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Autore: Longview    15/03/2022    4 recensioni
[BakuDeku, Future!fic - ProHeroes, 1240 parole]
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"Stavamo bene, insieme. Questo lo ricordo come fosse ieri."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Whatshisname







Quante volte ho creduto di averti intravisto nella massa anonima che fluttua stanca per le strade della città. Con la coda dell'occhio venivo attirato da un viso familiare, qualche lineamento delicato e preciso come calcato su carta dalla punta in grafite di un artista, e improvvisamente il mio cuore perdeva un battito, tradito da quei ricordi sbiaditi dal tempo. 
 
Mi voltavo, sospeso nella flebile speranza, e ben presto la gioia che mi era nata nel petto scoppiava lasciando un vuoto impossibile da colmare, un buco nero. Non capivo cosa fosse, né da dove venisse, ma non potevo negare che facesse male. Bruciava dallo stomaco fino a raggiungere la gola, raspando nel disperato tentativo di venire fuori e palesarsi nelle sue vere sembianze. 
 
Però, davvero, di cosa si trattava? Tutto ciò che ricordo di te è una vecchia polaroid fuori fuoco, un romanzo con le pagine strappate a cui, forse, mi sono divertito a riscrivere qualche paragrafo. 

Stavamo bene, insieme. Questo lo ricordo come fosse ieri. 
 
Noi due eravamo il sole e la luna, due colori complementari, i proverbiali opposti che si attraggono. Tu eri la tempesta, capace di spazzare via ogni cosa al suo passaggio, io il più docile arcobaleno, debole nella sua apparenza ma che porta con sé un futuro sereno. Forse è proprio per questo che sei scappato da me.
 
Ci penso, sai, a cosa sarebbe successo se solo fossi ancora qui, se quella sera fossi rimasto al mio fianco a cullare dolcemente la mia anima affranta e il mio corpo distrutto, rassicurandomi che, l'indomani, si sarebbe risolto tutto. Invece tu, all'improvviso, sei scomparso dalla mia vita e io, troppo sensibile per sopportare la verità, mi sono fatto carico delle colpe della tua vigliaccheria. 

Gli amici mi dicevano di dimenticarti, di concentrarmi sulla mia salute: senza quella, non sarei mai stato in grado di tornare sul campo nelle vesti di eroe, vittorioso dopo la peggiore delle sconfitte. Non capivano, però, che il vuoto che sentivo mi dilaniava dall'interno molto più di quanto non avessero fatto le ferite inferte durante quell'ultima, fatidica battaglia. 
 
Ho trascorso dei mesi tremendi, senza senso, in cui il mio fisico non faceva altro che urlare tutta la sofferenza di cui si stava prendendo carico. Si opponeva al mio continuo lottare; non voleva proseguire oltre. Ero allettato, tra le pareti bianche di un ospedale e poi a casa, là dove non c'era più nessuno ad aspettarmi se non la fredda consapevolezza di averti perso. 
 
Per cosa, poi? Ho pagato il prezzo di un crimine che non ho mai commesso. 
 
Le mie viscere erano state squassate e rivoltate una volta, in quel duello, e una seconda, da te, senza neanche la decenza di lasciarmi prima guarire. E forse non sono mai guarito davvero, per quanto io cerchi di ingannarmi; vorrei che qualcuno mi afferrasse per un braccio e mi obbligasse a rimettermi in marcia quando, durante qualche turno di ordinaria pattuglia, mi volto a cercarti. 
 
Non ne ho colpe, è che sei sempre nei miei pensieri. 
 
Sogno di venir solleticato sulle guance lentigginose dai tuoi capelli ispidi, ribelli come grano al vento, e anche dello stesso colore. Mi piaceva scorrerci in mezzo le dita, tastarli anche quando pungevano; e anche tu lo adoravi: lo capivo dal modo in cui rilassavi il capo contro il mio palmo, mettendo da parte per qualche istante il tuo rancore implacabile e mostrandomi il tuo lato nascosto. Dicevi che solo io avevo il privilegio di vederlo.
 
Chissà a quanti altri lo hai concesso, dopo di me. 
 
Ogni tanto mi pensi, così come io penso a te? 
 
Dopo di te, onestamente, nessuno è stato capace di colmare quel vuoto. Ho cercato un po' di conforto nelle attenzioni degli sconosciuti, in quell'intimità carnale che mi dava una parvenza di normalità; ho lasciato che qualche corpo mai visto prima mi facesse ricordare di quell'affetto perso nel tempo, del calore voluttuoso di un orgasmo, agrodolce e viscoso come il senso di smarrimento che ne seguiva non appena la mente tornava alla realtà. 
 
A volte immagino le tue mani ruvide stringermi i fianchi al posto di quelle fastidiosamente lisce dell'ennesimo volto anonimo che passa dal mio letto. Le tue dita affondavano nella mia carne segnandola, graffiandola, bruciandola; e io non mi lamentavo, al contrario, amavo quella tua bramosia che divampava come un incendio dal petto fino a esplodere nello schioccare ritmato dei nostri bacini. 
 
Ti spingevi dentro di me quasi ne fosse dipesa la tua stessa vita, ti nutrivi del mio piacere e respiravi ogni gemito che sfuggiva incontrollato dalle mie labbra umide di baci. Erano due petali di pesco, fresche e rosee, pronte per essere colte dalla tua lingua morbida. 
 
Sapevi di caffè la maggior parte del tempo, e, per quanto abbia sempre odiato quell'aroma amaro, nella tua bocca prendeva il gusto della caramella più dolce, del frutto più prelibato e proibito. 

Però questi sono solo ricordi, confusi e revisionati, e io ci sguazzo in mezzo nella speranza di perdermici. Forse, se mi sforzo con tutto me stesso, tornerò indietro a quel tempo in cui tutto era perfetto, quando tu mi stringevi al petto e io allentavo con le mani la presa da ogni preoccupazione, ma non da te. 
 
Se avessi l'opportunità di riavvolgere il nastro di due anni, penso che rinuncerei a quell'incarico; e sono un idiota, lo so, perché ti meriteresti tutto l'opposto del mio perdono per quello che mi hai fatto.
 
Credevo di averti dimenticato? Sì, o almeno ci speravo; in fondo, ho cancellato il tuo nome dal mio cuore e dalla mia mente, perché solo così ho potuto trovare il modo di anestetizzarmi e andare avanti con la mia vita. Senza di te, e anche senza un pezzo di me.
 
Anche ora, mentre osservo dall'alto la città illuminata solo dai lampioni e dalle insegne pubblicitarie, quelle due sillabe impastate mi solleticano il retro della lingua; ma le tengo a bada là dove sono sepolte, per evitare di perdere la debole luce che ancora rischiara, invece, il fondo della mia anima. 
 
Il vento mi accarezza dolcemente i capelli, si insinua tra le mie ciocche verdi scompigliate e mi sussurra un richiamo; è una voce familiare quella che mi chiama, però non riesco a riconoscerla davvero. Vuole che mi volti qui e ora, sul tetto grigio di un palazzo di periferia, così come ho fatto centinaia di volte di giorno in mezzo alla strada; non c'è proprio nulla di romantico in tutto questo.
 
Ho così sonno, che potrei dormire per sempre. É un sonno interiore, più che fisico, ma sarebbe molto piacevole poter assecondare questa sensazione viscida e avvolgente. Mi si chiudono piano le palpebre, pesanti, e proprio quando credo di essermi arreso a quella letargia non resisto alla tentazione di voltarmi, ancora, per la millesima volta. 
 
La mia coscienza mi confida, come per una misteriosa intuizione, che il motivo é sempre lo stesso: chiamalo scherzo del destino, o ironia della sorte, ma il tuo nome riemerge nella nebbia di questa notte senza stelle.
 
Lo vedo dipinto delicato sul cemento sotto ai miei piedi, nelle luci colorate della strada e nei tuoi occhi scarlatti che, stanchi per una fuga durata anni, mi fissano colpevoli, implorando il mio perdono.
 
Assomigli a un miraggio, bello come quasi mi ero scordato tu fossi nel tuo costume dai dettagli aranciati. Sembri maturato, o forse logorato da un rimorso. 
 
Non so neanche come mi hai trovato.
 
E, improvvisamente, trovo il coraggio: ecco qual era il tuo nome. 
 
“Kacchan”









Longview's corner:

Okay, se siete arrivati fino a qui grazie.
Non so minimamente cosa sia venuto fuori da questa cosa che avete appena letto, ma l'ho scritta di getto proprio ora, in un'oretta e mezza circa presa da una malinconia incomprensibile e immotivata, ad essere totalmente sincera. Forse ho involontariamente riversato qui dentro un pezzo di me stessa, ma va bene così. 
In ogni caso, l'idea di base per questa os è nata ascoltando Whatshername dei Green Day (aka il mio amore platonico dai tempi delle medie), da qui il titolo e, beh, il filo conduttore di tutto il racconto.
Nel caso vi venisse voglia di farmi sapere cosa ne pensate, beh, sapete dove trovarmi: ovvero, nelle recensioni oppure nei messaggi privati, ogni pensiero è sempre ben gradito e chiacchiero volentieri con tutti voi, qualsiasi cosa abbiate voglia di dirmi c: (Anche se volete dirmi che questa os vi ha fatto schifo lol).

E basta, non ho altro da dire.
Un abbraccio <3
-Longview

 
 
  
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