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Autore: Elis_Alike    19/02/2022    0 recensioni
Dove poniamo il limite di ciò che è giusto? Quando il male si confonde con il bene, la verità è nell'occhio di chi guarda.
A niente vale la luce più forte senza l'ombra a definirne l'essenza
La figura si voltò lentamente, sentii i suoi occhi su di me prima ancora di vederli, fece un passo avanti e un raggio di luce gli illuminò il volto. Allora lo vidi: Un uomo sulla trentina dai lineamenti delicati, i capelli neri lunghi fino alle spalle, una corta barba ben curata gli incorniciava la mascella. E poi quegli occhi, neri anch’essi, come il fondo di un pozzo, imperscrutabili come un cielo senza stelle.
Il Generale Kirigan. Capo del Secondo Esercito. L’Oscuro.
L’uomo più temuto e più potente di tutta Ravka, secondo solo al Re. Colui che aveva riscattato con le sue gesta eroiche il nome dei Grisha.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alina Starkov, Darkling, Malyen Oretsev
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alina 
 Tutto intorno a me c’era un gran baccano. Qualcuno da qualche parte urlava. Il fragore di passi mi rimbombava nelle orecchie. Mi scoppiava la testa. 
Perché non stanno zitti?
Cercai di muovermi ma mi accorsi con ansia che non sentivo più il mio corpo. Provai ad aprire gli occhi. Il mondo mi apparve sfuocato. 
Dove sono? Cos’è successo?
Sbattei più volte le palpebre cercando di rimettere in ordine i pensieri. 
“È viva!” gridò qualcuno sopra di me. Strinsi gli occhi e soffocai un gemito, la testa mi doleva da impazzire. “Portate qui un Guaritore” continuò la voce. 
“Mal?” riuscii a mormorare, cercai di girarmi. Un dolore acuto mi opprimeva il petto. Mi mancava l’aria. “Mal..” Boccheggiai di nuovo. 
“Sono qui, Alina. Andrà tutto bene” riuscii a girarmi e lo vidi steso accanto a me sul ponte della Velasabbia. Il volto trasfigurato dal dolore, una lunga ferita gli percorreva il fianco e una chiazza di sangue si allargava sotto di lui. Respirava a fatica ma era vivo. 
“Sta ferma adesso.” mi intimò una voce dall’alto. La guardai. A parlare era stata una Grisha dalla pelle scura, portava la Kefta rossa dei Guaritori e ricambiò il mio sguardo con piglio sicuro. “Ti sei rotta le clavicole. Adesso le riparo, okay? Farò in fretta ma farà comunque male. Però ho bisogno che stai ferma d’accordo?” 
Annuii senza fiato. Accanto a me Mal venne issato di peso su una lettiga. “No…No…Mal…dove lo portano?” Mormorai nel panico.
“Il Primo Esercito va nella tenda medica. Ora sta Ferma”
L’assurdità di quella frase mi lasciò più confusa di prima. Io ero del Primo Esercito, perché non andavo con lui? Feci per alzarmi, convinta che mi stesse mentendo. In fondo perché mai fidarsi di un Grisha?
“Ferma!” mi sgridò la Guaritrice costringendomi nuovamente a terra. Il dolore mi lasciò stordita.
La vidi compiere uno strano movimento con le dita e fui travolta da uno spasimo mentre una fitta di dolore acuta mi attraversava. Sentii distintamente le mie ossa rimettersi in asse, svuotandomi i polmoni della poca aria rimasta. 
Scattai a sedere boccheggiando. “Meglio no?” sorrise la Grisha che mi aveva guarito. “Si…si…io...grazie” balbettai confusa. 
“Alzati adesso, ti aspettano nella tenda nera” disse tirandomi su per un braccio. Mi teneva stretta, forse per paura che potessi cadere. Ma improvvisamente mi sentivo bene. Ero solo…frastornata. Chiusi gli occhi. Venni assalita da un vortice indistinto di immagini confuse: un Volkra che si abbatteva sulla nave. I suoi artigli che afferravano Mal. Fu come uno schiaffo. Li riaprii guardandomi attorno nel panico. 
“Va tutto bene, è finita. Sei stata convocata nella tenda del Generale. Sei al sicuro.”
“Cos...?...No io, devo trovare Mal, lasciatemi” provai a sottrarmi ma due guardie sopraggiunsero a darle manforte.
In men che non si dica mi trascinarono di peso nella tenda del Generale Kirigan. Cercai di divincolarmi ma senza successo, mi tenevano stretta. Non capivo cosa fosse appena accaduto. Gli orrori appena vissuti continuavano a balenarmi davanti agli occhi a sprazzi, confusi.
Gli artigli di quel mostro che mi ghermivano la schiena, mancandomi di un soffio, il viso di Mal, le urla e poi quell’esplosione di luce. Quella strana sensazione, come una vibrazione, un formicolio in tutto il corpo, e gli occhi di Mal, Mal improvvisamente impaurito. 
 Devono aver scoperto che ho bruciato io le mappe- pensai in preda al delirio - Ecco perché mi stanno portando dal Generale - Cercai di scacciare quelle immagini mentre la tenda nera si faceva sempre più vicina. Vogliono punirmi.
Entrando credetti di essere diventata cieca. All’interno regnava un’oscurità pressoché assoluta, resa più lieve solo da pochi flebili raggi di luce che si facevano largo tra le cuciture degli spessi tendaggi. Sbattei le palpebre finché i miei occhi non si abituarono a quella penombra.
“Portatela più vicino”.  Una voce calma, bassa, suadente. La voce autorevole di chi è abituato a dare ordini. Veniva da un punto indefinito in fondo alla tenda. Socchiusi gli occhi riuscendo a stento ad intravedere la sagoma di un uomo alto, in piedi di spalle di fronte a me.  Quando le guardie eseguirono l’ordine non opposi resistenza. All’improvviso ero come in trance. Sentivo il loro timore ma c’era qualcosa in quella figura che mi chiamava.
 Devo aver battuto la testa
 Le guardie avanzarono di qualche passo e, non osando proseguire oltre, mi lasciarono lì, in mezzo a quella tenda, immersa in una semi oscurità.
La figura si voltò lentamente. Sentii i suoi occhi su di me prima ancora di vederli. Fece un passo avanti e un raggio di luce gli illuminò il volto. Allora lo vidi: Un uomo sulla trentina dai lineamenti delicati, i capelli neri lunghi fino alle spalle, una corta barba ben curata gli incorniciava la mascella. E poi quegli occhi, neri anch’essi, come il fondo di un pozzo, imperscrutabili come un cielo senza stelle. 
Il Generale Kirigan. Capo del Secondo Esercito. L’Oscuro. L’uomo più temuto e più potente di tutta Ravka, secondo solo al Re. Colui che aveva riscattato con le sue gesta eroiche il nome dei Grisha.  
Prima di lui i Grisha erano apertamente odiati in tutta Ravka, braccati come animali, uccisi, talvolta solo per divertimento, e adesso, grazie a lui, vivevano al sicuro tra i lussi del Piccolo Palazzo. Protetti dal re in persona. All’odio si era sostituito il rispetto, una sorta di timore reverenziale. Certo il popolo aveva continuato a guardarli con diffidenza, ma a nessuno in tutta Ravka Est saltava in mente di criticare apertamente l’operato di un Grisha, non in pubblico almeno.
Era alto, elegante. Sulla sua Kefta nera non figuravano medaglie o inutili fronzoli, ma da tutta la sua persona emanava un senso di austera autorità che non lasciava dubbi sul suo ruolo di leader. Eppure, c’era qualcos’altro. Una sorta di celata malinconia, come se si portasse addosso tutto il peso del mondo. 
“Avvicinati” disse, era un ordine che non ammetteva repliche reso in qualche modo vellutato dalla sua voce, profonda come le tenebre dei suoi occhi. Rabbrividii ma feci un passo in avanti. C’era qualcosa di magnetico nella sua figura. Qualcosa che mi attirava in un modo che non riuscivo a comprendere. Devo aver battuto la testa mi ripetei.
“Ebbene?” chiese dopo una breve pausa, gli occhi neri piantati su di me.
Cercai di riscuotermi. Alzai il mento e ricambiai il suo sguardo con sfida. Avrei affrontato le conseguenze delle mie azioni a testa alta. Mi meritavo una punizione. I miei amici erano morti, ed era colpa mia, ma a lui non avrei dato alcuna soddisfazione. Non mi sarei fatta umiliare. 
“Ebbene cosa? - replicai decisa - … Signore” aggiunsi subito dopo, temendo di essere stata troppo impudente. 
Meglio non esagerare. 
Se il mio tono irriverente lo sorprese non lo diede a vedere. Il suo viso rimase disteso, rilassato, le mani incrociate dietro la schiena, si appoggiava appena alla scrivania alle sue spalle con la grazia di una pantera pronta al balzo. 
“Cosa sei tu?” chiese addolcendo la voce.
“Alina Starkov, apprendista cartografa, corpo reale dei topografi” risposi d’un fiato, senza alcuna esitazione. 
Il suo sguardo si fece più profondo e il peso degli avvenimenti appena accaduti mi fu addosso come un macigno. Avevo bruciato le mappe per seguire Mal, uno stupido capriccio. 
Se non fosse per me i miei compagni sarebbero ancora vivi
“Sono tutti morti…è colpa mia…non è per questo che sono qui?” continuai con un groppo in gola, ma il Generale alzò una mano ad interrompermi.
“Rispondi alla domanda- disse, sempre con studiata dolcezza- Cosa sei tu?” 
Non capivo.
“Una…Mappatrice, Signore” un brusio di risate sommesse sciamò da tutti i lati della tenda, e improvvisamente mi resi conto di essere attorniata da diversi Grisha. 
Non li avevo notati fino a quel momento, come se la presenza del Generale avesse cancellato ogni altra cosa. 
Che stupida
Mi maledii mentalmente per aver abbassato la guardia. 
Il Generale alzò nuovamente la mano riportando il silenzio.
“Chi ha davvero visto cosa è successo?” 
I suoi occhi che fino a quel momento non mi avevano abbandonata un istante vagarono per la tenda.
“Zoya? Tu eri alla vela maestra” Chiese rivolto ad una Grisha dai lunghi capelli neri che prontamente rispose: “Ci hanno attaccati a meno di due segnavia. Qualcuno ha acceso una lanterna.” 
Josh, Josh ha acceso la lanterna, ha sempre avuto una paura folle del buio
 “E.…?”  
“I Volkra hanno assalito prima i fucilieri e la nostra Inferno - continuò Zoya -…e poi, poi c’è stata una violenta esplosione di luce”
Un’esplosione di luce, quella strana sensazione, come di un formicolio in tutto il corpo.  
“È stata lei” intervenne indicandomi un Grisha col volto macchiato di sangue. Lo riconobbi, era sulla nave. Aveva urlato anche lui quando i mostri erano piombati su di noi.
Lo sguardo del Generale tornò a posarsi su di me “La nostra mappatrice” disse, un velo di scherno nella voce. 
“È la verità? - continuò tornando serio - Tu puoi evocare la luce?” Scossi la testa, incapace di rispondere, deve esserci un errore. 
“Dove sei cresciuta?” la sua voce era di nuovo gentile 
“…Keramzin” risposi con l’amaro in bocca. Avevo odiato quell’orfanotrofio, il modo in cui mi guardavano gli altri bambini, e ancor di più come mi avrebbero guardato tutti da allora – con quel misto di pietà e disprezzo - una volta scoperto che, oltre ad essere mezza Shu, ero anche una misera orfana. 
Tutti, tranne Mal.
Gli occhi spaventati di Mal sulla nave, mentre era accaduto. 
Deve esserci un errore
“E quando ti hanno esaminata?” 
Non lo hanno mai fatto, non ho mai voluto, deve esserci un errore.
Aprii la bocca per parlare ma le parole mi morirono in gola.
“Tu …non lo rammenti? ...Bene, allora vediamo di scoprirlo”
Pronunciò ogni parola con lentezza, e altrettanto lentamente si avvicinò a me, rigirandosi un anello con uno strano artiglio appuntito tra le dita affusolate.
Deve esserci un errore, devo andarmene da qui, devo trovare Mal, e scappare, fuggire via da questa tenda, dagli sguardi altezzosi di questi Grisha, lontano da questi occhi di tenebra.  
Avrei voluto muovermi, correre ma qualcosa in quegli occhi continuava a tenermi ferma lì, al centro di quella tenda buia. 
“Tirati su la manica” Nonostante il tono gentile avvertì una nota di urgenza nella sua voce. Si era fermato ad un passo da me, in attesa. 
Esitai.
Lunghe ombre cominciarono a strisciare tutto intorno a noi, tenebre ancora più scure del buio che già riempiva la tenda. Rabbrividii improvvisamente terrorizzata. 
“C…che succede?” balbettai, ma ancora non riuscii a muovermi.
“Su la manica”. 
Il suo sguardo si fece minaccioso quanto le tenebre che continuavano ad ammassarsi tutt’intorno, la voce fremeva di una qualche emozione indefinita, a metà tra la brama e la rabbia. 
“Per favore” aggiunse e la minaccia scomparve, sostituita da una malinconia antica, suonava quasi come una supplica. 
Il cambio repentino mi diede le vertigini. Presi un respiro, abbassai lo sguardo e mi tirai su la manica, scoprendo appena il polso.
Lui lo prese colmando con un passo la distanza che c’era tra noi mentre con l’altra mano mi tirò su la manica fin quasi alla spalla. Sentii di nuovo quella strana vibrazione provata sulla nave, come un formicolio, emergere da qualche angolo remoto di me stessa. 
La pelle scottava là dove lui la stava toccando, mi fischiavano le orecchie.
Cosa sta succedendo?  
Alzai lo sguardo fino ad incrociare gli occhi neri del Generale che mi fissavano con una sorta di velato stupore. 
La sente anche lui?
Fu un attimo. L’uncino dell’anello che portava al pollice affondò nella mia pelle come un lungo artiglio tracciandomi una linea sottile sull’avambraccio. Nello stesso istante dalla ferita sgorgò una lama di luce. La vibrazione si acuì fino a diventare concreta. Mi sembrava che il mio intero essere cantasse. Era una nenia antica come il mondo. Mentre guardavo quella lama di luce che mi usciva dal braccio fui travolta da un totale senso di beatitudine e sollievo, come se qualcosa che da tempo languiva imprigionato dentro di me si fosse d’improvviso liberato. 
Alzai gli occhi a guardare il Generale, le sue mani mi tenevano ancora. Ricambiò il mio sguardo con un tale trasporto da farmi arrossire. 
Una gioia irrefrenabile sembrava aver aperto un varco in quei due pozzi di tenebra. La bocca socchiusa in un sorriso appena visibile. 
“Ti ho trovata” mormorò, ma fu poco più di un sussurro e credetti di averlo immaginato. Intanto la lama di luce che sgorgava dal mio braccio bucò il tetto della tenda e si riversò verso il cielo riempiendo l’accampamento col suo etereo, acuto canto. 
Il Generale mi lasciò il braccio e la luce scomparve, insieme a quel formicolio, insieme alla musica, e il buio sembrò tornare ad inghiottire ogni cosa. Poi l’aria si rischiarò, assumendo per la prima volta dei toni più tenui. Barcollai sul punto di cadere. 
Deve esserci un errore.
Non riuscivo a smettere di fissarmi il braccio. Nel punto da cui la luce era uscita ora non si vedeva che un lieve graffio, ma là dove lui mi aveva toccata sentivo la pelle pulsare lievemente. 
“Portatela al Piccolo Palazzo, partite subito e fate in fretta. Non è al sicuro qui, non più” la voce del Generale mi arrivò come un’eco lontana, i contorni stessi delle cose apparivano sfuocati. 
Deve esserci un errore.
A malapena sentii le mani di due Grisha prendermi e condurmi fuori dalla tenda. 
Cos’è successo? Cos’era quella luce? Per questo Mal era così spaventato? Mal! Dov’è Mal? 
“Mi hai sentito? Andiamo! Sali!” i due Grisha che mi scortavano si erano fermati davanti a una carrozza, e un terzo teneva la porta aperta, era stato lui a parlare. Tornai in me.
“No! C’è stato un errore, devo trovare Mal!”
“Il Generale non commette mai errori. Ha dato ordine di portarti al Piccolo Palazzo immediatamente. Ora sali in carrozza!” lo odiai.
“Tutti commettono errori. Guardami, ho una faccia importante forse?” gli dissi con sprezzo, i piedi ben piantati per terra. Non mi sarei mossa di un centimetro. 
Lui si avvicinò a me ricambiando il mio sguardo con altrettanto disprezzo.
“Hai una faccia da guai che è la stessa cosa per me, e adesso muoviti!”. 
Cambiai tattica.
“Aspetta! - lo supplicai - Malyen Oretsev…è nella tenda medica, devo parlargli!” 
Feci per andare ma lui fu più veloce e afferrandomi per un braccio mi disse “Senti ragazzina, tutte le spie in zona sapranno presto cosa hai fatto e i nemici verranno a cercarti. L’unica speranza è condurti ad Os Alta dietro le mura del Palazzo prima che ti uccidano, lo capisci?” Mi teneva stretta e all’improvviso sentii tutta la verità delle sue parole. Approfittò della mia esitazione e mi sollevò di peso. 
“Andiamo” disse e la carrozza già si muoveva. 
Com’era potuto succedere tutto così velocemente? Mi sembrava di essere stata catapultata nella vita di qualcun altro. 
Forse sto sognando. Adesso mi sveglierò e scoprirò che è stato solo un brutto sogno, Mal mi prenderà in giro e la mia vita continuerà come prima. Deve essere così, deve esserci un errore. 
Chiusi gli occhi.
Sì, è solo un sogno, un brutto sogno.  
Ma quando li riaprii ero ancora in quella carrozza. Davanti a me i due Grisha che mi avevano scortato fuori dalla tenda si scambiavano tra loro sguardi preoccupati. Guardai fuori dal finestrino, l’accampamento era ormai alle mie spalle. 
Mal, non l’ho neanche salutato.
Fuori il paesaggio correva veloce e i primi alberi della foresta di Ryevost già prendevano il posto dei campi in cui si trovava il nostro accampamento.
“Lui è Feydor, e io sono Ivan” disse uno dei due con voce secca. Alzai appena lo sguardo, Ivan aveva un viso duro e la mascella serrata, Feydor invece mi sorrideva. 
“È un onore conoscerti, tieni - disse porgendomi un involto - Si chiama Kefta. È a prova di proiettile. È l’uniforme del Secondo Esercito. Ti conviene indossarla finché non saremo al sicuro, e forse anche dopo” aggiunse con una strizzata d’occhi.
 Continuava a sorridermi gentile, cercando il mio sguardo. 
“E il Primo Esercito?” chiesi di getto “a Kribirsk, mille soldati che marciano con noi non è più sicuro di…questo?” dissi lanciando un occhio critico alla piccola carrozza dove viaggiavamo.  
“Più lento, non più sicuro” Intervenne Ivan con la sua voce dura.
Mi feci coraggio e tornai all’attacco “Se mi riportaste all’unità dei cartografi non ci degnerebbero di uno sguardo” Ivan sbuffò e si mise a guardare fuori dal finestrino, per lui quella conversazione finiva lì. Feydor invece, dopo un attimo di esitazione chiese “Perché mai? - era sinceramente incuriosito - Tu hai evocato la luce del sole, il tuo tipo di Etherealki era solo un mito, un disegno in un libro di fiabe…fino ad oggi- sprizzava entusiasmo da ogni poro -Tu sei molto speciale quindi…perché non ti degnavano mai di uno sguardo?” 
Feci una smorfia “Stai scherzando? - ma dove vive questo qui?  - Forse si sta meglio tra le mura del Piccolo Palazzo, ma qui fuori se sei diverso, se hai una faccia diversa, qualunque cosa rischia di finire in rissa” Feydor abbassò lo sguardo, mortificato e quasi mi dispiacque di essere stata così dura. 
“Tu sai perché il Piccolo Palazzo è dotato di mura innanzitutto? - Intervenne allora Ivan con voce dura - Mh? Perché per anni essere Grisha era una condanna a morte! - abbassai lo sguardo. Non ci avevo mai pensato - Già, ora grazie al Generale Kirigan siamo protetti, temuti, ecco come sopravviviamo. Non venendo ignorati, ma facendo sì che ci guardino e sappiano che siamo potenti” c’era una rabbia trattenuta nella sua voce, non rabbia verso di me, ma verso quel mondo che lo aveva sempre guardato con odio e disprezzo. 
Improvvisamente lo capii. Non aveva mai ricevuto nient’altro dalla vita e aveva finito per fare di quell’odio la sua corazza. Lo capivo perché ero come lui, almeno in parte. Ma questa nuova consapevolezza non fece altro che accrescere la mia rabbia. Non volevo aver niente a che fare con lui o con il suo mondo. 
“Sopravvivo anche senza la vostra protezione, grazie” sibilai, i pugni stretti. 
“Ma…non dureresti un minuto ora che tu sei…tu” s’intromise Feydor con la sua voce gentile. 
Mi morsi la lingua per non replicare.
Forse ha ragione, ma non voglio che ce l’abbia. 
“Tutta Ravka stava aspettando te” continuò incoraggiato dal mio silenzio. 
Mi guardai le mani ancora strette in grembo. 
“Chiaro, tutti vogliono che la Faglia sparisca” sbuffai. 
Feydor sorrise “Ma è molto più di questo, non capisci? - Lo guardai. No, non capivo - Tu sei la speranza del paese, sì, ma… - s’interruppe lanciando una breve occhiata ad Ivan prima di continuare - un mito si è avverato per un Grisha… è stato un Grisha a creare la Faglia…se un Grisha la distruggerà, forse…” lasciò cadere la frase, e lanciò nuovamente un’occhiata ad Ivan che era tornato a guardare il paesaggio. 
“Forse non ci serviranno più alte mura per proteggerci” concluse per lui Ivan in un sussurro. 
 
Restammo in silenzio mentre la foresta intorno a noi si faceva più fitta. Riflettei sulla conversazione appena avuta. Per tutta la vita ero stata un’emarginata per colpa dei miei occhi a mandorla e della mia carnagione troppo chiara. Ero mezza Shu e nessuno si era mai fidato di me, nessuno tranne Mal. Ma per i Grisha era diverso, per quanto mi disprezzassero apertamente nessuno aveva mai tentato di uccidermi per via di quello che ero. Picchiata, sì, derisa e bullizzata certo, ma per loro era stato peggio. Avevo studiato la storia delle persecuzioni contro i Grisha, di come le loro case erano state bruciate, i villaggi rasi al suolo, gli orrori degli anni bui.  Tuttora i nemici al nord, i Fierdiani con i loro Druskeller, s’infiltravano di continuo nelle nostre terre solo per il gusto di ucciderli.
 
Aleksander
L’ho trovata. 
Camminavo avanti e indietro nella mia tenda colto da un’irrefrenabile frenesia. 
L’ho trovata!
Ancora non riuscivo a crederci. 
Questo cambiava tutto. Lei cambiava tutto. 
Avevo sentito il potere scorrere potente in quella ragazzina spaventata, ma c’era qualcosa. Un blocco, come se fosse schermato. 
Non ha importanza, qualunque cosa sia Baghra troverà una soluzione, c’è speranza.
A quel pensiero l’euforia che provavo m’invase. Dopo anni passati a cercare un rimedio avevo finalmente trovato la soluzione.
Insieme affronteremo la Faglia, i Grisha saranno al sicuro, nessuno oserà contrastarci.
Ripensai al modo in cui i suoi occhi si erano spalancati quando il raggio di luce era scaturito da lei.
Come poteva non saperlo? Davvero fino a quel momento era stata all’oscuro delle sue capacità? Stava fingendo?
Eppure, avevo visto autentico stupore in quegli occhi verdi.
Nel ripensare al suo viso fui colto da un fremito. Non mentiva decisi, cercando di ignorare il ricordo di ciò che avevo provato nel prenderle il polso. 
Era come un senso di familiarità, di appartenenza.
Scossi la testa e scacciai il pensiero. 
Una cosa era certa: quel lampo di luce si vedeva a miglia di distanza. Con la Faglia così vicina, chissà quanti occhi indiscreti l’avevano notato.
Cos’è questa sensazione di Pericolo?
 L’ansia mi travolse. Imprecai uscendo di corsa dalla tenda. Dovevo raggiungerla, assicurarmi che fosse al sicuro.
 
 
Alina
La carrozza si fermò bruscamente.
 “La strada è bloccata!” gridò qualcuno da fuori. Ivan e Feydor si scambiarono un’occhiata, improvvisamente tesi.
“Stai qui e non ti muovere” m’intimò Ivan prima di scendere.
“È a fin di bene” aggiunse Feydor con un largo sorriso tranquillizzante, prima di seguirlo.
Rimasi sola nella carrozza. 
Potrei fuggire
Pensai di farlo ma non mi mossi. C’era una tensione strana nell’aria. Poi qualcuno gridò: “Druskeller!” e la tensione esplose in caos. Sentivo le urla, gli spari. D’istinto mi accovacciai sul pavimento della carrozza appena in tempo prima che una raffica di proiettili mi raggiungesse. Indossai la Kefta in fretta e furia.
Speriamo che questa cosa funzioni davvero.  
Del fumo iniziò ad insinuarsi nella carrozza, qualcuno doveva aver lanciato dei lacrimogeni. Iniziai a tossire.
Devo uscire.
Da fuori sentii la voce di Ivan gridare ordini: “Dove sono i ChiamaTempesta? Qualcuno vada a prendere la ragazzina!”
Poi la porta si aprì e qualcuno mi afferrò per le caviglie trascinandomi fuori in malo modo. Gli occhi mi lacrimavano per il fumo e avevo la vista annebbiata. Quando riuscii a scorgere il volto dell’uomo barbuto che mi aveva agguantato, ero ormai fuori dalla carrozza. 
Un Fierdiano
“No!” urlai e scalciai ma per quanto mi divincolassi quello non mollava la presa. In preda alla disperazione mi aggrappai al terreno con le unghie e scalciai ancora più forte cercando di impedire che mi trascinasse via. 
“No, no non sono una Grisha sono una mappatrice, ti prego” ma non mi diede ascolto. 
Mi rivoltò sul terreno e colsi l’occasione per tirargli un calcio che andò a segno, ma quando stavo per rialzarmi lui mi assestò un pugno dritto in testa rispedendomi a terra. Il colpo mi lasciò stordita. 
“Lurida strega”. Mi teneva ferma, schiacciandomi col peso del suo corpo, gli occhi pieni d’odio. Alzò la sua accetta…sono morta pensai.
Poi lo sentii, prima ancora di vedere le tenebre addensarsi intorno a noi. La sua figura mi appariva sfuocata. Saltò giù dal cavallo ancora in corsa atterrando a una decina di passi da noi, alle spalle del Fierdiano che mi minacciava e cominciò a richiamare il suo potere. Le tenebre tra le sue mani si addensarono a formare una sorta di lama. Il Druskeller alzò lo sguardo e lo vide “L’Oscuro” borbottò. 
Ci fu uno schiocco secco, e il suo sangue mi schizzò addosso. 
Osservai atterrita il corpo del mio assalitore dividersi in due e cadermi accanto con orribile lentezza. 
Avrei voluto gridare ma non avevo aria nei polmoni. Rimasi a terra a fissare il cielo sopra di me, terrorizzata. Il Generale Kirigan entrò nel mio campo visivo, imponente, si guardava intorno in cerca di altri Fierdiani. Ma un improvviso silenzio era sceso sul campo. 
“Sei ferita?” chiese, sembrava calmo ma la sua voce tradiva l’ansia che provava. Si chinò a guardarmi. Non riuscivo a muovermi. In bocca sentivo il sapore metallico del sangue e un ronzio nelle orecchie rendeva il mondo ovattato. 
“Sei ferita?” ripeté, più lentamente.
“N..n..no, no…credo di no” tremavo, e la mia voce con me.  
“Gli altri saranno fuggiti ora che ci sono io- disse con un guizzo di rabbia negli occhi - Tu vieni con me” continuò, e porgendomi la mano mi aiutò ad alzarmi. Appena fui in piedi venni colta da un capogiro e rischiai di finire nuovamente a terra, la testa mi doleva da impazzire. 
Le sue braccia corsero a sostenermi “Ce la fai?” mi chiese, sempre più preoccupato.
                  “Io ...s.… sì” risposi ansante, tenendomi la testa. 
“Vieni” mi mise un braccio attorno alla vita e mi condusse verso il suo cavallo. 
Quell’improvviso contatto col suo corpo riaccese in me tutte le sensazioni provate nella tenda. Uno strano assoluto bisogno di stargli vicino. La pelle mi bruciava ma il dolore alle tempie annebbiò tutto il resto. 
Mi issò sul cavallo, sollevandomi come se non pesassi più di una piuma e montò dietro di me.
 “Reggiti” mi sussurrò all’orecchio e partimmo al galoppo. 
Sentivo il suo respiro caldo sulla nuca e il battito forsennato del suo cuore mentre teneva le braccia intorno a me per impedirmi di cadere. 
Mi gira la testa.
 
Nonostante le sue premure dopo qualche miglio cominciai a sentirmi veramente male. 
“Fermati, per favore” sussurrai a fatica
 “Perché?” chiese lui preoccupato continuando a spronare il cavallo 
“Sto per vomitare”. 
“Resisti” disse virando verso una radura e rallentando la corsa.
Una volta fermi mi aiutò a scendere con delicatezza, toccandomi come se avesse paura di rompermi. Quando fui certa che le gambe mi avrebbero retto mi allontanai da lui, barcollando verso un tronco divelto.  Mi appoggiai per riprendere fiato. Sentivo il suo sguardo seguirmi attento mentre legava il cavallo. Respirai a fondo, una, due, tre volte per schiarirmi le idee ed attenuare la nausea. 
Continuavo a rivedere il corpo del mio assalitore mozzato in due. Il modo in cui il busto si era aperto. La lentezza con cui mi era scivolato accanto. 
Morto. 
Chiusi gli occhi e serrai i denti trattenendo a stento un gemito. Il Generale fece per avvicinarsi e d’istinto mi ritrassi impaurita. Si fermò subito e restammo a guardarci per qualche istante, a distanza. 
Vidi nei suoi occhi quanto il mio gesto lo avesse addolorato. 
“Per il tuo viso” disse, porgendomi un fazzoletto nero. Si muoveva con estrema lentezza come volesse tranquillizzarmi. 
Mi toccai il volto e senti qualcosa di viscido.
                  Sangue  
Mi sporsi a prendere il fazzoletto che mi porgeva e tornai ad allontanarmi subito dopo. 
Sì, avevo paura di lui. Mi pulii e rimasi ad osservare in trance il modo in cui il rosso di quel sangue spiccava sul nero della stoffa.
 Il sangue del mio nemico.
 Ripensai a come Lui lo aveva ucciso e brivido freddo mi percorse la schiena. Gli lanciai un’occhiata carica di orrore. Lui distolse lo sguardo, incapace di sostenere il mio e si avvicinò al cavallo dandomi le spalle. 
“Cos’è successo prima?” chiesi alzando la voce per raggiungerlo 
“Druskeller, soldati di élite dell’esercito Fierdiano, addestrati a infiltrarsi dietro le nostre linee e a uccidere o rapire i Grisha” continuava a darmi le spalle, la voce piatta. 
“Volevo dire come hai fatto a tagliare in due uno di loro da una decina di passi?” Mi sorprese la rabbia nella mia stessa voce, in fondo mi aveva appena salvato la vita, ma il modo in cui lo aveva fatto…mi faceva accapponare la pelle.
“Preferivi che usassi una spada?” Chiese di rimando con aria di sfida girandosi a guardarmi.
C’era rabbia nei suoi occhi, ma anche dolore. Dolore per l’orrore che provavo, per il disgusto che mi aveva dato quella morte e perché prima mi ero allontanata da lui. Da lui che mi aveva salvata. Stavolta fui io a non sostenere il suo sguardo “Non lo so”.
“Non sono un mostro signorina Starkov. A dispetto di quello che puoi aver sentito” 
“Non intendevo questo- borbottai confusa guardandomi la punta delle scarpe- Solo…non so bene cosa aspettarmi da te…”
“A parte il peggio?”
Il tono di accusa nella sua voce mi fece adirare. 
“E non ne avrei ragione forse? – sbottai guardandolo con odio - Perché non dovrei temerti? Ti temono tutti! L’Oscuro, ti chiamano e ho appena visto perché: hai tagliato un uomo in due senza neanche sporcarti il mantello! E adesso sono qui in una radura in mezzo al niente, mentre lascio che la persona più temuta e potente di tutta Ravka mi trascini non so dove per non so quale motivo! – aggiunsi tirando un calcio al tronco divelto su cui ero seduta. - Dimmi, esattamente cos’altro dovrei aspettarmi se non il peggio?”
“Non lo so…- rispose calmo lui, il volto impassibile. Aveva accettato quella sequela d’insulti senza sottrarsi. – Forse potresti aspettarti che, in quanto comandante del Secondo Esercito, io non sia un perfetto idiota che ti salva la vita solo per ucciderti un’ora dopo in un bosco. Magari potresti provare a credere che se ti ho salvato vuol dire quantomeno che non voglio che tu muoia e questo potrebbe bastarti.” 
Silenzio
 “Mi dispiace” mormorai dopo un attimo guardando a terra. 
“Non importa” Sospirò lui.
“Come hai fatto?” chiesi, incapace di trattenermi.
Lui esitò ma poi prese ad avvicinarsi lentamente, dosando ogni movimento, come si fa davanti a un animale selvatico per paura che questo fugga via. 
“C’è…materia, in ogni cosa, anche nell’aria…o nell’ombra…impercettibile, ma c’è. - Si era fermato. Continuava a mantenere una certa distanza osservandomi come se aspettasse il mio permesso per avvicinarsi oltre. Sembrava combattuto. - Il Taglio è una facoltà dell’evocatore, ma richiede straordinaria abilità… e vi ricorro solo come ultima risorsa…come nell’imboscata” sembrava quasi che volesse giustificarsi, l’ultima frase gli uscii in un sussurro.
“Sarà questa la mia vita? Sarò braccata ovunque?” tremavo e la mia voce con me. 
“Ti ci abituerai” rispose con un sorriso amaro.
“Come facevano a sapere di me?” Lui fece un passo in avanti prima di rispondere 
“Il tuo gioco di luci nella Faglia si vedeva da un miglio di distanza - c’era una nota di orgoglio nella sua voce - Qualunque fosse la loro missione hanno deviato per venire a cercarti… Ecco perché sto viaggiando con te”.
Gli lanciai un’occhiata truce “Perché hanno tutti paura di te” conclusi ma mentre lo dicevo già mi pentivo. 
Mi ha salvato la vita.  
Lui rimase impassibile, esitò per un momento prima di rispondere
 “Credo che abbiano più paura di te”
Lo guardai spiazzata. Un lieve sorriso gli si apriva in volto illuminando anche gli occhi. 
Paura di me? 
Era una sensazione strana. Ero abituata al disprezzo che i miei occhi a mandorla suscitavano nella gente, ma nessuno aveva mai avuto paura di me.
“Perché?” chiesi consapevole della nota di supplica nella mia voce. Prese ad avvicinarsi, guardandomi con quei suoi occhi neri, carichi di emozione.
 “Ciò che il tuo potere significa per noi…Tu potresti essere la prima del tuo genere…ma abbiamo da sempre un nome per te, per ciò che speriamo tu sappia fare: entrare nella Faglia. Distruggerla dall’interno.” 
Aveva soppesato ogni parola, come se ancora temesse di spaventarmi ma il mio silenzio lo rese audace. Fece ancora un passo in avanti e fummo di nuovo vicini come nella tenda. Potevo sentire il suo odore. La sua presenza era un qualcosa di potente, s’imponeva nella mia mente rendendomi difficile mettere in ordine i pensieri. 
“Con un addestramento adeguato e una buona amplificazione potresti essere la…” 
“No!” lo interruppi facendo un passo indietro. Fu come se gli avessi tirato uno schiaffo. Per un attimo rimase interdetto, la bocca aperta, poi un’ombra gli passò sul volto. 
“No? - disse in un sussurro minaccioso - No cosa?” i suoi occhi dardeggiavano, ed ebbi di nuovo paura di lui ma mi feci coraggio e sostenni il suo sguardo. 
“Io non voglio niente di tutto ciò - sibilai - Perché non te ne liberi tu?” 
Una smorfia di disprezzo gli incrinò le labbra
“Pensi che non ci abbia provato, signorina Starkov? Se entro nella Faglia sono un faro per i Volkra! - abbassò lo sguardo e girò il capo, frustrato - Peggiorerei solamente le cose” aggiunse, la sua voce traboccava di angoscia. 
Nonostante fosse praticamente un estraneo per me sentii lo strano impulso di consolarlo, di alleggerire almeno in parte quel peso che sembrava portarsi dentro. 
Scossi la testa che idiozia
“Ma allora…non puoi usare la magia Grisha per trasferirlo a qualcun altro che poi possa usarlo? – chiesi, addolcendo i toni- Ci deve essere un modo, qualcun altro che…” 
“Tu rinunceresti al tuo dono?” mi guardava incredulo come se la sola idea gli facesse orrore. Era esasperante 
“Dono? - Scoppiai in una risata isterica - Tu mi hai separata dai miei unici amici e ora stando a te sarò un bersaglio per il resto della mia vita! - la rabbia tornò montarmi dentro - Sai perché non hai mai trovato nessuno con questo potere? Forse è perché non vogliono farsi trovare!” gli urlai in faccia. Il suo viso era a un palmo dal mio e vidi con chiarezza un miscuglio di emozioni contraddittorie passargli negli occhi: rabbia, angoscia, frustrazione, incredulità e…desiderio? Mi ritrassi prima che la consapevolezza del suo corpo tornasse ad annebbiarmi i pensieri. Lui non fece niente, restò immobile, teso come la corda di un arco. Poi parlò trapassandomi con lo sguardo, la sua voce anche se calma tradiva lo sforzo che faceva per trattenersi.
“Te lo chiederò di nuovo… da bambina sei stata esaminata?”
Non riuscendo sostenere l’esame di quegli occhi neri distolsi lo sguardo e presi a guardare la foresta che ci circondava.
Ripensai a quel giorno di tanti anni fa, quando i Grisha erano venuti all’orfanotrofio per esaminare tutti i bambini in cerca di altri piccoli Grisha da addestrare. Ricordai di come Mal mi aveva aiutata a scappare nei campi, quando era accaduto.  Sentii le lacrime salirmi agli occhi ma le ricacciai indietro.
“Mi nascondevo. Ero già abbastanza diversa…non volevo essere ancora più sola” 
In un attimo lui mi fu di nuovo vicinissimo. Lo guardai, sembrava quasi che volesse abbracciarmi ma che si sforzasse di mantenere il contegno. Il suo sguardo era carico di comprensione e la voce gli tremò dall’emozione quando disse: “Tu sei una Grisha, tu non sei sola”.
Suonava come una promessa e per un attimo volli credergli. Sentii con chiarezza quanto lui fosse vicino a me e venni presa dall’impulso di annullare ogni distanza. Di perdermi in quegli occhi neri che mi guardavano come se anche lui non desiderasse altro che prendermi tra le braccia. 
E per un attimo, per un attimo pensai che sarebbe stato bello, perfino giusto, che le sue braccia mi cullassero cacciando via ogni timore. Ma fu un attimo. Lui fece un passo indietro e distolse lo sguardo allontanandosi. Tornò al cavallo, montò in sella evitando accuratamente di guardarmi. Si scostò il mantello e tendendomi il braccio m’invitò a salire. 
Non ci furono altre soste e non parlammo per il resto del viaggio. L’improvviso moto di prima aveva lasciato il posto ad un freddo silenzio carico di imbarazzo. 
 
 
 
 
 
   
 
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