermi arrabbiato.” e così dicendo lo lasciò andare. Mi prese per il braccio e mi trascinò fuori dalla mensa, tra gli sguardi allibiti di tutti i presenti.
“Non avresti dovuto farlo” 
Gli dissi mentre mangiavamo appollaiati su una delle torri di vedetta. La Faglia d’Ombra era una lunga lingua di tenebre difronte a noi. Spiccava ancora più nera nel buio della sera. Mal sbuffò.
“Lui non avrebbe dovuto mancarti di rispetto.”
“Potresti essere punito per questo”
Per tutta risposta scoppiò in una risata “Per aver dato una lezione ad un insulso insetto? No Alina, non credo proprio. Scoppiano risse per molto meno tutti i giorni.”
“Solo…lascia che sia io a combattere le mie battaglie, d’accordo?”
Sentii il suo sguardo paterno su di me e presi ad armeggiare con il cucchiaio. “D’accordo, piccola peste”
Sorrisi, nessuno al mondo mi avrebbe mai capito come lui. Per un po’ rimanemmo in silenzio, godendo della reciproca compagnia. Alzai lo sguardo verso l’orizzonte, verso la Faglia d’Ombra che si stagliava minacciosa davanti a noi. Le tenebre che la componevano sembravano pulsare come fossero una cosa viva. 
“Hai…hai visto il Capitano?” chiesi infine, dando voce alle mie preoccupazioni
“Sì.”
“E…?” insistetti, trattenendo il fiato.
Mal prese un boccone e masticò lentamente prima di rispondere
“E hanno bisogno di me. Quindi…”
La voragine che avevo nel petto si aprì 
“Quindi…?” Cercai di parlare ma mi mancava l’aria.
“Andrà tutto bene vedrai” 
“Potrei spararti a un piede” dissi in preda all’angoscia. Lui rise. “Non scherzo Mal!”
“La tua mira è pessima! No grazie, preferisco andare a Ketterdam e spendere le mie cinque Krughe in qualche taverna di Ravka Ovest.” Cercava di apparire disinvolto, ma sapevo che persino lui, l’uomo più coraggioso che avessi mai conosciuto, non poteva non aver paura di ciò che lo aspettava.
“Ti prego, non andare.” Ormai avevo ceduto alle lacrime.
Mal si voltò a guardarmi, intenerito.
“Sai, quando ero bambino quella cosa mi dava gli incubi” disse indicando la Faglia con un cenno del capo. “Sognavo di entrarci e di trovare i miei genitori, già morti, che mi aspettavano.” Scosse la testa per scacciare quell’immagine. “Ma non sono più un bambino da molto tempo Alina, e anche tu stai diventando grande ormai. È mio compito fare ciò che devo…gli ordini sono ordini, lo sai.”
“Ma io ho bisogno di te”
“Tu, mia piccola peste? No. Ti ho insegnato bene. Tu non hai più bisogno di nessuno.”
“Ascoltami! Se andrà male, giurami che tornerai indietro!”
“Mi chiedi di scappare come un codardo?”
“Ti chiedo di sopravvivere. Hai perso già abbastanza. Io ho perso abbastanza!” singhiozzai.
Mal mi prese tra le braccia e mi cullò come quando ero bambina.
“Troverò il modo di tornare da te Alina, promesso. Ma, prima, credo proprio che andrò a giocare d’azzardo a Ketterdam!” 
Mio malgrado scoppiai a ridere.
“Eccola qui, la mia piccola peste.” Sorrise asciugandomi le lacrime. “Sii forte anche per me, d’accordo?”
 
Il mattino dopo i preparativi per l’imminente partenza scuotevano il campo. Tutti sembravano indaffarati in qualcosa, chi smontava le tende, chi preparava i bagagli. Alcuni si aggiravano in cerca degli amici per un ultimo saluto, mentre altri si attardavano a fare colazione. 
In quel clima di gran concitazione, una piccola folla seguì l’ingresso nel campo di un drappello di Grisha posti a scorta di un’imponente carrozza nera.
“Su col morale Dubrov!” disse Alexei mandando giù l’ultimo sorso dalla sua tazza di caffè. “Guarda, il Generale Nero è arrivato a salvarci” 
“Dici che distruggerà la Faglia?” Mormorò Joshua ammirato.
“No, idiota era solo sarcastico” rise Dubrov dandogli uno spintone.
“Ah”
“È solo un Grisha. Sai, non fa miracoli” continuò Dubrov con tono sprezzante mentre la carrozza li superava dirigendosi verso la tenda principale.
“È davvero lui…?” intervenne Reisa uscendo in quel momento dalla tenda che condividevamo.
“Oh, sì. Il famigerato Generale Kirigan.” Annunciò Alexei, tra le risate.
“Alina!”
Mal
Mi girai verso di lui. Attraversava l’accampamento armato di tutto punto. Il passo sicuro, nonostante zoppicasse appena. Una vecchia ferita di guerra, una delle tante. La spada che gli tintinnava al fianco rifletteva i deboli raggi del sole. Una folata di vento alzò la polvere costringendolo a socchiudere gli occhi e ingrigendo ancora di più i suoi capelli già brizzolati. Lasciai che mi raggiungesse. Incapace di muovermi. 
 “Hai visto? Persino il leader del Secondo Esercito ci onora della sua presenza” disse quando mi fu vicino.
“Già, ci stavamo giusto chiedendo a cosa dovessimo quest’onore” rise Dubrov
 “Crederà nel grande successo della nuova Velasabbia” Rispose Mal guardandomi fissa negli occhi e abbozzando un sorriso. Non risposi, limitandomi a stringere i denti.
“O nel suo colossale fallimento…Ahi” 
“Alexei!” 
Reisa gli aveva tirato una gomitata.
“Che c'è?! che ho detto?... Scusate Caporale …io…non intendevo…” Balbettò incrociando lo sguardo minaccioso di Mal.
“Oh, sta zitto” sbottai io dandogli le spalle e rivolgendomi a Mal 
“Secondo te verrà con voi?”
Lui sbuffò. A Mal i Grisha non piacevano affatto e il Generale Kirigan, o l’Oscuro, come veniva soprannominato, gli piaceva meno di tutti. 
“In tal caso…farà meglio a starmi alla larga.”
“Mal…” cominciai con una nota di supplica nella voce. Ma prima che potessi continuare il Capitano fece il suo ingresso sbraitando ordini.
“Siamo bambini o soldati?! Forza femminucce! Hai vostri posti, preparatevi! Si parte tra venti minuti. Sergente, prepara l’equipaggio!”
“Sì signore! Caporale Oretsev?!”
“Sergente?”
“Tu sei con me. Saluta la tua pupilla e prepara le tue cose.” Ordinò con voce secca. 
“Coraggio piccola cartografa- aggiunse rivolgendosi a me con un sorriso beffardo - io l’ho attraversata tre volte senza problemi.” e così dicendo si tirò su la manica per mostrarmi tre linee sottili all’altezza del polso. “Vedrai che tra poco il tuo paparino avrà un tatuaggio come il mio” 
E senza aggiungere altro si allontanò ad impartire ordini al resto dell’equipaggio.
Mal si girò a guardarmi, lo sguardo duro di chi si prepara ad affrontare l’inferno. 
“Tornerò presto” disse. Mi morsi le labbra annuendo nel tentativo di non tradire alcuna emozione.
“A presto” sussurrai. 
Rimasi per un attimo a guardarlo mentre si allontanava. Poi mi girai e mi avviai nella direzione opposta. Ero rimasta sveglia tutta la notte a pensarci, ed ero arrivata alla conclusione che non avrei corso rischi. Sarei andata con lui. 
         Se moriremo, moriremo insieme.
Corsi verso la tenda principale dei cartografi, là dove venivano conservate tutte le mappe che io e i miei colleghi tracciavamo con cura. La tenda non era sorvegliata. I turni di guardia si concentravano perlopiù ai margini dell’accampamento o fuori dal deposito armi. Nessuno badava alle mappe.
Frugai tra le diverse carte in cerca di quelle utili alla navigazione. Mi muovevo come in preda ad una febbre, le mani sudate, il respiro affannato. Sapevo che se mi avessero scoperta probabilmente non si sarebbero limitati a rinchiudermi in una cella. Ma non ebbi esitazioni. Era la mia unica possibilità di salire a bordo di quella maledettissima nave. L’unico modo di stare con Mal. 
Le trovai accatastate in un angolo, in attesa di essere caricate a bordo. Buttai le carte in un contenitore di peltro e accesi il fiammifero che mi ero portata dietro. Rimasi come incantata ad osservare il crepitio delle fiamme. Giusto il tempo di assicurarmi che il fuoco le rendesse inutilizzabili. Nemmeno per un momento mi fermai a domandarmi cosa stessi facendo.  
Una decina di minuti più tardi il Capitano entrò furente nella tenda delle mappe.
“Petya, come è successo?”  sbraitò
“Non lo sappiamo, Capitano. Siamo stati così attenti a fissare tutte le lanterne” La caporeparto si era fatta piccola piccola sotto lo sguardo minaccioso del Capitano. 
“E quali sono i danni?”
“Niente di grave, davvero. Solo alcune carte della costa occidentale, Os Kervo e la rete fluviale che l'attraversa, niente di…”
“…cruciale? I Dati geografici del territorio dall'altra parte di quella dannata Faglia? Quelle carte?!”
 “Sì.” 
Il Capitano lanciò un’imprecazione 
“Ma…ma sono sicura che il primo esercito dall'altra parte ha…” balbettò Petya 
“Pensi che mi fidi delle informazioni di altri?! Ora qualcuno dovrà attraversare la Faglia e ridisegnare le mappe!” la interruppe il Capitano alzando improvvisamente la voce.
“Vado io – dissi facendomi avanti nella tenda- mi imbarchi. Vado io” 
Il Capitano mi squadrò dall’alto in basso sovrastandomi con la sua statura. “Sì, andrai tu. Con tutta la tua unità” Aggiunse uscendo con rabbia dalla tenda.
Cosa ho fatto?
 
“Io non capisco, dovevamo andare a sud e ora andiamo a ovest?” piagnucolò Josh trascinandosi dietro il suo borsone. Ci eravamo preparati in tutta fretta, non appena l’ordine era arrivato. La mia unità si sarebbe imbarcata sulla nuova Velasabbia. Avremmo attraversato la Faglia.
Se dovesse accadere qualcosa…
Rabbrividii 
Quel che è fatto è fatto.
“Che cosa hai fatto?” mi aggredì Reisa
“Niente” sussurrai cercando di sembrare sincera ma mi tremava la voce.
“Lasciala stare Reisa! Dai sempre la colpa a lei!” Intervenne Dubrov
“E di solito ho ragione” borbottò lei mentre salivamo a bordo.
La Velasabbia era una nave magnifica. Con i suoi tre alberi maestri aveva un aspetto imponente, che tuttavia non bastava a rassicurare il suo equipaggio che si affrettava nei preparativi in una trepidazione dettata più dalla paura che dalla premura.
“Che diavolo ci fai qui?” Mal mi si pose innanzi sul ponte, sbarrandomi la strada.
“Ci hanno assegnati a voi” risposi senza aver il coraggio di guardarlo in faccia.
“No! Torna subito indietro” Disse, una nota di panico nella voce.
Deglutii e lo superai tenendo gli occhi fissi a terra. “Gli ordini sono ordini”
“Potrei spararti al piede” 
“Non ci provare” e con una mossa fulminea lo superai, salendo a bordo. Mal cercò di acchiapparmi ma fui più veloce. 
“Digli che stai troppo male” 
“Non sto mai così male”
“Dì una bugia!”
“E qual è la tua? Io vengo con te” gli dissi con rabbia guardandolo dritto negli occhi.
“Scendi da questa nave, Alina o ti porto giù io” tuonò severo. Sostenni il suo sguardo cocciuta. Non lo avrei abbandonato. “Su il portello. Pronti a partire!” A quell’ordine il portello della nave si alzò. 
Era fatta.
“Maledizione!” Imprecò Mal stringendo i pugni
“Ce la farò. Promesso” gli dissi cercando di trasmettergli tutta la mia determinazione. Mi superò furente, soffocando un ringhio. “Sergente quali sono gli ordini?” 
“Ce lo dirà la Grisha” rispose il soldato, indicando una donna alle nostre spalle. Camminava con la schiena dritta, aveva un incedere calmo e autorevole. Al suo passaggio l’equipaggio si dispose in due file ordinate. Attento. “Ecco come faremo.” Cominciò. “Entreremo nella Faglia. Si farà buio ma noi piace il buio perché ci permette di non attirare l'attenzione. L'unica luce che useremo è quella blu sull'albero. È fioca, ma sicura.”
“Ma tu sei un’Inferno, giusto? - la interruppe Alexei- perché sei qui se dobbiamo rimanere al buio?” 
Lei lo guardò come si guarda un insetto.  “Per quando il buio non vi sarà più d'aiuto…” rispose lei lasciando aleggiare la minaccia. Alexei sbiancò. “Dov'è il Generale Kirigan?” provò a chiedere Reisa con voce tremante. Venne ignorata. Il suono di un corno riempì l’aria.
“Ecco il nostro segnale.” Disse la Inferno e senza più degnarli di uno sguardo si diresse verso la vela maestra e cominciò a dare ordini a una ChiamaTempesta dai capelli neri.
“Allora ascoltatemi cartografi!” Il Sergente del Primo Esercito prese la parola “Finché non arriviamo ai moliterra occidentali dovete rimanere dove siete e non, ripeto, e non lasciate la nave durante la traversata. Tutto chiaro?”
Ci fu un breve mormorio generale. Il momento era giunto.
Con un fluido movimento delle mani, la ChiamaTempesta dai capelli neri generò una folata di vento che andò ad ingrossare le vele. La Velasabbia si mosse.
Calò il gelo. Nessuno osò parlare. E per un po’ il ribollire dell’enorme massa di Tenebre che si stagliava davanti a noi dettò il ritmo dei nostri cuori impazziti. Man a mano che ci avvicinavamo alla Faglia il vento aumentava. Il ribollire divenne un rombo sordo che inghiottì ogni altro suono. Una raffica di vento mi strappò via il foulard che avevo al collo. Mi voltai per afferrarlo, ma era ormai alle spalle. Dietro di noi, sul molo, la figura di un uomo in nero osservava la scena. Rabbrividii e mi costrinsi a tornare a guardare l’enorme massa che stava per inghiottirci tutti.
 “Si va, ora.” Mormorò qualcuno. 
Trattenni il respiro. Chiusi gli occhi.
Poi il buio ci inghiottì.



E intorno a me covava sempre la stessa oscurità, 
quella stessa eternità nera e imperscrutabile,
 contro la quale si inalberavano i miei pensieri incapaci di afferrarla. 
Con che cosa potevo paragonarla? 
Feci sforzi disperati per trovare una parola abbastanza grande 
per definire quel buio,
una parola così crudelmente nera 
da annerire la mia bocca quando l'avessi pronunciata.
-Knut Hamsun-
 
   
 
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