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Autore: e m m e    16/03/2022    1 recensioni
Quando scopre la possibile esistenza di un serial killer che abbandona cadaveri in giro per la sua città, Spider-Man inizia ad essere ossessionato dall’idea di trovarlo. Ha così inizio una caccia senza tregua per cui Peter non è psicologicamente pronto né tecnicamente preparato, e per la quale l’unico supporto incondizionato lo riceve dall’unica persona che è sempre stata pronta a darglielo: Deadpool.
Peccato che, per i due vigilanti, gli anni di lotta inizino a farsi pesanti, le spalle a piegarsi, le ragnatele a spezzarsi, i sentimenti a sfilacciarsi e il cuore… a non reggere.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Deadpool, Peter Parker/Spider-Man
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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7. Al we hear from you is blah blah blah

La prima cosa che Peter fece fu mandare un messaggio a Sam comunicandogli il nome della ragazzina che apparentemente era stata compagna di prigionia di Wade. Non attese la risposta, posò il cellulare sulla prima superficie orizzontale che trovò e si mise a sistemare il minuscolo appartamento come se ne andasse della propria vita.

Raccolse piatti e bicchieri sporchi lasciati in giro e li ammucchiò nel lavello, abbandonandoli al loro destino: prima o poi Wade li avrebbe lavati, ma chissà quando. Fece una torre pericolante di cartoni di pizza, take-away vari e lattine di birra vuote e uscì nel corridoio per far scivolare il tutto nella colonna dell’immondizia sotto lo sguardo invisibile di Daredevil, che sembrava seguire i suoi movimenti con vago interesse.

In camera da letto Peter si limitò a creare una piccola montagna di vestiti sporchi in uno dei quattro angoli, lasciando le armi per terra. Sistemò solo le catane sul piedistallo che Wade aveva istallato sul muro, probabilmente l’unico lavoro di carpenteria che il mercenario avrebbe mai fatto nella vita. Lanciò un’occhiata critica alle coperte sfatte e alle lenzuola che alla pallida luce che filtrava dal salotto gli parvero sporche, ma non così tanto come aveva temuto. Le tolse comunque, sperando che Deadpool avesse da qualche parte un cambio di biancheria.

In effetti lo trovò, infilato sul fondo del cassetto che, anno dopo anno, era diventato il cassetto di Spidey. All’inizio, oh, anni prima, aveva lasciato a casa di Deadpool una maglietta degli AC/DC e per qualche motivo non si era mai preoccupato di portarla via. Un giorno l’aveva trovata piegata e lavata in cima al cassettone, circondata da pistole e coltelli affilati. L’aveva fissata, chiedendosi che cosa ci facesse una delle sue magliette nella stanza da letto di DP, ma poi si era dimenticato della faccenda, perché lo stesso DP stava cercando di rinfilarsi gli intestini nello stomaco nella stanza adiacente e Peter era richiesto ad assistere.

Poi aveva lasciato una felpa. Poi un paio di scarpe. Poi un giorno che era andato a trovarlo in abiti civili per giocare con la XBOX erano stati entrambi richiamati all’azione da qualche catastrofe imminente e Peter vi aveva lasciato un paio di jeans e una vecchia camicia di flanella. Tutti quegli oggetti erano stati piegati e impilati sul cassettone di Wade, come se il proprietario aspettasse che Peter ne facesse fagotto e li riportasse a casa.

Peter non l’aveva mai fatto, finché tutti i vestiti che continuava a lasciare in giro avevano trovato il loro posto in uno dei cassetti del mercenario.

L’unica cosa che mancava era uno spazzolino da denti, ma la sola idea di entrare nel bagno di DP e trovare due spazzolini nel bicchiere incrostato di dentifricio era per Peter… un po’ troppo. Troppo intimo, troppo qualcosa a cui ancora non riusciva a dare un nome, nonostante fosse lì, ben visibile, alla mercé di chiunque avesse gli occhi per vederla.

Si accorse di essere rimasto immobile con le lenzuola pulite tra le mani a fissare i propri vestiti nel secondo cassetto, che era il suo secondo cassetto, e si riscosse, sistemandole alla meno peggio sul materasso che aveva di certo visto tempi migliori.

Una volta finito, sentì la doccia iniziare a scorrere nel bagno e tirò un sospiro stanco. Avrebbe voluto – in ordine di importanza – fare una doccia pure lui, dormire per tre anni, svegliarsi e accorgersi che era tutto stato un brutto sogno, a cominciare dalla scoperta dei cadaveri di due bambini in un vicolo di New York e per finire con quel bacio sul tetto.

A passo stanco tornò in salotto e lungo il tragitto si fermò di fronte alla porta chiusa del bagno. Da sotto alla fessura penetrava un piccolo fascio di luce e del vapore. Bussò e senza attendere risposta aprì uno spiraglio minuscolo per annunciare a Wade l’imminente arrivo di Capitan America. Come previsto la risposta non arrivò e dopo un secondo lasciò perdere, decidendo di dirigersi invece verso il divano su cui Matt era ancora sistemato.

«È una tua abitudine?» domandò quest’ultimo non appena Peter si fu lasciato cadere accanto a lui ed ebbe aperto una birra a sua volta. Avrebbe voluto affogarci dentro.

Il ragazzo gli lanciò un’occhiata di sbieco, prendendo un sorso. Il liquido era tiepido, ma non gli importò. «Cosa?»

«Risistemare l’appartamento di Deadpool» precisò Matt con un lieve sorrisetto che Peter cercò di ignorare.

«No! Cioè… no.»

Era una patetica bugia, ma entrambi finsero che non lo fosse. Wade non si era mai lamentato, anzi, non aveva mai nemmeno dato segno di accorgersene e Peter aveva iniziato a pensare che per l’amico non cambiasse assolutamente nulla, che non si accorgesse delle modifiche, dei vuoti dei takeaway che svanivano, della polvere che veniva spazzata via, dei piatti che magicamente tornavano puliti. Quindi aveva iniziato a farlo saltuariamente, soprattutto quando diventava difficile sedersi a causa del casino lasciato in giro. Non era niente di diverso rispetto a quello che faceva Ned per lui, a volte, no? Con la differenza che lui e Ned erano effettivamente coinquilini, certo.

La doccia smise di scorrere e Peter rabbrividì senza sapere perché. Fuori da lì, mentre lui si dava alla pazza gioia con le pulizie, aveva preso a cadere una neve mista a pioggia che gli occupò i pensieri per qualche attimo, almeno finché la porta del bagno si aprì di scatto e i due super si voltarono verso il suono inaspettato.

Peter tentò di distogliere lo sguardo, ma per qualche motivo non riuscì.

«Cosa?» s’informò Deadpool con falsa noncuranza, la stessa espressione rabbiosa di prima sul volto. Indossava solo un asciugamano attorno alla vita, la sua pelle era arrossata, come se fosse stato a lungo sotto il getto bollente, ma era una cosa assurda: Wade odiava l’acqua troppo calda. «Tanto non è niente che tu non abbia già visto, no, Spidey?»

Peter roteò gli occhi, fingendo con se stesso di non stare arrossendo, di non aver fissato il mercenario un po’ troppo a lungo, e soprattutto fingendo che quel lieve calore alla bocca dello stomaco fosse dovuto solo e soltanto al bruciante senso di colpa che apparentemente ormai non faceva che crescere di giorno in giorno.

Quando Daredevil sbuffò fuori una risatina mascherata da colpo di tosse e la schiena di Deadpool svanì nella camera da letto, Peter schizzò in piedi annunciando che si sarebbe fatto una doccia pure lui, perché col cazzo che voleva stare a stretto contatto con Wade, in quel momento. E se la fuga lo rendeva un codardo, be’, avrebbe convissuto pure con quella consapevolezza.

Si lavò in fretta e furia, strusciando via sudore e polvere con una spugna ruvida, ostinandosi a non processare il fatto che magari non c’era uno spazzolino per lui, in quel bagno, ma c’era di certo uno shampoo e un asciugamano in più. Dio santo!

Peter si insaponò i capelli, cercando di strappare via i propri pensieri e metterli in un ordine che avesse un minimo di logica. Scrutò la propria immagine distorta nello specchio e si rese conto, come se qualcuno lo avesse appena colpito allo stomaco, che non era più il Peter Parker che Tony Stark aveva conosciuto. Da qualche parte in quei lunghi, lunghi anni si era trasformato in qualcuno che ancora non aveva imparato del tutto a identificare: l’amichevole Spider-Man di quartiere non era più tanto amichevole e apparentemente aveva pure smesso di prendersi le proprie responsabilità.

Posò la fronte contro il vetro appannato e uscì dalla doccia ancora mezzo insaponato, strofinandosi i capelli finché quasi non fece male, trascinandosi passo dopo passo fuori da quel bagno pieno di vapore e olezzante di bagnoschiuma. In tre secondi fece in modo di aprire la porta e balzare nella camera da letto, di fronte al cassettone, da cui prese un paio di pantaloni e una felpa, gettandoseli addosso come fossero sacchi dell’immondizia. Con la coda dell’occhio vide che Wade si era seduto accanto a Daredevil ed entrambi erano alla seconda o terza birra. Wade non si voltò a guardarlo.

Qualcuno bussò alla porta.

Perfetto.

«Ti spiace aprire, Spider-Man? Dopotutto sono i tuoi cazzo di invitati, no?»

«Ehi!» replicò Peter, punto sul vivo. «Non ho deciso io di chiamare la cavalleria, per tua informazione.»

«Sono stato io a far intervenire gli Avengers, Wade» spiegò Matt in tono pacato. “Perché Peter era troppo fuori di testa dalla preoccupazione per pensare a un eventuale back-up” venne miracolosamente lasciato fuori dalla spiegazione.

Aprendo la porta, il ragazzo si trovò davanti un Sam e un Bucky in abiti civili, cosa che per un attimo lo lasciò perplesso: se li era aspettati in tenuta da battaglia e invece l’unico rimasto con la divisa tra tutti loro era Daredevil. Non che a lui sarebbe importato qualcosa, o che se ne sarebbe mai accorto.

«Peter.»

«Sam» salutò lui, facendosi da parte per farli entrare.

Wade si alzò dal divano stiracchiandosi, come se non avesse una sola preoccupazione al mondo. Indossava una felpa scura, col cappuccio tirato su che gli copriva metà volto, ma non parve troppo a disagio nel mostrarsi senza maschera. Matt, vicino a lui, si alzò a sua volta.

Ci fu un attimo di teso silenzio finché Wade non sbottò: «Be’? Che diavolo volete sapere?!»

«Tutto» tagliò corto Sam, mentre Bucky si avviava verso il basso tavolino di fronte alla televisione per prendersi una birra. Tutti lo ignorarono.

Wade incrociò le braccia sul petto. «Non potete chiedere al cattivone, invece di rompere i coglioni a me?»

Lo fissarono tutti. «Potremmo» spiegò lentamente Bucky, scolandosi un paio di sorsi. Sam non si era ancora mosso dall’ingresso, praticamente. «Se solo l’avessimo catturato.»

Wade si volse verso Peter, guardandolo per la prima volta da quando era uscito dalla doccia. «Che cazzo vorrebbe dire? Non l’hai preso?»

«Cosa diavolo ti fa pensare che l’abbia preso?!» replicò il ragazzo, senza capire.

«Ti ho sentito entrare nel capannone pochi secondi prima di morire» spiegò Wade con un tono di voce che voleva essere calmo, ma pronunciando parole che non spiegavano proprio nulla.

Sam abbandonò la sua posa rigida e si mosse verso di loro, sistemandosi in piedi vicino a Bucky. I due si scambiarono uno sguardo rapido. «Ok, facciamo tutti in passo indietro: DP, racconta dall’inizio.»

«Dall’inizio» ripeté Deadpool grattandosi la base del collo, chiaramente a disagio. «Avrei dovuto vedermi alle undici con questi due» disse, indicando prima Peter e poi Matt. «E invece mi sono svegliato su quella sedia da dentista e un tizio incappucciato si è messo a fare esperimenti su di me. Suppongo che siate entrati in azione tutti insieme per salvare il mio povero culo butterato, no? Com’è possibile che quattro tra i super più forti di NYC non siano riusciti ad acciuffare il malvivente con la voce da minorenne, mi domando. Cioè, ero lì, con le sue mani che ravanavano tra i miei organi interni e cosa non sento se non la voce del nostro amichevole Spider-Man di quartiere? Quanto ci avrai messo ad arrivare sulla scena? Dieci? Venti secondi al massimo?»

«Taglia corto, Deadpool.»

«Wow» replicò lui sbattendo gli occhi e guardandosi attorno, stupito che nessuno riuscisse a seguirlo e vagamente compiaciuto al tempo stesso. «È così che ti senti quando sai qualcosa che io non so, Spidey? Potrei abituarmi.»

Peter incrociò le braccia sul petto, per nulla in vena di giochetti. «Wade.»

Di fronte al tono esasperato del ragazzo, Wade cedette. «È un mutante, probabilmente. O un mutato o roba simile. In ogni caso ha la supervelocità. Che c’è? Non ve lo aspettavate? Come diavolo avrebbe fatto a: uno, entrare qui dentro senza che io me ne accorgessi, due, drogarmi, tre, portarmi dall’altra parte della città nei dieci scarsi minuti in cui quell’ottimo cocktail di farmaci ha lasciato il mio sistema, e quattro, compiere un’operazione a cuore aperto sul sottoscritto – sapete tutti che il mio fattore di guarigione è abbastanza potente da ricucirmi in pochi secondi, se non sono troppo disastrato – e, ultimo, ma non ultimo, svanire nell’etere in quegli attimi che avrete impiegato nell’invadere la mia triste, triste prigione. Svanire nell’etere col mio povero cuore, aggiungerei, ma non nel senso romantico del termine, Pete, non preoccuparti.» Ed ebbe pure il coraggio di rivolgere un occhiolino nella generica direzione in cui Spider-Man si era sistemato. Peter roteò gli occhi.

Ci fu un attimo di silenzio in cui ognuno si mise a fare le proprie considerazioni, forse, finché, misericordiosamente, Sam decise di concentrarsi solo sulla parte importante di quella tirata. «L’hai effettivamente visto muoversi con la supervelocità? Lo puoi descrivere?»

Wade si strinse nelle spalle. «Non l’ho visto, ma non ci vuole un genio per fare due più due. Inoltre, la ragazzina, Abby… sono sicuro che lei l’ha visto. Sarà stata lì legata molto più di me.»

«Basterebbe trovarla» commentò Bucky con nonchalance.

Peter giurò di poter quasi percepire il cambio d’atmosfera nell’aria. «Trovarla?» ripeté Deadpool con un tono molto diverso rispetto al suo solito, falsissimo ottimismo. «Come sarebbe a dire trovarla? Spidey! Mi hai detto che stava bene!»

Tutti gli occhi si spostarono su Peter, ma quest’ultimo ebbe cuore di fissare solo il volto di Wade che lo stava implorando per una rassicurazione che non sarebbe venuta. «No… Wade, quando mi hai chiesto della ragazza… eri appena tornato-- Eri sul punto di… non volevo agitarti. C’eri solo tu. Quando sono entrato, c’eri solo tu lì legato su quella sedia.»

Wade superò la distanza che li divideva e torreggiò sopra di lui scrutandolo come se Peter avesse appena ammesso qualcosa di inconcepibile. «Mi stai dicendo che quel pazzoide è sparito con Abby?»

«Deadpool» si intromise Sam, cercando di appianare la situazione. «La stiamo cercando. Per questo abbiamo bisogno di dettagli. Più dettagli.»

«Non volevi agitarmi?» rincarò la dose Wade, senza dar segno di aver captato una sola parola proveniente da Capitan America. «Hai dimenticato chi cazzo sono, ragazzino? Quello che faccio? Come vivo?! Pensi davvero che abbia bisogno di qualcuno che mi tiene la fottuta mano ogni volta che–»

«Wade!» lo richiamò Daredevil in tono secco. «Vuoi salvare la ragazzina? Dacci dei dettagli

Peter si era fatto indietro, un passo dopo l’altro, senza quasi rendersene conto, senza registrate il moto di panico, il sentirsi di nuovo in fallo, di nuovo sbagliato, di nuovo come quel piccolo adolescente incompetente che aveva rovinato tutto. Da quanto tempo Spider-Man aveva smesso di preoccuparsi dei civili per paura di ferire un collega, un amico? Qualsiasi cosa Wade fosse per lui? E il risultato era stato comunque quello di ferirlo.

Si coprì la faccia con le mani, stringendo le dita contro le palpebre, fino a farsi male. Quando li riaprì Wade gli dava le spalle.

«Abby, avrà avuto dodici anni al massimo. Afroamericana, occhi enormi, scuri, Cristo! Era terrorizzata… le piacciono gli unicorni, ha un gatto di nome Fluffy, ha un fratello… minore? Non ricordo. Deve cambiare scuola e non vuole perché la sua migliore amica rimarrà lì. Abitano vicine, ma ha paura che non si vedranno più. Ah, e il fattore di guarigione! Ha un fattore di guarigione!»

Bucky finì l’ultimo sorso di birra, osservando con Sam con blanda attenzione, quest’ultimo inviava le vaghe informazioni a qualcuno tramite cellulare. «Non hai pensato a prendere un cognome, già che c’eri?»

«Ehi, ghiacciolino» ringhiò Wade nella direzione dell’uomo proprio mentre quest’ultimo stritolava la lattina con la sua mano di metallo. «La prossima volta vai tu a farti operare al cuore senza anestesia, e vediamo quante domande riesci a fare agli altri prigionieri!»

«Come sai che la ragazzina aveva un fattore di guarigione?» domandò Matt a quel punto. Peter gli fu grato per la domanda. Avrebbe voluto porla lui, ma non si fidava della propria voce, non si fidava di sé stesso in quel momento, mentre un senso di colpa più grande di lui lo sommergeva, lasciandolo sospeso in un limbo di “voglio uscire di qui e andare a salvare Abby che ama gli unicorni” e “voglio rimanere qui e sistemare le cose”.

Wade spiegò lo scambio di sangue, la ferita di Abby che si era rimarginata all’istante.

«Ha un problema al cuore» commentò Spider-Man a quel punto. «Il tizio, dico, ha un problema al cuore.»

Wade gli lanciò un brevissimo sguardo. «L’ho pensato anche io» ammise dopo un secondo.

«Perché dovrebbe avere un problema al cuore?» domandò Sam, sollevando gli occhi dal telefono.

«Sta facendo degli esperimenti. È stato lui stesso a dirlo. E scommetto che tutte le sue vittime hanno un fattore di guarigione più o meno elevato, come me…» ipotizzò Wade, indovinando esattamente ciò che Wolverine aveva detto a Peter quella mattina. Peter lo fissò con stupita ammirazione mentre lo ascoltava fare altre ipotesi. «I primi due, i fratelli Spencer… Scommetto che ha cercato di scambiare il cuore di uno con quello dell’altra, vedere se attecchiva o roba simile. Non ha funzionato, ma ha tenuto i cuori.»

«Ha provato anche con Fred Johnson. Ecco perché c’era il sangue dei due Spencer sul suo corpo» completò Daredevil, annuendo tra sé e sé. «Pure lui aveva un fattore di guarigione, no?»

«Niente di così potente come quello di Wade» ammise Peter, «ma sì. Era per dirvi questo che vi ho dato appuntamento stanotte» aggiunse a beneficio di DP.

«Ce l’ha coi supereroi» continuò quest’ultimo imperterrito, quasi come se Peter non avesse parlato. «Scommetto che dà la colpa al vecchio Tony Stark per non averlo preso sotto la sua ala protettrice o roba simile. La colpa è di tutti tranne la sua… per questo scarica i cadaveri sotto i murales.»

«Per lavarsi la coscienza? Dare la colpa a qualcun altro?» s’interessò Bucky.

Wade esitò solo un secondo prima di continuare con le sue ipotesi. «Non ha bisogno di lavarsi la coscienza. È convinto che quello che fa sia giusto, che qualsiasi cosa è giustificata perché non c’è nessuno che voglia aiutarlo, tranne lui stesso. Probabile anche che l’uso della super velocità peggiori la sua condizione. L’ho visto succedere in altri super.»

«Wade» commentò Matt a quel punto. «Sembra che tu abbia capito parecchio della psiche di quest’uomo.»

«Sai com’è, Matty? Quando qualcuno ti tocca il cuore, finisce che impari parecchie cose.» Poi più lentamente, abbandonando il tono ironico: «In un certo modo, posso identificarmi.»

Nessuno aprì bocca.

«Bene» fece Sam dopo qualche secondo di estremo disagio. «Direi che abbiamo quello per cui siamo venuti. Non sarà difficile trovarlo.»

«Certo» dichiarò Peter, senza disturbarsi a nascondere il tono sarcastico. «Non adesso che il serial killer di cui vi siete disinteressati per mesi ha acceso l’interesse degli Avengers!»

«Ti ho già spiegato come vanno queste cose, Peter.»

«E tutto quello che riesco a sentire è blah-blah-blah!»

Sam e Peter si squadrarono dai due lati della stanza, nessuno dei due avrebbe ceduto di un millimetro perché entrambi avevano l’assoluta certezza di essere nel giusto; perché Peter non aveva la minima idea delle pressioni a cui Capitan America era sottoposto, ma Sam non aveva la minima idea di quello che la vita di Spider-Man era diventata; quindi, non ci sarebbero stati né vinti né vincitori, ma nemmeno un semplice compromesso.

«Invece di parlare di queste stronzate, che ne dite di andare a salvare una povera bambina terrorizzata?» s’informò Wade dopo un secondo, spingendo Peter all’indietro, senza però disturbarsi a guardarlo in faccia. «Dov’è il tuo costume, Spider-Man?»

«No-no-no!» li interruppe di botto Sam, con la miglior voce da Capita America che Peter gli avesse mai sentito produrre. «Voi due! Non voglio vedervi sul campo per almeno ventiquattr’ore e prima di essere sommerso da inutili lamentele, , al momento fate parte della mia squadra, e no, non mi interessa se non sei d’accordo con le mie decisioni, Parker. Siete in panchina per due semplici motivi: Peter, da quante ore non dormi? E Wade, sappiamo tutti che il tuo superpotere è l’immortalità, ma so riconosce una PSTD quando ne vedo una. Inoltre, prendetevi del tempo per risolvere qualsiasi sia questa cosa» e Sam indicò prima l’uno e poi l’altro dei due supereroi, «che vi rende due idioti non appena interagite. Spider-Man: oggi hai quasi staccato la mano a un sottoposto di Sharon perché si era avvicinato troppo a DP. Quindi, qualsiasi sia il problema, sistematelo.»

«Sappiamo tutti qual è il problema» commentò Bucky a mezza voce. Come riuscisse a suonare sarcastico e a mantenere quella faccia da statua di sale era un mistero a cui Peter non aveva però tempo di pensare.

Wade emise una risatina, ma aveva i pugni stretti lungo le gambe, la linea delle spalle rigida, contratta. «Voglio vedere come farai a impedirmi di uscire da qui, Cap.»

«Ho già sistemato degli agenti su tutto il perimetro. Non hanno l’ordine di fermarvi, ma hanno l’ordine di avvertirmi. Provate a mettere il naso fuori dalla finestra e giuro che la mia prossima visita non sarà in abiti civili.»

Matt tossicchiò quella che sembrava una risata a mezza bocca, ma evidentemente decise che era giunto il momento di togliere il disturbo. «Suppongo che almeno io non sia stato messo in punizione, no?»

Sam roteò gli occhi. «Libero di andare e venire, Daredevil.»

Matt fece un breve gesto con la testa rivolto ai suoi due colleghi dalla calzamaglia rossa, recuperò la sua maschera e scavalcò il davanzale della finestra, scivolando giù per la scala antincendio senza aggiungere una sola parola in loro favore.

«Bucky!» si lamentò Peter a quel punto, voltandosi verso i due rimasti. «Non puoi lasciarglielo fare.»

«Si dia il caso che sia stato proprio Bucky quello che lo ha suggerito. Un giorno a riposo può solo farvi bene.»

Stavano praticamente già uscendo, Bucky aveva la mano sulla maniglia della porta, i suoi capelli neri non erano abbastanza lunghi da nascondere l’espressione mezzo soddisfatta, mezzo esasperata.

«Siete due stronziii» cantilenò dietro di loro Wade, che aveva estratto un cellulare dai meandri della sua felpa. La porta si richiuse alle loro spalle con un click estremamente quieto, e Wade aveva già lo smart-phone all’orecchio.

«Weasel» disse a voce alta, senza preoccuparsi di essere udito oppure no dai due Avengers che avrebbero potuto essere ancora a portata d’orecchio. «Ho bisogno di un favore: devi trovarmi una persona. Un mutante, o roba simile. No, non rompere il cazzo, non ti pago. Con tutte le volte che ti ho salvato il culo questa linea dovrebbe essere sempre a mia disposizione. No! Ma ti rendi conto dell’assurda quantità di soldi che hai appena nominato? No.» Piccola pausa. «Sì, ha pagato bene e avrei decisamente dovuto rimanere a Seoul per almeno altri dieci giorni. Mi sarei risparmiato un sacco di grane. E allora!? Ho detto di no.»

Il teatrino andò avanti ancora per un po’, finché Weasel abbassò il prezzo e Wade accettò di pagarlo. Seguì qualche minuto in cui il mercenario descriveva le caratteristiche peculiari del rapitore/serial killer/psicopatico e la telefonata si concluse con un lapidario: «Chiamami appena sai qualcosa.»

E così Spider-Man e Deadpool rimasero soli.

 

Note: Il titolo del capitolo è tratto da Blah blah blah, di Armin van Buuren 
  
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